Dettagli
- Infarto miocardico acuto: caratteristiche ecg
- Infarto miocardico pregresso: caratteristiche ecg
- Diagnosi di sede dell’infarto
- Diagnosi ECG di stenosi del tronco comune della coronaria sinistra o di coronaropatia trivascolare
L’infarto miocardico
- La diagnosi di infarto miocardico è basata su numerosi dati: l’anamnesi, l’esame clinico, il dosaggio dei marker di necrosi cellulare, i dati delle metodiche di imaging, in particolare l’ecocardiografia, la Risonanza Magnetica e la scintigrafia, contribuiscono tutti al riconoscimento dell’infarto. L’elettrocardiogramma ha un ruolo molto importante, quasi centrale, in questo processo conoscitivo, ma presenta dei limiti. In primo luogo, ognuna delle tre manifestazioni elettrocardiografiche dell’ischemia miocardica può essere osservata all’ECG in assenza d’infarto: sia il sqpraslivellamento sia il sottoslivellamento di ST possono comparire in condizioni patologiche (e parafisiologiche) differenti, e anche l’anomalia del QRS definibile come necrosi può essere osservata in soggetti che non hanno mai avuto un infarto miocardico. Quanto alle modificazioni morfologicamente “ischemiche” dell’onda T prese isolatamente, il loro valore diagnostico, ai fini del riconoscimento dell’infarto, è molto basso. Tuttavia, il fatto che l’ECG si possa rivelare inefficace nella diagnosi d’infarto è l’eccezione, non la regola. Nella grande maggioranza dei soggetti con infarto l’ECG non solo dimostra l’esistenza della malattia, ma indica anche l’estensione della zona infartuata e il vaso coronarico interessato; l’osservazione di ECG seriati in pazienti con infarto acuto consente di riconoscere l’avvenuta riperfusione miocardica (riapertura del vaso occluso, per disostruzione meccanica, trombolisi spontanea o indotta da farmaci) e di monitorare l’evoluzione della malattia, offrendo anche dati di tipo prognostico.
- La classificazione dell’infarto all’ECG è stata ed è tuttora oggetto di dibattito: si è a lungo accettata una suddivisione fra infarto transmuale e non transmurale, includendo in quest’ultima categoria anche l’infarto subendocardico; successivamente sono stati introdotti i termini “infarto-q” e “infarto non-q”. Esiste una certa corrispondenza fra infarto transmurale e infartoq, ma le due entità non sono esattamente sovrapponibili. Più di recente è stato proposto di suddividere l’infarto acuto a seconda del comportamento dell’ST: sono state quindi adottate le definizioni di “infarto a ST sopraslivellato” (STEMI, ST Elevation Myocardial Infarction) e “infarto a ST non sopraslivellato” (NSTEMI, Non
- ST Elevation Myocardial Infarction). Ogni classificazione, però, è utile in determinati casi ma finisce con l’essere fonte di confusione in altri; perciò non è probabile che una classificazione elettrocardiografica (attuale o futura) dell’infarto risulti del tutto soddisfacente e permetta di inquadrare ogni paziente, definendo esattamente,i caratteri della sua malattia.
- Nelle pagine che seguono vengono descritte separatamente le caratteristiche elettrocardiografiche generali dell’infarto acuto e di quello pregresso e quindi i quadri ECG delle diverse localizzazioni dell’infarto.
Infarto miocardico acuto: caratteristiche ecg
Infarto transmurale
- Questa forma d’infarto esordisce in genere con il quadro della lesione subepicardica (sopraslivellamento di ST), che in fase acuta può essere così marcata da far assumere ai complessi ventricolari, nelle derivazioni che esplorano la zona colpita, l’aspetto del potenziale d’azione monofasico registrabile da singole cellule: il sopraslivellamento di ST, cioè, inizia quasi all’apice dell’ onda R e prosegue fino a inglobare del tutto l’onda T (Immagine 01a). L’onda R, inoltre, aumenta di voltaggio, anche se non di molto, e la deflessione intrinsecoide è più tardiva che di norma: questi fenomeni esprimono il rallentamento dell’impulso nell’attraversare la parete miocardica sede della malattia. La fase acuta dell’infarto può durare al massimo ore; successivamente il sopraslivellamento di ST diminuisce, mantenendosi inizialmente a concavità superiore (Immagine 01b). Più avanti, sempre durante le prime ore, l’onda R si riduce di ampiezza (Immagine 01c) e comincia a comparire l’onda q di necrosi (Immagine 01d); a questo punto il sopraslivellamento diviene a convessità superiore, e poco dopo inizia a negativizzarsi la parte terminale della T (Immagine 01e), mentre l’ST rimane ancora sopraslivellato. Nelle ore (o nei giorni) seguenti il sopraslivellamento di ST diminuisce progressivamente fino a scomparire, la T diviene interamente negativa, a branche simmetriche, e il QRS completa le sue modifiche, assumendo una morfologia QS, Qr o qR (Immagine 01 f). A questo punto la fase acuta dell’infarto miocardico, da un punto di vista elettrocardiografico, è completamente decorsa. Successivamente la negatività di T (ischemia subepicardica) potrà attenuarsi fino a scomparire, e a volte la q di necrosi potrà ridimensionarsi o sparire, così che l’ECG eseguito a distanza di tempo può addirittura non rivelare più alcun segno del pregresso infarto. Tuttavia è molto più comune che il quadro di necrosi (e a volte anche quello di ischemia) persista anche molti anni dopo l’evento acuto. L’ evoluzione “completa” appena descritta non è obbligatoria, e il suo corso può essere modificato dalla riperfusione (spontanea oppure indotta con farmaci o angioplastica coronarica). Per esempio, l’occlusione del vaso coronarico con la conseguente interruzione del flusso può essere di breve durata, come accade tipicamente nell’ angina di Prinzmetal, dove si verifica uno spasmo che occlude l’arteria per un periodo limitato. In questo caso la lesione subepicardica regredisce rapidamente e l’ECG si normalizza del tutto, e non necessariamente compaiono anomalie della T o del QRS; in altre circostanze il rapido ripristino del flusso coronarico fa sì che la lesione subepicardica scompaia in breve tempo e contemporaneamente o poco dopo l’onda T si negativizzi. In quest’ultimo caso possono anche non comparire onde q, ma di solito la T permane negativa per ore o giorni.
Immagine 01

Immagine 01. Gli schemi a-f esprimono diversi stadi evolutivi dell’infarto miocardico.
Infarto subendocardico
- In questo tipo d’infarto l’unico reperto ECG è la lesione subendocardica (sottoslivellamento di ST) che persiste per ore o giorni. L’evoluzione è caratterizzata dalla progressiva riduzione del sottoslivellamento di ST, con possibile comparsa di T negativa. A distanza di tempo (settimane, mesi o più) non permane di solito nessuna alterazione elettrocardiografica indicativa del pregresso infarto.
Diagnosi differenziale dell’infarto acuto
- La lesione subepicardica, caratterizzata dal sopraslivellamento di ST, può non essere riconosciuta in una fase inizialissima perché, più che un netto sopraslivellamento di ST, l’ECG presenta un punto J appena sopraslivellato, tanto da somigliare a un quadro di ripolarizzazione precoce, cui si associano onde T alte e possibilmente asimmetriche. Altre condizioni che simulano l’infarto miocardico acuto, oltre alla ripolarizzazione precoce, sono la pericardite e l’aneurisma ventricolare.
- Entrambe queste situazioni si associano a un sopraslivellamento di ST che può risultare indistinguibile da quello dell’infarto acuto. Nella pericardite è stato descritto un sopraslivellamento diffuso di ST, senza alterazioni reciproche, cioè senza sottoslivellamento speculare nelle derivazioni opposte a quelle che registrano il sopraslivellamento. Tuttavia tale particolarità morfologica può anche mancare. Considerando che la Pericardite acuta si accompagna a dolore toracico di lunga durata e ad alterazioni del tratto ST che evolvono poi in T negative, è comprensibile che si resti a volte in dubbio. La difficoltà è aumentata dal fatto che la pericardite si associa spesso a miocardite, cioè a compromissione flogistica degli strati più superficiali del miocardio. Ciò può condurre a un certo rilascio enzimatico, per cui i marker umorali si positivizzano, e la diagnosi differenziale con l’infarto diventa ancora più problematica.
- Il quadro dell’aneurisma ventricolare può essere perfino più subdolo, perché l’ECG di questi pazienti presenta non solo sopraslivellamento di ST, ma anche segni di necrosi, dal momento che l’aneurisma consegue a un precedente infarto miocardico. Non è perciò sorprendente che pazienti con aneurisma ventricolare da pregresso infarto vengano a volte etichettati come affetti da infarto miocardico acuto.
- Ancora meno semplice è la diagnosi ECG di infarto subendocardico acuto, poiché un sottoslivellamento di ST, può conseguire a un’ampia serie di condizioni diverse dall’infarto.
Infarto miocardico pregresso: caratteristiche ecg
- Solo l’infarto transmurale (infarto q) può essere riconosciuto anche dopo la fase acuta, per via delle anomalie del QRS (necrosi). Quando le onde q patologiche sono profonde (voltaggio ≥ 1/4 dell’onda R seguente) e larghe (0,04 s o più) e si associano anche a T negative “ischemiche”, la diagnosi è chiara. Ma non sono pochi i casi in cui, davanti a onde q potenzialmente espressive di pregresso infarto, si resta con il dubbio, perché i caratteri delle q non sono tali da dimostrare con certezza la necrosi. In queste circostanze è corretto esprimere la diagnosi con una formula dubitativa, premettendo al termine “necrosi” l’espressione “non escludibile”, “possibile” o “probabile”.
Diagnosi di sede dell’infarto
- L’ Immagine 02 mostra uno schema del ventricolo sinistro, comprendente le pareti anteriore, inferiore, laterale e posteriore. A parte viene rappresentato l’apice. Le derivazioni che esplorano la parete anteriore sono le precordiali da V1 a V4 (quest’ultima corrisponde in parte all’apice), mentre la parete inferiore è rivolta verso le derivazioni II, III e aVF e la parete laterale corrisponde alle derivazioni I e aVL e in parte a V5 e V6. L’infarto anteriore, perciò, si esprimerà con alterazioni evidenti soprattutto in V1-V4, anche se a volte le anomalie si estendono a V5, V6, I, aVL; queste ultime 4 derivazioni sono invece elettivamente coinvolte nell’infarto laterale. L’infarto inferiore, infine, viene diagnosticato per la presenza delle alterazioni caratteristiche in II, III e aVF. Non esiste invece alcuna derivazione convenzionale che esplori direttamente la parete posteriore, il cui interessamento può essere dedotto dalle alterazioni reciproche (o speculari) nelle derivazioni anteriori oppure da derivazioni precordiali addizionali.
Immagine 02

Immagine 02. Rappresentazione schematica dei rapporti fra le derivazioni dell’ECG e le pareti del ventricolo sinistro. La parete anteriore è raffigurata in giallo, quella posteriore in blu, quella inferiore in rosso quella laterale in verde e l’apice in grigio.
Infarto anteriore
- L’infarto anteriore consegue all’ occlusione dell’arteria discendente o interventricolare anteriore (IVA): si tratta della forma più rilevante d’infarto, quella gravata dal maggior rischio di mortalità a breve termine e di successivo deterioramento della funzione ventricolare sinistra. L’ espressione elettrocardiografica dell’infarto anteriore varia secondo il livello di occlusione del vaso, essendo tanto più eclatante quanto più prossimale è la lesione e quindi più vasto il territorio infartuato. Sebbene le alterazioni dell’ECG riguardino principalmente le derivazioni precordiali, anche le periferiche presentano spesso segni d’infarto, tanto che in alcuni pazienti nessuna delle dodici derivazioni appare normale. Il marker fondamentale dell’infarto anteriore in fase acuta, cioè la prova che sia la discendente anteriore il vaso colpito, consiste nel sopraslivellamento di ST in V2-V3, e in particolare nel maggior sopraslivellamento in V3 rispetto a V1 (STV3 > STV1).
- Per comprendere i diversi quadri ECG dell’ infarto anteriore osservabili durante la fase iperacuta, quando cioè l’ST è marcatamente sopraslivellato, occorre ricordare che l’arteria interventricolare anteriore emette abbastanza precocemente un grosso ramo settale (S1) e un importante ramo diagonale (D1). In realtà di solito vi sono numerosi settali e diversi diagonali, ma qui bisogna considerare il ramo settale e il ramo diagonale di calibro maggiore, cioè quelli che più contribuiscono all’irrorazione delle relative regioni. La zona infartuata sarà diversa a seconda della sede dell’ostruzione dell’arteria, ed è possibile distinguere:
- un’occlusione prossimale (prima del ramo settale e del ramo diagonale);
- un’occlusione distale a entrambi i rami;
- un’occlusione che intervenga dopo il settale e prima del diagonale;
- un’occlusione che si realizzi dopo il diagonale e prima del settale.
- Ciascuna di queste quattro evenienze dà origine a un quadro ECG diverso, in relazione alla localizzazione della zona ischemica; l’elemento comune è il sopraslivellamento di ST in V2-V3. Può essere a volte difficile determinare, con l’analisi dell’ECG, la sede anatomica della lesione, per la presenza di un precedente infarto miocardico o di circoli collaterali che modifichino gli effetti di un’occlusione coronarica acuta; si può però distinguere, nella fase iniziale dell’infarto, il quadro di occlusione prossimale da quello di occlusione distale dell’IVA, purché i tracciati vengano registrati entro le prime ore dall’esordio. Questa distinzione non ha solo un significato accademico, ma è rilevante per valutare l’estensione dell’infarto e la sua prognosi, poiché più è prossimale l’occlusione maggiore è l’area interessata e peggiore la prognosi.
Occlusione prossimale dell’IVA (prima del settale e del diagonale)
- In questo tipo d’infarto, l’occlusione molto prossimale dell’arteria provoca l’ischemia del setto basale, per cui il vettore di lesione si dirige verso questa regione, cioè nettamente in alto, all’incirca fra -80° e -100°, e in avanti (Immagine 03).
- Il vettore, perciò, proietta sulla metà positiva delle linee di derivazione di aVR e aVL, mentre “fugge” dalle derivazioni inferiori. L’ECG mostra:
- sopraslivellamento di ST in V1-V3. Il sopraslivellamento è massimo in V2-V3, ma anche in V1 è rilevante, di solito ≥ 2,5 mm;
- sottoslivellamento ≥ 1 mm nelle derivazioni inferiori (una o più);
- sopraslivellamento di ST in aVR e in aVL;
- sottoslivellamento di ST in V5-V6. In queste derivazioni, il sottoslivellamento si realizza perché, essendo il vettore di ST rivolto molto in alto, esso proietta sulla metà negativa delle linee di derivazione di V5 e V6 anche senza essere diretto a destra.
- Il sottoslivellamento nelle derivazioni inferiori e in V5-V6 nell’infarto anteriore esprime un’alterazione speculare o “reciproca”, dipendente dall’ischemia del setto basale, e rappresenta il segno più importante di un’occlusione prossimale (prima di S1) della discendente anteriore. Esso compare perfino nei casi in cui l’IVA è “avvolgente” o “ricorrente” e circonda la punta del cuore, risalendo per un certo tratto nel solco interventricolare posteriore, così da irrorare anche parte della parete inferiore, sempre che l’arteria sia occlusa prossimalmente. Ciò indica che la lesione subepicardica dovuta all’interessamento della parete settale anterobasale (espressa, nelle derivazioni inferiori, dal sottoslivellamento “reciproco”) prevale sulla lesione subepicardica provocata dall’ischemia della parete inferiore. In tali casi, comunque, l’onda T è positiva in III ed è presente un sopraslivellamento di ST in aVL.
Immagine 03

Immagine 03. Occlusione prossimale dell’arteria discendente (interventricolare) anteriore, prima del ramo settale e del ramo diagonale. In alto: rappresentazione schematica della coronaria sinistra vista in proiezione angiografica obliqua anteriore sinistra cranializzata. L’arteria interventricolare anteriore è occlusa nel primo tratto (il trombo è raffigurato in verde, e tutta la parte del vaso distale al trombo in nero). In basso: andamento del vettore ST (verde) sui piani frontale e orizzontale, e corrispondenti morfologie dell’ECG nelle diverse derivazioni dei due piani. L’angolo in cui viene generalmente contenuto il vettore è rappresentato in arancione. IVA, arteria interventricolare anteriore; S1, primo (o principale) ramo settale; D1, primo {o principale) ramo diagonale; CX, arteria circonflessa.
Occlusione distale dell’IVA (dopo il settale e il diagonale)
- In questa situazione si viene a determinare un’ischemia della regione infero-apicale: il vettore di lesione è diretto in basso e a sinistra20 (Immagine 04), per cui non si riscontra sopraslivellamento di ST in aVR né, soprattutto, sottoslivellamento di ST in II e aVF, dove anzi è possibile che il tratto ST sia sopraslivellato; solo in III derivazione si può manifestare a volte un modesto sottoslivellamento. Un segno importante è rappresentato dalle onde q patologiche in V4-V5 ed eventualmente V6. Questo fenomeno è stato attribuito al fatto che l’attivazione settale iniziale, diretta da sinistra verso destra, è risparmiata, cosicché il vettore settale “fugge” dalle precordiali sinistre; inoltre l’attivazione rallentata della zona infartuata contribuisce a far sì che le onde q in V4-V5 abbiano caratteristiche “patologiche”.
Immagine 04

Immagine 04. Occlusione distale dell’arteria discendente (interventricolare) anteriore, dopo il ramo settale e il ramo diagonale.
Occlusione dell’IVA dopo il settale e prima del diagonale
- Quando l’arteria si occlude dopo la nascita del ramo settale ma prima dell’origine del diagonale, l’ischemia interessa principalmente la parete laterale. Il vettore ST si dirige perciò nettamente a sinistra, a 0° o leggermente più in alto (Immagine 05), e si osserva un sopraslivellamento di ST nelle derivazioni I, aVL, V5, V6, e a volte II; nelle stesse derivazioni possono anche manifestarsi onde q, e vi può essere un sottoslivellamento “reciproco” di ST in III derivazione. ed eventualmente in a VF. In questa localizzazione dell’infarto, le derivazioni periferiche non differiscono da quelle che si osservano nell’ occlusione della circonflessa; quando è coinvolta la discendente anteriore, tuttavia, il sopraslivellamento di ST è evidente non solo nelle derivazioni laterali, ma anche in V2-V4.
Immagine 05

Immagine 05. Occlusione dell’arteria discendente (interventricolare) anteriore distale rispetto al ramo settale e prossimale rispetto al ramo diagonale.
Occlusione dell’IVA dopo il diagonale e prima del settale
- Quando l’arteria si occlude in modo tale da compromettere la perfusione del setto, risparmiando quella della regione cui si distribuisce il ramo diagonale, l’ischemia coinvolge la zona setto-apicale, e il vettore ST si dirige in basso e leggermente a destra (Immagine 06). Il tratto ST, perciò, risulta sopraslivellato nelle derivazioni inferiori e sottoslivellato in I e aVL. Il sopraslivellamento nelle derivazioni inferiori è più facile a verificarsi se la discendente anteriore fornisce un ramo per la parete inferiore, cioè quando avvolge la punta, risalendo nel solco interventricolare posteriore. Nell’infarto che consegue a occlusione dell’IVA dopo il ramo diagonale ma prima del settale, le derivazioni periferiche non differiscono da quelle che si osservano nell’infarto inferiore, dovuto a occlusione della coronaria destra o della circonflessa; quando è coinvolta la discendente anteriore, tuttavia, il sopraslivellamento di ST è evidente non solo nelle derivazioni inferiori, ma anche in V1-V4.
Immagine 06

Immagine 06. Occlusione dell’arteria discendente (interventricolare) anteriore distale rispetto al ramo diagonale e prossimale rispetto al ramo settale.
Identificazione rapida del livello di occlusione dell’IVA nell’infarto acuto
- Per riconoscere agevolmente il livello di occlusione dell’IVA in corso di infarto anteriore acuto, si può correlare l’Anatomia dell’arteria, osservata in una proiezione angiografica obliqua anteriore sinistra, con la direzione del vettore ST sul piano frontale (Immagine 07). La chiave mnemonica è che il vettore ST punta verso il territorio coinvolto dal processo ischemico.
- Se il ramo settale e il diagonale sono nella stessa condizione, cioè entrambi coinvolti, poiché l’ occlusione è molto prossimale (schema a), o tutti e due liberi, quando l’occlusione è molto distale (schema b), il vettore ST punta verso il trombo:
- esso è diretto, cioè, in alto se il trombo è prossimale (schema a) e in basso (e a sinistra) se il trombo è distale (schema b). Nel caso invece in cui l’ischemia generata dall’occlusione dell’IVA coinvolga un ramo ma risparmi l’altro, il vettore ST ha la stessa direzione del ramo colpito. Infatti, se l’occlusione è distale rispetto al settale ma prossimale al diagonale, il vettore ST è diretto a sinistra (dalla stessa parte del diagonale, schema e), mentre se il trombo è distale al diagonale, ma prossimale al settale, il vettore è rivolto a destra (nella stessa direzione del ramo settale, schema d).
- Perciò, con l’occlusione del vaso nella sua parte alta (Immagine 07, schema a, cfr. Immagine 03), il vettore, diretto superiormente, si allontana dalle derivazioni inferiori, nelle quali il tratto ST è sottoslivellato, mentre proietta sulla metà positiva della linea di derivazione di aVR, dove l’ST appare sopraslivellato. Se invece il trombo è in basso (Immagine 07, schema b, cfr. Immagine 04), il vettore ST è diretto in basso e a sinistra, per cui l’ST è sottoslivellato in aVR e sopraslivellato in I e II derivazione.
- Se il trombo ha sede distalmente al ramo settale, ma prossimalmente al diagonale (Immagine 07, schema e, cfr. Immagine 05), il vettore ST punta nettamente verso sinistra e leggermente in alto, per cui l’ST è sottoslivellato in aVR e spesso anche in III, mentre è sopraslivellato in I e aVL. Nel caso in cui, infine, il trombo sia localizzato dopo il ramo diagonale ma prima del ramo settale (Immagine 07, schema d, cfr. Immagine 06), il vettore ST risulta diretto in basso e a destra, originando sopraslivellamento di ST in III e aVR e sottoslivellamento in aVL.
- Nella ricerca volta a identificare la sede di occlusione dell’arteria da cui dipende l’infarto, non bisogna dimenticare che tale diagnosi è possibile solo se si dispone di tracciati registrati all’ esordio della malattia, nella prima o nelle primissime ore. In ECG successivi, infatti, è possibile che l’infarto sia già parzialmente evoluto, così che i segni caratteristici rivelatori del livello di occlusione si attenuino fino a cancellarsi.
Immagine 07

Immagine 07. Direzione del vettore ST sul piano frontale nelle diverse localizzazioni dell’occlusione dell’arteria interventricolare anteriore.
Sopraslivellamento simultaneo di ST nelle derivazioni inferiori e in V1-V3 dipendente da occlusione della coronaria destra
- Occasionalmente l’occlusione della coronaria destra può provocare sopraslivellamento del tratto ST non solo nelle derivazioni inferiori, ma anche in V1-V3. Riesce difficile a prima vista accettare che il sopraslivellamento nelle derivazioni anteriori dipenda dalla coronaria destra, ma in realtà questi pazienti presentano quasi sempre un infarto ventricolare destro che, oltre a generare le classiche alterazioni in V4R, è anche responsabile del sopraslivellamento in V1-V3. È stato suggerito che l’estrinsecazione del vettore di lesione non solo nelle precordiali destre supplementari dipenda da due fenomeni: la dilatazione del ventricolo destro, che pone questa camera in contatto con una zona precordiale maggiore che di solito; il mancato interessamento della parete posteriore da parte dell’infarto, per cui i vettori di lesione diretti anteriormente non vengono controbilanciati da forze opposte e possono quindi estrinsecarsi con maggiore evidenza. In tali casi l’entità del sopraslivellamento è maggiore in V1 che in V3, mentre quando l’arteria occlusa è la discendente anteriore il sopraslivellamento di ST aumenta da V1 a V3.
Importanza delle derivazioni inferiori nella diagnosi di sede dell’occlusione dell’IVA nell’infarto anteriore acuto
- Nella fase iperacuta dell’infarto anteriore, l’informazione più rilevante sul livello (prossimale o distale, inteso in senso lato) di occlusione dell’IVA viene dall’analisi delle derivazioni inferiori: un sottoslivellamento in queste derivazioni, specie se marcato, testimonia un’occlusione prossimale dell’arteria, generalmente in un tratto precedente l’origine del primo settale e del primo diagonale, mentre l’assenza del sottoslivellamento in II, III, aVF suggerisce un’occlusione relativamente distale del vaso.
Infarto anteriore dopo la fase acuta
- Cessata la fase evolutiva, l’infarto anteriore può essere riconosciuto solo per i segni di necrosi e/o di ischemia. Solitamente residuano onde q patologiche o complessi QS in una o più derivazioni precordiali e a volte anche in I e aVL; quando però vi è stata una rapida riperfusione, è possibile che non si manifestino segni chiari di necrosi, ma solo alterazioni della ripolarizzazione (T ischemiche). Si possono classificare, a seconda delle derivazioni interessate, diverse varietà di infarto anteriore:
- anterosettale: V1, V2, V3 (ed eventualmente V4);
- anteriore localizzato: V2, V3 (ed eventualmente V4);
- anteropuntale: V3,V4;
- anterolaterale: V3, V4, V5, V6 (ed eventualmente I e aVL);
- anteriore esteso: V1-V6 (ed eventualmente I e aVL).
Difficoltà diagnostiche dell’infarto anteriore pregresso
- Diversi ECG di soggetti con pregresso infarto anteriore non pongono problemi, poiché mostrano complessi con q patologiche o QS e T ischemiche in diverse derivazioni precordiali. Tuttavia, a prescindere dai casi in cui coesiste un blocco di branca sinistra a rendere difficile la diagnosi, il riconoscimento della necrosi può essere problematico, specialmente se non è presente una concomitante T negativa “ischemica”. Vengono qui elencate alcune situazioni nelle quali vi può essere il dubbio di una pregressa necrosi anteriore:
- nel blocco di branca sinistra (non solo nella forma completa, ma anche in quello incompleto) si osservano non di rado complessi QS in V1-V2 e a volte anche in V3, in assenza di necrosi anteriore;
- la progressione di r nelle derivazioni precordiali è definita “normale” quando l’onda r aumenta di voltaggio da V1 a V4. In soggetti con pregresso infarto anteriore è possibile riscontrare una mancata progressione di r, cioè un’onda r di bassissimo voltaggio, la cui ampiezza si mantiene costante fino a V3 o V4. Mentre un aspetto QS in V1-V4 è fortemente suggestivo di necrosi, una morfologia rS con r di 1 mm e mancata progressione è sospetta ma non dimostrativa di necrosi, specialmente se coesiste rotazione oraria sull’asse longitudinale, se cioè i complessi prevalentemente negativi, caratteristici delle precordiali destre, compaiono non solo in V1-V2, ma anche in V3-V4, mentre la transizione si trova spostata in V5 o V6;
- nell’Enfisema polmonare il cuore è più in basso che di norma a causa dell’iperespansione polmonare, che fa abbassare il diaframma. In questa situazione è comune osservare complessi QS nelle precordiali destre o scarsa progressione di r in assenza di necrosi. Per lo stesso motivo, quando il vettore iniziale (settale) è diretto in basso e le derivazioni precordiali vengono registrate più in alto che di norma, compaiono complessi QS in V1-V2, o anche in V3 o V4;
- il Blocco fascicolare anteriore può provocare la comparsa di piccole onde q in V2-V3 in assenza di necrosi. Queste onde q scompaiono spostando l’elettrodo uno spazio intercostale più in basso;
- per quanto la necrosi si esprima di solito con onde q larghe e profonde, l’infarto anteriore localizzato può dare, come unico segno, piccole onde q solo in V2-V3, mentre sia V1 che V4 non presentano q. In assenza di blocco fascicolare anteriore, questo quadro è indicativo di necrosi;
- l’espressione della necrosi anteriore nelle derivazioni V5 e V6 può essere rappresentata non dalla comparsa di onde q, ma dalla riduzione del voltaggio di r. Perciò un quadro con QS in V1-V3, rS in V4 ed RS (o rS) in V5-V6, con onde R di basso voltaggio nelle precordiali sinistre può essere classificato come necrosi anteriore estesa anziché anterosettale.
Infarto laterale
- In questa forma d’infarto, l’arteria colpita è la circonflessa o il suo ramo marginale ottuso o, a volte, il primo ramo diagonale. In fase acuta si manifesta un sopraslivellamento di ST in I e aVL e/o in V5-V6. Tradizionalmente si utilizza il termine di infarto laterale “alto” per le derivazioni periferiche (I, aVL) e di infarto laterale “basso” per le precordiali (V5, V6). Nella maggior parte dei casi sono presenti durante la fase iperacuta alterazioni reciproche, cioè sottoslivellamento di ST, nelle derivazioni inferiori. Questo quadro è sostanzialmente identico, nelle derivazioni periferiche, a quello che si osserva nell’infarto anteriore dovuto a occlusione della discendente anteriore dopo il ramo settale e prima del diagonale. Nell’infarto anteriore acuto, tuttavia, è presente un sopraslivellamento di ST rilevante nelle precordiali (il massimo sopralivellamento è di solito in V3), mentre nell’infarto laterale non si osserva sopraslivellamento di ST in V3, anche se è possibile che, in caso di occlusione del ramo diagonale, l’ST sia sopraslivellato in V2. Con l’evoluzione dell’infarto, il sopraslivellamento di ST scompare e si manifestano onde Q e/o T negative “ischemiche” nelle derivazioni interessate. Nell’infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST in aVL, l’ECG consente di identificare il ramo coronarico responsabile: quando è occluso il ramo marginale ottuso al sopraslivellamento di ST in aVL si associa un sottoslivellamento in V2, mentre quando il ramo colpevole è il primo diagonale la derivazione V2 presenta un ST sopraslivellato. La necrosi laterale può far parte del quadro d’infarto anterolaterale o anteriore esteso (in quest’ultima forma, infatti, vengono colpite anche le derivazioni laterali) o associarsi a infarto inferiore ed eventualmente posteriore.
Infarto inferiore
- L’arteria coronaria “dominante” è quella delle due coronarie (destra o sinistra) che fornisce l’irrorazione alla regione inferiore (diaframmatica) del ventricolo sinistro. Nella maggior parte dei casi, la coronaria dominante è la destra, dalla quale nascono il ramo discendente posteriore, che decorre lungo il solco interventricolare posteriore, e il ramo posterolaterale. Più di rado (in circa il 10% dei casi) è dominante la coronaria sinistra, e allora la discendente posteriore si origina dalla circonflessa. L’infarto inferiore può dipendere da occlusione della coronaria destra o della circonflessa, in rapporto alla dominanza. I segni elettrocardiografici di questo infarto compaiono essenzialmente nelle derivazioni inferiori (II, III, aVF), che mostrano in fase acuta il caratteristico sopraslivellamento di ST con successiva evoluzione caratterizzata, nella maggior parte dei casi, da comparsa di onde q patologiche e negativizzazione della T. Talvolta è anche evidente, durante la fase acuta, un sottoslivellamento “speculare” di ST nelle derivazioni I e aVL; la presenza/assenza di questo reperto è utile per riconoscere il vaso interessato. In alcuni soggetti con infarto inferiore acuto, nei quali le alterazioni di ST nelle derivazioni inferiori sono assenti o di entità così modesta da non essere diagnostiche, il sottoslivellamento “reciproco” di ST in aVL può essere l’unico segno elettrocardiografico della malattia. L’infarto inferiore si può associare a infarto laterale e/ o posteriore, a infarto ventricolare destro o anche a infarto atriale. La compromissione del ventricolo destro si presenta solo quando l’arteria interessata è la coronaria destra e l’occlusione si realizza nel primo tratto, prossimalmente al ramo marginale acuto; l’ischemia del ventricolo destro si rileva nelle derivazioni precordiali destre non convenzionali, soprattutto in V4R, la quale fornisce anche informazioni sulla coronaria dalla quale dipende l’infarto.
Infarto inferiore acuto dovuto a occlusione della coronaria destra
- Quando la coronaria destra si occlude acutamente, si realizza un’ischemia a carico della regione inferosettale; il vettore di lesione che ne deriva è quindi diretto verso destra oltre che in basso (Immagine 08a), per cui si osserva non solo il sopraslivellamento di ST nelle derivazioni inferiori, ma anche un sottoslivellamento “reciproco” in aVL e a volte in I derivazione. La responsabilità della coronaria destra nel determinare l’infarto inferiore acuto si riconosce dai seguenti elementi:
- la direzione in basso e a destra del vettore ST sul piano frontale, per cui il sopraslivellamento di ST è più marcato in III che in II derivazione, come espresso da una ampiezza della T (misurata dall’isoelettrica all’ apice) maggiore in III che in II (Immagine 08a) ;
- un sottoslivellamento di ST in aVL, di entità maggiore rispetto a quello rilevabile in I derivazione. È anche stato osservato che il sottoslivellamento di ST > 1 mm in aVL associato, nella stessa derivazione, a un rapporto S/R> 0,33 (cioè una S con voltaggio maggiore di un terzo di quello della R) è indice di occlusione della coronaria destra, mentre quando l’arteria interessata è la circonflessa non si osserva in aVL un ST sottoslivellato > 1mm, e il rapporto S/R è ≤ 0,33;
- un possibile sopraslivellamento di ST in V1 e V2. In caso di occlusione della circonflessa, al contrario, il tratto ST è spesso sottoslivellato in queste derivazioni;
- un sopraslivellamento di ST o una T positiva in V4R. Il sopraslivellamento di ST in V4R dimostra un concomitante infarto ventricolare destro, e testimonia che la coronaria destra è occlusa prossimalmente, prima del ramo marginale acuto, che irrora gran parte del ventricolo destro. Anche una T positiva in V4R, ma senza sopraslivellamento di ST, testimonia un’occlusione della coronaria destra, ma in questo caso la lesione è generalmente distale all’origine del ramo per il ventricolo destro. Il sopraslivellamento del tratto ST in V4R, tuttavia, può a volte mancare anche quando l’occlusione è prossimale al I marginale acuto, se coesiste un interessamento ischemico della parete posteriore. Al contrario, una T negativa o un ST sottoslivellato in V4R indicano con elevata specificità un infarto inferiore da occlusione dell’arteria circonflessa. È necessario sottolineare che il sopraslivellamento di ST in V4R è un fenomeno precoce e di breve durata, per cui l’analisi di questa derivazione ha valore discriminante solo se essa viene registrata nella fase iperacuta dell’infarto, in concomitanza con un marcato sopraslivellamento di ST nelle derivazioni inferiori.
Infarto inferiore acuto dovuto a occlusione della circonflessa
- Se l’infarto inferiore consegue all’occlusione dell’arteria circonflessa, l’ischemia interessa la parete infero-laterale, per cui il vettore di lesione si dirige in basso e a sinistra (Immagine 08b). L’interessamento della circonflessa viene suggerito dalle seguenti caratteristiche:
- il vettore ST è diretto in basso e leggermente a sinistra sul piano frontale, per cui il sopraslivellamento di ST, come pure l’ampiezza della T, sono maggiori in II che in III derivazione;
- non vi è sottoslivellamento di ST in I derivazione, e in aVL non si osserva l’associazione di ST sottoslivellato > 1 mm e di rapporto S/R> 0,33, cioè il voltaggio della S è minore di un terzo di quello della R;
- può coesistere un sopraslivellamento di ST in aVL, V5 e V 6, senza sottoslivellamento in I derivazione;
- in V4R il tratto ST è sottoslivellato e/o l’onda T è negativa.
Immagine 08

Immagine 08. Direzione del vettore ST (in verde) e morfologia dell’ECG in alcune derivazioni nell’infarto inferiore dovuto a occlusione della coronaria destra (a) e in quello provocato dall’occlusione della circonflessa {b). Nello schema a il sopraslivellamento di ST (misurato dall’isoelettrica all’apice della T) è maggiore in III che in II derivazione, e in prima derivazione l’ST è sottoslivellato. Nello schema b, invece, l’ST è più sopraslivellato in II che in III derivazione e non si osserva sottoslivellamento in I.
Infarto posteriore e laterale associato
- Indipendentemente dal fatto che la coronaria responsabile dell’infarto inferiore sia la destra o la circonflessa, si può verificare un concomitante infarto posteriore e/ o laterale quando si realizza l’occlusione di un ramo posterolaterale particolarmente sviluppato. In questa situazione si osserva un sopraslivellamento di ST anche in V5 e V6, espressione di infarto laterale, e un sottoslivellamento di ST in V1-V3 (e a volte V4), segno di infarto posteriore acuto. Quest’ultima alterazione rappresenta un’anomalia speculare al sopraslivellamento che si osserverebbe se venisse registrata una derivazione rivolta verso la parete posteriore del ventricolo sinistro, cioè se si ponesse un elettrodo esplorante toracico in sede dorsale (Immagine 10).
Evoluzione dell’infarto inferiore
- Man mano che le ore e i giorni trascorrono, la lesione tende a ridursi e si manifestano la necrosi e l’ischemia. La prima è segnata dalle onde q nelle derivazioni inferiori e, in presenza di estensione laterale, anche in V5-V6. L’ischemia, invece, è caratterizzata da onde T negative simmetriche nelle stesse derivazioni. La necrosi posteriore si rivela con un aumento di voltaggio delle R in V1-V3, dove compaiono anche T positive e di voltaggio elevato, come segno di ischemia.
Difficoltà diagnostiche della necrosi inferiore
- A parte le situazioni in cui la necrosi inferiore si associa a disturbi di conduzione che, specialmente nel blocco di branca sinistra, possono occultarne la presenza, si rimane non di rado in dubbio, davanti a onde q nelle derivazioni inferiori, sul fatto che sia o no presente una necrosi inferiore. Il dubbio è particolarmente pressante quando nelle derivazioni inferi ori non vi sono onde T negative “ischemiche”, in presenza delle quali la diagnosi di necrosi risulta più semplice.
- Nella maggior parte dei casi, l’infarto inferiore cancella le forze iniziali e medie che normalmente si dirigono in basso, per cui il primo e il secondo vettore sono rivolti in alto e solitamente a sinistra, provocando la comparsa di onde q patologiche nelle derivazioni inferiori (Immagine 09a). In alcuni soggetti con pregresso infarto inferiore, tuttavia, il complesso ventricolare può avere un aspetto rS in III e QR o Qr in aVF e in II (Immagine 09b); in questa situazione, la piccola r in III non consente di escludere la necrosi, perché è possibile che il vettore iniziale sia diretto non a sinistra, ma a destra e leggermente in alto, appena al di sopra di ±180°. Questo vettore, perciò, proietta sulla metà positiva della linea della III derivazione, dove si registra una piccola onda r (Immagine 09b). Il riconoscimento della necrosi inferiore, nonostante la r iniziale in III derivazione, è reso più semplice se le onde T sono negative, con caratteri “ischemici” nelle derivazioni inferiori.
- In rari casi, la necrosi inferiore si accompagna a onde r iniziali non solo in III, ma anche in aVF e perfino in II derivazione. Questo fenomeno si può realizzare solo se è concomitante un blocco fascicolare anteriore.
- Asserire o escludere una necrosi quando sono presenti onde q nelle derivazioni inferiori è un problema che ha da sempre turbato il sonno dei cardiologi. A parte i criteri della durata (≥ 0,04 s) e del voltaggio (≥ 1/4 dell’onda R seguente) delle onde q patologiche, per distinguere le q “normali” da quelle patologiche è stato in passato proposto il criterio della variabilità di queste onde q durante l’inspirazione. Si è ritenuto, cioè, che se tali onde scomparivano durante inspirazione forzata non si potesse diagnosticare la necrosi, mentre se persistevano esse fossero l’espressione di un pregresso infarto. Questo criterio non sembra affidabile se applicato alle situazioni-limite, cioè a quei casi dove le onde q non sono così perfettamente normali o chiaramente anormali da non porre dubbi. L’inspirazione forzata provoca in tutti i soggetti una variazione posizionale del cuore, tale che l’ÂQRS si sposta in media di 12 gradi: la variazione della direzione dei vettori può cancellare anche onde q di per sé espressione di necrosi, ma con voltaggio modesto. Occorre sottolineare come non si possa richiedere all’elettrocardiogramma (ma nemmeno ad altre metodiche) una precisione assoluta in ogni situazione; diversamente non avremmo inventato i concetti di falsi positivi, falsi negativi, specificità e sensibilità delle metodiche diagnostiche. In alcuni casi la diagnosi di necrosi inferiore rimane dubbia, e allora questa incertezza va espressa scrivendo, nel commentare il tracciato, “non escludibile” oppure “possibile” o “probabile” necrosi inferiore.
Infarto posteriore
- L’infarto posteriore isolato è una vera rarità. O forse è sottostimato, poiché nessuna delle dodici derivazioni convenzionali esplora direttamente la parete posteriore del ventricolo sinistro (cfr. Immagine 02), per cui il riconoscimento dell’infarto è basato su segni indiretti, cioè sulle alterazioni speculari che si osservano in derivazioni opposte alla parete posteriore, soprattutto V1 e V2. Di solito l’infarto posteriore si diagnostica quando si associa a necrosi inferiore e/o laterale: l’interessamento di altre regioni miocardiche la cui compromissione è evidente spinge a ricercare i segni suggestivi di coinvolgimento della parete posteriore. L’infarto posteriore isolato è quasi sempre dovuto a occlusione della circonflessa, mentre quando esso si associa a quello inferiore è non di rado causato dall’occlusione dell’arteria coronaria destra, la quale spesso provvede non solo all’irrorazione della parete inferiore, ma anche, attraverso il ramo posterolaterale, alla parete posteriore.
Infarto posteriore in fase acuta
- In questa condizione si determina un vettore ST (lesione subepicardica) diretto verso la zona infartuata, cioè posteriormente, per cui in V1V2 si registra un sottoslivellamento di ST (Immagine 10b) spesso associato a un’onda T positiva e alta. Le derivazioni V8 e V9, invece, presentano un tratto ST sopraslivellato, che si continua insensibilmente con una T negativa.
- A volte la lesione posteriore non si può riconoscere per il sottoslivellamento reciproco di ST in V1 e V2, ma solo attraverso i segni diretti, registrando le derivazioni posteriori: in trentatré pazienti con sintomi suggestivi di infarto miocardico acuto ma senza sopraslivellamento di ST in alcuna delle dodici derivazioni convenzionali è stato riscontrato un sopraslivellamento di ST in almeno una delle derivazioni V7-V9; soltanto in 20 pazienti coesisteva un sottoslivellamento di ST in V1-V3. Un’altra ricerca ha messo in evidenza che su 50 pazienti con infarto miocardico acuto il cui ECG all’ingresso mostrava solo sottoslivellamento di ST ≥ 1 mm in 2 o più derivazioni precordiali contigue da V1 a V4, 23 pazienti ( 40 % ) avevano in realtà un infarto posteriore testimoniato dalla successiva evoluzione.
- In tutti questi casi, l’infarto posteriore isolato sarebbe stato erroneamente classificato come NSTEMI (Non ST Elevation Myocardial Infarction), mentre si trattava, in realtà, di un infarto con ST sopraslivellato. Poiché l’approccio diagnostico-terapeutico è diverso a seconda che vi sia o no il sopraslivellamento dell’ST, un’attenta analisi di V7-V9 è necessaria in tutti i pazienti con infarto ritenuto “subendocardico” o senza ST sopraslivellato, specialmente se il sottoslivellamento compare nelle precordiali destre, per non sottovalutare la possibilità che sia presente, in realtà, un infarto posteriore isolato. In questi pazienti l’arteria interessata è quasi senza eccezione la circonflessa. È necessario sottolineare come l’ECG tradizionale a dodici derivazioni non sia sempre sufficiente a valutare i pazienti con infarto miocardico acuto sospetto o certo; solo la registrazione di ulteriori derivazioni, in particolare V4R, V8 e V9, consente di analizzare anche quelle regioni che non vengono sufficientemente studiate dalle dodici derivazioni tradizionali, in particolare il ventricolo destro (V4R) e la parete posteriore del ventricolo sinistro (V8, V9).
Infarto posteriore dopo la fase acuta
- Dopo l’evoluzione caratteristica della fase acuta, segnata dall’attenuarsi della lesione fino alla scomparsa e dal sopraggiungere della necrosi e dell’ischemia, l’infarto posteriore può essere riconosciuto in base alle alterazioni del QRS (necrosi) e della T (ischemia).
- Normalmente la parete posteriore e quella anteriore del ventricolo sinistro si attivano quasi simultaneamente, e i vettori della parete posteriore, particolarmente ampi, controbilanciano quelli anteriori e in gran parte li cancellano (Immagine 10a). Con la necrosi posteriore, invece, molte delle forze dirette all’indietro vengono a perdersi, per cui i vettori anteriori, non più contrastati, possono esprimersi liberamente (Immagine 10d).
- Se vengono registrate soltanto le dodici derivazioni tradizionali, la diagnosi di necrosi posteriore è basata esclusivamente su segni indiretti (speculari), soprattutto sull’aumento di voltaggio dell’onda R in V1-V2; quando invece si registrano anche V8 e V9, si osservano in queste derivazioni le onde q patologiche (Immagine 10d). L’ischemia posteriore si esprime con un vettore che, come di solito, “fugge” dalla zona ischemica e si dirige perciò anteriormente, generando onde T positive di alto voltaggio, tendenzialmente simmetriche, nelle precordiali destre e T negative in V8-V9 (Immagine 10c).
- Sono stati proposti diversi segni diagnostici per la necrosi posteriore, fra i quali:
- Onda R in V1 con durata ≥ 0,04 s e rapporto R/S ≥ 1, cioè ampiezza dell’onda R non minore i quella della S;
- rapporto R/S ≥ 1 in V2;
- onda T più alta in V2 che in V6, con differenza di voltaggio TV2 meno TV6 ≥ 0,38 mV;
- onda q con durata ≥ 0,04 sin V9.
- I segni riguardanti la durata di RV1 o RV2 e il rapporto R/S sono molto specifici (61-98%) ma poco sensibili (4-35%) nel rivelare la necrosi,mentre migliori appaiono la differenza di T fra V2 e V6 e la q larga(≥ 0,04 s) in V9: in uno studio eseguito su 369 pazienti con infarto miocardico, 27 dei quali (7,3 % ) avevano una necrosi posteriore dimostrata dalla scintigrafia, la presenza della q larga (≥ 0,04 s) in V9 è risultato il criterio migliore (sensibilità 56 % , specificità 97%); la combinazione di questo con la T più alta in V2 che in V6, con differenza ≥ 0,38 mV, raggiungeva una specificità del 98,5 % con una sensibilità del 78%.
Difficoltà diagnostiche della necrosi posteriore isolata
- Nella maggior parte dei casi, la necrosi posteriore si diagnostica attraverso l’aumento di voltaggio dell’onda R in V1-V2 (Immagine 10d), se non sono state registrate le derivazioni posteriori V8 e V9. Molto spesso l’infarto posteriore si associa a infarto inferiore e/o laterale, e allora il suo riconoscimento è semplice, specialmente in fase acuta.
- Al di fuori di questa, e in assenza di ·concomitante necrosi inferiore e/ o laterale, onde R relativamente larghe (≥ 0,04 s) alte e prevalenti (rapporto R/S ≥ 1) in V1-V2, con T positive e di voltaggio elevato, devono, in soggetti adulti, richiamare la possibilità di una necrosi posteriore. Onde R alte nelle precordiali destre, tuttavia, possono anche essere osservate nelle seguenti condizioni:
- ipertrofia ventricolare destra;
- blocco di branca destra;
- preeccitazione da via accessoria sinistra;
- rotazione antioraria sull’asse longitudinale, incluse le situazioni in cui il cuore si sposta per anomalie degli organi toracici (per esempio, pneumonectomia).
- Ognuna delle condizioni suddette può essere facilmente riconoscibile nei casi tipici, ma non di rado si presentano difficoltà nella diagnosi differenziale. L’Ipertrofia ventricolare destra si esprime di solito, oltre che con le R alte in V1, anche con alterazioni secondarie di ST-T (ST sottoslivellato, T negativa) nella stessa derivazione, con deviazione assiale destra e altri possibili segni. Il blocco di branca destra si manifesta con un QRS largo, con aspetto caratteristico in V1, e alterazioni secondarie di ST-T. La preeccitazione si presenta con P-R corto e onda delta, anche se in alcune circostanze questi segni sono poco evidenti. In particolare, in presenza di una via accessoria sinistra, il grado di preeccitazione può essere modesto o minimo, poiché il fascio di Kent è lontano dal nodo del seno. In questa situazione la diagnosi può non essere semplicissima, e la R relativamente alta in V1 può non apparire immediatamente come espressione di preeccitazione. Tuttavia, i maggiori problemi di diagnosi differenziale della necrosi posteriore vengono dalla rotazione antioraria sull’asse longitudinale, cioè dalla presenza di complessi RS con onde R alte in V1-V2, perché V1 è la derivazione di transizione. In questi casi l’aspetto R ≥ S in V1 e/o V2 è da considerare come una normale variante della depolarizzazione ventricolare priva di significato clinico. In tale situazione, solo V3R o V4R registrano complessi tipici da precordio destro, con morfologia rS. La diagnosi di necrosi posteriore isolata è fondata, in conclusione, non solo sull’aspetto caratteristico del QRS e della T nelle derivazioni precordiali, ma anche sull’esclusione delle altre condizioni in grado di provocare la comparsa di onde R alte nelle precordiali destre.
Infarto ventricolare destro
- L’infarto isolato del ventricolo destro è molto raro e sfugge generalmente all’indagine clinica, mentre è più comune che la compromissione ventricolare destra si associ a un infarto del ventricolo sinistro: numerosi pazienti con infarto inferiore, da circa un terzo a oltre la metà dei casi, presentano anche una necrosi ventricolare destra. L’Ipertrofia ventricolare destra rappresenta un fattore favorente l’infarto del ventricolo destro, a causa del maggior consumo di ossigeno che l’aumentata massa miocardica comporta.
- Il ventricolo destro viene irrorato principalmente dall’arteria del margine acuto, ramo della coronaria destra; quando quest’ultima si occlude nel primo tratto, in una sede prossimale all’origine del ramo marginale acuto, si può verificare, oltre a un infarto inferiore, anche l’infarto ventricolare destro. Se l’infarto inferiore deriva da occlusione della circonflessa, invece, la compromissione ventricolare destra non si verifica se non eccezionalmente, poiché nella quasi totalità dei soggetti la vascolarizzazione del ventricolo destro dipende solo o prevalentemente dalla coronaria destra. Se viene riconosciuto anche un infarto ventricolare destro, perciò, l’infarto inferiore dipende quasi senza eccezione dalla coronaria destra, e l’occlusione di quest’arteria è prossimale; d’altro canto, se l’infarto inferiore è causato da occlusione della circonflessa, è pressoché certo che non vi sia rischio di infarto ventricolare destro. Da qui l’importanza di riconoscere, nell’infarto inferiore, la coronaria interessata, poiché la presenza di un infarto destro associato richiede un comportamento clinico e terapeutico adeguato, per esempio rende inappropriata la somministrazione di nitroderivati e di diuretici. È stata anche descritta la possibilità di un infarto isolato del ventricolo destro, in occasione di angioplastica coronarica, quando viene accidentalmente occlusa la branca marginale della coronaria destra.
- La coesistenza di un infarto ventricolare destro dovrebbe essere sempre sospettata in presenza di un infarto inferiore causato da occlusione della coronaria destra; per questo motivo le derivazioni precordiali destre addizionali vanno necessariamente registrate in ogni paziente con ECG indicativo di infarto inferiore acuto (ST sopraslivellato nelle derivazioni inferiori), mentre è questionabile l’utilità di tali derivazioni nelle fasi successive dell’infarto. La principale chiave diagnostica è il sopraslivellamento di ST ≥ 1 mm in V4R (Immagine 11a); questo segno è spesso osservabile anche in V3R, V5R e V6R e possiede una sensibilità del 100%, una specificità dell’82% e un’accuratezza predittiva del 92 % nel rivelare l’infarto del ventricolo destro. Il sopraslivellamento di ST è di rado molto marcato nelle precordiali addizionali destre, poiché lo spessore limitato della parete ventricolare destra non genera, in caso di ischemia, vettori molto ampi,e anche perché, se coesiste un infarto posteriore sinistro, evenienza non rara nell’ occlusione prossimale della coronaria destra, il vettore di lesione ventricolare destra, rivolto in avanti e a destra, può essere controbilanciato dal vettore dipendente dall’infarto posteriore, che è diretto in senso opposto, cioè indietro e a sinistra. A volte il sopraslivellamento di ST si riscontra, oltre che in V3R e V4R, anche in V1 o si estende fino a V3 o ancora più oltre nel precordio sinistro, tanto da simulare un infarto anteriore; è probabile che in questi casi la dilatazione del ventricolo permetta di registrare la lesione subepicardica di origine ventricolare destra anche in aree toraciche in cui solitamente si esplora il cuore sinistro (Immagine 11b).Tuttavia l’entità del sopraslivellamento di ST, in questa circostanza, è maggiore in V1 che in V3, mentre nell’infarto anteriore accade il contrario.
- La possibilità di riconoscere l’interessamento del ventricolo destro, associato a quello della parete inferiore sinistra, è limitata alla fase iperacuta dell’infarto, poiché quando il sopraslivellamento di ST regredisce la diagnosi diviene meno affidabile; è stato tuttavia riportato che la necrosi possa essere riconosciuta anche in un periodo successivo, in base alla presenza di onde q patologiche nelle derivazioni precordiali destre addizionali.
- Quest’ultimo criterio è controverso, poiché relativamente pochi sono gli studi dedicati a chiarire l’ambito di normalità nella morfologia del QRS in V3R-V6R. È stato riportato che nei soggetti normali il complesso ventricolare abbia morfologia rS nel 100% dei casi in V3R e nel 91 % dei casi in V4R, e che un aspetto QR o QS in entrambe queste derivazioni rappresenti un segno specifico di necrosi provata dall’autopsia (specificità 100%, sensibilità 78%). L’ipotesi che la scomparsa della piccola r iniziale in V4R, con variazione del complesso ventricolare da rS a QS, sia davvero dimostrativa di necrosi ventricolare destra è stata messa in dubbio, visto che un piccolo spostamento dell’ elettrodo esplorante è sufficiente per fare scomparire o ricomparire l’onda r in questa derivazione.
Infarto atriale
- La diagnosi elettrocardiografica di infarto atriale si basa principalmente sul riscontro di alterazioni della ripolarizzazione atriale, cioè sulla presenza di un sopraslivellamento o di un sottoslivellamento del tratto P-Ta.
- L’entità di tale alterazione è di solito modesta, generalmente compresa tra 0,5 e 1 mm e di rado supera questo valore. In condizioni normali, l’onda che esprime la ripolarizzazione atriale (Ta) è di polarità opposta alla P, ma raramente essa è riconoscibile perché coincide quasi sempre con il complesso QRS. Anche il tratto P-Ta, cioè il segmento compreso fra l’onda P e l’onda Ta, presenta un minimo slivellamento in direzione opposta a quella dell’onda P; alcune condizioni, quali la tachicardia, possono accentuare tale fenomeno. Il sopraslivellamento o il sottoslivellamento del tratto P-Ta sono suggestivi di infarto atriale solo quando sono concordanti con la polarità della P (sopraslivellamento in presenza di onde P positive, sottoslivellamento con onde P negative). In particolare, è stato suggerito che l’infarto atriale possa essere diagnosticato in presenza di: sopraslivellamento del segmento P-Ta > 0,5 mm in V5-V6, associato a sottoslivellamento in V1-V2; sopraslivellamento del segmento P-Ta > 0,5 mm in I derivazione associato a sottoslivellamento reciproco nelle derivazioni inferiori; sottoslivellamento del P-Ta > 1,5 mm nelle precordiali e > 1,2 mm nelle periferiche, associato ad aritmie atriali.
- L’infarto atriale viene diagnosticato raramente e di solito si associa a un infarto ventricolare: esso viene riconosciuto per l’alterazione della ripolarizzazione atriale, rappresentata da un sottoslivellamento o da un sopraslivellamento del segmento P-Ta (dall’onda P all’onda di ripolarizzazione atriale, denominata Ta). Nella maggior parte dei casi l’analisi dettagliata dell’onda Ta e del segmento P-Ta è pressoché impossibile perché, quando l’impulso sopraventricolare è condotto ai ventricoli, il P-Ta coincide con il P-R. Per questo motivo, la diagnosi di infarto atriale si basa sullo slivellamento concordante del P-R, cioè sopraslivellamento del P-R se la P è positiva, sottoslivellamento se la P è negativa.
- Generalmente, però, l’anomalia del P-R è di entità molto modesta ( < 1mm), e di conseguenza la diagnosi sfugge, anche perché “oscurata” da quella, molto più evidente, dell’infarto ventricolare concomitante. Altri segni di infarto atriale, anche se meno caratteristici e specifici, possono essere rappresentati da un’alterazione della depolarizzazione atriale, espressa da slargamento dell’ onda P, che diviene bifida e assume una forma a “M” o a “W”, e da un’alterazione del ritmo atriale con possibile insorgenza di extrasistolia e fibrillazione atriale o anche Bradicardia Sinusale e blocco senoatriale.
- L’infarto atriale va differenziato dalla pericardite acuta, nella quale si realizza un sottoslivellamento spesso diffuso dell’intervallo P-R. Nel complesso, la diagnosi di infarto atriale si basa su segni relativamente poco evidenti, che possono facilmente sfuggire se non accuratamente ricercati, e ciò giustifica la bassa incidenza di tale patologia in clinica, mentre le stime basate su studi anatomopatologici riportano l’interessamento atriale in una percentuale fino al 17 % degli infarti miocardici fatali.
- Nella maggioranza dei casi (dall’81 % al 98%), l’infarto atriale coinvolge l’atrio destro, e il più delle volte si verifica in concomitanza di un infarto ventricolare, in particolar modo in corso di un infarto a sede inferiore; i segni di un possibile infarto atriale dovrebbero perciò essere accuratamente ricercati proprio in occasione di tale patologia. Sono stati descritti rari casi di infarto atriale “isolato”, cioè indipendente da un infarto ventricolare.
Diagnosi ECG di stenosi del tronco comune della coronaria sinistra o di coronaropatia trivascolare
- È stato osservato che spesso la stenosi critica del tronco della coronaria sinistra si accompagna, durante gli episodi di ischemia, a un particolare quadro ECG, caratterizzato dai seguenti elementi:
- sottoslivellamento di ST in almeno 8 derivazioni;
- sopraslivellamento di ST in aVR e V1, maggiore o uguale in aVR che in V1;
- sommatoria dello slivellamento di ST di tutte le derivazioni > 12 mm.
- In particolare, il sopraslivellamento in aVR, di entità maggiore o uguale a quello osservato in V1, ha una sensibilità dell’8O% e una specificità dell’81 % nel predire l’interessamento critico del tronco della coronaria sinistra. Tuttavia lo stesso quadro si può anche osservare nella coronaropatia trivascolare. Il sopraslivellamento di ST in aVR, inoltre, si riscontra frequentemente nell’infarto anteriore da occlusione della discendente anteriore prossimalmente al primo ramo settale e al primo ramo diagonale; questo reperto indica che il vettore ST è diretto nettamente in alto a causa dell’ischemia del setto basale.
- Non è sorprendente che tanto l’infarto da occlusione prossimale dell’IVA quanto la stenosi critica del tronco comune si associno a una grave ischemia, coinvolgente il setto basale, un’area che viene risparmiata quando la compromissione dell’IVA è più distale. Naturalmente, l’infarto anteriore si distingue dall’angina provocata dalla stenosi del tronco comune per la presenza del sopraslivellamento di ST nelle derivazioni precordiali. È superfluo sottolineare l’importanza di riconoscere tempestivamente la stenosi critica del tronco della coronaria sinistra, vista l’elevatissima mortalità a breve termine che questa condizione comporta, se non trattata tempestivamente.
Immagine 09

Immagine 09. Lo schema a mostra l’andamento caratteristico dei vettori dell’attivazione ventricolare nella necrosi inferiore e i corrispondenti elettrocardiogrammi schematici nelle derivazioni II, III e aVF. Lo schema b riporta una variante del quadro, in cui il vettore iniziale è diretto a destra e leggermente in alto, per cui compare una piccola onda r in III derivazione, mentre la II e aVF presentano una q.
Immagine 10

Immagine 10. Alterazioni dell’ECG in corso di infarto della parete posteriore; a: condizione normale, caratterizzata da un bilanciamento fra le forze anteriori, dirette in avanti, e quelle posteriori, dirette indietro; b: lesione subepicardica (il vettore di lesione, in rosso, punta verso la zona infartuata); c: ischemia (il vettore di ischemia, in azzurro, “fugge” dalla zona ischemica); d: necrosi, espressa dalla scomparsa delle forze elettriche posteriori, per cui quelle anteriori divengono prevalenti.
Immagine 11

Immagine 11. Infarto ventricolare destro. In a l’infarto acuto si esprime con il sopraslivellamento di ST in V4R e (in minor misura) V1; in b la dilatazione del ventricolo destro fa sì che il sopraslivellamento di ST compaia anche in V2-V4, essendo però maggiore in V1 che in V3.