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1 di 5 Domande

Un uomo di mezz’età fruttivendolo si reca dal proprio medico curante per sottoporsi ad una visita medica. Riferisce dolori lancinanti e formicolio in corrispondenza del pollice, del dito indice e del dito medio delle mani, che si manifestano prevalentemente di notte e sono peggiorati negli ultimi anni. Soffre di mal di testa ed ha avuto un aumento di peso di circa 10 kg. Inoltre, riferisce che il suo volto gli sembra cambiato. Anamnesi patologica remota: positiva per ipertensione controllata con la dieta. Anamnesi farmacologica: non assume farmaci in cronico. Esame obiettivo: T.C. normale, P.A. 165/90 mmHg, F.C. 73 bpm/min e F.R. 13 atti/min. All’esame obiettivo non si riscontra una debolezza bilaterale dei pollici, ma le dimensioni delle mani e dei piedi sembrano sproporzionate rispetto alle dimensioni del corpo del paziente. Quale dei seguenti è il test diagnostico più importante in questo paziente?

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La risposta corretta è la A.

Per il paziente del caso clinico, verosimilmente affetto da acromegalia, il test diagnostico più importante è la valutazione della concentrazione ematica del fattore di crescita insulino-simile (IGF-1), che è solitamente notevolmente elevato in tale patologia. In particolare, la concentrazione ematica di IGF-1 rappresenta il test diagnostico più importante, in quanto non presenta fluttuazioni marcate come la concentrazione di GH, poiché il livello dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (o GnRH) subisce fisiologiche fluttuazioni giornaliere ed altre dovute all’esercizio fisico o a malattia acuta (risposta B errata). Inoltre, verosimilmente la TC del cervello potrebbe mostrare un macro-adenoma, tuttavia, tale esame deve essere effettuato dopo la misurazione della concentrazione ematica del fattore di crescita insulino-simile (risposta D errata). Inoltre, per quanto sia probabile che il paziente del caso clinico presenti diabete secondario all’acromegalia, è logico prima diagnosticare la acromegalia e, successivamente, verificare la presenza del diabete (risposta C errata). Al contrario, il dosaggio dei livelli di cortisolo è utile nella diagnosi della sindrome di Cushing (risposta E errata).


2 di 5 Domande

Una donna di 25 anni affetta da celiachia presenta gli esami ematici riportati in tabella. A quale malattia è più probabile si riferisca il quadro biochimico?

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La risposta corretta è la D.

In base ai reperti clinico-anamnestici e agli esami ematochimici, la paziente del caso clinico presenta verosimilmente la tiroidite di Hashimoto in fase subclinica, una affezione cronica autoimmune da una infiltrazione linfocitaria, che distrugge e sostituisce il parenchima tiroideo, associata a gozzo con o senza ipotiroidismo. Tale patologia si caratterizza per un elevato livello di anticorpi anti-tireoglobulina e anti-perossidasi. Tale patologia può associarsi ad altre malattie autoimmuni come: gastrite atrofica, celiachia, anemia perniciosa, morbo di Addison, diabete mellito 1, vitiligine, anemie emolitiche, epatite biliare. Gli esami consistono nel dosaggio di T4, dell’ormone stimolante la tiroide (TSH) e degli auto-Ac tiroidei. Nella tiroidite di Hashimoto si possono riscontrare diverse situazioni funzionali:

1) normale funzione tiroidea;

2) ipotiroidismo subclinico;

3) ipotiroidismo clinico;

4) ipertiroidismo/tireotossicosi transitoria.

La storia naturale della tiroidite cronica è, solitamente, caratterizzata da una lenta progressione verso l’ipotiroidismo clinico. Al contrario, la disormonogenesi tiroidea familiare è una forma di ipotiroidismo primitivo congenito, un deficit permanente dell’ormone tiroideo presente alla nascita, dovuto ai difetti genetici della sintesi dell’ormone tiroideo. Nei paesi nei quali sono stati attuati programmi di screening neonatale, la diagnosi viene posta nei neonati in presenza di livelli sierici elevati di TSH e bassi di T4 o T4 libera (risposta A errata). Così, la disgenesia tiroidea è un tipo di ipotiroidismo primitivo congenito, un deficit permanente dell’ormone tiroideo presente alla nascita con livelli sierici elevati di TSH e livelli bassi di T4 o di T4 libera (risposta B errata).


3 di 5 Domande

Qual e' il trattamento di prima linea della malattia di Cushing?














La risposta corretta è la C.
Il trattamento di prima linea per la malattia di Cushing, un quadro clinico conseguente ad un’eccessiva produzione di ACTH da parte dell’ipofisi, è rappresentato dall’asportazione dell’adenoma ipofisario attraverso l’ablazione per via transfenoidale del tumore ipofisario ACTH-secernente. Invece, nei pazienti che presentano un adenoma ipofisario ACTH-secernente, ma non sono candidabili alla terapia chirurgica o che non sono guariti dopo l’intervento di asportazione, è indicata la terapia radiante (risposta D errata). All’opposto, l’intervento di surrenectomia bilaterale è indicato nei casi in cui la terapia medica e la terapia radiante non siano state utili (risposta A errata).

4 di 5 Domande

Scenario JN23L: Una donna di 35 anni, affetta da vitiligine, si presenta dal medico di famiglia accusando ansia, dimagrimento di circa 4 kg e sensazione costante di corpo estraneo oculare. All'esame obiettivo la paziente presenta lieve esoftalmo e tachicardia con FC 110 bpm. Gli esami di laboratorio mostrano valori di TSH minori di 0.001 mU/L con ormoni tiroidei liberi francamente aumentati. Tutte le seguenti affermazioni relative alla gestione del caso clinico sono corrette AD ECCEZIONE di una; quale?














La risposta corretta è la E.
L’ipertiroidismo è una condizione caratterizzata da iper-metabolismo ed elevati livelli sierici di ormoni tiroidei liberi. Una delle cause più frequenti di tale patologia è la malattia di Graves-Basedow, caratterizzata dalla presenza di autoanticorpi, che portano all’attivazione del recettore per il TSH. Clinicamente i pazienti presentano cardiopalmo, astenia, nervosismo, tachicardia, spesso tremori, intolleranza al caldo, esoftalmo, diarrea e segni di irritazione congiuntivale. Inoltre, nella maggior parte dei casi è presente gozzo e spesso mixedema pretibiale. Il trattamento di prima scelta della malattia di Graves-Basedow si basa sull’utilizzo dei farmaci antitiroidei, come il metimazolo o il propiltiouracile, che riducono la sintesi degli ormoni tiroidei, dunque il loro uso non è mirato direttamente al miglioramento del quadro oftalmologico. Invece, il trattamento dell’oftalmopatia varia in relazione alla gravità e alla sintomatologia individuale. Si intraprende immediatamente nella fase acuta per evitare una grave compromissione visiva e ripristinare una condizione estetica e funzionale accettabile. La terapia può essere medica, ad esempio, con l’uso di lacrime artificiali, come collirio o gel, per umidificare e contenere i disagi legati alla mal occlusione oculare. In aggiunta, nei soggetti con neuropatia ottica o nelle fasi iniziali di un esoftalmo rapidamente progressivo può essere indicato l’uso di farmaci cortisonici o la radioterapia. Inoltre, nei casi che presentano diplopia si rende utile la prescrizione temporanea di lenti prismatiche o della chirurgica (risposta D errata). Inoltre, l’impiego di beta-bloccanti, come il propranololo, è utile per controllare i sintomi cardiovascolari, come ad esempio la tachicardia (risposta A errata). Infine, per tale paziente è fondamentale effettuare una scintigrafia tiroidea ed è consigliabile eseguire il dosaggio degli anticorpi anti-recettore del TSH per un corretto inquadramento diagnostico (risposta B e C errate).

5 di 5 Domande

Scenario AA28Y: In un uomo di 78 anni è stata iniziata recentemente una terapia per diabete mellito di tipo 2. Alla visita di controllo lamenta nausea e dolore addominale. Il paziente si presenta tachicardico (112 bpm) e tachipnoico (26 atti respiratori al min). Gli esami del sangue evidenziano: creatininemia 1.47 mg/dL, Na+ 133 mEq/L, K+ 4.01 mEq/L, Cl- 100 mEq/L, pH arterioso 7.26, pCO2 18 mmHg, HCO3- 8.1 mmol/L. Quale farmaco utilizzato per la terapia del diabete di tipo 2 può più frequentemente portare a tale quadro clinico?














La risposta corretta è la D.
La metformina, un biguanide in grado di ridurre l’insulino-resistenza, è utilizzata per la terapia del diabete mellito di tipo 2, ma può determinare acidosi lattica, come nel caso clinico. Infatti, riduce la produzione epatica di glucosio, promuove l’uptake e l’utilizzazione di glucosio a livello muscolare e riduce la sensazione di fame. Ma, è controindicata nei soggetti che sono predisposti allo sviluppo di acidosi metabolica, con stati ipossici (come nel caso di pazienti con chetoacidosi diabetica, insufficienza epatica, scompenso cardiaco o sottoposti ad interventi di chirurgia maggiore), con età > 80 anni in relazione al declino funzionale dell’attività renale. Infine, in diabetici anziani trattati con metformina il controllo del filtrato glomerulare dovrebbe essere effettuato almeno una volta all'anno; al di sotto di un valore del filtrato glomerulare di 30 ml non è opportuno l'uso di metformina dato il maggior rischio di acidosi lattica.

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