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1 di 10 Domande

Scenario clinico 29. Un uomo di 66 anni viene portato in ospedale dal figlio. Il paziente riferisce che non "sembra essere più lui", di aver problemi di mobilità e nello svolgimento dei normali compiti domestici. Il figlio ha visto una trasmissione sul morbo di Parkinson in televisione ed è preoccupato che il padre possa soffrirne. Quale dei seguenti NON è un sintomo del morbo di Parkinson? 














La risposta corretta è la B.
Le saccadi oculari non fanno parte della sintomatologia del morbo di Parkinson. In dettaglio, tale morbo si caratterizza per la degenerazione neuronale della pars compacta della substantia nigra e la presenza di depositi proteici nel citoplasma dei neuroni (detti corpi di Lewy). Fisiopatologicamente, la perdita progressiva delle proiezioni neuronali dopaminergiche della substantia nigra determina una riduzione del contenuto di dopamina; di conseguenza, si riscontra un incremento dell’attività eccitatoria glutammatergica nel nucleo subtalamico, una eccessiva inibizione del talamo da parte dei gangli della base ed una riduzione dell’attività eccitatoria a livello delle regioni corticali. È clinicamente caratterizzata da tremore a riposo, bradicinesia, rigidità, e, nelle fasi più avanzate, instabilità posturale e blocchi motori (freezing del passo) (risposte A, C, D ed E errate). Come sintomi meno frequenti è possibile riscontrare: demenza (che può svilupparsi in circa un terzo dei pazienti, generalmente nelle fasi avanzate della patologia), disturbi del sonno e sintomi neurologici non correlati al parkinsonismo, come l’anosmia, la dismotilità esofagea, intestinale ed esitazione e/o urgenza minzionale. 


2 di 10 Domande

Riferito allo scenario clinico 29. Quale di queste affermazioni è VERA per il morbo di Parkinson?  














La risposta corretta è la D.
Il fattore di rischio più costante per il morbo di Parkinson è l’età. In particolare, tale morbo è generalmente idiopatico e colpisce più frequentemente il sesso maschile (risposta A errata). Ha un'età media di insorgenza di 57 anni (risposte C ed E errate). Inoltre, solo lo 0,4% delle persone colpite da questa patologia ha meno di 40 anni (risposta B errata), da cui si evince che l’età è il fattore di rischio più costante per il morbo di Parkinson. In caso di esordio in età compresa tra 21 e 40 anni, il morbo di Parkinson è definito ad insorgenza giovanile o precoce.


3 di 10 Domande

Riferito allo scenario clinico 29. Per quanto riguarda i fattori di rischio e l'epidemiologia del morbo di Parkinson Idiopatico (IPD), quale delle seguenti affermazioni è VERA?  














La risposta corretta è la B.
Il fattore di rischio più costante per il morbo di Parkinson è l’età, con un'età media di insorgenza di 57 anni. Sono considerati fattori di rischio di tale malattia il sesso maschile e l’etnia: sono colpiti maggiormente i caucasici, meno gli asiatici e i neri africani. All’opposto, sono fattori di rischio meno costanti fattori ambientali, come l’esposizione a pesticidi e solventi (risposta D errata). Infine, il fumo non è incluso fra i fattori di rischio e gli antiossidanti non sono un fattore protettivo contro il Parkinson idiopatico (risposte C ed E errate).


4 di 10 Domande

Scenario clinico 30. Una ragazza di 32 anni ha partorito un mese fa mediante parto naturale. Il bambino è stato allattato esclusivamente al seno ed è in ottima salute. Nel corso delle ultime 24 ore, la paziente ha iniziato a sentirsi poco bene: riferisce sintomi simil-influenzali, tra cui febbre, mialgia e contrazioni muscolari. I quadranti superiori del suo seno sinistro appaiono gonfi, dolorosi, caldi ed iperemici. La sua temperatura corporea è di 38,5 ° C, presenta un’area calda, arrossata, gonfia ma non dura in sede retro-areolare e all’unione dei quadranti superiori del seno sinistro. Qual è la diagnosi?  














La risposta corretta è la B.
La paziente del caso clinico, in base ai dati clinico-anamnestici e laboratoristici, è affetta verosimilmente da mastite, un processo flogistico a carico della mammella. La causa più frequente, anche se non unica, è quella infettiva, soprattutto di eziologia stafilococcica. I sintomi sono solitamente febbre alta associata a dolore, iperemia, eritema, edema, gonfiore, indurimento, tensione e calore a livello della mammella. La diagnosi è clinica. Inoltre, in questo caso clinico, l’area patologica è localizzata in sede retro-areolare e all’unione dei quadranti superiori, quindi, si può attribuire a una patologia della ghiandola mammaria e non del capezzolo (risposte A ed E errate). In genere, l’ostruzione di uno o più dotti galattofori assume l'aspetto di un nodulo morbido sui piani sottostanti, più o meno palpabile e con margini definiti. Non si associa ai segni dell’infiammazione, come arrossamento, calore e tumefazione della cute o febbre (risposta C errata). All’opposto, l’ascesso mammario sub-areolare, condizione molto rara, è una complicanza della mastite o di interventi chirurgici (risposta D errata).


5 di 10 Domande

Riferito allo scenario clinico 30. Qual è la causa principale della condizione di questa paziente?  














La risposta corretta è la C.
La mastite da allattamento è causata dalla stasi del latte all’interno dei dotti galattofori. In genere, tale patologia è correlata a un trauma del capezzolo. Se i sintomi persistono oltre le 12-24 ore, si sviluppa una mastite batterica, poiché il latte materno contiene batteri. Nella maggior parte dei casi è causata dallo Stafilococco aureus, molto più raramente da altri microrganismi, come la Candida Albicans, la cui diagnosi differenziale si basa sulle caratteristiche del dolore lancinante non diffuso e sulla formazione di una patina biancastra a livello della zona infiammata (risposta A errata). Inoltre, essendo una condizione legata alla stasi di latte, un frequente svuotamento, un corretto drenaggio che può essere o meno coadiuvato dall’uso del tiralatte e una ridotta produzione di latte non causano tale patologia (risposte B, D ed E errate).


6 di 10 Domande

Riferito allo scenario clinico 30. Qual è la terapia?














La risposta corretta è la C.
Nella   gestione   di   una   mastite    infettiva  con persistenza di febbre da almeno 12-24 ore, nonostante una terapia sintomatica e di “svuotamento”, è indicata la coltura del latte materno per orientare la terapia antibiotica. In caso di infezione da Stafilococco aureus non meticillina-resistente, la terapia consiste nella somministrazione di dicloxacillina, mentre, in caso di allergia alle penicilline può essere usata la clindamicina. In caso di infezione da Stafilococco aureus meticillina-resistente, la terapia consiste nella somministrazione di trimethoprim-sulfametossazolo o clindamicina. Inoltre, contemporaneamente è consigliabile continuare l’allattamento. Infatti, la gestione della mastite da allattamento consiste nel trattamento sintomatico volto a ridurre il dolore e il gonfiore (ad esempio, con FANS, impacchi freddi) e nello svuotamento completo del seno (ad esempio, con allattamento, pressione manuale o estrazione con tiralatte) (risposte A, D ed E errate). Al contrario, la prescrizione di antimicotici (ad esempio, fluconazolo) avviene nei rarissimi casi di mastite fungina (nella maggior parte dei casi dovuta a Candida Albicans), essendo, tali farmaci sconsigliati durante l’allattamento (risposta B errata). 


7 di 10 Domande

Scenario clinico SS31. Un bambino di quattro anni, precedentemente sempre in buono stato di salute, presenta un'eruzione cutanea mostrata in figura, senza febbre. Due settimane prima ha sviluppato un eritema nella medesima sede (che è costantemente aumentato di dimensioni) e nell'ultima settimana alterazioni cutanee molto simili nelle sedi corporee limitrofe. Tali alterazioni cutanee appaiono umide, ma non pruriginose, né sono visibili delle vescicole e/o bolle. Quale delle seguenti descrive meglio questa eruzione cutanea? 

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La risposta corretta è la B.
Il paziente del caso clinico presenta un quadro dermatologico compatibile con impetigine bollosa, un'eruzione cutanea vescicolare. In particolare, l’assenza di vescicole visibili è dovuta al fatto che, appena formate, tendono a rompersi facilmente.


8 di 10 Domande

Riferito allo scenario clinico SS31. Qual è la sua diagnosi?














La risposta corretta è la D.
Il paziente, in base ai reperti clinico-anamnestici e laboratoristici, verosimilmente presenta l'impetigine bollosa, una infezione provocata da germi piogeni e comune in età pediatrica. Fattori di rischio importanti sono l'umidità ambientale e la scarsa igiene. Si distingue in bollosa o non bollosa. Si manifesta con croste o bolle e colpisce più frequentemente il volto e gli arti. I due patogeni più comuni sono: 
•    lo Staphylococcus aureus, causa prevalente di impetigine non-bollosa e di ogni impetigine bollosa;
•    lo Streptococcus beta-emolitico di gruppo A, causa di impetigine non bollosa.
Invece, la psoriasi, una patologia infiammatoria, si manifesta solitamente con papule e placche di color salmone ben circoscritte, eritematose e ricoperte da squame argentee (risposta A errata). Al contrario, la tigna corporis è una dermatofitosi fungina responsabile di lesioni cutanee di forma tondeggiante od ovoidale (risposta C errata). All’opposto, la dermatite allergica da contatto è una reazione da ipersensibilità di tipo IV, caratterizzata da prurito (il dolore è di solito causato dall’infezione o dal grattamento) e da lesioni cutanee. Infine, il paziente non presenta ustioni o scottature, in quanto non riportato in anamnesi e per l’assenza dei tipici flitteni (risposta B errata).


9 di 10 Domande

Riferito allo scenario clinico SS31. Quale fra le seguenti opzioni non farà parte del trattamento di tale condizione?














La risposta corretta è la D.
L'area cutanea interessata da impetigine bollosa deve essere lavata delicatamente più volte al giorno con acqua e sapone per rimuovere le croste. Quindi, lasciare le croste in situ non fa parte del trattamento di tale condizione. Il trattamento per l'impetigine localizzata è topico con mupirocina o retapamulina e acido fusidico al 2% in crema. Per i casi di impetigine diffusa o grave può essere necessaria l’antibioticoterapia per via orale. In caso di diagnosi dubbia, si dovrebbero prendere tamponi per la microscopia batterica e la coltura (risposte A, B, C ed E errate).


10 di 10 Domande

Quale molecola produce il gene SERPINA1?  














La risposta corretta è la E.
Il gene SERPINA1 produce la molecola di Alfa-1-antitripsina (AATD). In particolare, il deficit di Alfa-1-antitripsina (AATD) determina una malattia genetica, che si manifesta con enfisema polmonare, cirrosi epatica e, raramente, con pannicolite. È caratterizzata da bassi livelli di AAT nel siero, il principale inibitore delle proteasi sieriche umane. La diagnosi può essere stabilita in base ai bassi livelli di AAT nel siero.


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