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1 di 10 Domande

Scenario CP9E: Un paziente esegue una TC del torace che dimostra un nodulo subpleurico del lobo superiore sinistro a margini spiculati di diametro 1,8 cm. Quali dei seguenti farmaci devono essere sospesi o sostituti prima delle procedure diagnostiche invasive?














La risposta corretta è la E.
I farmaci che devono essere sospesi o sostituti prima delle procedure diagnostiche invasive sono gli anticoagulanti orali (TAO) e gli antiaggreganti in quanto aumentano il rischio di emorragie intra-operatorie. Sono esclusi dalla sospensione i NAO (rivaroxaban, apixaban e dabigatran) e l’acido acetilsalicilico se usato con un dosaggio tra 80-100 mg.
La terapia a lungo termine con farmaci antiaggreganti e anticoagulanti è indicata per la prevenzione di eventi tromboembolici dovuti principalmente a fibrillazione atriale, protesi valvolari cardiache meccaniche o tromboembolismo venoso. Quando un paziente sottoposto a terapia antitrombotica si sottopone ad un intervento chirurgico o procedura invasiva, si pone il problema dell'eventuale sospensione della terapia suddetta con un possibile aumento del rischio trombotico, o proseguimento della stessa con un possibile aumento del rischio emorragico. In generale, se un paziente si sottopone ad un intervento chirurgico invasivo con alto rischio di emorragia, può temporaneamente sospendere la terapia. La decisione, tuttavia, non deve prescindere dalla valutazione di diversi fattori tra cui il rischio emorragico specifico dell’intervento e il rischio tromboembolico del paziente: nei pazienti ad alto rischio tromboembolico, infatti, viene effettuata una terapia ‘’ponte’’, nel periodo peri-operatorio, che consiste nella somministrazione di un anticoagulante a breve durata di azione, generalmente eparina, nel corso dell’interruzione temporanea della iniziale terapia antitrombotica. In ogni caso, soprattutto nei pazienti ad alto rischio tromboembolico, il periodi di sospensione della terapia con farmaci anticoagulanti, incluso quello della terapia ponte, dovrebbe essere il più breve possibile.

2 di 10 Domande

L'associazione di cianosi, policitemia e dita a bacchetta di tamburo e' suggestiva per:














La risposta corretta è la B.
Per fistola arterovenosa polmonare si intende un’anomala comunicazione tra arteria e vena polmonare, che determina la formazione di uno shunt destro-sinistro.
Più frequenti in età adulta e a livello delle basi polmonari, le FAV polmonari nella maggior parte dei casi si manifestano nell’ambito della malattia di Rendu-Osler (o teleangectasia emorragica ereditaria) con dispnea, cianosi con poliglobulia, ippocratismo digitale, ascessi ed emboli cerebrali.
La diagnosi di shunt può essere confermata dall’emogasanalisi arteriosa, dove si riscontrano ipossiemia con aumento del gradiente alveolo-arterioso nonostante la somministrazione di ossigeno. La radiografia e, in particolare, la TC torace mettono in evidenza le fistole.
Il trattamento prevede l’occlusione della fistola in corso di angiografia polmonare.
​​​​​​​La risposta A non è corretta.
L’atelettasia polmonare è una perdita di volume del parenchima polmonare dovuta al collasso degli alveoli. Può essere asintomatica o manifestarsi con dispnea, ridotta saturazione dell’ossigeno e polmoniti secondarie; raramente si presenta con cianosi e dolore toracico.
La risposta C non è corretta.
Lo pneumotorace si definisce come la presenza di aria all’interno della cavità pleurica. Più frequentemente è spontaneo, soprattutto nei soggetti giovani, oppure può essere secondario a traumi o iatrogeno; si manifesta tipicamente con dispnea, ipossia, dolore toracico ed intrascapolare.
La risposta D non è corretta.
La sindrome della vena cava superiore è causata da ostruzione o compressione della vena cava superiore, quindi si manifesta con cefalea, gonfiore, edema a mantellina, turgore delle giugulari, sintomi e segni che si accentuano in posizione supina o seduta.

3 di 10 Domande

Scenario ZL1Z: Una paziente di 19 anni si presenta in Pronto Soccorso per una sintomatologia comparsa dopo colpo di tosse e caratterizzata da dolore a coltellata all'emitorace dx, seguito da dispnea. La diagnosi piu' probabile e':














La risposta corretta è la C.
Lo pneumotorace è definito come la presenza di aria nel cavo pleurico.
L’aria può entrare nel cavo pleurico attraverso una lesione della pleura viscerale o tramite una soluzione di continuo della parete toracica: in ogni caso la pressione negativa endopleurica favorisce l’ingresso d’aria, fino all’equilibrio con la pressione atmosferica. Conseguentemente il polmone omolaterale collassa, poiché il ritorno elastico non è più controbilanciato dalla pressione negativa del cavo pleurico.
Nella maggior parte dei casi, lo pneumotorace si autolimita con chiusura della breccia; ma in una minoranza dei casi si instaura un meccanismo a valvola per cui l’aria entra durante l’inspirazione, ma non esce durante l’espirazione, andandosi ad accumulare progressivamente e determinando il collasso completo del polmone omolaterale e lo spostamento del mediastino controlateralmente: si parla di pneumotorace iperteso.
Più spesso lo pneumotorace insorge spontaneamente, soprattutto in soggetti giovani, alti, magri e longilinei che hanno avuto una rapida crescita in fase adolescenziale.
La causa più frequente è rappresentata dalla rottura di piccole bolle di enfisema parasettale, dovuta a bruschi aumenti pressori a livello alveolare (come in seguito ad un colpo di tosse) o a brusche variazioni della pressione atmosferica.
Sempre presente è il dolore ad esordio improvviso, di tipo puntorio o trafittivo, localizzato più spesso nella regione apicale o scapolare dell’emitorace corrispondente e che si modifica con gli atti respiratori; la dispnea dipende dall’entità dello pneumotorace, ma di solito è lieve, tranne nello pneumotorace iperteso (in cui saranno presenti anche tosse, tachicardia e ipotensione fino allo scompenso cardiaco congestizio).

4 di 10 Domande

Scenario TF4B: Un paziente affetto da un nodulo polmonare è stato sottoposto ad agoaspirato TAC guidato. Dopo poche ore comincia a lamentare dispnea ingravescente. Qual e' la causa piu' probabile della dispnea?














La risposta corretta è la B.
Lo pneumotorace è definito come la presenza di aria nel cavo pleurico.
L’aria può entrare nel cavo pleurico attraverso una lesione della pleura viscerale o tramite una soluzione di continuo della parete toracica: in ogni caso la pressione negativa endopleurica favorisce l’ingresso d’aria, fino all’equilibrio con la pressione atmosferica. Conseguentemente il polmone omolaterale collassa, poiché il ritorno elastico non è più controbilanciato dalla pressione negativa del cavo pleurico.
Nella maggior parte dei casi, lo pneumotorace si autolimita con chiusura della breccia; ma in una minoranza dei casi si instaura un meccanismo a valvola per cui l’aria entra durante l’inspirazione, ma non esce durante l’espirazione, andandosi ad accumulare progressivamente e determinando il collasso completo del polmone omolaterale e lo spostamento del mediastino controlateralmente: si parla di pneumotorace iperteso.
Più spesso lo pneumotorace insorge spontaneamente, soprattutto in soggetti giovani, alti, magri e longilinei che hanno avuto una rapida crescita in fase adolescenziale: in questo caso la causa più frequente è rappresentata dalla rottura di piccole bolle di enfisema parasettale, dovuta a bruschi aumenti pressori a livello alveolare o a brusche variazioni della pressione atmosferica.
Più raramente lo pneumotorace è secondario a traumi accidentali (frattura di una costola, inalazione di un corpo estraneo, rottura di un bronco o perforazione dell’esofago) o iatrogeni, in seguito a procedure diagnostiche invasive a carico della cavità toracica come agoaspirazione transtoracica, toracentesi, posizionamento di un catetere venoso centrale o anche in seguito alla rianimazione cardiopolmonare.

5 di 10 Domande

Scenario TG5C: Un paziente di 72 anni, non fumatore, esegue una TAC del torace che evidenzia un'opacità fortemente sospetta per neoplasia. A prescindere dalla stadiazione, quale tipo istologico ha prognosi peggiore?














La risposta corretta è la A.
Il cancro del polmone è ritenuto la causa più comune di morte per neoplasia negli uomini, anche se, negli ultimi anni, è cresciuto il tasso di mortalità anche nelle donne, a causa della diffusione dell’abitudine tabagica.
Per una corretta stadiazione, trattamento e prognosi, la maggior parte dei tumori polmonari vengono distinti in carcinoma polmonare a piccole cellule (microcitoma, SCLC), carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), tumori a grandi cellule e altri tipi minori di tumori polmonari.
Il carcinoma polmonare a piccole cellule è il tumore polmonare a prognosi peggiore: si distingue dal carcinoma non a piccole cellule per il suo rapido tempo di raddoppiamento, l’alta percentuale di crescita e lo sviluppo precoce di metastasi diffuse, presenti in ben il 70% dei casi alla diagnosi; inoltre, sebbene il tumore sia inizialmente molto sensibile alla chemioterapia e alla radioterapia, la maggior parte dei pazienti ripresenterà una malattia resistente entro pochi mesi dalla terapia iniziale.
Ai fini della prognosi e del trattamento del microcitoma, più che la classificazione TNM è importante la distinzione in due stadi di malattia: malattia limitata, con cui si intende una neoplasia confinata a un solo emitorace, con possibilità di interessamento metastatico dei linfonodi ilari, mediastinici e sopraclavicolari omolaterali e/o con presenza di versamento pleurico; malattia estesa quando un microcitoma si estende oltre questi limiti teorici.
In virtù delle caratteristiche biologiche del SCLC, la chirurgia riveste un ruolo limitato nel trattamento, mentre chemio e radioterapia sono fondamentali. La sopravvivenza mediana è di circa 15 mesi per la malattia limitata e di 9 mesi per la malattia estesa; intorno al 25% dei pazienti per la malattia limitata e al 5% per la malattia estesa sopravvive a 2 anni dalla diagnosi.

6 di 10 Domande

Scenario ED1Q: Un contadino di 54 anni esegue una radiografia del torace per tosse e saltuaria emottisi. L'RX evidenzia presenza di una lesione da cisti da echinococco al lobo inferiore sinistro. Qual e' il serbatoio di infezione per l'uomo di tale patologia?














La risposta corretta è la A.
L’echinococcosi cistica è l’infestazione da larve di Echinococcus granulosus.
Presenta maggiore prevalenza nelle popolazioni dedite all’allevamento del bestiame e alla pastorizia.
E. granulosus allo stadio di verme adulto parassita senza provocare disturbi l’intestino tenue del cane domestico e dei canidi selvatici; l’uomo e altri ospiti intermedi (generalmente ovini) si infestano ingerendo accidentalmente le uova, contenenti l’embrione esacanto, emesse con le feci dei cani nel terreno.
L’ospite definitivo, il cane, si infesta mangiando le viscere contaminate degli animali ospiti intermedi; nel suo intestino gli scolici si fissano alla mucosa e sviluppano in verme adulto in circa 30-80 giorni.
Nell’intestino umano dalle uova si libera l’embrione, detto oncosfera, che raggiunge per via portale il fegato; si può quindi arrestare in questa sede o raggiungere il cuore destro e i polmoni. Nel caso in cui oltrepassi anche questo secondo filtro, può disseminare in tutti gli organi, in particolare a livello cerebrale e renale.
Nella sede in cui si arresta, l’embrione inizia a trasformarsi in cisti e dà rapidamente origine a vescicole che aumentano di volume determinando una progressiva compressione dei tessuti circostanti, che però si manifesta solo tardivamente, rimanendo silente nelle fasi iniziali. Nell’idatidosi epatica possono comparire dolore e senso di peso in ipocondrio destro, ittero recidivante, febbricola, disturbi dispeptici; nell’idatidosi polmonare si manifestano febbricola, tosse con espettorazione talvolta ematica, dolori toracici.
La sintomatologia diventa più imponente in caso di complicazioni come la rottura di una cisti che comporta la comparsa di una sintomatologia di natura tossico-allergica.
La diagnosi è spesso casuale in corso di ecografia epatica o RX del torace, viene poi confermata con dimostrazione nel siero di anticorpi anti E. granulosus.

7 di 10 Domande

Scenario ED1Q: Un contadino di 54 anni esegue una radiografia del torace per tosse e saltuaria emottisi. L'RX evidenzia presenza di una lesione da cisti da echinococco al lobo inferiore sinistro. La terapia di scelta dell'idatidosi polmonare e':














La risposta corretta è C.
Per le localizzazioni polmonari, l’asportazione chirurgica delle cisti idatidee è ancora il metodo di scelta. Controindicazioni relative, oltre a quelle generiche anestesiologiche, sono le cisti multiple o di difficile accessibilità. La resezione chirurgica è preceduta dall’instillazione di una sostanza scolicida (soluzione ipertonica) per evitare il rischio di disseminazione in caso di rottura delle cisti in corso di intervento.
Gli obiettivi della terapia chirurgica consistono nell’evacuazione della cisti e nella distruzione della cavità residua. La procedura chirurgica più sicura ed efficace è incerta e l’approccio chirurgico deve essere personalizzato a seconda delle caratteristiche della cisti; la rimozione della cisti intatta è preferibile, se possibile; in alternativa, la cisti può essere aperta e sterilizzata con agenti protoscolicidi, con successiva esecuzione dell’evacuazione del contenuto e della rimozione del tessuto pericotico
I trattamenti percutanei sono indicati in caso di cisti addominali, in pazienti che non possono essere operati, donne gravide, bambini di età inferiore a 3 anni, in presenza di cisti multiple, in caso di recidiva.
La terapia medica è obbligatoria prima e dopo tutti i casi di resezione chirurgica e in associazione alla terapia percutanea; permette di ottenere una guarigione completa nel 30-40% dei casi e di bloccare l’evoluzione della cisti nel 30-50%. Farmaco di prima scelta è l’albendazolo al dosaggio di 400mg per 2 vv/die per 30 giorni consecutivi; oggi in realtà si preferisce il trattamento continuo, senza interruzioni tra un ciclo di 30 giorni e il successivo. La durata della terapia è discussa tra 2 anni o più.

8 di 10 Domande

Scenario AA4Q: A un paziente di 73 anni viene diagnosticato un mesotelioma di tipo epiteliomorfo II stadio. Il segno di esordio del mesotelioma piu' frequente tra quelli riportati e':














La risposta corretta è la A.
Il mesotelioma è un tumore che trae origine dalla trasformazione neoplastica delle cellule mesoteliali di rivestimento delle principali cavità sierose: pleura, peritoneo e pericardio. Ha più spesso sede a livello pleurico (60-70% dei casi).
Il mesotelioma pleurico colpisce in prevalenza i soggetti di sesso maschile con un picco di massima incidenza al 5-6° decennio di vita.
Numerose evidenze sperimentali e cliniche hanno dimostrato l’esistenza di un rapporto di causa-effetto tra l’esposizione all’asbesto e l’insorgenza del mesotelioma.
Clinicamente, i mesoteliomi solitari sono spesso silenti e i sintomi si manifestano solo quando il volume della neoplasia provoca sintomi da compressione, come dolore toracico, febbre, tosse, dispnea.
La diffusione al mediastino della neoplasia può comportare la paralisi delle corde vocali, l’insorgenza della sindrome di Claude-Bernard-Horner, la sindrome da compressione della vena cava superiore e inferiore. Ma il segno di maggior riscontro (80% dei casi) è il versamento pleurico emorragico, libero o saccato. All’RX si manifesta con un’ipodiafania o con un’opacità totale o parziale; con l’aumentare del volume del versamento pleurico si osserva l’obliterazione progressiva dell’angolo costo-frenico posteriore, di quello esterno e, infine, di quello anteriore. Il liquido, simultaneamente, risale lungo la cavità pleurica circondando “a mantellina” il polmone.
La gran parte dei pazienti muore per le complicanze legate alla progressione locale della malattia: l’aumento della massa neoplastica annulla gradualmente lo spazio pleurico e sostituisce il versamento provocando l’insorgenza di un’insufficienza respiratoria progressiva, di polmoniti, di disturbi miocardici e del ritmo cardiaco.
Per quanto riguarda la diagnosi, l’esame radiologico rappresenta l’indagine di prima istanza, seguito dalla TC estesa per consentire la stadiazione della neoplasia e dall’analisi del liquido pleurico e dalla biopsia della pleura.​​​​​​​

9 di 10 Domande

Scenario XX4B: A una donna di 54 anni in buone condizioni viene diagnosticato un adenocarcinoma polmonare stadio IIIA (T2a, N2, M0). Che tipo di trattamento e' indicato?














La risposta corretta è la D.
Lo stadio IIIA (T2a, N2, M0) dell’adenocarcinoma polmonare indica un tumore di diametro superiore a 3cm ma inferiore a 5cm, con metastasi ai linfonodi ipsilaterali mediastinici e/o della carena, in assenza di metastasi a distanza.
A questo stadio il trattamento prevede l’intervento chirurgico seguito da chemioterapia adiuvante.
La chirurgia ha un ruolo terapeutico fondamentale e determina la maggior probabilità di guarigione: di solito consiste in una lobectomia, bi-lobectomia o pneumectomia a seconda dell’estensione della neoplasia, associata a linfoadenectomia in caso di interessamento linfonodale ed è ritenuta radicale quando si ottiene l’asportazione di tutta la malattia visibile e i margini di resezione sono negativi.
Poiché spesso nello stadio III la radicalità chirurgica non è possibile, si associa trattamento chemioterapico adiuvante costituito da uno schema a base di platino in associazione a un farmaco chemioterapico di terza generazione e si è visto che la chemioterapia determina un vantaggio di sopravvivenza a 5 anni dal 4 al 15% rispetto al semplice follow-up.

La risposta A non è corretta.
Il solo intervento chirurgico è previsto solo nel caso in cui sia dimostrata la radicalità chirurgica, solitamente negli stadi I e II di tumore del polmone.
La risposta B non è corretta.
Il solo trattamento chemioterapico è riservato a pazienti con cancro polmonare in stadio avanzato ovvero IIIB e IV: questi pazienti vengono considerati non candidabili all’intervento chirurgico per storia naturale di malattia.
La scelta della terapia è basata sulle comorbidità del paziente, sulle tossicità teoriche e attese, sulla compliance dello stesso, sull’istologia e sulla presenza o meno di alterazioni molecolari in geni target.
La risposta C non è corretta.
Il solo trattamento radioterapico è previsto in pazienti che per età, condizioni generali, ridotte funzionalità respiratoria e cardiaca non possono essere sottoposti a intervento chirurgico radicale.

10 di 10 Domande

Nell’ asma bronchiale acuto severo quale dei seguenti rappresentano i farmaci di prima scelta?














La risposta corretta è la E.
In caso di attacco acuto severo di asma bronchiale, i farmaci di prima scelta sono i Beta-2-agonisti, che fungono da agonisti dei recettori beta 2 adrenergici della muscolatura liscia bronchiale, essendo così responsabili del suo rilassamento e della conseguente bronco-dilatazione, in particolare quelli selettivi a breve durata di azione, di cui il più noto è il salbutamolo. 
L’asma bronchiale è una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree, a carattere ostruttivo, il cui decorso è caratterizzato da periodi clinicamente silenti, accompagnati da periodiche riesacerbazioni. Il suo aspetto peculiare è la reversibilità e l’accessualità delle manifestazioni cliniche. I sintomi tipici comprendono: respiro sibilante, dispnea, tosse, senso di costrizione toracica. La sintomatologia è da attribuire ad una condizione di iperreattività bronchiale accompagnata ad uno stato infiammatorio, dovuto all’infiltrazione cronica delle pareti bronchiali da parte di cellule quali granulociti, mastociti ed eosinofili, rilascio di mediatori dell’infiammazione e rimodellamento della struttura delle vie aeree per la fibrosi sub-epiteliale, l’ipertrofia e l’iperplasia della muscolatura liscia.
Nei soggetti affetti, le riacutizzazioni possono avere vari fattori scatenanti: l’esposizione a specifici allergeni, l’inalazione di sostanze irritanti, l’assunzione di farmaci (in particolar modo FANS e beta-bloccanti), le infezioni delle vie aeree e anche lo sforzo fisico in ambiente freddo. Tutti questi fattori possono causare episodi di broncocostrizione, con rilascio di mediatori infiammatori, e dare quindi origine ad una crisi asmatica.   
 

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