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Lussazione del ginocchio
- Traumi distorsivi del ginocchio di varia natura (in varismo, in valgismo, torsionali ecc.) possono causare lesioni legamentose, meniscali o cartilaginee: tali strutture articolari possono essere interessate in modo isolato o in varia combinazione tra loro. Poiché la lesione meniscale non ha capacità spontanea di riparazione, la porzione di menisco lesionata determina un traumatismo iterativo a carico della cartilagine articolare. Analogamente, la lesione completa di un legamento non è suscettibile di guarigione spontanea, determinando una instabilità che favorisce ulteriori distorsioni con rischio di amplificazione del danno meniscale, legamentoso e cartilagineo. Entrambi questi meccanismi possono portare all’insorgenza di un’artrosi secondaria.
Epidemiologia
- La distorsione del ginocchio è frequente, soprattutto nella pratica sportiva; nell’ambito di alcuni sPORT (sci, calcio, pallacanestro e pallavolo) rappresenta oltre un terzo dei traumi. Le lesioni capsulo-legamentose che ne conseguono hanno la massima incidenza durante la seconda e terza decade di vita con un rapporto M:F di 3:1.
- Le lesioni dei menischi, con un rapporto tra l’interno (MI) e l’esterno (ME) di 10:2, costituiscono la conseguenza più frequente di una distorsione del ginocchio. L’incidenza annua della lesioni meniscali è pari a 7 casi ogni 10.000 persone con rapporto M:F di 3,5:1; l’associazione con lesioni legamentose acute è frequente. Nel maschio, la massima incidenza delle lesioni da trauma efficiente si riscontra tra la terza e la quarta decade di vita, nella femmina tra la seconda e la terza; dopo tale fascia di età prevalgono le lesioni di tipo degenerativo.
- Le lesioni del legamento collaterale mediale (LCM) e del legamento collaterale laterale (LCL) possono presentarsi senza predilezione di sesso con due picchi di incidenza nella terza e sesta decade di vita. Sono frequentemente associate alla lesione del menisco corrispondente, più di rado di quello opposto. La lesione dell’LCM è quella di più frequente riscontro e rappresenta il 40-45% di tutte le lesioni legamentose del ginocchio, mentre l’LCL è coinvolto nel 15-20% dei casi.
- La lesione del legamento crociato anteriore (LCA) si riscontra nel 25-30% dei casi; è relativamente rara nella popolazione generale (incidenza 3:10.000) nel cui ambito interessa maggiormente il sesso maschile (rapporto M:F pari a 2:1) con incidenza massima tra la seconda e la terza decade di vita. Negli sportivi si verifica con frequenza maggiore, con interessamento prevalente del sesso femminile (rapporto F:M pari a 2:1). A una lesione acuta dell’LCA si associa con maggiore frequenza una lesione del ME mentre nei casi di instabilità cronica dell’LCA sono prevalenti le lesioni del MI.
- La lesione del legamento crociato posteriore (LCP) è meno frequente (15-20%); in due terzi dei casi è dovuta a incidenti del traffico (trauma da cruscotto).
Eziopatogenesi
- Il meccanismo traumatico è più frequentemente indiretto.
La forza agisce per lo più sul piano frontale in varismo (sollecitando l’LCL e il ME in trazione e il MI in compressione) o in valgismo (sollecitando l’LCM e il MI in trazione e il ME in compressione) oppure sul piano torsionale in intrarotazione (spesso associata al varismo) o in extrarotazione (spesso associata al valgismo, sollecitando anche l’LCA) (Figura 01). - Con minore frequenza, la forza agisce sul piano sagittale in iperestensione (sollecitando l’LCA o l’LCP) o in iperflessione (sollecitando il corno posteriore dei menischi, l’LCP o l’LCA); più raramente un trauma diretto sul piano sagittale può sollecitare l’LCP, retroponendo la tibia (Figura02).
A carico del menisco, le sollecitazioni di taglio inducono lesioni a decorso orizzontale, mentre le forze in compressione determinano lesioni verticali.
Figura 01
Figura 01: un trauma in varismo agisce sul compartimento legamentoso esterno per trazione e su quello interno per compressione (a); un trauma in valgismo agisce in maniera opposta (b). una componente torsionale può determinare il contemporaneo coinvolgimento del compartimento centrale (c).
Figura 02
Figura 02: L’iperestensione (a) o l’iperflessione (b) possono produrre lesioni del compartimento centrale. L’LcP è più frequentemente leso per traumi diretti che determinano la retroposizione della tibia (c).
Anatomia patologica
- Le lesioni meniscali possono essere classificate in base a:
- topografia: nella maggior parte dei casi interessano isolatamente il corno posteriore o si estendono al 1/3 posteriore e al 1/3 medio del corpo;
- localizzazione: possono decorrere nel contesto della zona di inserzione alla capsula (“muro”) o nella zona più periferica, entrambe vascolarizzate, oppure nella porzione avascolare che corrisponde ai 2/3 interni (Figura 03);
- decorso: si distinguono lesioni verticali, orizzontali e complesse (Figure 04 e 05);
- sede: di norma la lesione è a tutto spessore o comunque si apre all’esterno, meno frequentemente è chiusa (si veda la Figura 04).
- Le lesioni complesse prevalgono nei soggetti in età più avanzata, nei quali la fibrocartilagine meniscale appare macroscopicamente degenerata e può essere sede di calcificazioni. In alcuni casi (più frequentemente in corrispondenza del ME) si osserva una cisti parameniscale a contenuto mucoide che, originando da una lesione che raggiunge il muro meniscale, si estrinseca verso l’esterno. La presenza di alcune anomalie congenite quali mega corno anteriore, menisco discoide incompleto, completo o perforato, favorisce la lesione del ME.
- Le lesioni legamentose possono presentarsi con differente gravità:
- grado 1: solo un minimo contingente di fibre è leso nel contesto di una struttura che conserva l’integrità anatomica per cui, dal punto di vista funzionale, non vi è instabilità;
- grado 2: la lesione della maggior parte delle fibre determina una discontinuità anatomica con conseguente moderata instabilità;
- grado 3: la lesione totale del legamento determina un’instabilità marcata.
- La lesione dell’LCA è, nella quasi totalità dei casi, di grado 3; spesso può essere confusa con una lesione parziale in quanto il moncone, disinserendosi in sede prossimale, si reinserisce all’LCP senza che ciò migliori la stabilità.
- Spesso si osservano lesioni cartilaginee associate che possono essere sia primitive (determinatesi al momento del trauma iniziale), sia secondarie a una lesione meniscale e/o a una condizione di instabilità; la loro frequenza, infatti, è maggiore nelle lesioni inveterate, con evolutività verso l’artrosi secondaria.
Figura 03
Figura 03: in una sezione trasversale di un menisco si distinguono una zona più periferica (a) detta “muro meniscale” che corrisponde all’inserzione del menisco alla capsula articolare, una porzione vascolarizzata (b) rappresentata dal terzo esterno del menisco e una porzione completamente avascolare (c) che corrisponde ai due terzi centrali del menisco.
Figura 04
Figura 04: in sezione trasversale le lesioni meniscali possono assumere vari aspetti: disinserzione murale (a), lesione verticale nella zona periferica vascolarizzata (b), lesione verticale nella zona interna avascolare (c), lesione orizzontale (d), lesione chiusa (e), lesione complessa (f).
Figura 05
Figura 05: osservando la superficie superiore di un menisco, le lesioni verticali decorrono in senso longitudinale o radiale. Le lesioni longitudinali possono localizzarsi nella zona del muro meniscale, nel terzo esterno (a) o lungo i due terzi centrali (b); è possibile la cosiddetta rottura “a manico di secchio”, che può lussarsi (c), così come la formazione di un lembo (d), anch’esso suscettibile di lussazione (e). meno frequentemente le lesioni verticali hanno decorso radiale (f). Le lesioni complesse presentano molteplici linee di rottura con vario decorso (g). il menisco discoide completo (h) rappresenta una rara anomalia congenita.
Quadro clinico
- Un’anamnesi accurata consente di ricostruire il meccanismo traumatico, indirizzando il sospetto di lesione su specifiche strutture articolari. Bisogna tuttavia considerare che l’elevata frequenza di lesioni associate (meniscali, legamentose multiple e cartilaginee) può determinare quadri sintomatologici multiformi. Segno comune e sempre presente nelle lesioni croniche è l’ipotrofia del muscolo quadricipite.
- In caso di lesione meniscale, la sintomatologia soggettiva non è di grande ausilio: il dolore, infatti, può essere riferito sia all’emirima corrispondente al menisco leso sia ad altre sedi. Possono essere inoltre riportati:
- tumefazione articolare;
- cedimenti articolari (in realtà si tratta di pseudocedimenti su base antalgica);
- sensazione di scatto o di blocco articolare in semiflessione (temporanea impossibilità a muovere il ginocchio cui si accompagna vivo dolore). Entrambi i sintomi sono su base meccanica: un lembo o un manico di secchio possono mobilizzarsi bruscamente producendo uno scatto ovvero possono lussarsi e interporsi tra femore e tibia determinando un blocco articolare.
- L’esame obiettivo è caratterizzato da:
- ballottamento rotuleo, presente nel 50% dei casi, segno di un versamento endoarticolare che più probabilmente avrà le caratteristiche dell’idrartro (liquido sinoviale chiaro non contenente sangue) qualora si esegua l’artrocentesi;
- ridotta articolarità, su base antalgica o meccanica (per la presenza di un blocco o di un versamento che distende la capsula articolare);
- dolore evocato dalla palpazione dell’emirima femoro-tibiale interessata, dall’iperestensione e dall’iperflessione;
- positività del test di Apley: a paziente prono con ginocchio a 90° l’esaminatore esercita una forza assiale rispetto alla tibia e compie una intrarotazione e successivamente una extrarotazione evocando dolore in corrispondenza di una delle emirime articolari;
- positività del test di Steinman: a paziente supino con ginocchio a 90° l’esaminatore, agendo sul piede, imprime in successione un’intrarotazione e un’extrarotazione, evocando dolore a carico dell’emirima corrispondente al menisco leso;
- positività del test di Mc Murray: a paziente supino il ginocchio viene portato dalla massima flessione all’estensione completa in varo-intrarotazione e successivamente in valgo-extrarotazione evocando dolore ed eventualmente la sensazione di scatto percepita dall’altra mano dell’esaminatore, rispettivamente a carico dell’emirima interna (lesione del MI) o esterna (lesione del ME).
- Dal punto di vista clinico una lesione legamentosa può essere graduata in funzione di due aspetti:
- entità dell’escursione articolare patologica che determina: grado 1 (0-5mm), grado 2 (6-10 mm), grado 3 (11-15mm) e grado 4 (oltre 15mm); al fine di quantificare il fenomeno patologico in maniera più riproducibile si possono utilizzare strumenti di misura dedicati, quali gli artrometri o gli apparecchi isocinetici;
- integrità di altre strutture capsulo-legamentose: l’esaminatore avverte un arresto brusco se queste sono integre, un arresto graduale se sono lese.
- La lesione dell’LCM o dell’LCL si manifesta con dolore riferito al compartimento interessato e con la positività del test dello stress in varo-valgo. A paziente supino si sollecita l’articolazione sia in varismo sia in valgismo in estensione e in flessione di circa 30° (in questa posizione, essendo la capsula posteriore detesa, si saggiano esclusivamente i legamenti collaterali). L’abnorme escursione in valgismo o in varismo indicano una lesione rispettivamente dell’LCM o dell’LCL: la positività del test in estensione indica una lesione capsulo- legamentosa associata, mentre la negatività in estensione e la positività in flessione indicano una lesione isolata del legamento collaterale.
- La lesione dell’LCA si manifesta con dolore non localizzabile, versamento articolare (di regola emartro in fase acuta) e instabilità torsionale soggettiva (“cedimenti”).
- Nell’instabilità in fase cronica si evidenzia la positività delle seguenti manovre:
- test del cassetto anteriore, che si esegue con il ginocchio a 90° (con la tibia in posizione neutra, intrarotata ed extrarotata) e con il piede stabilizzato sul lettino; si traziona il terzo prossimale della gamba evidenziando la traslazione anteriore della tibia solo in rotazione neutra (lesione isolata dell’LCA), in rotazione neutra e in extrarotazione (lesione dell’LCA e dell’LCM) o in rotazione neutra e in intrarotazione (lesione dell’LCA e dell’LCP);
- test di Lachman, più affidabile del precedente, che prevede l’esecuzione della stessa manovra con ginocchio flesso a 30° afferrando con una mano la coscia e con l’altra la gamba: l’abnorme traslazione tibiale anteriore che si determina in caso di lesione dell’LCA può esaurirsi con un arresto brusco (lesione isolata) o graduale (lesione capsulo-legamentosa complessa);
- jerk test (ancor più affidabile in quanto riproduce dinamicamente l’instabilità̀antero-laterale), che si esegue partendo da una posizione di flessione intermedia; valgizzando e intrarotando si estende il ginocchio; a circa 30° l’emipiatto tibiale esterno si sublussa anteriormente riproducendo il meccanismo che si determina quando il paziente avverte il cedimento.
- La lesione dell’LCP determina una sintomatologia meno evidente, caratterizzata comunque da dolore, versamento (emartro) e instabilità. Il test del cassetto posteriore viene eseguito analogamente all’anteriore, ma nella sola posizione neutra: è positivo se si determina una retroposizione della tibia. Il movimento di ritorno alla posizione anatomica non va confuso con un falso cassetto anteriore. Test dinamico per eccellenza è il reverse pivot shift: partendo dalla flessione intermedia ed estendendo l’articolazione, sollecitandola in valgismo ed extrarotazione attorno ai 30° si determina la riduzione dell’emipiatto laterale esterno sublussato posteriormente. La positività del reverse pivot shift e la positività del jerk test possono facilmente confondersi.
Diagnostica Per immagini
- La radiografia standard in due proiezioni ortogonali, pur non consentendo la diagnosi né di lesione meniscale né di lesione legamentosa, è indispensabile per escludere lesioni ossee.
- L’esame di secondo livello è rappresentato dalla RM che consente, fatto salvo un piccolo numero di casi di falsi positivi e di falsi negativi, una diagnosi accurata delle lesioni meniscali (topografia, localizzazione, sede, decorso, estensione) e di quelle legamentose. Segno patognomonico di lesione dell’LCA è rappresentato dall’aumento della curvatura dell’LCP nelle scansioni sagittali.
Terapia
- Il trattamento delle lesioni meniscali è chirurgico. La meniscectomia selettiva artroscopica prevede l’asportazione della sola porzione di menisco lesionata e dei margini instabili; il “muro” meniscale va rispettato. Dopo un periodo di riposo e di carico assistito (5-7 giorni), si inizia il trattamento riabilitativo che consente un recupero funzionale completo con ritorno allo sPORT dopo 3-4 settimane. Una riduzione dell’interlinea articolare (sintomatica o asintomatica) si rende evidente 10-15 anni dopo meniscectomia laterale o mediale, rispettivamente nel 40% e nel 30% dei pazienti. In tal senso la prognosi è peggiorata da concomitanti lesioni cartilaginee, dalla natura degenerativa della lesione meniscale, dalle maggiori dimensioni del frammento asportato, dalla lassità cronica.
- In casi selezionati (lesioni longitudinali periferiche traumatiche in soggetti giovani) si esegue la sutura meniscale artroscopica.
Per le lesioni dell’LCM isolate, il trattamento di scelta è conservativo, indipendentemente dal grado di lesione. Un tutore a 30° per 3-4 settimane consente la formazione di connettivo cicatriziale; nei mesi successivi, un adeguato protocollo di riabilitazione favorirà il rimodellamento. L’attività sportiva può essere ripresa dopo 4-6 settimane (lesioni di grado 1-2) ovvero dopo 3 mesi (lesioni di grado 3; in questa fase si può determinare l’elongazione della cicatrice con continuità anatomica ma instabilità residua). Nelle lesioni di grado 3 associate a lesione dell’LCA si registrano risultati scadenti con la terapia incruenta: in questi casi la ricostruzione dell’LCA è indispensabile, mentre la riparazione dell’LCM non è necessaria. - Le lesioni dell’LCL hanno prognosi peggiore rispetto a quelle dell’LCM a causa della maggiore mobilità del compartimento esterno: la residua lassità laterale (lesioni isolate) o, più frequentemente, posterolaterale (lesioni associate) è mal tollerata. Pertanto, l’indicazione chirurgica è frequente.
- L’indicazione al trattamento delle lesioni dell’LCA è in relazione all’entità della lesione. Quelle di grado 1 e 2 non richiedono il trattamento chirurgico; per le lesioni di grado 3 (incapaci di guarigione spontanea a causa della presenza del liquido sinoviale che inibisce i processi riparativi) l’indicazione al trattamento è in funzione dell’età e delle richieste funzionali del soggetto, della presenza di alterazioni degenerative articolari, di lesioni associate (LCM) e di malallineamento. Il trattamento conservativo è indicato per i soggetti sedentari o per coloro che siano disponibili a ridurre l’attività praticando sPORT a basso rischio (nuoto, ciclismo) o a rischio medio (golf, tennis) utilizzando un tutore. Nei giovani che intendono praticare sPORT ad alto rischio (calcio, pallavolo, pallacanestro, sci) le inevitabili distorsioni recidivanti, oltre a inficiare la pratica sportiva, determinano una progressione delle lesioni meniscali e cartilaginee: in questi soggetti trova pertanto indicazione la ricostruzione legamentosa con tecnica artroscopica in fase subacuta o cronica.
- La procedura di ricostruzione dell’LCA prevede la preparazione di due tunnel ossei (nella tibia e nel femore, in corrispondenza delle aree di inserzione dell’LCA nativo) (Figure 06 e 07) all’interno dei quali viene passato e fissato un innesto tendineo, più spesso costituito dal tendine rotuleo o dai tendini semitendinoso e gracile dello stesso paziente; in casi selezionati si ricorre agli innesti di banca o ai legamenti artificiali. Il programma riabilitativo prevede la mobilizzazione immediata, il precoce recupero dell’articolarità, della forza muscolare e della propriocettività mantenendo la massima protezione dell’articolazione; dopo il terzo mese viene concessa la ripresa progressiva dell’attività fisica. In questa fase, la resistenza del neolegamento non è ancora ottimale ed è possibile la lesione dell’innesto; pertanto, la pratica di sPORT a rischio va procrastinata oltre il sesto mese. Una complicanza infrequente ma invalidante è rappresentata dall’artrofibrosi che determina una più o meno marcata limitazione dell’articolarità.
- Per le lesioni dell’LCP isolate, il trattamento incruento rappresenta l’indicazione prevalente. Si applica un tutore in estensione per 3 settimane; durante le 2 settima- ne successive il tutore viene progressivamente sbloccato per consentire il graduale recupero delle flessione e si potenzia il quadricipite; il ritorno allo sPORT può avvenire dopo 3-4 mesi. Il cassetto posteriore residuo è di norma ben tollerato anche se, determinando un sovraccarico dei compartimenti mediale e femoro-rotuleo, induce un’artrosi secondaria tardiva. L’indicazione chirurgica è riservata a soggetti giovani con elevate richieste funzionali, in caso di lesioni associate, ovvero dopo fallimento del trattamento conservativo. La tecnica di ricostruzione è analoga a quella usata per l’LCA, con tunnel posizionati in corrispondenza delle aree di inserzione dell’LCP nativo (si vedano le Figure 06 e 08). Anche il programma riabilitativo è analogo nelle sue linee generali a quello attuato dopo ricostruzione dell’LCA e prevede il ritorno allo sPORT non prima di sei mesi. In alcuni pazienti si osserva un recupero incompleto dell’articolarità del ginocchio.
Figura 06
Figura 06: disegno che illustra le aree di inserzione dei menischi e dei legamenti crociati sul piatto tibiale. L = laterale, m = mediale.
Figura 07
Figura 07: rappresentazione schematica dei tunnel ossei realizzati per la ricostruzione dell’LcA in visione antero- posteriore (a) e laterale (b).
Figura 08
Figura 08: rappresentazione schematica dei tunnel ossei realizzati per la ricostruzione dell’LcP in visione antero-posteriore (a) e laterale (b).
L’artroscopia
- L’artroscopia [dal greco aρuρον (arthron) = articolazione e σkοπειν (skopein)=guardare] è la tecnica endoscopica che, attraverso incisioni di pochi millimetri e sotto la guida di un sistema ottico collegato a una telecamera e a un monitor, permette di visualizzare, diagnosticare e trattare le patologie articolari mediante l’impiego di strumenti manuali e motorizzati dedicati.
- Si deve a Takagi il primo approccio endoscopico a un’articolazione: nel 1918 utilizzò un cistoscopio per ispezionare il ginocchio di un cadavere e nel 1933 ideò il primo artroscopio. Nel 1959 Watanabe introdusse il prototipo dei moderni artroscopi, il cui uso rimaneva ancora limitato alla diagnostica. Negli anni Settanta, grazie a Johnson che elaborò i primi strumenti a motore, nacque la chirurgia artroscopica. da allora la tecnologia si è rapidamente evoluta e sono aumentate le indicazioni e i tipi di procedura: dal ginocchio si è passati alla spalla, alla caviglia, al gomito, all’anca e al polso.