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1 di 10 Domande

Il trattamento raccomandato per adulti e adolescenti con sifilide latente primaria, secondaria o precoce è:














La risposta corretta è la B
Il trattamento raccomandato per adulti e adolescenti con sifilide latente primaria, secondaria o precoce è la benzatina penicillina G per via intramuscolare. La sifilide è un'infezione batterica sistemica che si evolve attraverso diverse fasi, tra cui le fasi primaria, secondaria e latente. Questa malattia è causata dal batterio Treponema pallidum. La scelta principale per il trattamento di questi stadi della sifilide è la benzatina penicillina G somministrata per iniezione intramuscolare. Questo metodo di trattamento è ampiamente raccomandato poiché la penicillina G ha dimostrato una elevata efficacia nella neutralizzazione del batterio Treponema pallidum, l'agente causale della sifilide. La penicillina G benzatina agisce legandosi ad alcune proteine vitali per il batterio, note come proteine di legame alla penicillina (PBPs). Questo legame inibisce la sintesi del peptidoglicano, un componente critico della parete cellulare del batterio. L'interferenza con questo processo vitale porta alla lisi e morte del batterio. Inoltre, la vasta storia d'uso della penicillina come trattamento efficace contro la sifilide ha consolidato ulteriormente la sua posizione come trattamento di prima scelta per questa infezione nelle sue varie fasi. Essendo un trattamento intramuscolare, la benzatina penicillina G assicura anche un rilascio lento e prolungato del farmaco nel tempo. Questo consente di mantenere livelli terapeutici del medicinale nel corpo del paziente per un periodo esteso, favorendo l'eradicazione completa del patogeno senza necessità di amministrazione giornaliera. Il trattamento mira a eliminare il batterio causale, prevenire la progressione della malattia e limitare la trasmissione a partner sessuali. È particolarmente cruciale nelle fasi iniziali della sifilide dove i sintomi possono essere minimi o assenti (sifilide latente) ma il rischio di complicazioni a lungo termine e di trasmissione rimane significativo. Pertanto, la scelta del trattamento giusto ha un ruolo fondamentale nella gestione complessiva della malattia e nella prevenzione di conseguenze più gravi per la salute.

2 di 10 Domande

Quale valore di eGFR (filtrato glomerulare stimato) identifica il paziente affetto da insufficienza renale cronica di III stadio?














La risposta corretta è la C
Il valore di eGFR (filtrato glomerulare stimato) che identifica il paziente affetto da insufficienza renale cronica di III stadio è compreso tra 30 e 59 ml/min/1,73 mq. Questa risposta è corretta perché riflette un deterioramento moderato della funzione renale, che è caratteristico della fase III dell'insufficienza renale cronica. L'insufficienza renale cronica (IRC), nota anche come malattia renale cronica (CKD), è una condizione in cui i reni perdono progressivamente la loro capacità di svolgere le funzioni essenziali per la vita. Questa perdita di funzionalità è generalmente graduale e si sviluppa nel corso di mesi o anni. I reni sono vitali per filtrare le scorie e l'eccesso di liquidi dal sangue, che vengono poi eliminati nell'urina. Quando l'efficienza di questa filtrazione diminuisce, le sostanze tossiche e i liquidi possono accumularsi nel corpo, portando a varie complicanze pericolose per la vita. Una delle principali funzioni misurate per valutare la salute dei reni è il tasso di filtrazione glomerulare (GFR), che indica la velocità con cui il sangue viene filtrato dai reni. La stima del GFR (eGFR) viene utilizzata per valutare la presenza e il grado di insufficienza renale. L'eGFR è calcolato utilizzando formula basate sul livello di creatinina nel sangue, età, sesso e altri fattori. Una volta che l'eGFR diminuisce sotto una certa soglia, si può diagnosticare la CKD. Il valore di eGFR compreso tra 30 e 59 ml/min/1,73 mq caratterizza lo stadio III della malattia renale cronica. Questo stadio è identificato come una moderata riduzione della funzione renale. A questo livello, i reni iniziano a presentare difficoltà nel mantenere l'equilibrio necessario degli elementi nel sangue. I pazienti possono iniziare a notare sintomi quali affaticamento, gonfiore (edema), problemi di urinazione, un alto livello di pressione arteriosa, e disturbi nei livelli di minerali e ossa. È importante che i pazienti in questa fase della malattia ricevano una diagnosi e un intervento precoce per rallentare la progressione della malattia, gestire i sintomi e ridurre il rischio di complicazioni. La gestione della CKD si concentra sul controllo dei fattori di rischio, come il diabete e l'ipertensione, che possono aggravare ulteriormente la funzione renale. Le strategie di trattamento possono includere modifiche alla dieta, esercizio fisico, farmaci e, in stadi più avanzati, dialisi o trapianto renale. L'identificazione precoce dello stadio III dell'insufficienza renale cronica attraverso la misurazione dell'eGFR è cruciale per implementare misure preventive e terapeutiche che possono migliorare la qualità della vita del paziente e rallentare la progressione della malattia verso stadi più severi.

3 di 10 Domande

Qual è il valore minimo della carica batterica per considerare sicuramente positiva un'urinocoltura?














La risposta corretta è la D
Il valore minimo della carica batterica per considerare sicuramente positiva un'urinocoltura è 100.000 UFC/ml. Questo parametro è fondamentale nella diagnosi delle infezioni del tratto urinario (UTI). Quando si parla di 100.000 Unità Formanti Colonia (UFC) per millilitro, si fa riferimento al criterio standard impiegato per confermare la presenza di un'infezione urinaria importante dal punto di vista clinico. Le infezioni del tratto urinario (UTI) sono causate principalmente da batteri che entrano nell'uretra e si moltiplicano nella vescica. La diagnosi delle UTI si basa su sintomi clinici, analisi delle urine e, molto spesso, su una coltura batteriologica delle urine. Il numero di UFC/ml è un indicatore chiave nella diagnosi, poiché riflette la densità dei batteri presenti. Una conta di 100.000 UFC/ml o superiore è generalmente considerata indicativa di infezione urinaria, soprattutto se questi risultati provengono da campioni di urine raccolti con tecniche di raccolta mediate o per cateterismo. Questo valore soglia non è arbitrario ma basato su studi che hanno correlato la carica batterica con la presenza di sintomi clinici e la risposta alla terapia antibiotica. Il criterio dei 100.000 UFC/ml è stato introdotto per la prima volta negli anni '50, a seguito di studi condotti su donne con sintomi di infezione urinaria. Questi studi hanno dimostrato che la maggior parte delle donne con sintomi di UTI aveva cariche batteriche significative nelle loro urine. Soglie più basse (come 1.000 o 10.000 UFC/ml) possono talvolta essere prese in considerazione in casi speciali, come nei pazienti con sintomi tipici ma cariche batteriche inferiori, tuttavia, il valore di 100.000 UFC/ml rimane il punto di riferimento standard. In sintesi, la definizione di un'infezione del tratto urinario mediante urinocoltura e il conteggio di 100.000 UFC/ml come soglia di significatività clinica aiuta nella diagnosi corretta e nel trattamento mirato delle infezioni. Tale soglia serve a distinguere tra semplice contaminazione e infezione vera e propria, guidando così le decisioni terapeutiche e riducendo il rischio di trattamenti antibiotici inappropriati o inutili. La comprensione profonda di questo parametro aiuta a ottimizzare i risultati clinici per i pazienti con sospette UTI, enfatizzando l'importanza di procedure di raccolta adeguate e di interpretazione accurata dei risultati delle colture urinarie.

4 di 10 Domande

Il vaccino antinfluenzale NON deve essere somministrato:














La risposta corretta è la D
Il vaccino antinfluenzale non deve essere somministrato ai lattanti al di sotto dei sei mesi di età. Questa indicazione si basa sugli standard di sicurezza e efficacia dei vaccini, che prendono in considerazione le fasce d'età e le condizioni di salute specifiche per cui sono stati progettati e testati. Per comprendere meglio perché la vaccinazione antinfluenzale non è raccomandata per i bambini al di sotto dei sei mesi, è utile esaminare le caratteristiche della patologia influenzale e l'approccio alla prevenzione attraverso la vaccinazione. L'influenza è una malattia respiratoria altamente contagiosa causata dai virus influenzali. Si diffonde principalmente attraverso le goccioline respiratorie emesse quando le persone infette tossiscono, starnutiscono o parlano. I sintomi possono variare da lievi a gravi e possono includere febbre, tosse, mal di gola, dolori muscolari, affaticamento e, in alcuni casi, complicazioni come polmonite, insufficienze respiratorie e morte. I vaccini antinfluenzali sono progettati per proteggere contro le ceppi del virus dell'influenza più probabili a circolare in una determinata stagione influenzale. La composizione del vaccino viene aggiornata annualmente per riflettere questa previsione. La vaccinazione rappresenta la principale misura di prevenzione contro l'influenza e le sue complicazioni potenzialmente gravi. Tuttavia, i sistemi immunitari dei neonati al di sotto dei sei mesi sono ancora in fase di sviluppo, e attualmente non esistono vaccini antinfluenzali approvati per questa fascia di età a causa di questioni di sicurezza e efficacia. Inoltre, studi clinici su vaccini solitamente includono soggetti a partire dai 6 mesi di età in avanti per valutare adeguatamente la risposta immunitaria e gli effetti collaterali del vaccino. Anziché la vaccinazione, le strategie di prevenzione dell'influenza per i bambini al di sotto dei sei mesi includono l'allattamento al seno, quando possibile, per trasferire gli anticorpi materni al bambino, mantenere una buona igiene delle mani e limitare l'esposizione del bambino a persone malate. È altresì consigliato che i familiari e i caregiver dei neonati si vaccinino contro l'influenza per ridurre ulteriormente il rischio di trasmissione al bambino. La protezione dei bambini più piccoli dall'influenza e dalle sue conseguenze potenzialmente serie richiede dunque un approccio multifattoriale, a causa delle restrizioni sull'uso del vaccino antinfluenzale in questa fascia di età. La ricerca continua a indagare sui modi per ampliare l'efficacia e la sicurezza dei vaccini, includendo potenzialmente in futuro i bambini al di sotto dei sei mesi tra i beneficiari.

5 di 10 Domande

Il respiro di Cheyne-Stokes:














La risposta corretta è la D
Il respiro di Cheyne-Stokes è presente nei pazienti affetti da scompenso cardiaco in fase avanzata ed è associato ad una bassa gittata cardiaca. Questo tipo di respiro è caratterizzato da periodi ciclici di apnea seguiti da una graduale incremento dell'intensità dei movimenti respiratori (iperpnea), fino a raggiungere un picco, e poi diminuire nuovamente in intensità, risultando in una fase di apnea. Questo ciclo si ripete regolarmente. La corretta comprensione del respiro di Cheyne-Stokes richiede la considerazione della sua associazione con condizioni di grave deperimento della funzionalità cardiaca. La patologia si manifesta prevalentemente in contesti clinici dove la gittata cardiaca è significativamente ridotta, come nello scompenso cardiaco in fase avanzata. La sua presenza indica un'inadeguata perfusione del sangue al cervello e un'alterata risposta ai livelli di biossido di carbonio (CO2) nel sangue. In questo contesto, il respiro di Cheyne-Stokes rappresenta una risposta patologica del sistema respiratorio; il ritardato feedback tra il basso livello di ossigeno nel sangue periferico e il centro respiratorio nel cervello causa il ritmo ciclico di iperventilazione e apnea. Le ricerche indicano che il respiro di Cheyne-Stokes è un segno prognostico sfavorevole nei pazienti con scompenso cardiaco. La sua presenza è associata ad un aumento della mortalità e a una riduzione della qualità di vita, in quanto impatta negativamente sul sonno e può esacerbare l'ipossia e l'iperidratazione. La fisiopatologia dietro questo disturbo respiratorio comprende diversi meccanismi, tra cui l'ipossia inducibile dall'insufficienza cardiaca, che modifica la sensibilità del sistema respiratorio ai cambiamenti nel livello di CO2, e l'instabilità del feedback dell'ossigenazione cerebrale. Approfondendo dai dettagli forniti da studi clinici e dalla letteratura scientifica, il respiro di Cheyne-Stokes emerge come risultante da un complesso equilibrio tra i meccanismi compensatori tentati dal corpo in risposta alla ridotta gittata cardiaca e le sue conseguenze sulla dinamica dei gas sanguigni, riflettendo l'estrema adattabilità e, allo stesso tempo, la vulnerabilità del sistema respiratorio nelle malattie avanzate del cuore. Questo pattern respiratorio quindi, non solo è un marker di gravi condizioni cardiovascolari, ma influisce anche direttamente sul peggioramento delle stesse, creando un circolo vizioso che necessita di un preciso e tempestivo intervento clinico per migliorare l'esito del paziente.

6 di 10 Domande

Il nirmatrelvir/ritonavir è un:














La risposta corretta è la B
Il nirmatrelvir/ritonavir è un antivirale. Questa combinazione di farmaci è stata specificamente progettata per contrastare i virus, fornendo un mezzo efficace per prevenire la replicazione virale all'interno dell'organismo. I componenti funzionano sinergicamente: il nirmatrelvir inibisce una proteasi virale, impedendo al virus di maturare e replicarsi, mentre il ritonavir agisce principalmente come inibitore dell'enzima del citocromo P450 3A4, aumentando così la biodisponibilità e l'efficacia del nirmatrelvir, mantenendo livelli terapeutici più stabili nel tempo. La combinazione nirmatrelvir/ritonavir rappresenta un'innovazione nel trattamento delle infezioni virali, in particolare per quanto concerne il virus SARS-CoV-2, responsabile della malattia COVID-19. La capacità di questo regime terapeutico di bloccare la replicazione virale risulta cruciale nella gestione dell'infezione, specialmente nelle fasi precoci, riducendo così la gravità della malattia e il rischio di complicazioni. La meccanica d'azione di questa combinazione antivirale illustra l'importanza di mirare specifici processi biologici dei virus, un approccio che si distingue significativamente dalle strategie utilizzate contro batteri, protozoi, funghi o l'applicazione di disinfettanti. La scelta di un trattamento come il nirmatrelvir/ritonavir sottolinea un orientamento terapeutico mirato e altamente specifico, caratteristico di un approccio antivirale nel contesto delle malattie infettive. Le patologie virali, per loro natura, richiedono interventi mirati che sappiano interagire con le unicità del ciclo di vita del virus. Infatti, diversamente dai batteri o dai funghi, i virus sono parassiti intracellulari obbligati, il che significa che necessitano di una cellula ospite per replicarsi. Tale caratteristica rende la lotta contro le infezioni virali particolarmente complessa, visto che bisogna inibire il virus senza causare danni eccessivi alle cellule ospiti dell'organismo. Il nirmatrelvir/ritonavir rappresenta dunque un esempio di come la ricerca sia orientata verso soluzioni che rispettano queste necessità, offrendo trattamenti efficaci e relativamente sicuri per il controllo delle infezioni virali.

7 di 10 Domande

Quale dei seguenti criteri ecografici è considerato altamente specifico per sospettare la malignità di un nodulo tiroideo?














La risposta corretta è la C
Un criterio ecografico considerato altamente specifico per sospettare la malignità di un nodulo tiroideo sono le microcalcificazioni. Le microcalcificazioni sono piccole formazioni calcifiche all'interno del nodulo, che risultano sospette per malignità quando rilevate durante un'esame ecografico della tiroide. La ragione per cui le microcalcificazioni sono un importante indicatore di sospetto per la malignità risiede nella loro associazione con il carcinoma papillare della tiroide, il quale rappresenta la forma più comune di cancro tiroideo. Infatti, queste piccole calcificazioni possono riflettere processi patologici a livello cellulare che sono tipici della trasformazione neoplastica. Il carcinoma papillare della tiroide è caratterizzato da un'altissima capacità di assorbire lo iodio e di produrre tiroglobulina, essendo in molti casi diagnosticato a seguito della comparsa di noduli tiroidei. Anche se la maggior parte dei noduli tiroidei si rivela benigna, la presenza di microcalcificazioni al loro interno aumenta la probabilità che si tratti di lesioni maligne. La patologia si manifesta con una varietà di alterazioni cellulari e tissutali che possono includere, oltre alle microcalcificazioni, cambiamenti nell'architettura tissutale e presenza di inclusioni nucleari. Queste caratteristiche sono considerate fortemente suggestive di carcinoma papillare, rendendo le microcalcificazioni un segnale d'allarme critico durante la valutazione ecografica. Inoltre, la presenza di microcalcificazioni può influenzare la gestione clinica del paziente, suggerendo un follow-up più rigoroso o un intervento chirurgico precoce per rimuovere il nodulo sospetto. L'identificazione di queste calcificazioni di piccole dimensioni richiede l'utilizzo di apparecchiature ecografiche ad alta risoluzione e una notevole esperienza da parte dell'operatore per distinguere efficacemente i segni sottili che suggeriscono malignità. In sintesi, le microcalcificazioni all'interno di un nodulo tiroideo sono considerate un segno altamente specifico di sospetto per carcinoma papillare della tiroide, il quale rappresenta una condizione seria che richiede un'accurata valutazione e, in molti casi, un approccio terapeutico mirato per prevenire l'evoluzione in una malattia più avanzata e potenzialmente minacciosa per la vita del paziente.

8 di 10 Domande

Il trattamento migliore delle varici esofagee F3 con punti rossi è dato da:














La risposta corretta è la A
Il trattamento migliore delle varici esofagee F3 con punti rossi è dato dal metodo di legatura delle varici esofagee combinato con la profilassi attraverso l’uso di beta-bloccanti non selettivi. Questo approccio è considerato il più efficace nel gestire e prevenire le complicanze associate alla presenza di varici esofagee di grado F3 che presentano segni di alto rischio di sanguinamento, come i punti rossi. Le varici esofagee sono dilatazioni patologiche delle vene nell'esofago, spesso risultato di un aumento della pressione nel sistema portale, una condizione nota come ipertensione portale. Una delle cause principali di tale fenomeno è la cirrosi epatica, che altera il normale flusso sanguigno attraverso il fegato, portando a un incremento della pressione nelle vene che drenano il sangue dall'intestino verso il fegato. Quando questa pressione diventa troppo elevata, il sangue può deviare attraverso vasi più piccoli non attrezzati a gestire un flusso tanto intenso, come le vene nell'esofago, causando la loro dilatazione e trasformazione in varici. La classificazione F3 indica varici di grande dimensione con caratteristiche che suggeriscono un elevato rischio di sanguinamento, come la presenza di punti rossi, che sono segni di possibile parete vascolare debole. La legatura delle varici esofagee è una procedura endoscopica che mira a ridurre il rischio di sanguinamento o a trattare un sanguinamento in atto. Durante tale intervento, delle fasce elastiche vengono posizionate attorno alle varici per interromperne il flusso sanguigno, portando alla loro riduzione o eliminazione. I beta-bloccanti non selettivi, come il propranololo e il nadololo, sono farmaci che riducono la pressione nel sistema venoso portale agendo sulla frequenza cardiaca e sulla vasoconstrizione. Questo effetto può diminuire la pressione nelle varici esofagee, riducendo il rischio di sanguinamento. La loro utilizzazione in combinazione con la legatura endoscopica offre un approccio integrato che mira non solo a trattare le varici esistenti ma anche a prevenire lo sviluppo e il sanguinamento di nuove varici. In sintesi, la combinazione di legatura delle varici esofagee con l'utilizzo di beta-bloccanti non selettivi rappresenta un trattamento efficace sia come terapia immediata sia come prevenzione nel lungo termine del rischio di sanguinamento da varici esofagee grado F3. Questo approccio prende di mira le cause sottostanti e le manifestazioni della patologia, offrendo una strategia complessiva per la gestione dei pazienti con varici esofagee e ipertensione portale.

9 di 10 Domande

Attualmente nel genere Legionella sono classificate:














La risposta corretta è la B
Nel genere Legionella sono classificate 48 specie che comprendono 70 sierogruppi. Questo dato mostra la complessità e la diversità all'interno di questo genere batterico, sottolineando l'importanza di un'accurata caratterizzazione per il controllo e la prevenzione delle malattie ad esso associate. Legionella è un genere di batteri che può causare gravi malattie respiratorie nell'uomo, la più nota delle quali è la malattia dei legionari, una forma di polmonite che può essere fatale. Questi batteri si trovano comunemente in ambienti acquatici naturali e artificiali, come laghi, fiumi, vasche idromassaggio, sistemi di condizionamento e fornitura dell'acqua nelle strutture urbane, dove possono moltiplicarsi a temperature comprese tra 20°C e 45°C, specialmente se ci sono accumuli di biofilm che favoriscono la loro crescita. La malattia dei legionari si trasmette all'uomo per inalazione di aerosol (goccioline d'acqua nell'aria) contaminati da questi batteri, non attraverso il consumo di acqua contaminata. Una caratteristica distintiva della Legionella è la sua capacità di sopravvivere e moltiplicarsi all'interno di amebe nell'ambiente acquatico, rendendo il controllo della sua proliferazione ancora più complicato. Questo aspetto sottolinea l'importanza di misure di controllo e prevenzione, come la manutenzione appropriata dei sistemi idrici negli edifici, per ridurre il rischio di esposizione umana. Un'altra malattia causata da Legionella, benché meno comune, è la febbre di Pontiac, una malattia simile all'influenza, da cui i pazienti generalmente si riprendono senza trattamento. La distinzione tra le varie specie e sierogruppi di Legionella ha implicazioni cliniche significative, in quanto le diverse specie possono avere vari gradi di virulenza, influenzando così le strategie di trattamento e prevenzione delle infezioni. In sintesi, l'ampio numero di specie e sierogruppi di Legionella riflette la complessa ecologia di questi batteri e sottolinea l'importanza di continuarne gli studi per migliorare la prevenzione e il trattamento delle malattie correlate. La loro persistenza negli ambienti acquatici e la capacità di causare gravi malattie respiratorie nell'uomo rendono il genere Legionella un importante bersaglio per la ricerca pubblica sanitaria.

10 di 10 Domande

In un paziente iperteso di terzo grado naive, quale farmaco è opportuno somministrare durante lo screening per escludere forme secondarie di ipertensione arteriosa?














La risposta corretta è la D
La risposta corretta alla domanda su quale farmaco sia opportuno somministrare durante lo screening per escludere forme secondarie di ipertensione arteriosa in un paziente iperteso di terzo grado naive è il calcio-antagonista. Il motivo per cui la risposta è corretta può essere compreso meglio analizzando la natura dell'ipertensione e il meccanismo d'azione dei calcio-antagonisti. L'ipertensione arteriosa, o alta pressione sanguigna, è una condizione nella quale la pressione del sangue nelle arterie è persistentemente elevata. Questo stato può portare a gravi complicazioni cardiovascolari se non gestito adeguatamente. I calcio-antagonisti sono una classe di farmaci che operano attraverso l'inibizione dell'ingresso di ioni calcio nei miocardi e nelle cellule muscolari lisce vascolari, cosa che provoca un'azione vasodilatatoria, riducendo così la pressione arteriosa. Essi sono particolarmente utili nello screening di forme secondarie di ipertensione perché non interferiscono significativamente con i sistemi renali ed ormonali coinvolti nelle cause secondarie di ipertensione, come l'iper aldosteronismo o la renovascolare, consentendo quindi una valutazione più accurata di queste condizioni senza influenzarne i parametri. Un ulteriore approfondimento sulla patologia dell'ipertensione mostra che questa può essere classificata in due grandi categorie: ipertensione primaria (o essenziale), che non ha una causa identificabile è la più comune, rappresentando circa il 90-95% di tutti i casi, e l'ipertensione secondaria, che è causata da condizioni sottostanti che possono interessare i reni, le arterie, il cuore o il sistema endocrino. La gestione dell'ipertensione comprende spesso modifiche dello stile di vita e l'uso di farmaci antiipertensivi. Tra questi, i calcio-antagonisti rivestono un ruolo cruciale grazie alla loro efficacia nel diminuire la pressione arteriosa attraverso il meccanismo d'azione sopra descritto. Essi sono particolarmente indicati nei pazienti anziani e nella popolazione nera, in cui l'ipertensione tende a presentarsi con un profilo di rigidità arteriosa. Concludendo, i calcio-antagonisti sono una scelta appropriata durante lo screening di forme secondarie di ipertensione in pazienti ipertesi naive per via della loro capacità di produrre una vasodilatazione senza interferire con altre vie patogenetiche che potrebbero essere alla base dell'ipertensione secondaria. La loro modalità d'azione consente di evitare alterazioni dei meccanismi fisiopatologici coinvolti nelle forme secondarie, facilitando così una diagnosi più accurata e mirata.

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