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1 di 3 Domande

Una paziente di 65 anni in buona salute e senza particolari fattori di rischio viene invitata dalla ASL a partecipare a un programma di screening nel tumore della mammella. Durante l'esecuzione dell'esame, viene evidenziata un'area sospetta da approfondire, indicata con il cerchio. Il primo passo da eseguire per approfondire tale reperto è?

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La mammografia è un esame ad elevata sensibilità che permette di studiare in maniera ottimale la mammella, grazie alla diversa densità delle sue componenti. Il parenchima ghiandolare, nelle immagini mammografiche, risulterà essere radiopaco, a causa della sua maggiore densità; il tessuto adiposo, data la sua minore densità sarà invece radiotrasparente. Nelle mammelle a composizione adiposa (e quindi con scarsa rappresentazione del tessuto ghiandolare), la prevalenza del tessuto radiotrasparente rende ottimale il contrasto con eventuali formazioni nodulari radiopache. Inoltre, è l’unico esame in grado di identificare le microcalcificazioni, altamente predittive di carcinoma. In queste pazienti la mammografia  può raggiungere una sensibilità del 100% (per questo motivo rappresenta l’esame di screening ideale per le donne di età superiore ai 45 anni). Le proiezioni standard che vengono eseguite sono quella cranio-caudale (esplora i quadranti esterni ed interni) e quella medio-laterale obliqua (esplora quadranti superiori, inferiori, solco sottomammario e cavo ascellare). Nel caso in cui vengano evidenziate opacità nodulari sospette (come in questo caso, in cui si nota una piccola opacità a margini mal definiti, collocata nel quadrante supero-esterno) è possibile approfondire l’immagine effettuando un ingrandimento diretto dell’area (risposta B esatta), che si esegue soprattutto per lo studio delle microcalcificazioni o per lo studio delle caratteristiche mammografiche di opacità di piccole dimensioni: il fattore d’ingrandimento (x 1,5 – 2) è definito tecnicamente dalla distanza mammella-detettore.

La TC non è una metodica di imaging che viene contemplata nello screening della patologia mammaria. A causa del costo relativamente elevato, della dose di radiazioni e della inferiore risoluzione spaziale nello studio di strutture superficiali rispetto ad altre tecniche come quella ecografica, viene considerata un esame di secondo livello. (risposta A errata).

La Risonanza Magnetica è un esame di secondo livello, complementare alle tradizionali tecniche radiografiche ed ecografiche. Ha una elevata sensibilità diagnostica e permette di identificare anche lesioni di dimensioni estremamente ridotte. Dati i costi e la durata dell’esame, viene eseguita solo in casi selezionati: screening di donne con alto rischio genetico e familiare per K mammario, donne con protesi mammarie, in stato di gravidanza, nella ricerca di carcinomi primitivi occulti metastatici di sospetta origine mammaria, controllo della risposta del tumore mammario alla chemioterapia neoadiuvante, follow up dopo chirurgia conservativa, discrepanza fra i risultati degli esami tradizionali. (risposta C errata).

La termografia è una tecnica che consente di rilevare il profilo termico di un corpo con il presupposto che una maggiore temperatura dovrebbe essere rilevata sulla base della aumentata vascolarizzazione (neoangiogenesi) che caratterizza le lesioni neoplastiche. Nonostante la sua bassa invasività e facilità di applicazione, questa tecnica non viene utilizzata come esame di scelta nello screening del tumore mammario a causa dell’alto numero di falsi positivi e l’eccessiva presenza di variabili che possono influenzarne il risultato (risposta D errata).


2 di 3 Domande

Una ragazza di 24 anni di nome Lucia, studente di Veterinaria, arriva al PS dell’Ospedale “Maggiore” DI Bologna per malessere. Anamnesi patologica prossima: lamenta crampi addominali e orticaria da 12 ore. Ha inoltre prurito generalizzato. Presenta anche un lieve stato di distress respiratorio, ma senza dispnea o disfagia. Due giorni prima, ha assunto un farmaco da banco per il mal di gola a base di destrometorfano, difenidramina, pseudoefedrina ed ibuprofene. Anamnesi patologica remota: Lucia soffre di asma. Anamnesi farmacologica: assume doxicicline per il trattamento dell’acne. Esame obiettivo: La Dott.ssa Deretti, medico di guardia, visita Lucia e riscontra: una temperatura corporea è di 36,5°C, una pressione arteriosa di 110/60 mm Hg, una frequenza cardiaca di 92 bpm e una frequenza respiratoria di 23 atti/min. All’ispezione osserva molteplici pomfi rosati e biancastri, compresi tra i 1 e i 10 cm di diametro, a livello del tronco e delle estremità prossimali. Quale delle seguenti è la causa più probabile per la condizione di Lucia?

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La risposta esatta è la C.

L’ibuprofene è un farmaco appartenente alla classe dei FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei). E’ un derivato dell’acido proprionico e agisce bloccando l’attività delle ciclossigenasi (COX-1 e COX-2) e inibendo, di conseguenza, la produzione delle prostaglandine (mediatori flogistici). Le COX sono enzimi che convertono l’acido arachidonico in prostaglandina H2 la quale, a sua volta, viene convertita in altre prostaglandine mediatrici dell’infiammazione e in trombossani, sostanze coinvolte nei meccanismi di aggregazione piastrinica, citoprotezione del tratto gastrointestinale, funzionalità uterina, omeostasi renale etc.

L’ibuprofene è un inibitore non selettivo della COX, quindi va ad agire sia sulla COX-1, presente in forma costitutiva in quasi tutte le cellule, soprattutto piastrine, cellule endoteliali, tratto gastrointestinale e rene, sia sulla COX-2, espressa in particolar modo, in seguito a stimoli infiammatori, su macrofagi attivati e su altre cellule implicate nei meccanismi flogistici. Ha attività antinfiammatoria, analgesica e antipiretica. Viene impiegato frequentemente per il trattamento del dolore nei pazienti affetti da artrite reumatoide, osteoartrite e più in generale le affezioni di pertinenza osteomuscolare, dolore neoplastico, cefalea, dolore post operatorio; nei bambini invece può essere considerato l’antipiretico di seconda scelta dopo il paracetamolo, ma con efficacia paragonabile o addirittura superiore a quest’ultimo.

Gli effetti benefici, antinfiammatori e analgesici dell’ibuprofene sono ottenuti grazie alla sua azione sulla COX-2 tuttavia, non essendo un farmaco dotato di selettività, la sua azione sulla COX-1 provoca alcuni effetti indesiderati, soprattutto a livello gastrointestinale (epigastralgie, nausea, vomito, anoressia, ulcera gastrica, perforazione ed emorragia), meno frequentemente a livello renale (disuria, ematuria) e ancora più raramente condizioni come vertigini, cefalea, sonnolenza, insufficienza cardiaca. Oltre a questi effetti collaterali vanno segnalate le reazioni da ipersensibilità al farmaco.

La paziente del nostro caso clinico riporta in anamnesi l’affezione asmatica; i soggetti con tale patologia hanno un maggior rischio di sviluppare reazioni avverse ai FANS. La ragazza segnala la comparsa di orticaria, prurito generalizzato e distress respiratorio, tutti sintomi che ci fanno pensare ad una reazione allergica o ad una reazione pseudoallergica. La presenza di sintomi, come i crampi addominali, ci possono inoltre far pensare ad un angioedema (cioè un edema localizzato a livello della cute e/o delle membrane mucose, provocato dall’aumento della permeabilità vascolare e dallo stravaso di fluidi nel tessuto interstiziale) di natura pseudoallergica (tipico è quello secondario all’assunzione di FANS) per coinvolgimento della mucosa gastroenterica.

La principale differenza fra la reazione allergica e quella pseudoallergica è che, sebbene spesso siano difficilmente distinguibili a livello clinico, la reazione pseudoallergica non è immuno-mediata. Valutati i sintomi clinici, l’anamnesi patologica e farmacologica, è probabile che il farmaco responsabile di tali reazioni (allergica e/o pseudoallergica) indesiderate sia l’ibuprofene.

 

La risposta A è errata.

Il destrometorfano è un farmaco sintetico derivato dalla morfina e con azione antitussiva centrale e blando effetto sedativo. E’ un isomero destrogiro e per questo motivo non è in grado di legarsi ai recettori µ degli oppioidi. Sono stati segnalati alcuni effetti indesiderati quali reazioni cutanee, disturbi gastrointestinali, disturbi psichiatrici e patologie del sistema nervoso. E’ assolutamente controindicata l’assunzione concomitante con farmaci inibitori delle monoaminossidasi perchè potrebbe causare l’insorgenza di una sindrome serotoninergica con nausea, ipotensione, tremore, spasmo muscolare e clonie, rigidità di origine piramidale, iperattività del sistema nervoso autonomo con tachicardia, midriasi, sudorazione, oltre ad alterazione del livello di coscienza, fino ad arrivare all’arresto cardiaco.

 

La risposta B è errata.

La doxiciclina è un antibiotico ad ampio spettro appartenente alla classe delle tetracicline e derivato dalla ossitetraciclina. Legandosi alla subunità 30S del ribosoma batterico ed impedendo l’inserimento di un nuovo aminoacido nella catena peptidica, inibisce la sintesi proteica batterica; ha quindi una attività di tipo batteriostatico. Viene impiegata per il trattamento di infezioni provocate sia da Gram positivi che da Gram negativi coinvolgenti le alte e le basse vie aeree, l’apparato gastrointestinale, la cute e i tessuti molli e l’apparato genitourinario.

Fra gli effetti avversi sono stati segnalati frequentemente nausea, vomito, esofagiti o ulcere gastriche, diarrea acquosa o ematica, reazioni cutanee e frequenti reazioni di fotosensibilizzazione (motivo per cui, durante la sua assunzione, è sconsigliato esporsi al sole); meno frequentemente sono state segnalate alterazione della funzionalità epatica, colite pseudomembranosa per sovrainfezione da clostridium difficile, ipoplasia dentale (se somministrata nei bambini), aumento della pressione intracranica, vertigini, parestesie, cefalea, distress respiratorio e altri. Anche la doxiciclina potrebbe essere responsabile della sintomatologia presentata dalla paziente, tuttavia è meno probabile sia la causa rispetto ai FANS.

 

La risposta D è errata.

La pseudoefedrina è una ammina simpaticomimetica, alfa e beta stimolante, che viene principalmente utilizzata come decongestionante delle alte vie aeree grazie alla sua azione vasocostrittrice, mediata dai recettori alfa, e conseguente riduzione dei sintomi da congestione. La sua azione sui recettori alfa e beta, localizzati a livello bronchiale, invece favorisce la vasocostrizione e il rilassamento della muscolatura liscia con maggiore vasocostrizione e broncodilatazione.  Le reazioni avverse includono effetti cardiovascolari, per la loro capacità di attivare i recettori alfa1, con aumento della pressione arteriosa e talvolta bradicardia sinusale riflessa da attivazione vagale, oppure effetti cronotropi, inotropi e dromotropi positivi per la loro attività beta1agonista. Altri effetti possono coinvolgere il sistema nervoso centrale con cefalea, insonnia, allucinazioni, ansia, psicosi, tremori, convulsioni; l’apparato urinario con aumento del tono dello sfintere vescicale e blocco della minzione; alterazioni della funzionalità tiroidea con crisi tireotossica o iperglicemica; aumento della pressione endo oculare e glaucoma nei soggetti a rischio.

 

La risposta E è errata.

La difenidramina è un farmaco antistaminico appartenente alla classe degli H1 antagonisti, capace quindi di inibire le risposte infiammatorie mediate dal legame dell’istamina a questi recettori, presenti soprattutto a livello della muscolatura liscia dell’albero respiratorio, dei vasi e di alcune ghiandole esocrine come quelle bronchiali, salivari e lacrimali, con conseguente attività spasmolitica e antisecretiva. L’effetto secondario più frequente è la sedazione, con sonnolenza, astenia, vertigini, difficoltà nella coordinazione motoria, ma talvolta, soprattutto nei bambini è stata segnalata la comparsa di euforia, insonnia, tremori e addirittura convulsioni, se somministrata ad alte dosi. Come ogni farmaco, sebbene raramente, può provocare reazioni da ipersensibilità.


3 di 3 Domande

Bambina di 6 anni viene portata in visita per difficoltà scolastiche: viene riferito che spesso si distrae e rimane con lo sguardo fisso qualche secondo senza rispondere ai richiami. Ha difficoltà nell'apprendimento e nella memorizzazione. Viene effettuato un EEG che mostra, alla prova dell'iperpnea, complessi punta-onda a 3 Hz simmetrici e monomorfi. Qual è, tra le seguenti, la terapia di scelta?

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L’EEG è una tecnica elettrofisiologica che consiste nella registrazione, attraverso il posizionamento di elettrodi (normalmente 20) sullo scalpo integro, dell’attività elettrica spontanea della corteccia cerebrale. Poiché le oscillazioni del potenziale di origine cerebrale sono di piccola ampiezza, vi sono numerose attività fisiologiche (contrazioni muscolari, movimenti minimi) o fattori esterni che, dando origine ad artefatti,  possono interferire con l’esecuzione dell’esame.

L’EEG normale è caratterizzato da una marcata variabilità che dipende dall’età del soggetto, dallo stato di vigilanza e dalla sua condizione fisiologica. L’attività predominante in un soggetto adulto sveglio è quella alfa, presente soprattutto nelle regioni parieto-occipitali e caratterizzata da un ritmo dagli 8 ai 12 Hz, ma è fisiologica anche la presenza di ritmi beta nelle regioni frontali e centrali (tra 15 e i 25 Hz) e ritmi delta, più lenti (4-7 Hz), nelle regioni frontali laterali e temporali.

L’EEG può essere eseguito in diverse condizioni: veglia, deprivazione di sonno, sonno, poligrafia, dinamico. L’EEG in veglia ha una durata di circa 15-20 minuti e viene eseguito in condizioni di riposo neurosensoriale. Durante l’esame si chiede al paziente di eseguire dei test che permettono di valutare le modifiche fisiologiche che subisce l’attività di fondo del tracciato. Due di queste prove sono la stimolazione luminosa intermittente e la prova dell’iperpnea (atti respiratori rapidi e profondi, protratti per 4 minuti).

Nel tracciato da noi esaminato notiamo una prolungata scarica di complessi punta-onda di forma regolare e di frequenza di 3 cicli/secondo, bilateralmente simmetrici e sincroni, altamente suggestiva di crisi epilettica generalizzata. La crisi epilettica è una condizione che consiste nella comparsa transitoria di segni e/o sintomi clinici dovuti ad una attività  neuronale anomala, eccessiva o ipersincrona. Nella maggior parte dei casi la crisi ha una breve durata e regredisce spontaneamente. Qualora lo stato critico sia continuo o qualora fra una crisi e l’altra non si abbia il ritorno ad una normale condizione di funzionalità cerebrale si parla di stato di male epilettico. Nel caso in esame, valutata la storia clinica e anamnestica della paziente e il risultato dell’EEG, si può ipotizzare che si tratti di “assenze” cioè eventi critici di breve durata contraddistinti da sospensione della coscienza (manifestazione principale) e talvolta associati a componenti miocloniche, toniche, atoniche e/o vegetative. La durata di pochi secondi, il reperto EEGrafico e il fatto che vengano slatentizzate dall’alcalosi indotta dall’iperventilazione (test dell’iperpnea) ci fanno orientare verso la diagnosi di “epilessia con assenze tipiche, dell’infanzia”.

Si ha una buona risposta farmacologica all’acido valproico, all’etosuccimide o alla lamotrigina (anticonvulsivanti). (risposta A corretta)


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