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1 di 3 Domande

Una paziente si presenta in ambulatorio con questa scintigrafia. Da quale delle seguenti patologie è più probabilmente affetto il paziente, guardando il quadro scintigrafico?

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La scintigrafia ossea è un esame diagnostico che permette, grazie alle caratteristiche di alcuni farmaci (detti radiofarmaci), di valutare il grado di attività metabolica dello scheletro (l’aumentata vascolarizzazione e l’aumentata attività osteoblastica). In modo abbastanza rapido, con una dose contenuta di radiazioni, e con alta sensibilità diagnostica, permette di evidenziare le aree in cui vi sia un aumentato turnover metabolico dell’osso. Al contrario rispetto all’alta sensibilità (le aree con alterazioni del metabolismo osseo sono evidenziabili alla scintigrafia molto prima che risultino evidenziabili radiologicamente), questo esame è dotato di bassa specificità poiché sono molteplici le condizioni in grado di indurre un aumento dell’attività osteoblastica, la quale provoca una maggiore concentrazione del radiofarmaco. Per questo motivo, in un percorso diagnostico o in un follow up, la scintigrafia è un esame che deve essere correlato ad altri esami radiologici o ad altre tecniche di imaging. A seconda del quadro scintigrafico ottenuto e naturalmente del quadro clinico-anamnestico del paziente, possiamo orientare il nostro sospetto diagnostico su una determinata patologia.

La scintigrafia ossea è un’indagine medico-nucleare che permette di differenziare le aree osteoporotiche con  ridotta attività osteoblastica e quindi ridotta captazione dalle aree osteomalaciche dove l’abbondante produzione di matrice osteoide induce un’ipercaptazione diffusa. La sensibilità delle tecniche medico-nucleari in questo caso è talmente alta che consente di identificare precocissimamente anche il solo rimaneggiamento osseo che produrrà una decalcificazione e quando evidente consentirà all’imaging radiologico di evidenziarla. In questo tipo di esame vengono utilizzate delle gamma-camere e la somministrazione di un tracciante radioattivo che è costituito da un radioisotopo o da una molecola marcata con un radioisotopo. I traccianti possono essere sia omogenei che eterogenei: il tracciante può essere chimicamente identico alla sostanza tracciata (tracciante omogeneo), quindi con identica evoluzione spazio-temporale, oppure può avere in comune con la sostanza tracciata solo alcuni comportamenti di interesse (tracciante eterogeneo), eventualmente anche solo un’analoga distribuzione spaziale (tracciante di volume o di flusso). Nel caso della scintigrafia ossea vengono utilizzati i bifosfonati marcati con Tecnezio-99m (99mTc-HDP, 99mTc-MDP) che diffondono passivamente negli spazi extravascolari ed extracellulari e si depositano intorno alla matrice ossea permettendo di localizzare le aree scheletriche colpite dalla malattia.

Il principale meccanismo di legame dei fosfati sull’osso avviene per mezzo di legami chimici sulla superficie dei cristalli diidrossiapatite. Le grandi superfici di idrossiapatite, presenti nei centri di crescita o nelle lesioni ossee metabolicamente attive, mostrano maggiore capacità di concentrare il radiofarmaco.

La scintigrafia ossea permette pertanto di fare una valutazione del metabolismo dell’osso e di eventuali alterazioni distrettuali del turnover metabolico ed una esplorazione contemporanea di tutti i distretti scheletrici, in breve tempo, con bassa irradiazione. E’ un esame dotato di elevata sensibilità diagnostica ed una bassa specificità, quindi è utile correlazione con esami radiologici (TC, RM)  per definire la causa di ipercaptazione.

Andiamo a valutare le opzioni:

Il paziente descritto ha il morbo di Paget (risposta A corretta), detta anche osteite deformante, che è una patologia a carattere cronico con interessamento delle ossa e si caratterizza per un aumentato turnover osseo e nello specifico l’aumentata attività osteoclastica si associa ad un aumento compensatorio della attività osteoblastica, essendo responsabile di una struttura ossea pesantemente disorganizzata.

La malattia di Paget dell’osso è una patologia cronica dello scheletro dell’adulto in cui il turnover osseo è accelerato in alcune aree definite. La normale matrice è sostituita da osso indebolito e rarefatto. Distinguiamo due fasi: la prima di riassorbimento osseo focale, seguita da una fase di formazione ossea disordinata che provoca un rimodellamento anormale. Questo può portare alla graduale comparsa di dolore, deformità dei segmenti ossei interessati (spesso anche ingrandimento) ed eventuali fratture. I pazienti, che presentano una malattia di Paget potrebbero presentarsi anche dal medico dopo aver notato un aumento delle dimensioni della testa: spesso, colpisce il cranio, producendo un ispessimento anormale e irregolare dell’osso. Può essere colpito qualsiasi segmento osseo e quando vengono interessate le ossa lunghe, soprattutto degli arti inferiori, uno dei segni più evidenti è la curvatura di tali ossa.  Abbiamo delle forme monostotiche e poliostotiche. I siti più interessati sono: pelvi 30-75%, femore 25-35%, rachide lombare 30-75%,  cranio 25-65%, tibia 32%. Le estremità inferiori sono maggiormente interessate rispetto alle superiori. Il coinvolgimento cervicale e toracico è minore. (risposta corretta A)

Il sospetto di malattia di Paget si evince dalla storia di dolore osseo diffuso (anche se può decorrere in maniera del tutto asintomatica), dalla eventuale presenza di deformità scheletriche, dall’incremento della circonferenza cranica e dai reperti osservati all’esame obiettivo  (come eminenze frontali e tibie ricurve). La diagnosi è effettuata con la RX che mostra una curvatura della tibia e del femore, ossa allargata con irregolarità del profilo, slargamento del cranio con aree radiotrasparenti (l’Rx del cranio mostra il classico aspetto a “fiocchi di cotone”).

Dal punto di vista laboratoristico si apprezza un aumento della fosfatasi alcalina sierica e idrossiprolina urinaria, indicative di un aumento della degradazione del collagene nell’osso, mentre i livelli di calcio e fosfato sono nella norma. La maggior parte dei pazienti sono asintomatici e non richiedono trattamento, ma qualora fosse presenta una sintomatologia, essa solitamente comprende: dolore osseo, deformità scheletrica, fratture patologiche, deficit dei nervi cranici, ipoacusia secondaria all’espansione della volta cranica, insufficienza cardiaca severa ed una maggiore incidenza di aterosclerosi valvolare. La terapia può essere indicata al fine di trattare i sintomi e di prevenire le complicanze. Essa include in genere bisfosfonati, come alendronato, risendronato e pamidronato, che agiscono inibendo l’attività osteoclastica e rappresentano la terapia di prima linea per la malattia di Paget dell’osso.

Le metastasi ossee possono essere osteoaddensanti (dove abbiamo apposizione di matrice ossea per attvità osteoblastica incontrollata) e quindi radiocaptanti, osteolitiche (in cui l’osso viene eroso per aumento dell’attività osteoclastica) e quindi ipocaptanti, oppure miste con aree osteolitiche e osteoaddensanti. Nel K mammella le metastasi sono generalmente osteolitiche: gli osteoclasti vengono sovra attivati da parte di fattori tumorali (es. il peptide correlato al paratormone). Alla scintigrafia verranno quindi evidenziate aree ipocaptanti, “fredde” (Risposta B errata). In altre neoplasie, come il K prostata, le metastasi sono invece osteoaddensanti e quindi ipercaptanti (eccessiva deposizione di osso osteoide con mineralizzazione, dovuta ad alterazioni della proliferazione ed attivazione osteoblastica da parte di alcuni fattori (endotelina 1).

Il linfoma è una delle neoplasie che metastatizzano più frequentemente alle ossa. A differenza del mieloma, sia nel caso del linfoma primitivo dell’osso sia di localizzazione secondaria, la scintigrafia ossea è sempre altamente positiva e permette di evidenziare eventuali localizzazioni scheletriche, diversa dalla localizzazione mostrata dalla scintigrafia presentata  dove vi sono aree focali di iperaccumulo del tracciante, prevalentemente in corrispondenza dell’arto inferiore di sinistra che si presenta come un’ area osteoaddensante e deformata. L’anamnesi e gli altri esami ematochimici e strumentali ci permetteranno di orientarci verso la diagnosi (risposta C errata).

L’artrite reumatoide è una malattia cronica autoimmune ad eziologia sconosciuta, che coinvolge principalmente le articolazioni. Esordisce con sintomi articolari e sistemici come rigidità mattutina delle articolazioni interessate, astenia e malessere generalizzato ed affaticamento, mentre i sintomi articolari comprendono dolore, tumefazione e rigidità, fino ad arrivare a vere e proprie alterazioni articolari come le deformità a collo di cigno e a bottoniera.. Provoca infiammazione della sinovia e conseguente ipervascolarizzazione. L’aumento del flusso sanguigno, insieme al rimodellamento osseo, provoca una iperconcentrazione del farmaco. La scintigrafia ha un’alta sensibilità ma una bassa specificità. La localizzazione è maggiore nelle sedi tipiche della malattia quali mani (soprattutto le articolazioni metacarpo-falangee e interfalangee prossimali), i piedi, le ginocchia, la colonna cervicale (risposta D errata). Gli esami di laboratorio possono evidenziare positività del fattore reumatoide nell’80% dei casi; esso è un autoanticorpo che lega la frazione Fc delle immunoglobuline di tipo IgG, evidenziabile anche in altre patologie connettivali. Un marker diagnostico più specifico è rappresentato dalll’anticorpo anti-citrullina.


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Un collega consulta il medico specialista in merito all'interpretazione del timpanogramma in figura.
A quale patologia si potrebbe associare tale timpanogramma?

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Il timpanogramma è un grafico ottenuto dallo studio impedenzometrico del timpano, esame diagnostico audiologico obiettivo, che ne valuta la sua elasticità/rigidità e quella della catena degli ossicini (la membrana timpanica e le strutture dell’orecchio medio hanno il compito di trasmettere le vibrazioni acustiche, che provengono dal condotto uditivo esterno, sino all’orecchio interno). L’impedenza acustica è la resistenza che esercita la membrana timpanica nel lasciarsi deformare dall’onda sonora che la investe, e dipende dal timpano stesso, dai riflessi cocleo stapediali e dall’eventuale presenza di versamento, pus o edema. Nella pratica questo esame viene eseguito inserendo una piccola sonda all’interno dell’orecchio; attraverso questa, verrà emessa una pressione sonora di una certa entità, in grado di provocare il movimento del timpano o della catena ossiculare. Nei soggetti con normale capacità uditiva, il timpano è dotato di una certa elasticità e, quando viene raggiunto da un suono, può muoversi in relazione all’onda sonora (una parte di questa viene assorbita e l’altra viene riflessa); nel timpanogramma avremo quindi, in condizioni di normalità, una curva a campana. In condizioni di alterata elasticità timpanica, come nel caso di una timpanosclerosi avanzata o in presenza di versamento come nei processi infiammatori (es otite media), il timpano non sarà capace di muoversi in maniera fisiologica per la presenza del liquido oppure a causa del processo di sclerosi. Avremo quindi, al timpanogramma, una curva con un picco estremamente ridotto oppure una linea piatta, come in questo caso (risposta C corretta).

L’otite media è un’infezione batterica o virale dell’orecchio medio che in genere accompagna un’infezione delle alte vie respiratorie. E’ una condizione estremamente comune nei bambini dai 6 ai 36 mesi di età, dato che le tube di Eustachio sono corte e possono facilmente intasarsi di secrezioni purulente. I fattori di rischio includono l’ assunzione di latte in polvere (piuttosto che latte materno), l’ esposizione al fumo di sigaretta, rinite allergica o infezione virale delle vie aeree superiori, anomalie cranio-facciali e secrezioni croniche dell’ orecchio medio. Gli agenti patogeni principalmente responsabili sono: il pneumococco, la moraxella catarrhalis e l’Haemophilus influenzae. Soprattutto nei bambini è presente otalgia, ma di vi è anche eritema e/o mobilità limitata della membrana timpanica, spesso accompagnata da sintomi sistemici, quali febbre, nausea, vomito e diarrea. La diagnosi si basa prevalentemente sull’esame otoscopico con ridotta mobilità ed edema della membrana timpanica all’insufflazione pneumatica. Il trattamento prevede la somministrazione di analgesici ed alle volte di antibiotici. Il trattamento di prima linea è un ciclo di 10 giorni di amoxicillina ad alto dosaggio e se vi è una ricaduta di malattia entro un mese dal trattamento iniziale, è necessario somministrare amoxicillina con acido clavulanico in previsione di un’infezione determinate da ceppi resistenti alla beta-lattamasi. Le potenziali complicanze dell’ otite media ricorrente comprendono otite media suppurativa cronica, mastoidiite, labirintite, colesteatoma, timpanosclerosi, perforazione del timpano e ipoacusia trasmissiva.

L’ipoacusia da rumore è una ipoacusia di tipo neurosensoriale, dovuta ad un danno a carico delle cellule ciliate dell’orecchio interno. Non può essere indagata con l’esame impedenzometrico che è indicato nel sospetto di ipoacusie di tipo trasmissivo, riguardanti l’orecchio esterno e medio (risposta A errata).

Il neurinoma del nervo VIII da anch’esso una ipoacusia di tipo neurosensoriale non rilevabile dall’esame impedenzometrico (risposta B errata).

La vertigine posizionale parossistica benigna non è causata da alterazioni delle strutture dell’orecchio esterno. Per questo motivo non può essere studiata con l’esame impedenzometrico (risposta D errata).


3 di 3 Domande

Il Sig. Verci, un uomo di circa 60 anni si reca, presso l’ambulatorio del proprio medico curante, il Dott. Briga, per dispnea. Anamnesi patologica prossima: lamenta una dispnea ingravescente da circa un mese. Inizialmente era in grado di salire 3 rampe di scale fino al suo appartamento, ma ora necessita di effettuare numerose pause per recuperare il fiato. Non lamenta dolore al petto. Anamnesi patologica remota: l'uomo è affetto da cardiopatia reumatica e diabete mellito di tipo 2. Anamnesi fisiologica: è emigrato dall'India circa 20 anni prima. Anamnesi farmacologica: assume carvedilolo, torasemide e insulina. Esame obiettivo: il Dott. Briga visita il Sig. Verci riscontrando una temperatura corporea di 37.2°C, una frequenza cardiaca di 74 bpm, una frequenza respiratoria di 19 atti/min ed una pressione arteriosa di 135/80 mm Hg. La pulsossimetria mostra una saturazione d'ossigeno del 96% in aria ambiente. L'auscultazione del torace rivela la presenza di crepitii alle basi polmonari bilateralmente. All’auscultazione cardiaca si riscontra la presenza di un soffio d'apertura seguito da un soffio diastolico di bassa tonalità, a livello del quanto spazio intercostale di sinistra in corrispondenza della linea medio-claveare. Esami strumentali-laboratoristici: il Dott. Briga decide di far eseguire una radiografia del torace al Sig. Verci, che mostra una dilatazione dell'atrio di sinistra, con stiramento del margine cardiaco di sinistra, ed un’aumentata trama vascolare. Quale tra i seguenti rappresenta l'intervento di prima scelta per migliorare la sintomatologia del paziente?

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La risposta corretta è la D.

La malattia reumatica è la causa più frequente di stenosi mitralica non complicata. E’ caratterizzata da fibrosi, calcificazione dei lembi valvolari e parziale fusione delle commissure, con conseguente riduzione dell’ostio valvolare (normalmente 4-6 cm²) fino a valori inferiori ad 1 cm². A causa di questo restringimento, l’unico modo per garantire il passaggio di sangue dall’atrio di sinistra al ventricolo di sinistra durante la diastole è aumentare le pressioni atriali. Questo aumento di pressione si trasmette anche a monte, con aumento dei valori pressori anche nelle vene e nei capillari polmonari. Ecco la causa della dispnea.

Nel caso in cui vi siano ulteriori aumenti pressori, insorti soprattutto acutamente, potrebbe anche verificarsi la trasudazione di liquido all’interno degli alveoli con conseguente edema polmonare. Il nostro paziente all’auscultazione presenta appunto anche crepitii basali bilaterali. Il gradiente diastolico di pressione transvalvolare sarà proporzionale al grado di stenosi; sarà inoltre sensibile agli aumenti della portata e della frequenza cardiaca: maggiore sarà la portata e/o la frequenza e maggiore sarà il gradiente. Per questo motivo, un soggetto asintomatico a riposo, potrebbe diventare sintomatico anche per sforzi lievi (insorgenza della dispnea dopo pochi piani di scale).

Il quadro evolutivo della stenosi mitralica è rappresentato dallo sviluppo dell’ipertensione arteriosa polmonare, secondaria all’ipertensione venosa polmonare; questa infatti provoca una vasocostrizione arteriolare che, nelle prime fasi è solo funzionale e quindi reversibile, ma successivamente diventa irreversibile a causa dell’ipertrofia della tonaca media e della fibrosi dell’intima. La presenza di elevate resistenze arteriolari nel circolo polmonare porterà a sua volta un sovraccarico di pressione a livello del ventricolo destro, con la sua dilatazione, ipertrofia, disfunzione contrattile e tutti I segni conseguenti allo scompenso cardiaco destro e alla bassa gittata.

Nel caso della insufficienza mitralica invece, essendo la pressione atriale sinistra molto più bassa rispetto a quella presente in aorta, il sangue refluirà in atrio già durante la fase di contrazione isometrica del ventricolo.

Nel caso di insufficienza mitralica cronica, l’atrio di sinistra si adatterà progressivamente al rigurgito, dilatandosi; la pressione a monte quindi non aumenterà in maniera significativa. Invece, nel caso dell’insufficienza mitralica acuta, non avendo l’atrio il tempo di adattarsi, subirà un brusco aumento pressorio con ripercussioni sulla pressione venosa polmonare. D’altra parte, il ventricolo di sinistra, sottoposto ad un sovraccarico di volume, si dilaterà. Nelle fasi iniziali la frazione di eiezione rimarrà conservata, invece progressivamente, a parità di volume telediastolico aumentato, avremo una riduzione del volume telesistolico, a causa del rigurgito in atrio. Una frazione di eiezione inferiore al 60% è indicativa di compromissione ventricolare sinistra.

Il nostro paziente, valutati I segni e I sintomi clinici e I reparti auscultatori, è probabile possa avere un coinvolgimento valvolare mitralico, in particolar modo una stenosi oppure una steno-insufficienza. L’intervento di scelta, nel caso di stenosi mitralica clinicamente significativa (area valvolare ≤1,5 cm²) o sintomatica, e nei pazienti con controndicazioni alla chirurgia, è la valvuloplastica percutanea con palloncino, cioè una “dilatazione controllata” dell’apparato valvolare che viene eseguita attraverso un palloncino ad alta resistenza, gonfiato in prossimità della valvola stessa ed introdotto tramite un cateterino inserito generalmente in vena femorale destra. Essendo una tecnica mini-invasiva riduce notevolmente il tasso di morbilità e mortalità perioperatori, e I dati clinici confermano un’ottima efficacia a lungo termine, con sopravvivenza libera da eventi nel 30-70% dei casi. Tuttavia, non sono rare le restenosi.

Non può essere eseguita nei pazienti che presentano calcificazioni valvolari (in tal caso è consigliato l’intervento di sostituzione della valvola).

 

La risposta A non è corretta.

La valvola aortica può essere interessata dalla malattia reumatica con alterazioni di tipo stenotico come fusione delle commissure, calcificazioni, rigidità e retrazione dei bordi valvolari, provocate dal processo infiammatorio, e alterazioni secondarie alla stenosi che, cronicizzate, portano alla sua insufficienza (steno-insufficienza).

Nel primo caso, la riduzione dell’apertura valvolare rappresenta un ostacolo all’eiezione del sangue dal ventricolo sinistro che, per poter superare la resistenza della stenosi, dovrà esercitare una pressione maggiore. Questo sovraccarico pressorio genera una ipertrofia parietale, non associata a dilatazione della cavità ventricolare, necessaria per mantenere costante il postcarico. L’ipertrofia di parete provocherà, allo stesso tempo, una riduzione della sua compliance e un maggiore fabbisogno miocardico di ossigeno. La minore compliance causerà un aumento della pressione diastolica ventricolare che si ripercuoterà a monte; l’atrio di sinistra, per garantire il riempimento del ventricolo dovrà contrarsi in maniera più energica; di conseguenza, si ipertrofizzerà anch’esso. L’ipertrofia tissutale e l’aumento della pressione diastolica endocavitaria, soprattutto quella ventricolare, porterà, da una parte, alla compressione dei piccoli vasi subendocardici con ostacolo alla perfusione coronarica, e dall’altra a una maggiore richiesta di ossigeno da parte del miocardio. Questo si potrà tradurre in angina, dispnea da sforzo per aumento delle pressioni in atrio di sinistra (che si ripercuotono sul circolo polmonare), vasodilatazione periferica per abnorme stimolazione dei barocettori ventricolari, sincope.

Nel caso dell’insufficienza aortica  (nella malattia reumatica spesso associata alla stenosi), invece, una quota del sangue eiettato in aorta, ritorna in ventricolo sinistro durante la diastole. Il ventricolo di sinistra si troverà quindi, nella sistole successiva, a dover espellere un volume di sangue maggiore (normale gittata sistolica più quota rigurgitata). Per far fronte all’aumento del volume diastolico, il ventricolo reagirà dilatandosi (legge di Laplace) e, allo stesso tempo, ipertrofizzandosi, per superare le pressioni vigenti in aorta. All’aumento delle pressioni ventricolari, l’atrio di sinistra reagirà con una ridotta e ritardata apertura mitralica. Sino a quando il ventricolo conserverà una efficiente capacità contrattile, l’aumento delle pressioni non avrà effetti su atrio sinistro, circolo polmonare e cuore destro. Il danno alla valvola aortica quindi, non porta nell’immediato a conseguenze coinvolgenti l’atrio senza aver prima provocato alterazioni ventricolari.

Nel nostro paziente, ciò che notiamo alla radiografia, è un ingrandimento atriale senza, verosimilmente, coinvolgimento ventricolare; inoltre, all’auscultazione avremmo, nella maggior parte dei casi e con le dovute eccezioni e variazioni, un soffio sistolico udibile in 2° spazio intercostale di sinistra e sul focolaio aortico (in caso di stenosi) o un soffio diastolico udibile a livello del 3°-4° spazio intercostale della linea parasternale sinistra (in caso di insufficienza). Quindi probabilmente, in questo caso, la valvola interessata dalla condizione patologica e quindi da sottoporre a trattamento, non è quella aortica.

 

La risposta B non è corretta.

La valvola tricuspide, collocata tra atrio e ventricolo destro, raramente è interessata da valvulopatia primaria. Nella maggior parte dei casi in cui sia stata causata da patologia reumatica, si tratterebbe di insufficienza, associata (in circa il 10-15% dei casi) a stenosi.

Nel caso della stenosi, la restrizione dell’ostio valvolare provoca un aumento del gradiente transvalvolare tra atrio e ventricolo destro. Avendo, a monte della tricuspide, basse pressioni venose, anche un gradiente di pochi mmHg (≥ 5 mmHg) potrebbe provocare una congestione importante con turgore delle giugulari, epatomegalia, edemi declivi e talvolta ascite.

All’esame obiettivo noteremmo quindi I segni legati alla congestione venosa sistemica e alla bassa portata; all’auscultazione invece potremmo rilevare un rullio diastolico, con rinforzo presistolico, all’angolo sternale inferiore sinistro.

In caso di insufficienza tricuspidalica invece, il ventricolo destro è sottoposto ad un sovraccarico di volume poichè riceve il sangue venoso refluo e quello rigurgitato nell’atrio destro durante la sistole precedente. Solitamente, se non associato ad ipertensione polmonare, è un vizio valvolare ben tollerato. Soprattutto nel caso in cui fosse associato ad ipertensione polmonare, invece, avremmo anche una riduzione della portata cardiaca e la comparsa di sintomi sistemici dovuti all’aumento della pressione venosa. A livello auscultatorio potremmo notare un soffio olosistolico localizzato al 4° spazio intercostale, in sede parasternale, o nell’area subxifoidea.

Dati i segni clinici e I reperti auscultatori, il nostro paziente non dovrebbe essere affetto da una valvulopatia tricuspidalica.

 

La risposta C non è corretta.

Gli interventi di sostituzione della valvola mitralica vengono presi in considerazione qualora non sia possibile adottare un atteggiamento più conservativo, come la “valvuloplastica”, con mantenimento della valvola nativa. Più che per la stenosi, viene eseguita nei casi di insufficienza o steno-insufficienza mitralica. Si tratta di un intervento più complesso rispetto a quello eseguito con tecnica percutanea.

Si svolge in anestesia generale poichè richiede un accesso sternotomico o minitoracotomico e si esegue a cuore fermo, in circolazione extracorporea. La protesi impiantata in sostituzione di quella nativa può essere meccanica, di lunga durata ma con necessità di una terapia anticoagulante, oppure biologica (origine animale, solitamente maiale), non legata alla terapia anticoagulante (si nell’immediato ma non a lunga durata) ma più soggetta a deterioramento. L’intervento chirurgico viene considerato nei pazienti non candidabili, per caratteristiche cliniche o anatomiche valvolari sfavorevoli, all’approccio percutaneo (ad esempio pazienti con calcificazioni severe o bicommissurali, concomitante patologia valvolare aortica severa o steno-insufficienza tricuspidale severa, concomitante malattia coronaria necessitante di BPAC, trombi in atrio sx etc). E’gravato da una maggiore morbilità e mortalità perioperatoria.

La domanda fa riferimento all’intervento di prima scelta. Ci potrebbero essere dati che spostino l’intervento verso la sostituzione, tuttavia non sono citati nella domanda; quindi si presuppone che non ci siano.

La risposta E non è corretta.

Raramente la patologia reumatica o quella infettiva colpiscono la valvola polmonare. Nella maggior parte dei casi, la causa è congenita. Nel raro caso in cui fosse interessata, l’insufficienza sarebbe per lo più secondaria ad una grave ipertensione polmonare, con sintomi e segni riconducibili appunto all’ipertensione polmonare stessa e al cuore-polmonare conseguente.

Il soffio rilevabile sarebbe di tipo diastolico, accentuato in inspirazione e ridotto con la manovra di Valsalva, con inizio dopo la componente polmonare del secondo tono.

La stenosi della valvola polmonare è per lo più una condizione congenita; il ventricolo destro inizialmente riesce a svolgere il suo lavoro, a discapito di un aumento delle sue pressioni e conseguente ipertrofia. A lungo andare questo può ripercuotersi sul circolo a monte con insufficienza tricuspidalica e aritmie atriali.

I sintomi, se la stenosi è di grado lieve-moderato, possono presentarsi anche in età adulta con dispnea, affaticabilità e dolore toracico. Non causa edema polmonare. All’auscultazione possiamo udire, nelle forme più severe, un soffio sistolico in parasternale sinistra alta.

La valvulotomia percutanea, indicata nei casi di stenosi polmonare sintomatica, non è il trattamento di scelta in questo caso, non essendo la valvola polmonare coinvolta.


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