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1 di 10 Domande

La diagnosi di Fibrosi Polmonare Progressiva (PPF):














La risposta corretta è la A
La diagnosi di Fibrosi Polmonare Progressiva (PPF) deve rispettare due su tre criteri fra quelli clinici, funzionali e radiologici. Tale approccio alla diagnosi consente una valutazione completa del paziente, sfruttando diverse metodologie per comprendere meglio l'estensione e la gravità della patologia. La Fibrosi Polmonare Progressiva è una condizione caratterizzata da un deterioramento irreversibile della funzione polmonare a causa della progressiva cicatrizzazione del tessuto polmonare. Questa cicatrizzazione porta a una diminuzione della capacità polmonare, influenzando così negativamente la qualità di vita del paziente. La malattia può manifestarsi con vari sintomi, tra cui difficoltà respiratorie, tosse secca e perdita di peso. L'importanza di soddisfare due dei tre criteri (clinici, funzionali e radiologici) nella diagnosi risiede nella complessità della PPF. Dal punto di vista clinico, i pazienti possono presentare sintomi come dispnea e tosse secca, che tuttavia possono essere aspecifici e sovrapporsi a quelli di altre patologie polmonari. Pertanto, è essenziale un'accurata anamnesi e esame obiettivo. Dal punto di vista funzionale, le prove di funzionalità polmonare, come la spirometria, sono fondamentali per valutare il grado di restrizione ventilatoria e la diminuzione dei volumi polmonari, indicativi della gravità della fibrosi. Infine, l'aspetto radiologico, valutato mediante tecniche di imaging come la tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRCT), è cruciale. Le immagini radiologiche possono rivelare tipici pattern di fibrosi, come ispessimenti settali interstiziali e opacità reticolari, che sono indicativi della presenza di fibrosi polmonare. In sintesi, questi tre criteri consentono una diagnosi comprensiva e accurata della Fibrosi Polmonare Progressiva, essenziale per iniziare un percorso terapeutico mirato al rallentamento della progressione della malattia e al miglioramento della qualità di vita del paziente. La comprensione della malattia e la sua diagnosticizzazione precoce sono fondamentali per ottimizzare la gestione e l'approccio terapeutico nei confronti di questa condizione debilitante.

2 di 10 Domande

La stadiazione della BPCO viene eseguita:














La risposta corretta è la B
La stadiazione della Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) viene eseguita sia sui valori del FEV1 (Volume Espiratorio Forzato nel primo secondo) sia sui sintomi/numero di riacutizzazioni, seguendo lo schema ABE. Questa metodologia consente una valutazione più accurata e personalizzata della severità della BPCO nel paziente. La BPCO è una malattia polmonare progressiva che causa ostruzione del flusso aereo nei polmoni. È caratterizzata da una miscela di bronchite cronica e enfisema, portando a sintomi quali tosse cronica, produzione di espettorato e difficoltà respiratorie che peggiorano nel tempo. La patologia si sviluppa principalmente a causa dell'esposizione prolungata a sostanze irritanti inalate, con il fumo di sigaretta che è il principale fattore di rischio. Per comprendere la severità della BPCO in un individuo, è cruciale considerare non solo le misurazioni della funzionalità polmonare attraverso test spirometrici come il FEV1, ma anche l'impatto della malattia sulla qualità di vita del paziente, inclusi la frequenza e gravità delle riacutizzazioni. Riacutizzazioni frequenti possono indicare una severità maggiore della malattia e richiedere uno schema terapeutico più aggressivo per prevenire ulteriori deterioramenti. Il Monitoraggio della severità in base ai valori di FEV1 consente di apprezzare l'entità dell'ostruzione del flusso aereo, ma l'integrazione di questo dato con la valutazione sintomatologica e la frequenza delle riacutizzazioni fornisce una visione più globale dello stato del paziente. Questo approccio olistico permette di stabilire una gestione più mirata e individuale, migliorando così le possibilità di mantenere una qualità di vita accettabile e di ridurre il rischio di complicanze. La scelta dello schema ABE per la stadiazione prende in considerazione questi aspetti, riconoscendo l'importanza di un indirizzo terapeutico che affronti sia la componente fisiopatologica (valutata principalmente tramite FEV1) sia l'impatto clinico-sociale della malattia, rappresentato dai sintomi e dalle riacutizzazioni. In questo modo, si cerca di ottenere una gestione più efficace e personalizzata della BPCO, mirata non solo a controllare la progressione della malattia ma anche a migliorare la qualità della vita dei pazienti.

3 di 10 Domande

Paziente giovane con febbre dispnea da sforzo ma con ottimi valori di saturazione di ossiemoglobina a riposo, forte fumatore, anamnesi remota muta. Si prescrive una RX torace urgente che documenta un addensamento polmonare in sede basale destra. Quale tra questi è il comportamento più corretto?














La risposta corretta è la B
Nel caso di un paziente giovane con sintomi quali febbre, dispnea da sforzo, ma con valori ottimali di saturazione di ossiemoglobina a riposo, che è anche un forte fumatore e la cui anamnesi remota è muta, a cui viene prescritto un RX torace che documenta un addensamento polmonare in sede basale destra, il comportamento corretto è prescrivere un antibiotico ad ampio spettro a dosaggio pieno, farmaci sintomatici, riposo domiciliare per almeno 20 giorni e determinare emocromo, funzionalità renale e indice di flogosi, con una rivalutazione e ripetizione dell'Rx torace a 30 giorni dalla prima. La correttezza di questo approccio deriva dal presentarsi dei sintomi e dall'esito dell'RX torace che suggeriscono fortemente una polmonite batterica, un'infiammazione acuta del tessuto polmonare causata prevalentemente da batteri, ma anche da virus, funghi e altri organismi. La polmonite è caratterizzata da febbre, tosse produttiva, dispnea, e talvolta dolore toracico e malaise generale. La presenza di un addensamento polmonare, in particolare, suggerisce l'accumulo di liquido infiammatorio o pus nel tessuto polmonare, che è una caratteristica chiave delle infezioni polmonari batteriche. L'approccio terapeutico che include l'uso di antibiotici ad ampio spettro a dosaggio pieno si giustifica dato che questi farmaci sono in grado di agire su un ampio range di batteri potenzialmente responsabili della polmonite fino all'identificazione dell'agente patogeno specifico, se possibile. Il riposo domiciliare aiuta a ridurre lo sforzo sul sistema respiratorio del paziente e contribuisce al recupero energetico, essenziale per combattere l'infezione. Inoltre, la determinazione di emocromo, funzionalità renale e indice di flogosi ha lo scopo di valutare la risposta del corpo all'infezione e di monitorare eventuali effetti collaterali del trattamento antibiotico sul funzionamento renale, così come l'entità dell'infiammazione presente nell'organismo del paziente. La rivalutazione con un'ulteriore Rx torace dopo 30 giorni serve a verificare l'efficacia del trattamento e l'eventuale risoluzione dell'addensamento polmonare, segno della guarigione della polmonite. L'informazione esposta trae origine dalla comprensione generale delle caratteristiche, il trattamento e il monitoraggio della polmonite come patologia respiratoria, ottenuta attraverso un'accurata riflessione sulle sue manifestazioni cliniche e le raccomandazioni terapeutiche ampiamente integrate nella pratica medica per la gestione delle infezioni polmonari acute. Questa modalità di intervento è fondamentale nel promuovere il recupero del paziente, prevenendo complicazioni e assicurando una valutazione accurata del progresso verso la guarigione.

4 di 10 Domande

L'ulcera corneale dendritica è tipica di:














La risposta corretta è la A
L'ulcera corneale dendritica è tipica della cheratite erpetica. Questo tipo di ulcera rappresenta uno degli aspetti caratteristici della cheratite causata dal virus dell'herpes simplex (HSV), specificamente identificata come ulcera corneale dendritica a causa della sua forma ramificata, che assomiglia ai rami di un albero o ad una struttura dendritica. La cheratite erpetica è una malattia oculare infettiva che colpisce la cornea, causata principalmente dall'Herpes simplex virus tipo 1 (HSV-1), ma in alcuni casi può essere causata anche dall'Herpes simplex virus tipo 2 (HSV-2). Entrambi i tipi di virus possono infettare l'occhio e portare a varie manifestazioni oculari, ma la forma dendritica dell'ulcera corneale è distintiva per la cheratite erpetica. La patologia inizia spesso come una infezione della cornea che si manifesta con sintomi quali dolore oculare, lacrimazione, fotofobia e visione offuscata. Il virus è in grado di rimanere latente nel corpo dopo la prima infezione, potendo riattivarsi in seguito a particolari stimoli come stress, immunodepressione o esposizione al sole. Quando il virus si riattiva, può infettare nuovamente la cornea portando alla formazione di ulcere corneali dendritiche. La caratteristica distintiva di queste ulcere, oltre alla loro forma ramificata, è la presenza di bordi rialzati e un centro di ulcera più chiaro. Questa formazione unica può essere visualizzata facilmente mediante l'uso di coloranti oculari durante l'esame oftalmologico, offrendo così una chiave di lettura importante per la diagnosi. Il trattamento della cheratite erpetica mira principalmente a ridurre la replicazione virale e a gestire i sintomi. Ciò può includere l'uso di farmaci antivirali topici, e in alcuni casi, la somministrazione di farmaci antivirali sistemici. In assenza di trattamento adeguato, la cheratite erpetica può evolvere causando cicatrici corneali, che possono portare a una riduzione della vista o, nei casi più gravi, alla cecità. Pertanto, è fondamentale una diagnosi precoce e un trattamento tempestivo. La comprensione della connessione tra l'ulcera corneale dendritica e la cheratite erpetica è cruciale per l'identificazione e il management di questa condizione clinica, signifca non solo riconoscere un sintomo chiave di una potenziale infezione erpetica dell'occhio ma anche avviare un percorso di cura che può prevenire complicazioni più serie. La cheratite erpetica sottolinea l'importanza di un approccio attento e informato nella diagnosi e trattamento delle malattie oculari infettive.

5 di 10 Domande

L'ambliopia:














La risposta corretta è la C
L'ambliopia è un difetto dell'acuità visiva in assenza di alterazioni anatomo-funzionali dell'occhio. Questa affermazione correttamente descrive la natura dell'ambliopia, introducendoci a un disturbo visivo noto per incidere sulla capacità di vedere dettagli nitidi nonostante l'assenza di difetti evidenti nelle struttura dell'occhio o nella sua funzionalità osservabile con gli strumenti diagnostici standard. Questo disturbo, comunemente noto come "occhio pigro", si manifesta quando uno o entrambi gli occhi non riescono a sviluppare una visione normale durante i primi anni di vita, di solito a causa di una mancata stimolazione visiva adeguata. Tale carenza provoca una riduzione dell'acuità visiva che non può essere corretta interamente con l'uso di occhiali o lenti a contatto. A differenza delle malattie oculari che alterano la struttura o le funzioni oculari per via di danni o processi patologici, l'ambliopia deriva spesso da fattori esterni quali lo strabismo (un allineamento incorrecto degli occhi), una differenza significativa nella prescrizione di lenti tra i due occhi (anisometropia), o il blocco del passaggio della luce verso la retina (per esempio, a causa di cataratte presenti dalla nascita). I meccanismi alla base dell'ambliopia sono complessi e coinvolgono il processo di maturazione neurologica dell'area della corteccia visiva nel cervello. Durante i primi anni di vita, il cervello sviluppa la capacità di elaborare le immagini visive. Se un occhio invia immagini sfocate o distorte a causa di uno qualsiasi dei problemi sopra menzionati, il cervello può "imparare" a ignorare le immagini provenienti da tale occhio, affidandosi maggiormente all'altro occhio per la vista. Questo processo porta a una riduzione permanente dell'acuità visiva nell'occhio trascurato se il problema non viene corretto tempestivamente. Pertanto, il trattamento dell'ambliopia si focalizza sull'incoraggiare l'uso dell'occhio coinvolto attraverso metodi quali l'occlusione dell'occhio dominante con un cerotto, l'utilizzo di colliri che offuscano temporaneamente la visione dell'occhio sano per forzare l'uso dell'occhio "pigro", o esercizi visivi che stimolino la funzione visiva. L'intervento precoce è essenziale per conseguire il miglior esito possibile, poiché la plasticità del cervello diminuisce con l'età, rendendo più difficile il trattamento dell'ambliopia in età avanzata. Nel complesso, l'ambliopia è un esempio di come carenze nell'input visivo durante un periodo critico di sviluppo possano avere un impatto duraturo sulla funzione visiva, enfatizzando l'importanza di screening visivi precoci e interventi adeguati per prevenire o minimizzare le conseguenze a lungo termine di questo disturbo.

6 di 10 Domande

In una paziente di 40 anni si sospetta la presenza di deficit di alfa 1-antitripsina in presenza di:














La risposta corretta è la A
Il sospetto di un deficit di alfa 1-antitripsina in una paziente di 40 anni si conferma alla presenza di enfisema polmonare e cirrosi epatica. Questa associazione di sintomi è indicativa di tale condizione patologica poiché il deficit di alfa 1-antitripsina è un disordine genetico che interviene nell'equilibrio delle proteasi, proteine responsabili della degradazione di altre proteine. La condizione è caratterizzata da una significativa predisposizione allo sviluppo di malattie polmonari quali l'enfisema e, in alcuni casi, può evolvere verso la cirrosi epatica indipendentemente dal consumo di alcol. L'alfa 1-antitripsina è una proteina prodotta prevalentemente dal fegato, la cui funzione principale è quella di proteggere i tessuti, in particolare quelli polmonari, dall'azione distruttiva delle enzimi proteolitici come l'elastasi neutrofila. Questa proteina ha il compito di inibire l'attività di tali enzimi, garantendo così la preservazione della matrice extracellulare polmonare. In condizioni di deficit di alfa 1-antitripsina, la mancata inibizione dell'elastasi neutrofila porta a un aumento del danno tissutale, specialmente a livello polmonare, risultando in enfisema. Dal punto di vista epatico, l'eccesso di alfa 1-antitripsina non processata o anormale può accumularsi nei gli epatociti, causando danni cellulari che possono evolvere in cirrosi, soprattutto nei bambini e in alcuni adulti. È importante notare che la cirrosi risultante da tale accumulo non è correlata al consumo di alcol o ad altre cause comuni di cirrosi, ma deriva specificamente dall'effetto tossico della proteina accumulata sul fegato. In sintesi, il deficit di alfa 1-antitripsina porta a un'alterazione dell'equilibrio proteasi-antiproteasi, con conseguenze significative principalmente a livello polmonare e, in una quota di pazienti, anche epatico. L'enfisema risulta dall'azione indisturbata delle elastasi neutrofile sui tessuti polmonari, mentre la cirrosi epatica può svilupparsi a seguito dell'accumulo epatico di alfa 1-antitripsina non funzionale. La coesistenza di queste condizioni in una paziente di 40 anni orienta dunque con elevata specificità verso una diagnosi di deficit di alfa 1-antitripsina.

7 di 10 Domande

Quale fra queste condizioni non rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo del tumore del pancreas?














La risposta corretta è la B
L'elevato consumo di frutta e verdura non rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo del tumore del pancreas. Al contrario, sembra avere un effetto protettivo contro lo sviluppo di questa patologia. Il cancro del pancreas è una malattia grave che nasce nel pancreas, un organo importante situato dietro lo stomaco, che svolge un ruolo cruciale nella digestione e nel controllo dei livelli di zucchero nel sangue. La patologia è spesso diagnosticata in stadi avanzati poiché i sintomi tendono ad apparire solo quando il tumore è in fase avanzata. La ricerca sulle cause e sui fattori di rischio del cancro del pancreas indica che il fumo di sigaretta è uno dei principali fattori di rischio, insieme a una dieta ad alto contenuto di grassi e carni rosse, l'obesità e la pancreatite cronica, inclusa la forma ereditaria. Questi fattori contribuiscono ad aumentare significativamente il rischio di sviluppare il cancro al pancreas. In particolare, il fumo di sigaretta è collegato a circa il 20-25% dei casi di cancro al pancreas. Sostanze chimiche nocive presenti nel fumo possono causare danni diretti al DNA delle cellule del pancreas, innescando la trasformazione maligna. La dieta ricca di grassi e carni rosse, invece, può aumentare il rischio attraverso meccanismi infiammatori e la produzione di composti nocivi durante la digestione di questi alimenti. L’obesità, caratterizzata da un eccesso di tessuto adiposo, è associata a un’infiammazione cronica di basso grado che può promuovere lo sviluppo del cancro. Infine, la pancreatite cronica, in particolare quella di natura ereditaria, causa infiammazioni ripetute del pancreas che nel tempo possono portare a cambiamenti precancerogeni nel tessuto pancreatico. All'opposto, un'alimentazione ricca di frutta e verdura si associa a un minore rischio di sviluppare il cancro del pancreas. La frutta e la verdura sono piene di fibre, vitamine, minerali e antiossidanti, che possono proteggere dalle lesioni al DNA, ridurre l'infiammazione e migliore il funzionamento del sistema immunitario. Esse contribuiscono a una dieta equilibrata che può contribuire a mantenere un peso sano e ridurre il rischio di cancro del pancreas. In sintesi, la dieta e lo stile di vita hanno un impatto significativo sul rischio di sviluppare il cancro del pancreas. Ridurre i fattori di rischio modificabili, come smettere di fumare, mantenere un'alimentazione equilibrata con un alto consumo di frutta e verdura, controllare il peso corporeo e ridurre l'intake di grassi saturi e carni rosse, può contribuire significativamente alla prevenzione di questa malattia.

8 di 10 Domande

La malattia di Moschowitz è:














La risposta corretta è la E
La malattia di Moschowitz è una rara microangiopatia trombotica. Questa patologia è meglio conosciuta come purpura trombotica trombocitopenica (PTT) e si caratterizza per la formazione di coaguli di sangue in piccoli vasi sanguigni (microangiopatia), che può portare a danni multiorgano. La presenza di questi coaguli nel flusso circolatorio riduce il numero di piastrine disponibili per la coagulazione, provocando una condizione di trombocitopenia. Il processo patogenetico alla base della malattia di Moschowitz implica una deficienza dell'attività dell'enzima ADAMTS13, fondamentale per il processo di taglio del fattore von Willebrand. In condizioni normali, questo enzima riduce le dimensioni delle molecole del fattore von Willebrand, evitando che formino aggregati eccessivi. Nella PTT, l'insufficiente attività di ADAMTS13 porta ad accumuli di grandi multimeri del fattore von Willebrand nei vasi sanguigni, promuovendo la formazione di trombi. La patologia si manifesta tipicamente con una pentade clinica di sintomi, che include trombocitopenia severa, anemia emolitica microangiopatica (in cui i globuli rossi sono distrutti mentre passano attraverso i vasi occlusi da coaguli), febbre, alterazioni neurologiche e insufficienza renale. Questi sintomi indicano l'ampiezza del danno d'organo causato dalla malattia. Gli individui affetti presentano frequentemente segni di emorragia, come petecchie e ecchimosi, dovute alla ridotta conta piastrinica, e possono manifestare anche sintomi neurologici variabili, dalla confusione alle convulsioni, in relazione al danno cerebrale indotto dalla formazione di coaguli nei vasi sanguigni cerebrali. Il trattamento della malattia di Moschowitz si focalizza sulla rimozione degli anticorpi diretti contro l'ADAMTS13, utilizzando terapie come la plasmaferesi, che sostituisce il plasma del paziente con plasma donato, e l'amministrazione di immunosoppressori. In alcuni casi, può essere necessario somministrare terapie supportive mirate a gestire le complicanze organo-specifiche causate dalla disseminazione dei trombi. In conclusione, la comprensione della malattia di Moschowitz e della sua base patogenetica ha reso possibile un approccio terapeutico più efficace, migliorando significativamente la prognosi dei pazienti affetti da questa condizione una volta considerata uniformemente fatale. La gestione tempestiva e appropriata delle manifestazioni cliniche e delle complicanze è cruciale per ridurre la morbilità e la mortalità associate a questa rara ma grave malattia.

9 di 10 Domande

Quale fra i seguenti farmaci può avere come effetto collaterale tipico la tosse stizzosa?














La risposta corretta è la E
Gli inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina (ACE-inibitori) possono avere come effetto collaterale tipico la comparsa di una tosse stizzosa. Questo sintomo è uno degli effetti collaterali più comuni associati all'uso di questa classe di farmaci, ed è una delle principali ragioni per le quali i pazienti possono necessitare di interrompere la terapia con ACE-inibitori. La tosse indotta dagli ACE-inibitori è solitamente descritta come secca, irritante e persistente, e non è accompagnata da altri sintomi di infezioni delle vie aeree superiori. L'esatta causa di questa tosse non è completamente compresa, ma si ritiene che sia legata all'accumulo di bradichinina nei polmoni. Gli ACE-inibitori bloccano l'enzima di conversione dell'angiotensina, che oltre a convertire l'angiotensina I in angiotensina II, degrada anche molecole come la bradichinina. La bradichinina ha vari effetti biologici, inclusa la dilatazione dei vasi sanguigni e potenzialmente l'accumulo di sostanze che provocano la tosse nei polmoni. Questo effetto collaterale è particolarmente significativo perché può peggiorare la qualità della vita dei pazienti e, in alcuni casi, richiede l'interruzione del farmaco. Non tutti coloro che assumono ACE-inibitori svilupperanno questa tosse, e la sua insorgenza non dipende dalla dose del farmaco. Sebbene sia generalmente benigna, la tosse può essere persistente e fastidiosa, portando a considerare alternative terapeutiche. I tentativi di trattare questa tosse senza interrompere l'uso degli ACE-inibitori sono generalmente insoddisfacenti, quindi per i pazienti significativamente disturbati da questo effetto collaterale, il passaggio a un'altra classe di farmaci, come gli antagonisti del recettore dell'angiotensina II (ARBs), che non hanno lo stesso impatto sulla bradichinina e quindi un'incidenza molto più bassa di tosse, può essere necessario. Nel contesto della loro importanza clinica, gli ACE-inibitori sono una pietra miliare nel trattamento di diverse condizioni, come l'ipertensione e l'insufficienza cardiaca, grazie alla loro capacità di ridurre la pressione sanguigna e il carico di lavoro sul cuore. Tuttavia, la gestione degli effetti collaterali e la comprensione delle potenziali complicazioni sono essenziali per ottimizzare l'uso di questi farmaci nel trattamento a lungo termine dei pazienti.

10 di 10 Domande

Quale tra le seguenti malattie infettive è causata dal virns di Epstein-Barr?














La risposta corretta è la B
La malattia infettiva causata dal virus di Epstein-Barr è la mononucleosi. Questa patologia è nota per essere trasmessa principalmente attraverso la saliva, motivo per cui viene spesso chiamata "la malattia del bacio". La mononucleosi infettiva, comunemente causata dal virus di Epstein-Barr, è un'infezione virale che incide soprattutto sugli adolescenti e sui giovani adulti, sebbene possa colpire individui di qualsiasi età. Il virus di Epstein-Barr appartiene alla famiglia dei virus Herpesviridae e ha la caratteristica di rimanere latente all'interno dell'organismo dopo l'infezione iniziale, potendo riattivarsi in momenti di particolare stress o immunodepressione. La mononucleosi si manifesta con sintomi come affaticamento, febbre, mal di gola, infiammazione dei linfonodi, ed in alcuni casi, ingrossamento della milza o del fegato. La peculiarità di questa patologia risiede nella sua capacità di provocare una reazione immunitaria intensa, il cui segno più caratteristico è un aumento dei linfociti atipici nel sangue, spesso accompagnato da mal di gola, febbre e linfadenopatia. La trasmissione avviene perlopiù attraverso il contatto diretto con la saliva infetta, ma può anche verificarsi tramite la condivisione di utenze personali o attraverso trasfusioni di sangue e trapianti d'organo. Non è raro che la malattia si manifesti in maniera blanda e, quindi, passi inosservata o venga confusa con altre infezioni virali. Una volta che il virus entra nel corpo, si dirige verso le cellule del sistema immunitario, in particolare i linfociti B, che diventano il sito di replicazione virale. La risposta immunitaria dell'ospite contro queste cellule infettate porta allo sviluppo dei sintomi clinici. Non esiste un trattamento specifico per la mononucleosi oltre al riposo, all'assunzione di liquidi e al trattamento dei sintomi per alleviare il disagio. La prognosi per la maggior parte delle persone con mononucleosi è generalmente positiva, con una completa guarigione prevista. Tuttavia, anche se rara, possono verificarsi complicazioni, come splenomegalia (ingrandimento della milza), rupture splenica, problemi respiratori dovuti all'ingrossamento delle tonsille, e in casi molto rari, complicazioni neurologiche o sindromi emolitiche. La consapevolezza e la comprensione della natura virale e del decorso clinico della mononucleosi sono essenziali per un adeguato riconoscimento e trattamento di questa patologia.

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