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1 di 3 Domande

Dati i risultati della spirometria riportata, quale indirizzo diagnostico deve essere ritenuto più probabile?

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Le prove di funzionalità respiratoria sono dei test che permettono di valutare l’adeguatezza della ventilazione e degli scambi gassosi. Nel primo caso avremo le misure dei volumi polmonari e dei flussi respiratori oppure i test di funzionalità dei muscoli respiratori. Nel secondo caso avremo il test di diffusione del monossido di carbonio e l’emogas analisi arteriosa più la saturimetria. Il test più frequentemente utilizzato per la misura dei volumi statici e dinamici è la spirometria che, con l’applicazione del principio di Venturi, misura la quantità di aria inspirata ed espirata. I volumi polmonari vengono espressi in litri, a pressione ambientale satura di vapore acqueo a 37°C.

Distinguiamo i volumi polmonari statici (Vt o volume corrente; VRI o volume di riserva inspiratoria; VRE o volume di riserva espiratoria; VR o volume residuo) e dinamici (VEMS o volume espiratorio massimo al secondo o FEV1; CVF o capacità vitale forzata; MVV o massima ventilazione volontaria). Le capacità polmonari includono CV o capacità vitale, CI o capacità inspiratoria, CFR o capacità funzionale residua e CPT o capacità polmonare totale.

Andiamo ad analizzare i risultati del nostro esame spirografico partendo da alcuni presupposti: la FVC indica il volume totale di aria che viene espulsa in una espirazione forzata, partendo da una inspirazione massimale; la FEV1 è il volume di aria espirata nel 1° secondo di una espirazione forzata, partendo da una piena inspirazione; il MEF esprime la velocità massima che viene data all’aria durante l’esecuzione di una espirazione forzata iniziata dopo una inspirazione completa (convenzionalmente si valutano i massimi flussi al 25%, al 50% e al 75% della CVF); il rapporto FEV1/FVC (FEV1% o indice di Tiffenau) è la percentuale di CV espirata nel primo secondo; il FEF 25-75% è il flusso medio di aria espirata durante una espirazione forzata (viene solitamente misurato dal punto in cui il 25% sino al 75% della CVF è stato espirato). Nel caso da noi considerato notiamo in particolare una VEMS (o FEV1) bassa, un PEF basso e un basso rapporto FEV1/CVF: questi risultati sono tipici dei pattern ostruttivi intrapolmonari come nel caso di asma bronchiale, BPCO e nelle bronchiectasie (risposta C corretta).

Portiamo l’esempio della BPCO, che è una malattia polmonare non completamente reversibile, caratterizzata da ostruzione bronchiale persistente spesso associata a significativi effetti extrapolmonari. L’ostruzione bronchiale ha in genere un andamento progressivo ed è accompagnata da un’abnorme risposta infiammatoria broncopolmonare a inquinanti ambientali in particolare il fumo. Questa paziente ha un’anamnesi fisiologica positiva per essere un accanito fumatore e probabilmente soffre di una malattia polmonare cronica ostruttiva (BPCO) non diagnosticata. La BPCO deriva da un’ostruzione del flusso d’aria polmonare, che porta ad un intrappolamento dell’aria nei polmoni con conseguente aumento del volume residuo (VR), della capacità funzionale residua (FRC) e della capacità polmonare totale (TLC). L’ostruzione bronchiale viene definita in base al rapporto VEMS/CVF inferiore a 0,7 (detto anche coefficiente di Tiffeneau, rapporto che valuta il grado di ostruzione bronchiale nelle malattie respiratorie come la BPCO e l’asma, T i f f e n e a u = V E M S C V F {displaystyle Tiffeneau={frac {VEMS}{CVF}}} dove il VEMS è il volume espiratorio massimo al primo secondo e corrisponde al FEV1, mentre la CVF è la capacità vitale forzata).  Questo sta a significare che, di tutta l’aria mobilizzabile in una manovra espiratoria completa, meno del 70% viene mobilizzata nel primo secondo.

Le prove di funzionalità respiratoria mostrano una drastica riduzione della VEMS più che della CVF, con conseguente diminuzione del loro rapporto sotto 0.7 o sotto il 5% del limite normale e spostamento della curva flusso-volume verso sinistra.

I pattern di tipo restrittivo, invece, tipici di patologie della gabbia toracica, patologie neuromuscolari, fibrosi polmonare, lesioni occupanti spazio o compressioni ab estrinseco come nel caso di obesità o gravidanza, malattie pleuriche, sono solitamente caratterizzati da FEV1 bassa, CVF bassa e rapporto VEMS/CVF normale o superiore al normale (risposta B errata).

La cardiopatia ischemica cronica e l’insufficienza renale terminale possono avere ripercussioni sull’apparato respiratorio, tuttavia l’esame spirografico, in tali casi, ci può solo fornire un aiuto sul monitoraggio degli effetti di tali patologie sulla funzionalità respiratoria e non una loro diagnosi (risposta A e D errate)


2 di 3 Domande

Quale referto tra i seguenti è corretto?

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Viene definita ipoacusia la riduzione della capacità uditiva, con l’aumento della soglia uditiva al di sopra dei 20 dB. Le ipoacusie possono essere; monolaterali o bilaterali; improvvise o progressive; trasmissive, neurosensoriali (cocleari quando il problema è nell’orecchio interno a livello della coclea, nell’organo del Corti, o retrococleari quando è a livello del nervo cocleare) o miste. Noi possiamo ascoltare tramite due vie: quella aerea e quella ossea. Normalmente noi ascoltiamo i suoni esterni tramite la via aerea ma, tramite quella ossea, ascoltiamo la nostra voce. Possiamo utilizzare questa qualità a scopo diagnostico, nella diagnosi differenziale tra ipoacusie di tipo trasmissivo e quelle di tipo neurosensoriale.

Nelle forme di tipo trasmissivo, e quindi causate da alterazioni a carico della membrana timpanica o del sistema ossiculare, all’esame audiometrico tonale il paziente non riesce a sentire i suoni attraverso la via aerea ma ci riesce andando a stimolare la via ossea mediante le vibrazioni di un diapason, e mandando direttamente lo stimolo all’organo del Corti. Nell’ipoacusia di tipo neurosensoriale invece il problema è a livello dell’orecchio interno quindi avremo una riduzione della capacità uditiva sia tramite la via aerea che tramite quella ossea. Come si legge un esame audiometrico? L’esame da origine ad un grafico in cui, nell’asse delle ordinate abbiamo la perdita uditiva espressa in decibel (dB) invece nell’asse delle ascisse sono riportate le varie frequenze sonore, espresse in Hertz (Hz). I suoni che vengono “somministrati” al paziente si distinguono, in base alla frequenza (misurata in Hertz), come suoni gravi o bassi (bassa frequenza, 125-250-500 Hz) e suoni acuti o alti (alta frequenza, 3000-4000-8000 Hz). Infine, nella legenda posta inferiormente al grafico, notiamo i simboli che identificano la via uditiva di sinistra nella sua componente di trasmissione aerea (X) e di quella ossea (<).

Con questi presupposti, possiamo notare che il nostro esame audiometrico è abbastanza caratteristico dell’ipoacusia di tipo neurosensoriale; abbiamo infatti una alterazione sia a carico della via ossea che della via aerea. La via uditiva rappresentata è solo quella di sinistra (la via destra è contemplata nella legenda ma non nel grafico) (risposta A esatta; risposta B e C errate). Più nel dettaglio, non si tratta di una ipoacusia di tipo trasmissivo in quanto, in tal caso, almeno la via ossea sarebbe responsiva al trasferimento dell’impulso uditivo e quindi la sua linea avrebbe un andamento orizzontale e sarebbe collocata nella parte alta del grafico (risposta B errata). Inoltre, le frequenze interessate dalla , sono sia quelle alte (e quindi suoni acuti) sia quelle basse (e quindi i suoni gravi) (risposte C e D errate).


3 di 3 Domande

Un paziente di razza caucasica di 70 anni è portatore di 6 piccoli basaliomi al volto. Si decide di asportarli chirurgicamente e, prima di procedere ad eseguire l'anestesia locale, il chirurgo disegna l'orientamento delle incisioni cutanee losangiformi, come nella figura. Come si chiamano le linee di tensione della cute secondo cui si orienta una incisione cutanea?

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Il carcinoma basocellulare (basalioma, BCC) è la più diffusa neoplasia maligna cutanea. I carcinomi basocellulari derivano da cheratinociti vicini allo strato basale che possono essere definiti come cheratinociti basaloidi.

Circa il 95% delle diagnosi di BCC vengono effettuate in individui di età compresa tra i 40 e i 79 anni di età. L’incidenza è circa del 30% più elevata negli uomini rispetto alle donne. Quasi il 90% dei BCC si sviluppa a livello della testa o del collo. Il tasso di incidenza per 100.000 abitanti varia da paese a paese (115 BCC in Gran Bretagna, 70-80 BCC in Germania, Svizzera e Italia, 170 BCC in USA e > 800 BCC in Australia).

La metastasi è rara, ma la crescita locale può essere molto distruttiva: generalmente rimane circoscritto al distretto anatomico, in cui ha avuto origine senza generare metastasi, ma può invadere le strutture circostanti interessando nervi e ossa.

Le zone maggiormente colpite sono il viso e il collo (70% dei casi), soprattutto il naso, la fronte e la regione periorbitaria, e la regione temporale; rari sono i casi a livello del tronco. Il principale fattore di rischio è l’esposizione prolungata ai raggi UV.

La diagnosi viene formulata mediante biopsia.

Da un punto di visto istopatologico esistono 4 tipi di CB:

– Il tipo superficiale,

– l’istotipo nodulare,

– l’istotipo infiltrante,

– l’istotipo piano-cicatriziale o sclerodermiforme.

Il trattamento del carcinoma basocellulare varia in base alle dimensioni, agli strati cutanei interessati e alla localizzazione.

Per questo paziente sarebbe opportuna la chirurgia micrografica di Mohs. Essa è una tecnica chirurgica escissionale con controllo completo (100%) dei margini e ricostruzione grafica tridimensionale della massa tumorale.

La Chirurgia di Mohs (CM) rappresenta una tecnica chirurgica di indiscussa efficacia terapeutica, utile per ottenere la radicalità nell’asportazione delle neoplasie cutanee. La CM nasce da una brillante intuizione di un chirurgo americano del Wisconsin, che quasi alle soglie della laurea, ancora studente, la concepì nel lontano 1930.

Per quanto riguarda questa tecnica: si procede a progressiva rimozione sequenziale di sottili strati istologici con ispezione microscopica per verificare che i margini rimossi siano scevri da cellule tumorali(attraverso il controllo microscopico dei margini in estemporanea).

Altre tecniche di rimozione della neoplasia comprendono: l’elettrodissecazione e il curettage (non sono raccomandate però per le lesioni del viso a causa dell’ esito cicatriziale conseguente o per quelle ad alto rischio).

La localizzazione di tale patologia in zone particolarmente delicate ed esposte come il viso e il collo potrebbe portare, in seguito agli interventi di asportazione della lesione, a non poco rilevanti deturpazioni estetiche. L’asportazione chirurgica è attualmente la tecnica maggiormente utilizzata. In zone particolarmente delicate come il viso, la conoscenza a dell’anatomia del volto è indispensabile al fine di ottenere risultati esteticamente migliori.

Le linee di Langer del volto sono linee di minore tensione meccanica della pelle o pieghe fisiologiche (se non riconoscibili sul volto, soprattutto nelle pelli giovani, sono evocabili con la contrazione dei muscoli mimici): sono date dalla disposizione, nel derma, delle fibre collagene ed elastiche orientate nella stessa direzione. Se seguite per l’incisione chirurgica, permettono una migliore cicatrizzazione (risposta A esatta).


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