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1 di 3 Domande

Che cos'è lo strumento raffigurato nella fotografia?

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La Risposta Corretta e’ la D

Possiamo suddividere gli strumenti chirurgici in quattro categorie: strumenti chirurgici taglienti, pinze, divaricatori, portaghi.

Gli strumenti taglienti sono tutti gli strumenti impiegati per l’incisione e per la sezione dei tessuti; i principali sono i bisturi e le forbici.

Le pinze si possono dividere in pinze da dissezione, da presa, emostatiche e fissateli, in relazione al loro impiego.

I portaghi sono strumenti necessari per la sutura manuale con ago; la loro scanalatura a livello del morso ne permette la tenuta.

I divaricatori si differenziano in divaricatori retrattori e divaricatori autostatici; vengono impiegati per ottenere una migliore visuale del campo chirurgico. I divaricatori autostatici mantengono autonomamente la posizione impostata invece quelli retrattori vengono maneggiati dai membri dell’equipe.

I divaricatori retrattori di Farabeuf sono tra quelli più usati; si utilizzano per le piccole e medie profondità (risposta D corretta).

l divaricatore di Bracci è un divaricatore utilizzato nella chirurgia urologica, a livello vescicale.

I retrattori di Saint Mark sono dei retrattori addominali, delle spatole di profondità, indicate soprattutto per la chirurgia pelvica e del retto.

Il rinoscopio è uno strumento a specchio utilizzato per esaminare le cavità nasali.


2 di 3 Domande

Paziente, di 70 anni, affetto da adenocarcinoma della prostata. In seguito a insorgenza di algie ossee diffuse, esegue una scintigrafia ossea.
Il quadro descritto dall'immagine è anche detto?

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Il cancro alla prostata è la neoplasia con la più alta incidenza negli uomini e dal punto di vista istologico è solitamente un adenocarcinoma. Il cancro alla prostata è il tumore più comune negli uomini  e la seconda più grande causa di mortalità neoplastica nel sesso maschile. Tuttavia, la maggior parte degli uomini con cancro della prostata diagnosticato muoiono per la malattia che ha un decorso abbastanza lento, anche se nelle fasi iniziali la maggior parte degli uomini non ha sintomi e quindi per anche alcuni anni tale malattia può rimanere misconosciuta. La prognosi comunque è buona soprattutto per le forme localizzate.

I fattori di rischio per il cancro alla prostata includono l’età, la razza afro-americana ed una storia familiare positiva per cancro alla prostata.

Resta asintomatico fino alla comparsa di ematuria e ostruzione del flusso urinario dovuto alla crescita volumetrica. Il valore ematico di PSA e l’esplorazione rettale sono il primo approccio per la diagnosi che deve essere confermata dall’analisi dei reperti bioptici della prostata.

Quando la malattia si trova in una fase più avanzata, il quadro clinico che si può presentare si caratterizza per ematuria, sintomi di ostruzione urinaria ed alterazione della funzionalità sessuale; in fase particolare avanzata ci possono essere metastasi ossee, sopratutto di tipo osteo-addensante, che possono determinare dolore osseo e fratture patologiche.

La diffusione di questa neoplasia può avvenire per contiguità, per via ematica e per via linfatica. Generalmente, la diffusione ematica avviene successivamente rispetto a quella linfatica. Per via ematica, possiamo avere la frequente metastatizzazione a livello dell’apparato scheletrico, soprattutto bacino, colonna vertebrale, coste, femore e omero alle estremità prossimali (altre localizzazioni che interessano i visceri, solitamente più tardive, sono polmoni, fegato, surrene, rene e raramente testicolo). I dolori ossei talvolta possono essere il sintomo d’esordio della neoplasia che purtroppo risulta essere quindi già avanzata. La diagnosi di cancro alla prostata si fa con: esplorazione rettale, ecografia prostatica transrettale, dosaggio PSA, biopsia prostatica.

Una volta diagnosticata è importante a scopo terapeutico determinare la stadiazione e classificazione della malattia, ove a tal fine si utilizza abitualmente il Gleason score.

La scintigrafia è la tecnica più adatta per l’identificazione di metastasi ossee secondarie a neoplasie primitive di altri organi;  in questo è molto più sensibile rispetto alle tecniche radiografiche. Attualmente, i radiofarmaci più utilizzati per lo studio scintigrafico dell’osso sono i bifosfonati per la loro capacità di legarsi ai cristalli di idrossiapatite idratata presenti nelle lesioni ossee metaboliche attive o nei centri di crescita. A causa di questa maggiore attività osteoblastica, come nel caso delle metastasi da K prostata, le lesioni interessanti lo scheletro saranno ipercaptanti e quindi avremo una concentrazione maggiore di radiofarmaco. Un quadro particolare di attività metabolica è il cosiddetto “superscan” o beautiful bone scan (risposta A esatta). Si tratta di una scintigrafia ossea in cui abbiamo un aumento di contrasto tra osso e tessuti molli che presentano la quasi totale assenza di radioattività. E’ frequentemente osservato nel tumore alla prostata (meno frequentemente per la neoplasia alla mammella, alla vescica, al linfoma) e d è dovuto ad un processo di micrometastatizzazione.  Di solito questa ipercaptazione da micrometastatizzazione non riguarda le ossa della teca cranica e le ossa lunghe come invece accade in alcune malattie metaboliche come iperparatiroidismo o osteomalacia.

Il trattamento per questo tipo di carcinoma può includere la vigile attesa, la chirurgia, la radioterapia, la chemioterapia, la criochirurgia, la terapia ormonale o una combinazione di queste.


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Dati i risultati della spirometria riportata, quale ulteriore indagine è opportuna per chiarire l'ipotesi diagnostica?

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Il test più frequentemente utilizzato per la misura dei volumi statici e dinamici è la spirometria che, con l’applicazione del principio di Venturi, misura la quantità di aria inspirata ed espirata. I volumi polmonari vengono espressi in litri, a pressione ambientale satura di vapore acqueo a 37°C.

Distinguiamo i volumi polmonari statici (Vt o volume corrente; VRI o volume di riserva inspiratoria; VRE o volume di riserva espiratoria; VR o volume residuo) e dinamici (VEMS o volume espiratorio massimo al secondo o FEV1; CVF o capacità vitale forzata; MVV o massima ventilazione volontaria). Le capacità polmonari includono CV o capacità vitale, CI o capacità inspiratoria, CFR o capacità funzionale residua e CPT o capacità polmonare totale. Andiamo ad analizzare i risultati del nostro esame spirografico partendo da alcuni presupposti: la FVC indica il volume totale di aria che viene espulsa in una espirazione forzata, partendo da una inspirazione massimale; la FEV1 è il volume di aria espirata nel 1° secondo di una espirazione forzata, partendo da una piena inspirazione; il MEF esprime la velocità massima che viene data all’aria durante l’esecuzione di una espirazione forzata iniziata dopo una inspirazione completa (convenzionalmente si valutano i massimi flussi al 25%, al 50% e al 75% della CVF); il rapporto FEV1/FVC (FEV1% o indice di Tiffenau) è la percentuale di CV espirata nel primo secondo; il FEF 25-75% è il flusso medio di aria espirata durante una espirazione forzata (viene solitamente misurato dal punto in cui il 25% sino al 75% della CVF è stato espirato). Nel caso da noi considerato notiamo in particolare una VEMS (o FEV1) bassa, un PEF basso e un basso rapporto FEV1/CVF: questi risultati sono tipici dei pattern ostruttivi intrapolmonari come nel caso di asma bronchiale, BPCO e nelle bronchiectasie. Per chiarire la natura di questa condizione è indicato eseguire alcuni esami integrativi come il test di reversibilità, o test di broncodilatazione (risposta B corretta). Lo scopo di questa prova è di valutare la regressione dell’ostruzione delle vie aeree con la somministrazione di un broncodilatatore così da differenziare l’asma bronchiale dalla BPCO. In seguito alla spirometria basale si fa inalare al paziente una dose di 200-400 mcg di un ß2 agonista (es. salbutamolo) e dopo circa 10-20 minuti si ripete la spirometria che verrà confrontata con quella precedente. La risposta viene valutata sulla base dell’aumento percentuale della FEV1. Si possono ottenere tre risultati:

-aumento della FEV1 di più del 12% o di 200 ml rispetto al valore basale con ritorno a valori normali (>80% del predetto): il deficit respiratorio ostruttivo è reversibile quindi il pattern depone per asma bronchiale

-aumento della FEV1 del 12% o di 200 ml rispetto al valore basale ma comunque rimane < all’80% del teorico  e il rapporto FEV1/CVF è < a 70%: il deficit ostruttivo è parzialmente reversibile e può essere compatibile con BPCO o asma bronchiale.

-aumento della FEV1 inferiore al 12% o meno di 200 ml rispetto al valore basale: il deficit ostruttivo non è reversibile; è tipico della BPCO ma può essere presente anche nell’asma bronchiale grave persistente.

I risultati ottenuti dal nostro esame spirometrico non correlano in alcun modo con il sospetto di cardiopatie, nefropatie o neoplasie polmonari per cui le ipotesi suggerite dalle risposte A, C ed E non sono giustificabili.


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