La risposta esatta è la A.
Le derivazioni da V1 a V6, chiamate derivazioni precordiali, esprimono l’attività elettrica del cuore sul piano orizzontale, e in particolar modo: V1-V2 esplorano il setto interventricolare, V3-V4 esprimono la parete anteriore del ventricolo sinistro, V5 e V6 la parete laterale del ventricolo sinistro. L’onda P indica la depolarizzazione atriale, il complesso QRS e l’onda T indicano rispettivamente la depolarizzazione e la ripolarizzazione ventricolare, mentre la ripolarizzazione atriale non è visibile poiché avviane durante la depolarizzazione ventricolare. In età giovanile, successivamente alla pubertà, il vettore di ripolarizzazione ventricolare è tale da rendere le T positive in tutte le derivazioni precordiali, ad eccezione di V1 e raramente di V2. In casi eccezionali, la negatività della T può coinvolgere anche V3 e V4 (cosiddetta onda T giovanile). In linea di massima, tuttavia, dopo la pubertà la presenza delle onde T invertite (soprattutto le onde T≥ 2 mm) nelle derivazioni (in due o più derivazioni contigue) che esplorano il ventricolo destro, può essere espressione di una cardiopatia congenita con sovraccarico di pressione o di volume a livello del ventricolo destro (cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro), oppure, sebbene più raramente, di una patologia ereditaria dei canali del sodio o del potassio.
Il nostro Ecg mostra un ritmo sinusale, alterazioni diffuse della ripolarizzazione ventricolare con onda T negativa da V1 a V5 , una R alta in V1 ed un asse spostato a destra. Questi reperti potrebbero indicare una ipertrofia ventricolare destra a carattere aritmogeno.
La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro è una cardiomiopatia spesso familiare, con trasmissione variabile ma più frequentemente autosomica dominante che coinvolge prevalentemente, ma non esclusivamente, il ventricolo destro. La mutazione genica responsabile, riscontrata nel 10-20% dei casi, è quella a carico di geni che codificano per varie proteine del desmosoma. Dal punto di vista istologico si assiste ad una progressiva sostituzione del miocardio con tessuto fibroadiposo; questa sostituzione genera aree di discinesia e dilatazione, localizzate in particolar modo a livello del tratto di afflusso, di efflusso e dell’apice del ventricolo destro (area nota come triangolo della displasia) ma anche coinvolgenti tutta la parete ventricolare destra o con estensione a quella ventricolare sinistra. Questa patologia, date le profonde alterazioni morfologiche e funzionali arrecate, è causa frequente di aritmie ventricolari e morte improvvisa, soprattutto in età giovanile, durante o subito dopo l’attività fisica.
Per questo motivo, in presenza di un ECG di questo tipo è indicata l’esecuzione di un ecocardiogramma così da portare alla luce eventuali alterazioni cardiache strutturali.
La risposta B è errata.
La fibrillazione atriale è una tachiaritmia che, nella maggior parte dei casi, si presenta in concomitanza di patologie cardiache strutturali.
E’ relativamente frequente nella popolazione anziana; lo è decisamente meno in quella giovane, ma può presentarsi anche in questa, soprattutto in concomitanza di alcune patologie quali ipertiroidismo, ipertensione o diabete. In questa patologia gli atri vengono eccitati in maniera disorganizzata e caotica, con una frequenza di attivazione che può andare dai 400 sino ai 650 impulsi/minuto. La presenza di questa attività incontrollata è da collegare alla presenza di uno o più foci ectopici, spesso localizzati allo sbocco delle vene polmonari, che scaricano ad alta frequenza. Sono presenti molteplici circuiti di rientro attraverso i quali viaggiano gli impulsi che attivano le cellule atriali, si estinguono, e poi si riformano. Gli impulsi generati arrivano sino al nodo atrio-ventricolare nel quale vengono “filtrati”, motivo per cui il numero di impulsi che raggiunge i ventricoli, sebbene comunque alto (140-150 impulsi/minuto), si numericamente inferiore rispetto a quelli atriali. All’Ecg la diagnosi di fibrillazione atriale viene fatta per l’assenza di onde di attivazione atriale (onde P) regolari; di conseguenza, anche i complessi QRS si succedono in maniera irregolare.
L’ecg del nostro paziente non mostra queste caratteristiche.
La risposta C è errata.
Quando il flusso coronarico si dimostra insufficiente a soddisfare il fabbisogno delle cellule miocardiche, si verifica una condizione definita di ischemia.
L’ischemia provoca una cascata di eventi che alterano in primo luogo l’attività metabolica, poi quella meccanica e poi quella elettrica delle cellule miocardiche.
Le alterazioni elettriche, rilevabili all’ECG, sono provocate da anomalie nelle fasi di depolarizzazione e ripolarizzazione di tali cellule, causate a loro volta dal danno alle strutture deputate alla generazione dei gradienti ionici.
L’ischemia miocardica acuta è caratterizzata principalmente da cambiamenti del tratto ST. All’elettrocardiogramma il tratto ST è quel segmento che unisce il complesso QRS e l’onda T. Ha una durata da 80 a 120 ms. Il tipo di alterazione ST (nella fattispecie sopraslivellamento e sottoslivellamento) dipende dal grado e dall’estensione dell’ischemia a livello del miocardio. L’ischemia provoca delle alterazioni nella fase di depolarizzazione cellulare, con rallentamento di questa fase nella regione colpita. Si associa una riduzione della durata del potenziale d’azione. Questo, durante la sistole (in maniera un po’ inferiore durante la diastole) si traduce in una differenza di potenziale tra tessuto sano e tessuto ischemico, la quale, partendo dall’assunto che il vettore di una corrente elettrica si dirige verso le zone con carica positiva, porta ad un flusso di corrente diretto verso il tessuto ischemico. Nel caso in cui l’ischemia si estenda solo a livello subendocardico, si avrà una corrente di lesione che si dirige dall’epicardio verso l’endocardio; all’Ecg avremo quindi un sottoslivellamento ST, dato dal vettore lesionale che si allontana dall’elettrodo esplorante. Viceversa, in caso di ischemia transmurale, interessante quindi l’intero spessore della parete miocardica, avremo un vettore di lesione che si avvicina verso il subepicardio, e diretto dunque verso l’elettrodo esplorante. Ne avremo, all’Ecg, un sopraslivellamento del tratto ST.
Il nostro paziente non presenta un sottoslivellamento del tratto ST nelle derivazioni da V1 a V5.
La risposta D è errata.
Viene definita bradicardia una frequenza cardiaca inferiore o uguale a 60 bpm mentre, per definire il ritmo come sinusale, l’onda P deve essere visibile in tutte (o quasi tutte) le derivazioni, deve essere positiva in D2 e negativa in aVR.
Fatte queste premesse, andiamo ad analizzare il nostro Ecg. Dal tracciato, sebbene non espressa in forma numerica, si può ricavare la frequenza cardiaca. Possiamo utilizzare due tecniche: a) considerati due QRS consecutivi, si calcola il numero dei quadrati da 5 mm compresi tra i due QRS e si divide questo numero per 300, ottenendo così la FC; b) si considerano sei QRS consecutivi e si divide per 1500 il numero di quadrati da 5 mm compresi tra il primo e il sesto QRS. La frequenza cardiaca può essere calcolata in maniera attendibile sulla base di due soli complessi ventricolari quando la distanza fra essi rimane costante; in caso di aritmia (notiamo una variabilità tra gli intervalli RR) è più affidabile una valutazione della frequenza su sei complessi ventricolari, piuttosto che su due. Se consideriamo l’Ecg del nostro paziente vediamo che i quadrati da 5 mm compresi tra due complessi QRS consecutivi sono quattro per cui: 300/4= 75 bpm (circa).
Il paziente non presenta quindi una bradicardia sinusale.