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1 di 3 Domande

La signora Grassi, una donna di 60 anni, si reca presso l’ambulatorio del suo medico curante, la Dott.ssa Mutti, lamentando dolore al viso. Esami strumentali: viene effettuata un’Rx dei seni paranasali, seguita da una TC (mostrata nell’immagine sottostante). Quale è la diagnosi?

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La risposta E è corretta.

L’osteoma osteoide è una lesione caratterizzata da un core centrale o nidus di tessuto osteoide che è il tumore vero e proprio circondato da una fitta iperostosi reattiva, quindi il tessuto osseo si addensa intorno a questo nidus, come se il tessuto osseo cercasse di circoscrivere la lesione. È piuttosto frequente perché il 5% dei tumori benigni è un osteoma osteoide e colpisce principalmente i giovani di sesso maschile tra i 10 e i 30 anni.

Dal punto di vista clinico ha una caratteristica peculiare che è la presenza di un dolore notturno.

I pazienti si svegliano la notte e assumono antidolorifici e spesso la diagnosi è resa complicata anche dal fatto che questi pazienti cominciano ad accusare problematiche psichiatriche dovute ai continui disturbi arrecati dal tumore. Raramente si ritrovano tumefazioni.

L’iperostosi reattiva, talvolta può non essere visibile sia se si trova al centro della midollare dell’osso piuttosto che superficialmente al livello del periostio.

La scintigrafia è un esame molto specifico e sensibile per questa patologia, grazie alla captazione che viene adoperata dalle cellule del core e della porzione calcifica.

La diagnosi ovviamente può essere fatta anche con un esame TC che evidenzia una formazione grossolanamente tondeggiante, a sviluppo esofitico, con crescita espansiva, a densità calcica.

Il trattamento oggi, con l’avvento dell’ablazione con radiofrequenza che ha ridotto notevolmente l’approccio chirurgico. Le radiofrequenze bruciando il nidus, fanno scomparire le cellule tumorali. Qualora non risponda a questo trattamento si utilizza comunque la chirurgia aprendo un canale sul nidus ed esportando la lesione.


2 di 3 Domande

La donna indicata dalla freccia nell'albero genealogico si reca in consulenza perché vorrebbe avere più notizie sulla brachidattilia, condizione genetica che segrega nella sua famiglia.
Qual è la modalità di trasmissione della malattia in esame?

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La risposta A è corretta.

Il genoma umano è costituito da 22 cromosomi presenti in duplice copia, detti autosomi, e due cromosomi sessuali (XY per l’uomo e XX per la donna), più alcune molecole di DNA mitocondriale. Gli autosomi, presenti in duplice copia (quindi 44) vengono ereditati uno dalla madre e uno dal padre.

I geni localizzati su di essi sono anch’essi presenti in duplice copia, una per ogni cromosoma omologo. Il patrimonio genetico localizzato nei cromosomi sessuali è invece apparentemente asimmetrico. Infine, il DNA mitocondriale viene ereditato esclusivamente dalla madre.

Nelle patologie a trasmissione autosomica dominante è sufficiente che una sola copia del gene sia mutata per l’espressione fenotipica della patologia.

Nelle malattie a trasmissione autosomica recessiva entrambe le copie del gene, sia quella paterna che quella materna, devono essere mutate per poter avere la malattia. I cosiddetti portatori sani, cioè i soggetti in cui è mutata un’unica copia del gene, non esprimono la malattia, quindi non presentano alcun sintomo.

Le patologie X-linked sono invece quelle in cui il gene mutato è localizzato sul cromosoma X. Ricollegandoci al fatto che le femmine posseggano due cromosomi X e i maschi ne posseggano solo uno, è facile da capire come, nelle patologie X linked recessive, le donne, quando ereditano la copia mutata del gene, siano generalmente portatrici sane, asintomatiche, oppure esprimenti una forma sfumata della patologia, invece i maschi ne siano affetti, e nelle patologie X-linked dominanti, le donne possono essere affette, anche se la copia mutata del gene viene ereditata in eterozigosi, invece i maschi possano esprimere una condizione spesso incompatibile con la vita, data la frequente estrema gravità di queste patologie.

Nelle forme a trasmissione mitocondriale invece, gli individui affetti possono essere sia di sesso femminile che di sesso maschile ma solo le donne possono trasmettere il gene mutato. In questo albero genealogico, in I generazione, l’individuo affetto è di sesso maschile, mentre in seconda generazione abbiamo affetti sia un uomo che una donna.

Se si trattasse di una patologia X-linked, dovrebbe essere portatrice/affetta solo la donna e non l’uomo (che dal padre eredita la Y). Si tratta quindi di una patologia di tipo autosomico. Se fosse di tipo recessivo, potremmo avere diverse condizioni:

– in I generazione il padre affetto e la mamma sana quindi i figli sarebbero tutti sani perchè è necessario che entrambi i geni ereditati siano mutati, e con questi presupposti escludiamo questa ipotesi;

– in I generazione il padre affetto (entrambi gli alleli mutati) e la madre portatrice (un allele mutato ed, essendo recessiva la patologia, non lo esprime a livello fenotipico. In questo caso avremmo il 50% di probabilità di espressione della patologia per omozigosi del gene recessivo mutate, e il 50% di probabilità i avere dei figli portatori;

In caso di patologia autosomica dominante abbiamo invece il 50% di probabilità di avere figli affetti e il 50% completamente sani.

Se esaminiamo la III generazione però, affinchè i figli esprimano la patologia, è necessario che anche l’altro genitore (estraneo al nucleo familiare di origine) abbia una mutazione di quel gene. Sarebbe un evento estremamente raro (esclusa la consanguineità fra coniugi).

E’ più probabile che la malattia sia di tipo autosomico dominante a penetranza incompleta, cioè un gene normalmente dominante ma che a livello fenotipico non viene espresso nel 100% dei pazienti che lo ereditano perchè non è abbastanza “forte”.

Per questi motivi, le risposte alla lettera B, C, D ed E risultano errate.


3 di 3 Domande

Giovanni, un ragazzo di 25 anni, si reca presso il P.S. del policlinico Umberto I di Roma dove viene affidato alle cure del Dott. Tianzi, medico di guardia di turno, per malessere generalizzato associtao ad un problema dermatologico. Anamnesi patologica prossima: Il giovane afferma che da 3 giorni presenta febbre, malessere generale, rash e piaghe alla bocca. Riferisce inoltre di non essere in grado di mangiare a causa del dolore alla bocca. Non riferisce artralgie nè secrezioni dal pene. Anamnesi patologica remota: nega di avere già avuto episodi simili in passato. Anamnesi farmacologica: non assume farmaci in cronico. Anamnesi fisiologica: nega allergie a farmaci. Esame obiettivo: presenta una P.A. di 100/55 mmHg, F.C. di 105 bpm, F.R. di 22 atti/min e temperatura corporea di 38.9°F. Il paziente appare vigile ma agitato e sofferente. Presenta lesioni vescicolo-bollose multiple a livello delle congiuntive e della bocca, come osservabile nell’immagine sottostante. Vengono riscontrate altre lesioni a livello palmo-plantare. Alla valutazione dell’acuità visiva ottiene uno score di 20/20. Quale delle seguenti rappresenta l’opzione terapeutica maggiormente indicata ?

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La risposta corretta è la B.

L’eritema polimorfo o multiforme è una patologia dermatologica caratterizzata da una o più lesioni a coccarda sulla cute con aspetto simili a un bersaglio e si tratta di una reazione infiammatoria autolimitante, caratterizzata dalla presenza di tali lesioni cutanee.

L’eritema polimorfo si verifica a causa di un’iper-reattività della cute o delle mucose, nei confronti di svariati agenti scatenanti, come ad un’infezione da herpes simplex (probabilmente, questa patologia è causata da una reazione citotossica da cellule T, contro i frammenti di DNA presenti nei cheratinociti). Si ipotizza una predisposizione genetica (HLA). Altre cause meno frequenti, potrebbero essere farmaci, vaccini e malattie virali.

Si chiama polimorfo o multiforme, perché l’area centrale delle singole lesioni a coccarda, può avere caratteristiche diverse (es. papula, erosione, vescicola, bolla, etc) in base allo stato evolutivo.

Tali manifestano si sviluppano soprattutto a livello delle estremità distali (ed interessano gli arti a livello distale). Queste lesioni si caratterizzano per essere simmetriche e per una distribuzione centripeta: la diffusione al tronco è frequente.

Possiamo distinguere a seconda del tipo di gravità, manifestazione ed estensione una forma di eritema multiforme minore caratterizzato da un’eruzione cutanea localizzata ad una forma maggiore multisistemica, che si manifesta con estese lesioni vesciculo-bollose associate ad erosione delle mucose, nota come sindrome di Stevens-Johnson (SJS).

La sindrome di Stevens-Johnson è una grave reazione cutanea da ipersensibilità.

La sindrome di Stevens-Johnson, colpisce meno del <10% della superficie corporea; la necrosi epidermica tossica colpisce più del 30% della superficie corporea.

Dal punto di vista eziologico, più del 50% dei casi di sindrome di Stevens-Johnson sono scatenate da farmaci: sulfamidici (sulfasalazina, cotrimossazolo), antiepilettici (fenitoina, fenobarbitale ed altri), antibiotici (aminopenicilline, fluorochinoloni), altri farmaci.

Oltre cause scatenanti (oltre ai farmaci) possono essere infezioni (ad esempio Mycoplasma pneumoniae ed Herpes), vaccinazione, GVHD e tumori maligni. Alcune volte non è possibile riscontrare la causa scatenante.

Dal punto di vista clinico entro 4-28 giorni dall’inizio dell’assunzione del farmaco incriminato, i pazienti affetti manifestano solitamente malessere generale, cefalea, tosse, febbre.

I sintomi sistemici sono frequenti, possono includere ipotensione, tachicardia, alterazioni della coscienza, convulsioni e coma.

Questa patologia si caratterizza per la presenza di macule, bolle, desquamazioni cutanee (vi può essere anche la perdita di sopraccigli e unghie) e mucosite.

Avvolte, è possibile ritrovare: erosioni del cavo orale, cheratocongiuntivite e disturbi genitali.

Per quanto riguarda la diagnosi, è molto importante la valutazione clinica (ad esempio valutando le tipiche lesioni muco-cutanee), l’anamnesi (che rivela l’esposizione ad un farmaco verosimilmente scatenante), valutando i segni sistemici e avvolte la biopsia cutanea.

La terapia consiste nella somministrazione di fluidi per via endovenosa, prednisone orale, analgesici, antistaminici, collutori e medicazioni della cute. A causa dell’elevata morbilità e mortalità, i pazienti con SJS con malattia estesa, tossicità sistemica o coinvolgimento delle mucose richiedono un ricovero ospedaliero, spesso in un’unità di terapia intensiva.

Nei casi di eritema multiforme minore e pertanto localizzati la terapia non richiede il ricovero e si basa sulla somministrazione di steroidi topici.


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