All’inizio del dicembre 2019, nella città di Wuhan della provincia di Hubei in Cina, si è iniziata a diffondere un’epidemia da parte di un nuovo virus denominato SARS-CoV-2, appartenente alla famiglia dei coronavirus, e responsabile di una nuova grave malattia respiratoria acuta definita Covid-19 (acronimo dell’inglese COronaVIrus Disease 19).
Il 31 dicembre 2019, l’autorità sanitaria cinese ha allertato l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per diversi casi di polmonite di eziologia sconosciuta nella città di Wuhan. I casi erano stati segnalati dall’8 dicembre 2019 e molti pazienti lavoravano o vivevano nel mercato all’ingrosso dei frutti di mare di Huanan (Huanan Seafood Wholesale Market), anche se altri casi iniziali non avevano alcuna correlazione sociale con questo mercato. Il 7 gennaio, un nuovo coronavirus, originariamente abbreviato come 2019-nCoV dall’OMS, è stato identificato dal campione di un tampone naso-faringeo di un paziente. Questo agente patogeno è stato successivamente rinominato dal Gruppo di Studio del Coronavirus con il nome di SARS-CoV-2 (Severe Acute Respiratory Syndrome – Coronavirus – 2) e la malattia è stata denominata dall’OMS con il nome di coronavirus disease 2019 (COVID-19). Il rischio percepito di contrarre una malattia ha portato molti governi a istituire una varietà di misure di controllo, fra cui anche il lockdown istituito in Italia in data 9 marzo 2020, in cui il governo italiano guidato dal Primo Ministro Giuseppe Conte ha imposto una quarantena nazionale, limitando il movimento della popolazione tranne che per necessità, lavoro e circostanze sanitarie, in risposta alla crescente pandemia di Covid-19 nel paese.
Il Covid-19 è altamente infettivo, trasmesso attraverso varie modalità, ma principalmente mediante le goccioline respiratorie emesse da un individuo infetto sintomatico o asintomatico, con un tasso di mortalità variabile a seconda del paziente e della diversa distribuzione geografica e che presenta un tropismo diffuso anche se con particolare predilezione per il tratto respiratorio inferiore.
La diagnosi gold standard è rappresentata dall’esecuzione dell’esame colturale mediante tampone naso-faringeo e/o BAL.
Eziologia
Cause
ll nuovo coronavirus SARS-CoV-2 è un membro della famiglia Coronaviridae e dell’ordine Nidovirales. La famiglia è composta da due sottofamiglie, Coronavirinae e Torovirinae ed i membri della sottofamiglia Coronavirinae sono suddivisi in quattro generi:
l’Alphacoronavirus che comprende il coronavirus umano (HCoV)-229E e HCoV-NL63;
il Betacoronavirus che include HCoV-OC43, la SARS-HCoV (Severe Acute Respiratory Syndrome Human Coronavirus), HCoV-HKU1 e la MERS-CoV (Middle Eastern respiratory syndrome coronavirus);
il Gammacoronavirus che comprende i virus delle balene e degli uccelli;
il deltacoronavirus che comprende i virus isolati da suini e uccelli.
Il SARS-CoV-2 appartiene al Betacoronavirus insieme a due virus altamente patogeni, il SARS-CoV e il MERS-CoV responsabili della Sindrome respiratoria acuta grave e della Sindrome respiratoria mediorientale.
Il SARS-CoV-2 è un virus RNA (+ssRNA) a singolo filamento positivo, con aspetto simile a una corona al microscopio elettronico.
L’analisi filogenetica del genoma del SARS-CoV-2 indica che tale virus è strettamente correlato (con l’88% di corrispondenza) a due coronavirus di tipo SARS aventi come reservoir ecologico i pipistrelli e isolati nel 2018 nella zona orientale della Cina (bat-SL-CoVZC45 e bat-SL-CoVZXC21) e geneticamente distinti dal SARS-CoV (con circa il 79% di somiglianza) e dal MERS-CoV. Tali risultati suggeriscono che i pipistrelli potrebbero rappresentare l’ospite originale di questo virus
Patogenesi
Il SARS-CoV-2, come tutti i Beta-coronavirus e la maggior parte degli altri membri della famiglia dei coronavirus, presentano un’elevata specificità di specie, ma piccole differenze genetiche possono alterare significativamente il tropismo tissutale, il tipo di ospite e la patogenicità. Dal punto di vista molecolare e microscopico, il dominio di legame del recettore della proteina Spike (S) dell’envelope della SARS-CoV-2 è strutturalmente simile a quello della SARS-CoV, nonostante la variazione di aminoacidi in alcune posizioni chiave. Ulteriori analisi strutturali suggeriscono fortemente che la SARS-CoV-2 può utilizzare il recettore angiotensina-convertente l’enzima 2 (ACE2) dell’ospite per entrare nelle cellule, lo stesso recettore che facilita l’ingresso del virus SARS-CoV per infettare l’epitelio delle vie aeree e colpire i pneumociti alveolari di tipo 2 (AT2).
La proteina spike dell’envelope della SARS-CoV-2, uno dei bersagli più importanti di questo virus, è divisa nel dominio S1 e S2:
S1 responsabile per il legame del recettore che contiene pertanto una regione che serve a legarsi alla cellula bersaglio aderendo al recettore ACE2;
S2 responsabile per la fusione delle membrane delle cellule e che in una seconda fase consente l’ingresso del virus nella cellula.
Quindi, una molecola capace di impedire l’interazione tra la proteina Spike e il recettore ACE2 sarebbe potenzialmente in grado di prevenire l’infezione da coronavirus e, di conseguenza, la malattia.
Inoltre, l’identificazione di diversi residui chiave (Gln493 e Asn501) che regolano il legame del dominio di legame del recettore SARS-CoV-2 con ACE2, rappresentano un’ulteriore prova del fatto che la SARS-CoV-2 ha acquisito una capacità di trasmissione da persona a persona. Dopo il legame con il recettore, il virus SARS-CoV-2 entra nelle cellule ospiti dove si scontra con la risposta immunitaria innata dell’ospite e per poter iniziare il suo processo infettivo il virus deve essere in grado di inibire o eludere la risposta immunitaria innata dell’ospite. Tuttavia, non si sa come la SARS-CoV-2 riesca a eludere la risposta immunitaria e a guidare la patogenesi, ma dato che il Covid-19 e la SARS hanno caratteristiche cliniche simili, si suppone che il virus SARS-CoV-2 possa avere un meccanismo di patogenesi simile a quello della SARS-CoV. In risposta alle infezioni da SARS-CoV, il sistema dell’interferone di tipo I (IFN 1) induce l’espressione di geni da esso stimolati per inibire la replicazione virale e per superare questa risposta difensiva dell’ospite, il virus della SARS-CoV codifica almeno 8 antagonisti virali differenti che modulano l’induzione dell’IFN e delle citochine ed eludono la funzione di effettore dei geni stimolati dell’ IFN 1 per inibire la replicazione virale.
La risposta del sistema immunitario dell’ospite all’infezione virale attraverso la risposta immunitaria cellulo-mediata e mediante la risposta cellulare antivirale, fondamentali per inibire la replicazione e la diffusione virale: tuttavia, un’eccessiva risposta immunitaria, insieme agli effetti litici del virus sulle cellule dell’ospite, è responsabile della patogenesi virale stessa.
Alcuni studi hanno dimostrato che i pazienti che manifestano polmonite severa, con febbre e tosse secca come sintomi comuni all’inizio della malattia, talvolta progrediscono rapidamente verso la sindrome da stress respiratorio acuto (ARDS) e lo shock settico, a cui poi fa seguito l’insufficienza multipla d’organo (MOF) e circa il 10% dei pazienti presenta come exitus la morte.
E’stato dimostrato, inoltre, che da un punto di vista immunitario e patogenetico, nel siero dei pazienti con diagnosi di COVID-19, vi sia un aumento dei livelli di citochine proinfiammatorie [(ad es. interleuchina (IL)-1, IL-2, IL7, IL12, interferone gamma (IFN), TNF, IFN–proteina 10 indotta da IFN (IP10), proteine infiammatorie macrofagiche 1A (MIP1A) e proteina monocitaria chemioattrattore-1 (MCP1)], rispetto agli adulti sani e che sono associate ad infiammazione polmonare e danno grave.
È importante inoltre sottolineare che i pazienti in terapia intensiva (ICU) hanno un livello significativamente più alto di GSCF, IP10, MCP1 e TNF- rispetto ai pazienti non in terapia intensiva, suggerendo che alla base della gravità della malattia vi sia una tempesta di citochine; inoltre, è stato osservato che inaspettatamente, anche le citochine antinfiammatorie come l’IL10 e l’IL4, sono aumentate in questi pazienti, fenomeno non comune per un’infezione virale in fase acuta.
Ulteriori studi sono comunque in corso per identificare altri fattori di virulenza ed i bersagli dell’ospite della SARS-CoV-2 che permettono al virus di eludere il sistema immunitario e causare la malattia nell’uomo.
Clinica
Le manifestazioni cliniche dell’infezione da SARS-CoV-2 presentano delle analogie con quelle determinate dall’infezione da parte del virus SARS-CoV, dove i sintomi più comuni sono febbre (88% dei casi), tosse con o senza espettorato (57%), dispnea (45%), ageusia ed anosmia (40 %), dolori muscolari e/o affaticamento (27%), mal di testa (14%), mal di gola (10%) e sintomi gastrointestinali (9%) [35, 36].
In uno dei più grandi studi di coorte presenti, con più di 44.000 persone affette da Covid-19 in Cina, ha mostrato che la gravità della malattia può variare da lieve a critica e nello specifico:
da lieve a moderata con sintomi lievi fino a polmonite lieve nell’81% dei casi;
grave fino a circa il 14% dei casi, con dispnea, ipossia o coinvolgimento polmonare superiore al 50% evidenziato dagli esami di imaging;
critico fino a circa il 5% dei casi con insufficienza respiratoria, shock o MOF.
In questo studio, la maggior parte dei decessi sono avvenuti tra i pazienti con malattia grave e critica e il tasso complessivo di mortalità dei casi è stato del 2,3% e nello specifico il tasso di mortalità tra i pazienti con malattia critica è stato del 49%.
Tra i bambini la gravità della malattia è stata inferiore, decorrendo in maniera asintomatica o lieve in circa il con il 94% dei casi, grave in circa il 5% e critica in meno dell’1%.
Inoltre è stato osservato che il virus SARS-CoV-2, a differenza dalle infezioni da SARS-CoV e MERS-CoV, è meno responsabile di una clinica a carico del tratto respiratorio superiore come rinorrea e faringodinia, suggerendo che il virus potrebbe avere una maggiore preferenza per l’infezione del tratto respiratorio inferiore.
Complicanze gravi come ipossiemia, ARDS acuta, aritmia, shock, insufficienza cardiaca acuta ed insufficienza renale acuta sono state segnalate tra i pazienti con COVID-19.
Diagnosi
Panoramica diagnostica
La rapidità del processo di identificazione, diagnosi ed isolamento dei soggetti Covid-19 positivi è cruciale sia per la loro guarigione che per evitare la diffusione dei contagi. La diagnosi viene effettuata sulla base delle caratteristiche cliniche, laboratoristiche e radiologiche.
Poiché la clinica non è specifica ed i reperti radiologici del Covid-19 sono sensibili ma non specifici, l’infezione da SARS-CoV-2 deve essere confermata dalla reazione a catena della polimerasi (Polymerase Chain Reaction o PCR), amplificando una specifica sequenza genetica nel virus, che rappresenta l’esame gold standard per la diagnosi.
Una valutazione funzionale respiratoria, in termini di sgambi gassosi, è facilmente ottenibile con l’esecuzione di un emogasanalisi e da un six-minute walking test, mentre il dato anatomico-morfologico è legato necessariamente all’esecuzione di un esame di Imaging.
Diagnosi laboratoristica
Tra i pazienti COVID-19, le principali e più comuni alterazioni di laboratorio comprendono la linfopenia, il tempo di protrombina prolungato e la lattato deidrogenasi elevata [40] ed un alto livello di IL1, IFN-, IP10 e MCP1. Alcuni pazienti presentano anche un incremento dell’aspartato aminotransferasi, creatina chinasi, creatinina e proteina C reattiva, mentre la maggior parte dei pazienti presenta normali livelli di procalcitonina sierica.
I pazienti ricoverati in terapia intensiva solitamente presentano più alterazioni dei reperti di laboratorio rispetto ai pazienti non in terapia intensiva: infatti i pazienti in terapia intensiva tendono ad avere una maggiore concentrazione del fattore di stimolazione della colonia granulocitaria (GCSF), IP10, MCP1A, MIP1A e TNF.
L’esame gold standard per la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 è rappresentato dai tamponi e nello specifico dalla real-time polymerase chain reaction (RT-PCR), su campioni respiratori.
Il SARS-CoV-2 può essere rilevato in diversi tessuti e fluidi corporei: in uno studio su 1.070 campioni raccolti da 205 pazienti con Covid-19 positivi, i campioni di liquido di lavaggio broncoalveolare hanno mostrato i più alti tassi positivi (14 su 15; 93%), seguiti dall’espettorato (72 di 104; 72%), tamponi nasali (5 di 8; 63%), biopsia broncoscopica mediante raschiamento (6 su 13; 46%), tamponi faringei (126 su 398; 32%), feci (44 su 153; 29%) e sangue (3 su 307; 1%). Nessuno dei 72 campioni di urina è risultato positivo.
Oltre ai tamponi rinofaringei, i campioni possono anche essere ottenuti dall’espettorato, aspirato endotracheale o dal lavaggio broncoalveolare ed i test su tali campioni del tratto respiratorio inferiore sembrano essere più sensibili dei tamponi rinofaringei, in quanto il virus è più presente nelle vie respiratorie inferiori che in quelle superiori.
In ogni caso, contrariamente al SARS-CoV, la replicazione virale del SARS-CoV-2 è molto alta anche nei tessuti del tratto respiratorio superiore e secondo l’OMS, in pazienti ambulatoriali il materiale respiratorio per la PCR dovrebbe essere ottenuto da campioni prelevati dal tratto respiratorio superiore (tampone o lavaggio rinofaringeo e orofaringeo), in particolare appare preferibile raccogliere campioni sia da tamponi rinofaringei che orofaringei, che possono essere inseriti nella stessa provetta.
Infine è importante menzionare anche i test diagnostici veloci ed i test sierologici, entrambi finalizzati alla ricerca degli anticorpi o immunoglobuline IgM e IgG, che indicano la situazione della persona rispetto all’infezione. Se vengono rilevate le IgM l’infezione è recente ed in corso, visto che si tratta di anticorpi che si manifestano entro sette giorni dai primi sintomi, mentre gli anticorpi IgG compaiono dopo circa 14 giorni e permangono a lungo anche quando il paziente è guarito.
I test diagnostici veloci (point-of-care test) sono dispositivi di facile utilizzo al fine di effettuare test rapidi al di fuori dei laboratori di analisi, grazie ad una goccia di sangue, ottenuta per digitopuntura, stabiliscono se un soggetto ha prodotto anticorpi e quindi è entrato in contatto con il virus e rappresenta è un test immunologico qualitativo su membrana, per la rilevazione degli anticorpi IgG e IgM del 2019-nCOV in campioni di sangue umano intero da pungidito. La loro sensibilità non è stata ancora ben chiarita, ma comunque dai primi studi emerge una bassa sensibilità e pertanto tali test possono servire principalmente come uno strumento iniziale per identificare gli individui potenzialmente infettivi molto rapidamente e non essere usati come test diagnostici di conferma.
I test sierologici quantitativi, invece, richiedono un prelievo di sangue e uno specifico analizzatore in dotazione alle strutture sanitarie, dosando in maniera specifica le quantità di anticorpi prodotti: tali test quantitativi hanno un elevato grado di affidabilità e accuratezza, utilizzano sistemi di rilevazione con chemiluminescenza (CLIA) oppure sistemi immunoenzimatici (ELISA).
Diagnosi radiologica
In un contesto di un quadro clinico variabile ed aspecifico caratterizzato da una grossa diversità in termini di severità della malattia ed evoluzione, il contributo della Diagnostica per Immagini risulta essere determinante sia al fine della diagnosi di polmonite interstiziale e di eventuali altre alterazioni annesse al processo infettivo sia al fine del follow-up della malattia stessa, del monitoraggio terapeutico che della prognosi.
Il Covid-19 ha come manifestazione clinica predominante la polmonite interstiziale e l’imaging radiologico gioca un ruolo fondamentale nell’iter diagnostico, nel management e nel follow-up di questa malattia, sebbene i reperti radiologici possono variare in base all’età dei pazienti, alla progressione della malattia, allo stato immunitario, alle comorbilità e al trattamento medico iniziale impostato [53].
Le polmoniti interstiziali come quelle determinate da Covid-19 sono caratterizzate dalla raccolta dell’edema e dell’infiltrato infiammatorio cellulare, più che negli spazi alveolari, coinvolgono gli spazi interstiziali (pareti alveolari) e solo negli stadi più avanzati di malattia si estendono a riempire gli spazi aerei, prima in maniera subtotale apparendo sottoforma di “ground glass” e poi totale determinando un vero e proprio consolidamento parenchimale.
La polmonite interstiziale da Covid-19 non ha una manifestazione specifica e non è possibile pertanto definire un paziente come positivo solo sulla base del quadro di Imaging, anche perché il test gold standard è la RT-PCR.
L’ecografia polmonare in un contesto clinico come quello della polmonite da Covid-19 presenta una serie di vantaggi, come una più facile disinfezione della strumentazione, la possibilità di eseguire l’esame “bed-side” riducendo così il rischio di diffondere il virus pur rispettando le adeguate misure di protezione, evitare di sottoporre il paziente a radiazioni ionizzanti facendo in modo che sia ripetibile anche a breve distanza di tempo; gli svantaggi sono correlati alla necessità di clinical competence da parte degli operatori, di non poter avere un quadro panoramico e dettagliato dal punto di vista dell’imaging come lo fornisce l’RX e soprattutto la TC e l’impossibilità di mantenere una distanza minima di sicurezza medico-paziente ne fa uno degli esami più a rischio per gli operatori sanitari.
L’ecografia polmonare è stata usata ed appare tuttora utile nella valutazione dei pazienti sospetti nei reparti di emergenza e terapia intensiva e come strumento di monitoraggio per valutare anche l’efficacia delle manovre di prono-supinazione.
In senso prognostico si possono distinguere due quadri fondamentali:
PATTERN 1: iniziale interstiziopatia con linee B diffuse anche ai campi anteriori, solitamente nei “PEEP responders”;
PATTERN 2: zone anteriori areate (linee A), zone posteriori addensate (“white lung”), responsivo alla pronazione.
L’esame radiografico standard (RX) del torace spesso rappresenta l’indagine di primo livello nei pazienti con sospetto COVD-19, la maggior parte delle volte effettuata a letto del paziente in proiezione AP. Tale esame però è caratterizzato da bassa sensibilità nell’identificazione delle alterazioni polmonari più precoci del COVID-19, caratterizzate da opacità a “ground glass o vetro smerigliato” e pertanto non è l’esame radiologico più indicato nelle fasi iniziali della malattia potendo fornire dei falsi negativi. La sua utilità è per lo più legata alla esclusione di altre polmoniti alveolari batteriche o supportare un fondato sospetto diagnostico di polmonite interstiziale verosimilmente da SARS-CoV-2 in fase medio-avanzata. Ci sono molteplici ragioni per cui un RX del torace nei pazienti positivi al Covid-19 risulta essere negativo, tra cui la mancanza di coinvolgimento polmonare nelle fasi iniziali di malattia, l’esecuzione dell’indagine radiografica effettuata solitamente all’esordio/primissime fasi di malattia, ed in taluni casi la scarsa risoluzione dell’immagine dovuta all’esecuzione dell’indagine radiografica, effettuata con apparecchi portatili al letto del paziente nella sola proiezione AP. La sensibilità della radiografia del torace è di circa il 68,1%. La radiografia del torace permette, infine, di effettuare un follow-up della malattia e valutare la risposta terapeutica come alternativa a basso dosaggio di radiazioni ionizzanti e valutare anche eventuali complicanze come pneumotorace, enfisema sottocutaneo e pneumomediastino.
La TC ad alta risoluzione del torace (HRCT) è la metodica di scelta nello studio della polmonite da Covid-19 e può essere utilizzata come un importante complemento diagnostico alla RT-PCR per la diagnosi di polmonite da Covid-19 nell’attuale contesto epidemico, tanto che, quando la carica virale è insufficiente, la RT-PCR può essere falsamente negativa, mentre la TC toracica mostra reperti suggestivi per polmonite interstiziale da COVID-19. La TC torace si è dimostrata significativamente più sensibile per la diagnosi di Covid-19 con una sensibilità del 97%.
Le alterazioni TC più frequenti relate al Covid-19 sono la presenza bilaterale di opacità a ground-glass che possono confluire formando delle aree di maggiore densità sino a vere e proprie aree consolidative, con una distribuzione prevalentemente periferica subpleurica e lungo i fasci bronco-vascolari e localizzazione prevalentemente ai lobi inferiori. Durante il progredire della malattia, il numero di lesioni può aumentare rapidamente ed estendersi anche alle aree centrali parenchimali, con il lobo inferiore sinistro più comunemente coinvolto rispetto ai lobi superiore/medio e destro. Durante la fase di risoluzione della malattia, le alterazioni gradualmente tendono alla risoluzione nell’arco di circa due-quattro settimane, portando alla formazione solitamente di strie addensate e bande fibrotiche.
Oltre alle alterazioni di tipo GGO e alle consolidazioni parenchimali, la polmonite da Covid-19 può mostrare altri reperti TC, come l’ispessimento interstiziale, il pattern a “crazy paving”, il segno dell’alone invertito (reversed halo sign), il segno dell’alone (halo sign) e le alterazioni vascolari come il “tree in bud vascolare”: questi elementi possono aiutare a differenziare la polmonite Covid-19 da altre forme di polmonite.
Management
Attualmente non esiste nessun schema terapeutico univoco e sicuramente efficace nella cura dell’infezione da SARS-CoV-2. Dato che si tratta di un’infezione virale e che la fase avanzata di Covid-19 è legata anche alla risposta infiammatoria dell’organismo, le classi di farmaci attualmente utilizzate sono:
antivirali: come il remdesivir, appartenente alla classe degli analoghi nucleotidici, utilizzato in pazienti con malattia moderata e severa; clorochina e Idrossiclorochina (Plaquenil), farmaci ad azione antivirale che presentano anche un’attività immunomodulante che potrebbe sinergicamente potenziare l’effetto antivirale in vivo;
inibitori dell’infiammazione: anticorpi monoclonali come il Tocilizumab, un anticorpo diretto contro il recettore dell’interleuchina-6, in grado di ridurre significativamente la mortalità a un mese, ma con un impatto apparentemente meno rilevante sulla mortalità precoce;
anticorpi terapeutici prelevati dal sangue dei pazienti guariti, rappresentano un’opzione terapeutica attualmente in fase di studio;
farmaci antinfiammatori ed antipiretici;
cortisone somministrato nelle fasi più acute;
eparina a basso peso molecolare per prevenire eventi trombo-embolici;
terapie di supporto: essenziali per mantenere in vita il paziente in attesa che altri farmaci siano efficaci o che la malattia guarisca spontaneamente e di questi fanno parte l’ossigenoterapia a bassi o alti dosaggi, la ventilazione a pressione positiva non invasiva (NIV), la ventilazione meccanica mediante intubazione.
Immagine 01
Immagine 01. Si apprezzano bilateralmente la presenza di aree di ground-glass a distribuzione prevalentemente centro-parenchimale.
Immagine 02
Immagine 02. Si apprezza al lobo superiore di sinistra la presenza di area con pattern radiologico a crazy-paving.
Immagine 03
Immagine 03. Si apprezza bilateralmente la presenza di aree di consolidamento parenchimale a distribuzione prevalentemente periferica ed ai lobi inferiori, con associate alcune areole di ground-glass.
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Immagine 04. Si apprezza bilateralmente diffuso ispessimento dell’interstizio polmonare, prevalentemente a sede basale bilaterale.