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Random MMG 020 – Test Ammissione

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1 di 10 Domande

Non è un segno clinico caratteristico della insufficienza epatica acuta:














La risposta corretta è la A
La rigidità muscolare non è un segno clinico caratteristico dell'insufficienza epatica acuta. Questa patologia si manifesta quando il fegato cessa improvvisamente di funzionare, spesso in seguito a un danno grave e rapido. I segni e i sintomi associati tipicamente includono alterazioni dello stato mentale, come sonnolenza o confusione (encefalopatia), tremori involontari (flapping tremor o asterixis), febbre e ittero, cioè l'ingiallimento della pelle e dei bianchi degli occhi. Queste manifestazioni cliniche riflettono le diverse funzioni compromesse del fegato, inclusa la sua capacità di depurare il sangue dalle sostanze tossiche, produrre fattori necessari per la coagulazione del sangue, elaborare nutrienti e farmaci, e produrre bile, necessaria per la digestione. L'insufficienza epatica acuta può essere scatenata da una varietà di cause, inclusi farmaci, virus e altre malattie del fegato. In questa condizione, marcatori come l'alterazione del sensorio e il flapping tremor segnalano l'encefalopatia epatica, che emerge quando sostanze tossiche normalmente elaborate dal fegato si accumulano nel sangue e raggiungono il cervello. La febbre può indicare un'infezione o un processo infiammatorio in atto, mentre l'ittero è un segno diretto dell'incapacità del fegato di elaborare la bilirubina, un prodotto di scarto della rottura dei globuli rossi. La rigidità muscolare, differenze dai sintomi tipici sopra menzionati, non è comunemente associata all'insufficienza epatica acuta. Sebbene il sistema muscolare possa essere indirettamente influenzato da alterazioni metaboliche severe, la rigidità muscolare non è considerata un segno diretto dell'insufficienza epatica. Questo perché i meccanismi patogenetici principali dell'insufficienza epatica acuta riguardano principalmente il metabolismo, la detossificazione e la sintesi delle proteine, piuttosto che la funzionalità o la condizione del tessuto muscolare in sé. In effetti, la complessità dei segni e sintomi dell'insufficienza epatica acuta riflette l'ampio impatto che il fegato ha sui processi vitali del corpo, rendendo essenziali la diagnosi precoce e il trattamento tempestivo per prevenire esiti potenzialmente letali.

2 di 10 Domande

Quale delle seguenti affermazioni riguardanti le infezioni delle vie urinarie (IVU) non è corretta?














La risposta corretta è la E
La risposta corretta alla domanda su quale delle affermazioni riguardanti le infezioni delle vie urinarie (IVU) non è corretta è che "la batteriuria asintomatica impone sempre un trattamento antibiotico". Questa affermazione non è corretta in quanto la batteriuria asintomatica, ossia la presenza di batteri nelle urine senza sintomi associati, generalmente non richiede trattamento antibiotico. Il motivo per cui questa affermazione è errata può essere meglio compreso esaminando le informazioni sulla gestione delle infezioni delle vie urinarie. Le IVU sono condizioni comuni che possono colpire diverse parti del sistema urinario, tra cui la vescica (cistite) e il rene (pielonefrite). Sono solitamente causate da batteri, più comunemente Escherichia coli, che entrano nel tratto urinario. I sintomi possono includere urgenza urinaria, dolore durante la minzione, urine torbide e, se l'infezione raggiunge i reni, febbre e dolore lombare. La batteriuria asintomatica si riferisce alla presenza di batteri nell'urina in assenza di questi sintomi tipici. Si verifica più frequentemente nelle donne, negli anziani e in determinate condizioni come il diabete. Sebbene sia un fenomeno comune, specialmente tra gli anziani, il trattamento antibiotico generalmente non è raccomandato a meno che non si verifichino specifiche condizioni, come durante la gravidanza o prima di alcune procedure urologiche che possono causare infezioni. Il trattamento indiscriminato della batteriuria asintomatica è sconsigliato per diverse ragioni. Innanzitutto, molti studi hanno dimostrato che il trattamento non migliora gli esiti clinici per i pazienti asintomatici e può contribuire all'antibiotico-resistenza, un problema globale crescente. In secondo luogo, il trattamento può portare a effetti collaterali inutili per il paziente, inclusi i rischi associati all'uso di antibiotici, come reazioni allergiche o disbiosi intestinale. La decisione di trattare la batteriuria asintomatica dovrebbe quindi essere presa con cautela, valutando attentamente i benefici e i rischi, e generalmente si limita a situazioni specifiche in cui il trattamento è chiaramente giustificato. In conclusione, la comprensione moderna della batteriuria asintomatica e delle infezioni delle vie urinarie sottolinea l'importanza di un approccio selettivo al trattamento antibiotico, concentrando l'intervento sui pazienti che possono trarne beneficio e riducendo il rischio di promuovere la resistenza agli antibiotici. La gestione delle IVU, specialmente nelle loro forme asintomatiche, richiede un attento esame del rischio e del beneficio per ogni paziente.

3 di 10 Domande

Non è un segno clinico tipico di ipertiroidismo:














La risposta corretta è la C
L'intolleranza al freddo non è un segno clinico tipico di ipertiroidismo. Questa affermazione è corretta perché l'ipertiroidismo è una condizione caratterizzata da una sovrapproduzione di ormoni tiroidei, che porta a una serie di sintomi e segni clinici differenti dall'intolleranza al freddo. L'ipertiroidismo, infatti, è causato da un'eccessiva produzione di ormoni tiroidei da parte della ghiandola tiroidea. Gli ormoni tiroidei hanno un ruolo chiave nella regolazione del metabolismo e dell'energia corporea. Quando la tiroide produce troppi ormoni, il metabolismo si accelera. Questo può manifestarsi con sintomi come l'aumento dell'appetito, ansia, tremori fini (soprattutto nelle mani), perdita di peso nonostante un'alimentazione abbondante e tolleranza aumentata al caldo piuttosto che intolleranza al freddo. Una patologia che evidenzia questa condizione è la malattia di Graves, la causa più comune di ipertiroidismo, che può presentarsi con esoftalmo (sporgenza anormale degli occhi) oltre che con i sintomi sopracitati. Anche noduli tiroidei autonomi possono provocare ipertiroidismo, attraverso la produzione incontrollata di ormoni tiroidei indipendentemente dalle necessità dell'organismo. L'intolleranza al freddo, al contrario, è tipicamente associata a condizioni di ipotiroidismo, dove la tiroide non produce sufficienti ormoni, rallentando il metabolismo. I soggetti con ipertiroidismo tendono quindi a sopportare meno bene l'ambiente caldo a causa dell'accelerazione del loro metabolismo che genera un aumento nella generazione di calore interno. L'ipertiroidismo può portare a complicazioni significative se non trattato, includendo problemi cardiaci come fibrillazione atriale, osteoporosi in caso di ipertiroidismo prolungato non trattato, e crisi tireotossica, una condizione potenzialmente letale che implica un'estrema accelerazione dei sintomi ipertiroidei. Il trattamento può variare dall'assunzione di farmaci antitiroidei, all'uso di iodio radioattivo fino all'intervento chirurgico, a seconda della causa e della gravità dell'iperattività tiroidea.

4 di 10 Domande

Non è un segno tipico di meningite acuta:














La risposta corretta è la B
La "Maschera di Filatov" non è un segno tipico di meningite acuta. La meningite acuta si caratterizza per una serie di sintomi e segni clinici riconosciuti che comprendono febbre, cefalea, rigidità nucale e alterazioni del sensorio, mentre la "Maschera di Filatov" non rientra tra questi sintomi distintivi. La meningite acuta è un'infiammazione delle membrane che rivestono il cervello e il midollo spinale, chiamate meningi. Tale infiammazione di solito è causata da un'infezione virale o batterica. I sintomi più comuni includono febbre alta, mal di testa severo che può essere diverso dai normali tipi di mal di testa, rigidità del collo e alterazioni dello stato mentale, quali confusione o difficoltà a concentrarsi. Altri segni possono includere nausea, vomito, sensibilità alla luce (fotofobia) e, in casi più gravi, convulsioni o emorragie. Nei bambini piccoli e nei neonati, i segni possono essere meno specifici e includere irritabilità, pianto incessante, rigonfiamento delle fontanelle (le "fessure" sul cranio) e, in rari casi, una postura insolita con il corpo arcuato all'indietro. La "maschera di Filatov" è invece associata ad altre condizioni e non si presenta comunemente nella meningite acuta. Inizialmente, le persone affette da meningite possono presentare sintomi vaghi e non specifici che possono essere confusi con quelli di altre malattie meno gravi, rendendo inizialmente difficile la diagnosi. La diagnosi di meningite si basa sull'esame del liquido cerebrospinale (CSF), ottenuto tramite una procedura denominata puntura lombare, che viene analizzato per evidenziare segni di infiammazione e identificare l'agente infettivo causale. La gestione della meningite acuta richiede un intervento medico urgente e, nel caso di meningite batterica, il trattamento consiste tipicamente nella somministrazione di antibiotici ad ampio spettro il più rapidamente possibile per ridurre il rischio di complicanze gravi, come l'edema cerebrale, l'ictus, o la formazione di ascessi cerebrali. Il trattamento della meningite virale, non essendoci specifici agenti antivirali per la maggior parte dei virus implicati, si concentra sul supporto dei sintomi e sulla gestione delle complicanze mentre il sistema immunitario combatte l'infezione. La prognosi varia a seconda della causa della meningite, dell'età del paziente, della rapidità di trattamento e della presenza di eventuali complicanze preesistenti, ma l'intervento tempestivo può significativamente ridurre il rischio di esiti avversi gravi.

5 di 10 Domande

Non è causa di ematuria:














La risposta corretta è la C
La terapia cortisonica non è una causa di ematuria. L'ematuria è la presenza di sangue nelle urine, una condizione che può essere indizio di diverse patologie a carico dell'apparato urinario o, in certi casi, di altre malattie sistemiche. Tra le cause comuni vi sono infezioni del tratto urinario, calcolosi (nefrolitiasi) e tumori dell'apparato urinario (come il carcinoma renale), nonché l'impatto dell'attività fisica intensa che può occasionalmente provocare ematuria in individui altrimenti sani. La terapia cortisonica, al contrario, non è associata all'ematuria come effetto collaterale o conseguenza diretta del trattamento. I corticosteroidi, classe di farmaci anti-infiammatori a cui appartiene il cortisone, sono usati per trattare diversi disturbi che vanno dalle allergie e asma alle condizioni infiammatorie croniche come l'artrite reumatoide. Sebbene possano avere una gamma ampia di effetti collaterali, l'ematuria non è tipicamente uno di questi. L'ematuria può essere "microscopica", identificabile solo attraverso l'esame del sedimento urinario al microscopio, oppure "macroscopica", con le urine che assumono un colore rosato, rosso o marrone evidente all'occhio nudo. La presenza di sangue nelle urine necessita di una valutazione accurata per determinarne la causa, che può variare da condizioni benigne a situazioni che richiedono un trattamento medico urgente. Le patologie del sistema urinario che possono causare ematuria includono, ma non sono limitate a, infezioni acute e croniche delle vie urinarie, caratterizzate dalla proliferazione di batteri a livello del tratto urinario che può estendersi ai reni; la nefrolitiasi, che è la formazione di calcoli nei reni o lungo le vie urinarie, e può causare danni o ostruzioni; e il carcinoma renale, un tipo di cancro che origina nel rivestimento dei tubuli renali. L'attività fisica intensa, d'altra parte, può causare ematuria per meccanismi non completamente chiariti, ma si pensa che possa essere legata al trauma o alla rottura di piccoli vasi sanguigni nell'apparato urinario. Dettagliatamente, le patologie che possono causare ematuria variano notevolmente nella loro eziologia e manifestazione clinica. L'approccio diagnostico deve prendere in considerazione la storia clinica del paziente, i sintomi associati e i possibili fattori di rischio per determinare la causa sottostante e il trattamento più appropriato. La valutazione può includere esami del sangue, analisi delle urine, tecniche di imaging come l'ecografia o la tomografia computerizzata, e, in alcuni casi, studi più invasivi come la cistoscopia. La gestione della condizione sottostante mira a trattare la causa di base dell'ematuria e a prevenire danni ulteriori all'apparato urinario.

6 di 10 Domande

Quale di queste alfennazioni relative all'influenza è falsa?














La risposta corretta è la B
La risposta corretta alla domanda "Quale di queste affermazioni relative all'influenza è falsa?" è la B) "La vaccinazione antinfluenzale è sempre controindicata in gravidanza." Questa affermazione è falsa perché, contrariamente a quanto suggerito, la vaccinazione antinfluenzale non solo è permessa durante la gravidanza, ma è altamente raccomandata. La gravidanza è un periodo di particolare vulnerabilità per le donne, che le espone a un rischio maggiore di sviluppare forme gravi di influenza. Ciò è dovuto ai cambiamenti nel sistema immunitario, nel cuore e nei polmoni durante la gravidanza, che possono rendere più difficile per le donne incinte combattere le infezioni rispetto a quando non sono incinte. Di conseguenza, l'influenza può portare a complicazioni seriose sia per la donna incinta sia per il suo bambino, incluse malattie gravi che necessitano di ospedalizzazione e, in casi estremamente rari, anche il decesso. La vaccinazione antinfluenzale viene fortemente raccomandata per le donne incinte in qualsiasi fase della gravidanza. La vaccinazione è sicura e protegge sia la madre sia il neonato dopo il parto. Infatti, la ricerca ha mostrato che, quando una donna incinta riceve il vaccino antinfluenzale, si riduce il rischio di ammalarsi di influenza e delle sue complicazioni. Inoltre, i bambini nati da madri vaccinate ricevono una certa protezione contro l'influenza per i primi mesi di vita, un periodo in cui sono particolarmente vulnerabili ma troppo giovani per essere vaccinati personalmente. Gli studi su queste vaccinazioni durante la gravidanza non hanno mostrato rischi significativi per le donne incinte o i loro bambini. Queste conclusioni sono supportate anche dalle linee guida sanitarie internazionali, che raccomandano la vaccinazione antinfluenzale per le donne incinte come misura preventiva efficace per evitare rischi gravi legati all'influenza. In sintesi, la vaccinazione antinfluenzale durante la gravidanza è non solo sicura ma fondamentale per proteggere sia la salute della madre sia quella del bambino. Dunque, l'affermazione secondo cui la vaccinazione è sempre controindicata in gravidanza è effettivamente falsa e contraddetta dalle evidenze scientifiche attuali e dalle raccomandazioni sulle pratiche di sanità pubblica.

7 di 10 Domande

Quale delle seguenti asserzioni è corretta in relazione al confronto tra nuovi anticoagulanti orali diretti (DOACs) ed inibitori della vitamina K?














La risposta corretta è la D
La corretta asserzione in relazione al confronto tra nuovi anticoagulanti orali diretti (DOACs) ed inibitori della vitamina K è che i primi vengono impiegati a dosi fisse ed i secondi a dosi individualizzate sulla base del valore dell'INR. La ragione principale di questa distinzione si radica nelle diverse modalità d'azione e nella gestione del trattamento tra queste due classi di anticoagulanti. Gli inibitori della vitamina K, come il warfarin, agiscono riducendo la capacità del corpo di utilizzare la vitamina K per produrre fattori di coagulazione necessari per la formazione di coaguli di sangue. La dose necessaria per mantenere un’efficacia terapeutica senza causare sanguinamenti eccessivi varia notevolmente tra individui, a seconda di fattori come l'età, il peso, l'alimentazione, e l'uso concomitante di altri farmaci. Pertanto, il monitoraggio regolare dell'INR (International Normalized Ratio) è indispensabile per personalizzare la dose e mantenere l'INR in un intervallo terapeutico ottimale. Al contrario, i nuovi anticoagulanti orali diretti (DOACs) agiscono inibendo specificamente i fattori della coagulazione (come il fattore Xa o la trombina) senza l’interferenza della vitamina K. Questo meccanismo d'azione più diretto permette una più predittiva risposta anticoagulante, che rende i DOACs utilizzabili a dosi fisse per la maggior parte dei pazienti. Di conseguenza, non è generalmente necessario il monitoraggio regolare dell'INR per la maggior parte dei pazienti che utilizzano DOACs, semplificando la gestione e aumentando la comodità per il paziente. La patologia centrale che viene trattata con entrambe le classi di farmaci è la trombosi, condizione in cui si formano coaguli di sangue all'interno dei vasi sanguigni, che può portare a complicanze gravi come l'ictus e l'embolia polmonare. La scelta tra un inibitore della vitamina K e un DOACs dipende da vari fattori, inclusi la condizione specifica del paziente, il rischio di sanguinamento, la preferenza personale e le considerazioni pratiche come la necessità di monitorare l'INR. La gestione appropriata di questi anticoagulanti è cruciale per prevenire sia l'eccesso di coagulazione che il sanguinamento eccessivo, bilanciando attentamente i rischi e i benefici del trattamento. In conclusione, la differenza fondamentale tra DOACs e inibitori della vitamina K nella loro gestione—dosi fisse per i DOACs versus dosi individualizzate per i warfarin basate sull'INR—riflette il progresso nella farmacologia anticoagulante verso opzioni di trattamento che promettono una maggiore facilità d'uso e una minore necessità di monitoraggio, rendendo contemporaneamente vitale la comprensione delle specifiche caratteristiche farmacologiche e delle implicazioni cliniche di ciascuna classe di farmaci nel contesto della prevenzione e trattamento della trombosi.

8 di 10 Domande

Da quale dei seguenti criteri diagnostici è definita la BPCO?














La risposta corretta è la E
La domanda chiede quale criterio diagnostico definisca la Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO). La risposta corretta è: un rapporto fra Volume Espiratorio Forzato nel primo secondo (FEV1) e Capacità Vitale Forzata (FVC) inferiore a 0,7 dopo somministrazione di un broncodilatatore durante la spirometria. Questo criterio è fondamentale per il riconoscimento della BPCO in quanto riflette una limitazione al flusso aereo che è irreversibile e non si risolve completamente con l'uso di farmaci broncodilatatori. La BPCO è una patologia polmonare ostruttiva caratterizzata da ostruzione cronica al flusso aereo, che resistente ed usualmente progredisce nel tempo. Le principali cause includono l'esposizione prolungata a fattori di rischio ambientali, come il fumo di tabacco e l'inquinamento atmosferico. Il FEV1 e il rapporto FEV1/FVC sono indicatori chiave nella valutazione della funzione polmonare e nell'identificazione della BPCO. Il FEV1 è la quantità di aria che una persona può espellere forzatamente in un secondo, mentre la FVC rappresenta la quantità totale di aria che può essere espirata forzatamente dopo una inspirazione profonda. Nella BPCO si osserva una riduzione del FEV1 e, di conseguenza, una diminuzione del rapporto FEV1/FVC a causa dell'ostruzione al flusso d'aria. La caratteristica principale della BPCO è un'ostinata limitazione del flusso aereo, che si manifesta con sintomi quali dispnea, tosse e produzione di espettorato. L'infiammazione cronica causata dall'esposizione a irritanti respiratori gioca un ruolo primario nello sviluppo e nella progressione della malattia, portando a danno tessutale, rimodellamento delle vie aeree e perdita di elasticità polmonare. Queste modifiche contribuiscono a ridurre il FEV1 e a incrementare il rischio di esacerbazioni, che incidono significativamente sulla qualità di vita dei pazienti e possono portare a esiti fatali. In conclusione, il criterio diagnostico basato sul rapporto FEV1/FVC inferiore a 0,7 post broncodilatazione fornisce una misura oggettiva e quantificabile dell'ostruzione al flusso aereo, facilitando la diagnosi di BPCO e permettendo di distinguere questa patologia da altri disturbi respiratori che presentano sintomi simili ma che possono avere una fisiopatologia diversa e richiedere trattamenti specifici.

9 di 10 Domande

La nefrolitiasi è una possibile complicanza di:














La risposta corretta è la D
La nefrolitiasi è una possibile complicanza dell'iperparatiroidismo. Questa associazione si verifica perché l'iperparatiroidismo può portare a un elevato rilascio di paratormone (PTH) dalle ghiandole paratiroidi. Il PTH ha un ruolo cruciale nella regolazione del metabolismo del calcio e del fosforo nell'organismo, influenzando soprattutto le attività di reni, intestino e scheletro. In particolare, nell'iperparatiroidismo, l'eccessivo PTH promuove il rilascio di calcio dalle ossa nel sangue, aumenta l’assorbimento di calcio nell’intestino e riduce l’eliminazione di calcio attraverso i reni. Di conseguenza, l'elevato livello di calcio nel sangue (ipercalcemia) può favorire la formazione di calcoli renali (nefrolitiasi). La nefrolitiasi, dunque, è strettamente legata all'ipercalcemia indotta dall'iperparatiroidismo. I calcoli renali possono essere composti da diversi materiali, ma nel contesto dell'iperparatiroidismo, sono spesso formati da calcio in combinazione con ossalato o fosfato. Questi calcoli possono causare dolore, infezioni urinarie e, nei casi più gravi, possono portare a un'ostruzione del flusso urinario o danni renali. L'iperparatiroidismo è classificato in primario e secondario. L'iperparatiroidismo primario è causato generalmente da un adenoma delle ghiandole paratiroidi, mentre quello secondario può essere una risposta compensatoria a livelli cronici bassi di calcio nel sangue, spesso dovuti a insufficienza renale cronica o a disordini delle ossa. In entrambi i casi, il risultato è un aumento del PTH che può portare alla formazione di calcoli renali. La gestione dell'iperparatiroidismo e quindi della prevenzione della nefrolitiasi include interventi chirurgici per rimuovere l'adenoma paratiroideo, farmaci che mirano a ridurre i livelli di PTH o il trattamento delle condizioni sottostanti che causano iperparatiroidismo secondario. Il monitoraggio e la correzione dei livelli di calcio nel sangue sono anche misure importanti per prevenire la formazione di calcoli renali. Concludendo, l'iperparatiroidismo rappresenta una causa significativa di nefrolitiasi a causa degli effetti dell'eccessivo PTH che porta all'ipercalcemia, creando così un ambiente favorevole alla formazione di calcoli renali. La comprensione di questo processo è fondamentale per il trattamento mirato e la prevenzione della nefrolitiasi in pazienti con iperparatiroidismo.

10 di 10 Domande

L'attuale trattamento della malattia celiaca è:














La risposta corretta è la C
L'attuale trattamento della malattia celiaca è una dieta priva di glutine. Questa patologia è una condizione in cui il corpo reagisce in modo anomalo al glutine, una proteina presente in molti cereali, inclusi frumento, orzo e segale, portando a un'infiammazione dell'intestino tenue. Questo processo infiammatorio compromette l'assorbimento di nutrienti essenziali, causando una vasta gamma di sintomi gastrointestinali e non. La malattia celiaca si manifesta con una reazione immunitaria all'ingestione di glutine. Gli individui affetti sviluppano una risposta immunitaria contro il glutine che danneggia il rivestimento dell'intestino tenue. Questo danno impedisce l'assorbimento corretto di alcuni nutrienti, portando a sintomi come dolori addominali, gonfiore, diarrea, stanchezza, anemia, perdita di peso e altri disturbi a carico dell'organismo. L'elemento fondamentale per il trattamento di questa condizione è l'eliminazione del glutine dalla dieta. Rimuovendo il glutine, si riduce l'infiammazione e il danno all'intestino tenue, permettendo un miglioramento dei sintomi e la guarigione dell'intestino. Gli alimenti che contengono glutine devono essere sostituiti con alternative prive di questa proteina, il che implica spesso cambiamenti significativi nella dieta e nello stile di vita del paziente. Nel tempo, con una stretta aderenza alla dieta priva di glutine, la maggior parte delle persone con malattia celiaca può aspettarsi un notevole miglioramento dei sintomi e una riduzione del rischio di complicanze associate, come l'osteoporosi, infertilità e persino alcuni tipi di cancro intestinale. Essenzaialmente, la gestione della malattia celiaca richiede un impegno verso una dieta priva di glutine per tutta la vita. Questo approccio dietetico consente non solo il recupero dell'intestino tenue ma migliora anche la qualità della vita del paziente, riducendo o eliminando i sintomi legati a questa condizione autoimmunitaria. La sensibilizzazione e la diagnosi precoce sono cruciali per prevenire le complicanze a lungo termine legate alla malattia celiaca.

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