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1 di 3 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.
In seguito ai valori di glicemia a digiuno riscontrati, si richiede curva da carico orale di glucosio (OGTT). In base ai risultati sopra riportati, la paziente presenta:

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La risposta corretta è la B.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati ad un alterata secrezione insulinica o ad una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione di insulina può andare da una forma severa in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia) a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza.

L’insulino-resistenza da sola non è in grado slatentizzare un diabete mellito: serve un danno della secrezione.

Le alterazioni del metabolismo del glucosio si accompagnano poi ad alterazione del metabolismo dei lipidi e delle proteine.

Tutto questo predispone a delle complicanze vascolari (micro-vascolari a livello di rene, arti inferiori, retina / macro-vascolari a livello di cuore, cervello, arterie degli arti inferiori)

Il diabete lo possiamo classificare in 2 tipologie:

– diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente) che può avere cause immuno-mediate o idiopatiche;

– diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente) è una malattia metabolica, caratterizzata da glicemia alta in un contesto di insulino-resistenza e insulino-deficienza relativa e pertanto nella gran parte dei casi il paziente non necessita di insulina;

Poi abbiamo il diabete gestazionale: forma che diventa conclamata in gravidanza e retrocede al termine della gravidanza.

Abbiamo anche delle sindromi secondarie, fra le quali:

– pancreasectomia (anche se oggi non si effettua più la rimozione del pancreas nelle pancreatiti, ma solo nei tumori),

– patologie  del pancreas esocrino (pancreatite),

– patologie endocrine (Acromegalia, sindrome di Cushing, Feocromocitoma): essendo l’insulina l’unico ormone ipoglicemizzante,

– tossicità da sostanze chimiche o farmaci (somministrazione iatrogena di glucocorticoidi [malattie infiammatorie croniche, connettivopatie…], tiazidici)

Il diabete può andare avanti per molto tempo senza dare segni di sé.

E sebbene la glicemia sia il valore di laboratorio più richiesto, si calcola che per ogni soggetto diagnosticato ce ne sia un altro non diagnosticato (prevalenza del 4% – prevalenza stimata dell’8%)

Le misurazioni della glicemia per la diagnosi di diabete prevedono:

– Dosaggio della Glicemia a Digiuno (da 12 ore ): due rilevazioni ravvicinate uguali o superiori a 126 mg/dl ,

– Dosaggio della Glicemia Random: una rilevazione glicemica > 200 mg/dl anche in paziente non a digiuno, ma necessariamente sintomatico (polidipsia, poliuria, nicturia, etc.),

– curva da Carico di Glucosio, con somministrazione di 75 g di glucosio in 200-250 ml d’acqua. Il paziente esegue una rilevazione della glicemia di base, in cui va appurato che non presenti valori superiori a 126 mg/dl (in questo caso è sbagliata l’indicazione clinica alla curva da carico). La diagnosi si fa con una rilevazione di glicemia > 200 mg/dl a 2 h dalla somministrazione della soluzione.

Il test andrebbe effettuato:

– in pazienti non ricoverati, che presentano normali condizioni di alimentazione e salute,

– dopo un normale periodo di alimentazione abituale (inutile il tentare di ridurre i carboidrati prima del test nel tentativo di eludere la diagnosi di diabete, perché paradossalmente in questo modo la cellula β non stimolata riduce il suo rilascio di insulina e i pazienti presentano valori più alti),

– in assenza di febbre,

– a digiuno dalla mezzanotte precedente,

– non fumando negli intervalli tra le rilevazioni,

– in assenza di stress.

Indicazioni alla curva da carico di glucosio:

– in presenza di una glicemia non normale (non inferiore a 100 mg/dl ma non superiore a 126 mg/dl): questo status si chiama alterata glicemia a digiuno,

– in pazienti con familiarità per diabete, dall’età di 30-40 anni,

– in pazienti con obesità, che è intrinsecamente correlata al diabete,

– in pazienti con complicanze cardiovascolari (TIA, Angina, Claudicatio), soprattutto se obesi e fumatori,

– in pazienti con ricorrenti infezioni urinarie o cutanee e glicemia a digiuno alterata.

Mediatamente il 90% dei casi è di diabete di tipo II, che si chiamava diabete dell’adulto, in quanto l’esordio è usualmente oltre i 40 anni.

Adesso tuttavia si sta assistendo ad un anticipo dell’età di esordio, e ciò è correlato al problema dell’obesità (l’Italia si avvia ad avere il primato per l’obesità infantile, soprattutto nel centro-sud) e quindi si cominciano a vedere pazienti con DM tipo II a 18 anni.

Una cosa importante è che nei gemelli monozigoti la concordanza è praticamente del 100%, mentre nel diabete di tipo I che molto spesso è considerato avere un’importante componente genetica, in realtà la concordanza tra gemelli omozigoti è solo del 50%, in quanto intervengono fattori ambientali esterni determinanti.

Se quindi è vero che nel diabete di tipo II sia presente un  condizionamento legato allo stile di vita, comunque anche in gemelli omozigoti separati alla nascita la concordanza rimane. Questa grande componente genetica non è stata ancora completamente districata.

Oltre al diabete ed alla normalità, al centro si trovano due entità di alterato metabolismo dei carboidrati:

– Alterata Glicemia a digiuno,

– Ridotta Tolleranza al Glucosio, diagnosticata mediante la curva da carico, quando i valori a 2 h sono compresi tra 140 mg/dl (normale) e 200 mg/dl (sopra il quale si parla di diabete).

Le Ultime Linee Guida per la diagnosi:

ADA criteria for the diagnosis of diabetes

Symptoms of hyperglycemia — The diagnosis of diabetes mellitus is easily established when a patient presents with classic symptoms of hyperglycemia (thirst, polyuria, weight loss, blurry vision) and has a random blood glucose value of 200 mg/dL (11.1 mmol/L) or higher.

Asymptomatic — The diagnosis of diabetes in an asymptomatic individual can be established with any of the following criteria:

Fasting plasma glucose (FPG) values ≥126 mg/dL (7.0 mmol/L)

Two-hour plasma glucose values of ≥200 mg/dL (11.1 mmol/L) during an oral glucose tolerance test (OGTT)

A1C values ≥6.5 percent (48 mmol/mol)

In the absence of unequivocal symptomatic hyperglycemia, the diagnosis of diabetes must be confirmed on a subsequent day by repeat measurement, repeating the same test for confirmation.

Escludendo dunque le altre risposte, il DM II è la risposta più coerente con il quadro clinico avendo escluso le altre diagnosi. Il Test > 200 dovrà eventualmente essere confermato.

Queste diagnosi sono importanti perché:

– 1/3 dei casi progrediscono verso il diabete,

– 1/3 dei casi permangono in questo stato,

– 1/3 dei casi possono regredire.

ma la cosa importante è che questa è una zona grigia solo per quanto riguarda la definizione, perché in realtà il rischio cardiovascolare è assolutamente già presente. Il rischio CV precede ed è in parte indipendente dall’esordio del diabete, perché condizionato dall’insulino-resistenza.

Le complicanze del diabete sono:

– micro vascolari

retinopatia diabetica

nefropatia diabetica

neuropatia diabetica

– macrovascolari

ictus

infarto

amputazione: il meccanismo è un po’ più complesso perché contempla sia la neuropatia che la vascolopatia o la microangiopatia dei vasa nervorum.

C’è poi il grande capitolo dell’importanza del diabete nella patologia cardiaca. L’85% dei pazienti diabetici muore per cause cardiovascolari.  Se andiamo a studiare i soli soggetti diabetici, la cardiopatia ischemica e lo stroke rappresentano l’80% delle cause di morte.

E mentre i diabetici rappresentano il 4% della popolazione, questo sottogruppo rappresenta il 30-40% dei pazienti degli affetti da patologia cardiovascolare (cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, claudicatio degli arti inferiori). Tranne che nell’ictus, nelle altre patologie gli uomini sono più colpiti delle donne. Un paziente con diabete è considerato in termini epidemiologici equivalente a chi ha già avuto un infarto.

Il primo intervento terapeutico dovrebbe essere quello di intervenire sullo stile di vita, in termini di dieta ed attività fisica: quindi cercare di ridurre tutti i cibi con elevato apporto glicemico (farinacei e zuccheri semplici in primis).

I farmaci per il diabete di tipo II si dividono in diverse categorie:

– gli inibitori dell’α-glucosidasi (enzimi sull’orletto a spazzola delle cellule intestinali, che metabolizzano i carboidrati a zuccheri semplici): tali farmaci non intervengono direttamente nel metabolismo del glucosio in quanto tale, ma a livello dell’assorbimento del glucosio: a parità di carboidrati assunti, una parte non viene assorbita, e quindi crea una condizione simil-dietetica.  In Italia, di questa categoria, è presente solo l’acarbosio che viene assunto in dose di 50 mg prima di ogni pasto e ha come effetto importante il ridurre il carico di glucosio. In questo modo  riduce il sovraccarico di lavoro sulle β cellule del pancreas e riduce i picchi postprandiali di glicemia.E’ un farmaco non assorbibile, quindi ha una tossicità trascurabile (sono stati segnalati casi di aumento delle transaminasi), ma ha un effetto collaterale importante, perché è chiaro che tutti i carboidrati che non vengono assorbiti, verranno fermentati dalla flora batterica del colon, producendo una notevole quantità di gas e come tale il paziente avvertirà meteorismo e flatulenza. La compliance pertanto non è alta.  Si usa spesso in associazione con altri farmaci, essendo molto utile.

– Altro farmaco molto efficace e molto usato, attualmente al primo posto in quasi tutti gli schemi terapeutici, è la metformina. Molte volte il medico decide di prescriverlo insieme all’intervento dietetico e sullo stile di vita. Si tratta di un farmaco insulino-sensibilizzante appartenente alla classe delle biguanidi, ciò vuol dire che il farmaco migliora l’attività dell’insulina endogena: tale farmaco pertanto blocca uno dei meccanismi fisiopatologici del diabete tipo II: l’insulino-resistenza.Di fatto quindi il trattamento riduce glicemia ed insulinemia, e ciò alla lunga è importante perché riduce il rischio cardiovascolare. In studi con follow-up decennali, la metformina si è dimostrata uno dei pochi farmaci in grado di ridurre il rischio CV. Dal punto di vista degli effetti collaterali, può dare effetti avversi gastro-intestinali: se la nausea è modesta, il paziente la tollera ed anzi è utile a ridurre l’introito calorico, ma a volte la nausea costringe a sospendere il trattamento; altro effetto collaterale severo è la diarrea “esplosiva” ed  irrefrenabile. A parte questi effetti collaterali, la metformina è comunque un farmaco assolutamente efficace, laddove ci sia ancora dell’insulina endogena, ovvero in presenza di un pancreas ancora parzialmente funzionante. Il meccanismo non è ancora molto compreso, ma probabilmente agisce su alcune vie metaboliche che confluiscono nel rendere più disponibile i trasportatori del glucosio: stimolata dall’insulina, la cellula riesce quindi a metabolizzare una quantità maggiore di glucosio.

– Altri farmaci sono i glitazoni o tiazolidindioni: questa classe di farmaci aveva sollevato molto entusiasmo, perché migliorano la sensibilità all’insulina attraverso il legame con dei recettori citoplasmatici (PPAR-gamma) che regolano dei fattori di trascrizione nucleare, tra cui ci sono molti enzimi implicati nel metabolismo del glucosio o nell’espressione di alcuni geni che controllano la maturazione degli adipociti, favorendo la deposizione degli adipociti stessi nel tessuto sottocutaneo, a discapito di quello viscerale. Purtroppo non è ancora stato studiato un glitazone che agisca preferenzialmente o esclusivamente sui geni che interessano direttamente il metabolismo del glucosio, infatti ancora oggi questi farmaci agiscono anche su geni non coinvolti nell’eziopatogenesi del diabete di tipo II, dando quindi effetti collaterali come l’aumento di peso per ritenzione idrica e aumento del tessuto adiposo. Gli ultimi glitazoni introdotti, a differenza dei primi, non danno più problemi di epatotossicità. Un aspetto interessante dei glitazoni è che hanno più punti di attacco a livello dei recettori, perché controllano più geni, però sono poco specifici, quindi vanno ad interferire con tanti altri meccanismi. Inoltre questi farmaci hanno numerosi altri effetti collaterali tra cui l’osteoporosi, ed è stato anche posto il sospetto che aumentassero la probabilità di sviluppare un tumore della vescica.

– Le sulfaniluree sono farmaci secretagoghi, cioè stimolano la secrezione di insulina legandosi a dei recettori nelle cellule beta del pancreas, quindi affinchè abbiano effetto il pancreas deve essere funzionante. Infatti il meccanismo d’azione di questi farmaci interviene nella secrezione di insulina attraverso il legame con alcuni recettori che sono sulle beta-cellule, che sono i canali ATPdipendenti che regolano l’ingresso del potassio. La sulfanilurea si lega a questo recettore e viene bloccato l’ingresso di K nella cellula e al posto del K entra il calcio. Il calcio stimola le proteine contrattili, aumenta il Ca libero nel citoplasma e i granuli di secrezione che sono nella beta-cellula vengono secreti nel circolo portale e questo determina  l’effetto della sulfanilurea sulla secrezione insulinica. Il problema più grosso è che possono provocare ipoglicemia, perché la stimolazione delle sulfaniluree sulle beta-cellule non è glucosio-dipendente. Un altro effetto collaterale è l’aumento di peso, perché stimolano la secrezione di insulina. Controindicazioni all’uso di questa classe di farmaci, dove è consigliato usare insulina, sono: gravidanza, intervento chirurgico, infezione importante, trauma, insufficienza epatica o renale. Inoltre probabilmente le sulfaniluree hanno un meccanismo negativo anche a livello cardiaco e questa è una delle ragioni per cui attualmente vengono utilizzate poco.

– Le glinidi sono farmaci che hanno un meccanismo d’azione simile alle sulfaniluree, però sono un po’ meno potenti, quindi con le glinidi il rischio di ipoglicemia è ridotto ( in Italia il più usato e conosciuto è la Repaglinide).

– Le incretine sono una nuova famiglia di farmaci usati per il trattamento del diabete di tipo II. L’incretina è una sostanza prodotta dalle cellule endocrine della mucosa intestinale di derivazione neuroectodermica da cui origina anche l’ipofisi. Sono delle sostanze che stimolano la secrezione di insulina. Ce ne sono tante di queste sostanze che fanno parte di famiglie come la secretina, il glucagone e il VIP che appartengono alla stessa famiglia. Ma di queste alcune non hanno importanza fisiologica, cioè  le vere incretine sono il GIP e il GLP-1. La cosa interessante è che quello che viene considerato adesso il centro di questa situazione nuova ,conosciuta nella sua interezza da circa dieci anni ,è il pre-proglucagone. Questa molecola è  molto diffusa a livello di  intestino, pancreas e SNC ed è un grosso peptide che ha in sé delle sequenze che a seconda di  come vengono processate danno luogo a differenti ormoni.gli enzimi che lo  processano sono le  proconvertasi.  Sono molte ma le più importanti sono la  1 e la 3. Nel SNC e nell’intestino c’è una proconvertasi, nel pancreas un ‘ altra. Quando noi mangiamo a livello del duodeno ci sono le cellule K che stimolano la produzione di GIP e quando il cibo continua ad andare avanti e arriva nella seconda parte del duodeno ci sono le cellule L che, si distinguono per morfologia e affinità tintoriale dalle cellule K, che stimolano la produzione di GLP-1: quindi il cibo stimola la produzione del GIP e del GLP-1, i quali hanno una  attività di stimolo sulla secrezione di insulina. Nel diabetico le incretine sono prodotte di meno. Tali ormoni peptidici non possono essere somministrati per bocca, ma andrebbero somministrati sottocute o endovena; inoltre quando il GLP-1, che è il più potente, viene prodotto ha una emivita di pochi minuti e pertanto  il meccanismo di protezione dall’ipoglicemia si esplica in questo modo, sia attraverso il fatto che la secrezione di insulina è glucosio dipendente, sia attraverso il fatto che l’emivita delle incretine sia breve. Da un punto di vista farmacologico questo è un problema. Dovremmo darne tanto perchè viene metabolizzato rapidamente dalle DPP-4 che tagliano la sequenza degli ultimi anni del GLP-1 e lo inattivano: per tutti questi motivi l’utilizzo di questi farmaci pone ancora delle problematiche.

 

 

2 di 3 Domande

Roberto, un ragazzo di 25 anni, si reca presso il pronto soccorso del Policlinico Tor Vergata di Roma, lamentando un intenso dolore alla mano destra. Anamnesi patologica prossima: riferisce che durante uno scatto d’ira ha dato un pugno contro il muro e immediatamente dopo ha iniziato a sentire un forte dolore alla mano destra. Esame obiettivo: alla palpazaione la mano si presenta gonfia e dolente a livello del quinto raggio metacarpale. Quando il Dott. Faletti, medico di guardia di turno, chiede al paziente di chiudere le dita, osserva che il mignolo tende a ruoatare e accomodarsi sopra l’anulare. Esami strumentali: la radiografia è mostrata nell’immagine sottostante. Quale è il nome di questo tipo di frattura?

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La risposta corretta è la D.

La radiografia tradizionale utilizza una procedura di formazione dell’immagine in cui, un fascio di raggi X attraversa alcuni tessuti subendo una diversa attenuazione a seconde della densità dei tessuti stessi, e questo fascio così modificato va a colpire un sistema di rilevazione costituito dalla pellicola radiografica. Questa ha il compito di tradurre le variazioni nella trasmissione dei raggi X in differenze di densità ottica, cioè in diversi livelli di grigio. I raggi X, generati dal tubo radiogeno, interagiscono con la materia verso cui vengono rivolti e in base alle caratteristiche di questa (densità, spessore, numero atomico) riusciranno ad attraversala in misura minore o maggiore.

La radiodensità della materia è il parametro alla base della formazione del radiogramma: l’aria viene completamente attraversata ed apparirà iperdiafana (nera) mentre l’osso non si lascerà attraversare ed apparirà fortemente radiopaco (bianco).

L’esame radiografico del torace, nella sua semplicità di esecuzione, rapidità e bassa dose di radiazioni assorbite dal paziente, mantiene un ruolo fondamentale nella diagnostica delle patologie toraco-polmonari. Nella maggior parte dei casi, rappresenta l’esame di prima scelta.

Le due proiezioni più frequentemente utilizzate sono quella postero-anteriore (frontale) e, a meno che non vi siano delle condizioni che ne limitino l’esecuzione (es. decubito obbligato), la latero-laterale. Il radiogramma da noi esaminato è stato eseguito in proiezione P-A.

L’analisi delle caratteristiche del parenchima polmonare e dei profili pleurici sono fondamentali nella fase di valutazione dell’esame radiografico.

Nel caso specifico data la natura dell’evento traumatico, l’insorgenza della tumefazione e del dolore, il sospetto di frattura è consistente.

L’esame radiografico è l’esame di scelta per la rapidità, la facilità di esecuzione e i costi. All’esame radiografico standard, la frattura può essere visualizzata come una alterazione del profilo osseo. Nel nostro paziente possiamo notare una frattura composta, all’estremità distale del V raggio metacarpale, che peraltro è frequente nei pugili e pertanto chiamata “frattura del pugile”.

Nel caso in cui alla prima radiografia del polso non sia possibile osservare la lesione, è bene ripetere l’esame a 10-14 giorni di distanza, oppure eseguire una RMN, esame con maggiore sensibilità e specificità, che consente di notare anche l’edema perilesionale.

E’ bene non ritardare la diagnosi così da impostare il trattamento adeguato ed evitare le possibili conseguenze a breve e lungo termine come pseudoartrosi, artrosi, necrosi avascolare e altre.


3 di 3 Domande

Donna con BMI 21,4 Kg/m lamenta crampi addominali, nausea e diarrea cronica. Si sospetta un morbo celiaco. Questa immagine è colta durante esofagogastroduodenoscopia: qual è l'esame necessario per la diagnosi di celiachia?

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La risposta corretta è la D.

Il glutine è un complesso proteico contenente una sostanza, la prolamina, verso la quale può svilupparsi, in individui geneticamente predisposti (geni HLA DQ2 e DQ8), una forma di intolleranza, chiamata celiachia.

Questa è una enteropatia cronica provocata dall’ingestione di alimenti contenenti appunto il glutine, quali frumento, orzo, segale, farro, avena, kamut, triticale.

E’ caratterizzata da lesioni mucosali dell’intestino tenue che, estendendosi distalmente a partire dal duodeno, ne riducono la superficie assorbente e provocano un quadro di malassorbimento (diarrea e/o steatorrea e/o dimagrimento). Possono essere presenti anche sintomi extraintestinali come anemia, ipostatuarilismo, osteoporosi, astenia, amenorrea, menopausa precoce, infertilità,poliabortività, sintomi neurologici come epilessia, neuropatie periferiche, atassia, alterazioni della cute e degli annessi, stomatite aftosa e ipoplasia dello smalto dentario.

La diagnosi si basa sugli esami sierologici, ovvero l’esecuzione di test anticorpali (anticorpi antiendomisio e antitransglutaminasi), che presentano elevata sensibilità e specificità e permettono così  di restringere in maniera importante il numero di soggetti da sottoporre a biopsia, ed appunto sull’aspetto mucosale alla biopsia del duodeno, con apprezzabilità di: atrofia dei villi, ipertrofia delle cripte, aumento dell’infiltrato infiammatorio a livello della lamina propria e dell’epitelio (non sono presenti i macrofagi PAS positivi). La terapia è essenzialmente una rigorosa dieta priva di glutine.


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