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1 di 3 Domande

Giunge all'osservazione del medico una donna che vorrebbe avere una gravidanza, ma è preoccupata perché nella sua famiglia ci sono molti affetti da una malattia monogenica. La donna è individuabile come nell'albero genealogico seguente (IV-11). Per un corretto inquadramento del caso è necessario determinare la modalità di trasmissione della malattia. Qual è la trasmissione più probabile della malattia che segrega nella famiglia?

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La risposta corretta è la D.

Il genoma umano è costituito da 22 cromosomi presenti in duplice copia, detti autosomi, e due cromosomi sessuali (XY per l’uomo e XX per la donna), più alcune molecole di DNA mitocondriale. Gli autosomi, presenti in duplice copia (quindi 44) vengono ereditati, per ogni cromosoma, uno dalla madre e uno dal padre. I geni localizzati su di essi sono anch’essi presenti in duplice copia, una per ogni cromosoma omologo.

Il patrimonio genetico localizzato nei cromosomi sessuali è invece apparentemente asimmetrico. Infine, il DNA mitocondriale viene ereditato esclusivamente dalla madre.

Nelle patologie a trasmissione autosomica dominante è sufficiente che una sola copia del gene sia mutata.

Nelle malattie a trasmissione autosomica recessiva entrambe le copie del gene, sia quella paterna che quella materna, devono essere mutate per poter avere la malattia.

I cosiddetti portatori sani, cioè i soggetti in cui è mutata un’unica copia del gene, non esprimono la malattia, quindi non presentano (generalmente) alcun sintomo.

Le patologie X-linked sono invece quelle in cui il gene mutato è localizzato sul cromosoma X. Ricollegandoci al fatto che le femmine posseggano due cromosomi X e i maschi ne posseggano solo uno, è facile capire come, nelle patologie X linked recessive, le donne, quando ereditano la copia mutata del gene, siano generalmente portatrici sane, asintomatiche, oppure esprimenti una forma sfumata della patologia, invece i maschi ne siano affetti e, nelle patologie X-linked dominanti, le donne possono essere affette, anche se la copia mutata del gene viene ereditata in eterozigosi, invece i maschi possano esprimere una condizione spesso incompatibile con la vita, data la frequente estrema gravità di queste patologie. Nelle forme a trasmissione mitocondriale invece, gli individui affetti possono essere sia di sesso femminile che di sesso maschile ma solo le donne possono trasmettere il gene mutato.

In questo albero genealogico, constatiamo che l’unico paziente affetto nella prima generazione è il padre, quindi un soggetto di sesso maschile. Osserviamo poi che la trasmissione della patologia nella seconda generazione avviene solo in soggetti di sesso femminile. Già da questo possiamo sospettare fortemente che sia una patologia legata al cromosoma X, poiché le uniche alle quali viene trasmesso il cromosoma X dal padre sono le figlie femmine (i figli ricevono dal padre la Y). Nella terza generazione invece, risultano affetti sia individui di sesso femminile che individui di sesso maschile. Ogni genitore trasmette a ciascuno dei figli un cromosoma sessuale: alle figlie femmine, il cui corredo è composto da due X, una di queste verrà trasmessa dalla madre e l’altra dal padre; ai figli maschi, il cui corredo è composto da una X e da una Y, la madre trasmetterà la prima e il padre trasmetterà la seconda. Poichè a questo punto notiamo che la malattia si esprime anche nelle figlie femmine, che ricevono un solo cromosoma X portatore della mutazione, possiamo dedurre che si tratta di una malattia X linked dominante, poiché è sufficiente la presenza di un’unica copia mutata del gene per la manifestazione della malattia.

Nelle patologie X-linked, tutti i figli di un maschio affetto saranno soggetti sani e non portatori, invece tutte le femmine saranno portatrici. Una femmina portatrice ha la probabilità del 50% ad ogni gravidanza di concepire figli maschi affetti e del 50% di concepire figli maschi non affetti; le figlie femmine potranno essere nel 50% dei casi sane non portatrici e nell’altro 50% portatrici del gene mutato. Il fatto di essere solo portatori del gene malato e di esprimere o meno la patologia a livello fenotipico, dipende dalle caratteristiche di recessività o di dominanza del gene.

Le patologie X-linked dominanti sono meno frequenti rispetto a quelle recessive e questo tipo di trasmissione è caratteristica di patologie che si esprimono nelle donne, mentre nei soggetti di sesso maschile possono essere addirittura incompatibili con la vita.

Sulla base di quanto spiegato nella risposta precedente, le risposte A, B, C ed E  risultano errate.


2 di 3 Domande

Marco, un ragazzo di 24 anni, viene portato d’urgenza presso il PS del Policlinico Careggi di Firenze, dopo una serata in discoteca. Anamnesi patologica prossima: il paziente presenta vomito e dolore molto intenso nella regione retrosternale e addominale superiore. La scorsa notte ha preso parte ad una festa ed ha anche bevuto per tutto il giorno. Ha iniziato a vomitare 3 ore dopo l’inizio della festa e il dolore è insorto in maniera acuta poco dopo. I suoi amici hanno chiamato un’ambulanza 3 ore dopo poichè il ragazzo lamentava troppo dolore per continuare a stare in discoteca. Esame obiettivo: presenta una F.C. di 120 bpm, F.R. di 31 atti/mine P.A. di 85/55mmHg. Esami strumentali: i medici decidono di sottoporre il paziente ad un RX del torace. Quale è la diagnosi ?

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La risposta corretta è la A.

La sindrome di Boerhaave è  caratterizzata da una completa rottura esofagea distale, spesso fatale per shock emorragico e mediastinite, che si manifesta raramente ma con effetti catastrofici.

È in genere una complicazione della Mallory-Weiss soprattutto nei soggetti etilisti.

La patogenesi di tali condizioni è riconducibile alla perdita del fisiologico rilassamento della muscolatura esofagea che precede l’onda contrattile antiperistaltica associata al vomito, in particolar modo in quelle situazioni che comportano vomito intenso e continuo (es. tumori cerebrali, reazioni avverse ai farmaci , induzioni spontanee di vomito come spesso accade negli etilisti, ecc.). L’aumento di pressione trasmesso dallo stomaco all’esofago causa dilatazione e lacerazione con particolare interessamento della giunzione gastroesafagea. Il succo gastrico penetrato nella lacerazione causa rottura della parete.

Dal punto di vista clinico possiamo riscontrare: mediastinite, dolore toracico e addominale, vomito, shock, ematemesi, versamento pleurico, pneumomediastino.

Nel 30% dei casi vi è anche enfisema mediastinico.

In una prima fase possiamo sottoporre il paziente ad un RX del torace, ma per confermare la diagnosi, bisognerebbe eseguire esofagogramma con mezzo di contrasto idrosolubile e/o TC del torace.

In questo RX del torace possiamo apprezzare una rima di iperdiafania nel mediastino, in particolare in corrispondenza della marginale di sinistra, indice di pneumomediastino e versamento pleurico destro.


3 di 3 Domande

Un giovane di 34 anni con lunga storia di episodi depressivi alle spalle, è stato ritrovato cadavere nel proprio appartamento. Osservando attentamente l'immagine, indicare di quale lesione si tratta.

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La risposta corretta è la A.

La figura mostra i segni di un trauma balistico al capo, cioè una ferita d’arma da fuoco.

Le armi da fuoco vengono definite come dei congegni meccanici in grado di eiettare a distanza delle masse più o meno pesanti, grazie all’energia sviluppata dall’espansione dei gas, generata dalla combustione della polvere da sparo.

Possono essere classificate in due grosse categorie: armi da guerra (bombe, fucili, etc..) e armi comuni da sparo. Possono essere a canna liscia o a canna rigata, a canna corta (pistole, rivoltelle, mitragliatrici) o a canna lunga ( fucili e carabine). Il calibro consiste nel diametro della canna.

Le ferite provocate da queste armi da fuoco sono ferite di tipo traumatico, fisico, dovute all’impatto di proiettili come pallottole, pallettoni o pallini, oppure per lo scoppio di munizioni, sul corpo. A seconda del tipo di arma utilizzata, dal suo calibro, dalla distanza tra vittima e arma, distanza dello sparo, si possono avere diversi tipi di lesione.

Osservando la nostra immagine, possiamo dedurre che molto probabilmente si tratta di una ferita da una arma comune da sparo, a canna corta, e a carica singola. Si evidenzia infatti un forame d’ingresso principale, dai margini netti ma frastagliati (forma stellata), associato all’impronta dell’asta di guida dell’otturatore; no sono presenti fenomeni di affumicatura o il “tatuaggio”. Queste caratteristiche ci fanno capire che l’arma è stata posta a contatto con il capo. Nelle ferite da pallottola, è di solito presente un orifizio di uscita generalmente più grande di quello d’entrata(a causa dell’apertura “a fiore” o “a fungo” del proiettile oppure per il trascinamento di tessuto osseo o parenchimatoso). Nelle lesioni per colpi a distanza ravvicinata (40-50 cm) è presente, di norma, anche un annerimento perilesionale dovuto al deposito di polvere da sparo (non presente fra i reperti del nostro caso).

Gli effetti del trauma balistico sono dovuti alla penetrazione del proiettile (corpo estraneo) a livello di organi e tessuti. Gli effetti immediati sono da ricondurre all’emorragia secondaria alla lesione di strutture vascolari come arterie o vene; la gravità del sanguinamento dipende dalla sede coinvolta e dalla possibilità di rallentare o arrestare l’emorragia grazie all’ausilio di mezzi di compressione. L’emorragia può essere interna o esterna.

Le ferite interessanti il cranio e quindi le strutture encefaliche o delle porzioni superiori del midollo, hanno una prognosi a brevissimo termine, a breve termine e a lungo termine estremamente gravi. La lesione è generalmente fatale quando colpisce le strutture mesencefaliche; se interessa le altre strutture, la morte può non essere certa ma in ogni caso l’esito è estremamente grave.

Per i motivi sopra citati, le risposte B, C e D sono da ritenersi errate.


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