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Simulazioni Casi FB Foto – 1646-1650 – Test Ammissione

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1 di 5 Domande

Maria, una ragazza di 25 anni, viene sottoposta ad una serie di accertamenti, e le viene fatta una diagnosi di linfoma di Hodgkin in stadio 3°. Il suo ematologo, il dottor Curci, le spiega a quale trattamento si dovrà sottoporre per sconfiggere la sua malattia, ma la ragazza gli confessa il suo desiderio di gravidanza, anche se, viste le condizioni di salute in cui versa, è disposta ad aspettare fino a che non ha completato il suo trattamento medico. Ma prima vuole sapere quali sono le conseguenze relative alla sua malattia ed al trattamento a cui dovrà sottoporsi e se queste possono avere degli effetti negativi su una possibile gravidanza futura. Quale fra le seguenti complicazioni sono le meno probabili?














La risposta corretta è la A.

La paziente presenta un linfoma di Hodgkin allo stadio 3°. Tale patologia si manifesta come una proliferazione di cellule neoformate maligne linfoidi o del reticolo istiocitario, che interessa linfonodi, milza, midollo osseo e fegato, localizzata o diffusa.

La sintomatologia di esordio comprende tumefazione dei linfonodi, calo ponderale, iperidrosi notturna, prurito, splenomegalia ed epatomegalia e viene diagnosticato per mezzo dell’esame bioptico da eseguirsi sui linfonodi. Lo stadio 3° della malattia richiede che la paziente venga sottoposta ad una chemioterapia sistemica ed una radioterapia mediastinica e probabilmente anche dell’addome-bacino. Questa paziente è preoccupata per gli effetti che sia la sua malattia che il trattamento possono avere su una futura gravidanza: però non vi è alcuna evidenza che le alterazioni ormonali, che si verificano durante la gravidanza, possono facilitare una recidiva del linfoma di Hodgkin.

La risposta B non è corretta.

I pazienti sottoposti a radioterapia mediastinica sono anche a rischio per le malattie polmonari restrittive, che possono verificarsi in seguito a delle polmoniti attiniche. Durante la gravidanza, quando il diaframma viene spostato cranialmente e la respirazione si riduce, una malattia polmonare asintomatica può diventare clinicamente rilevante.

La risposta C non è corretta.

La radioterapia a livello mediastinico, necessaria per il trattamento del linfoma di Hodgkin, può portare ad una pericardite con conseguente fibrosi cardiaca ed insufficienza cardiaca congestizia. Dato che la gravidanza richiede una maggiore frazione di eiezione cardiaca, l’insufficienza cardiaca o un peggioramento di un’insufficienza cardiaca sottostante può mettere a rischio seriamente la salute della paziente e del nascituro.

La risposta D non è corretta.

Il rischio di un secondo tumore è aumentato nei pazienti con linfoma di Hodgkin, in particolare se i pazienti vengono sottoposti ad una chemioterapia sistemica, effettuata generalmente con prednisone, vincristina, mecloretamina e procarbazina. Il rischio di sviluppare cancro a carico del polmone e del tratto gastroenterico aumenta anche nei pazienti sottoposti a radioterapia; inoltre, l’irradiazione di aree prossime alla mammella aumenta il rischio di sviluppare carcinoma mammario a distanza di tempo.

La risposta E non è corretta.

Un’insufficienza ovarica rappresenta un rischio per questa paziente, che deve sottoporsi a chemioterapia sistemica. Nell’insufficienza ovarica le ovaie non producono abbastanza estrogeni malgrado gli alti livelli di gonadotropine circolanti (specialmente l’ormone follicolo stimolante [FSH]) nelle donne < 40 anni. La diagnosi si fa misurando i livelli sierici di FSH ed estradiolo. In alcuni casi il tessuto ovarico può essere rimosso chirurgicamente e poi congelato al fine di preservare la fertilità. Se la paziente ha bisogno anche di essere sottoposta ad una radioterapia a livello pelvico, il rischio di insufficienza ovarica aumenterebbe fino a quasi ad arrivare al 100%.


2 di 5 Domande

Una ragazza di 28 anni da circa 2-3 settimane, riferisce palpitazioni, letargia e dolore nella porzione anteriore del collo, sintomi che sono iniziati a seguito di un’influenza. Si è recata dal suo medico di base, il dott. Vespucci che all’esame obiettivo ha riscontrato i seguenti parametri: PA 110/72 mmHg, 98 bpm, leggero tremore e indolenzimento della tiroide a seguito della sua palpazione. Ha eseguito la valutazione biochimica del TSH che è risultato <0,05 e la scintigrafia tiroidea con Iodio radioattivo ha mostrato una riduzione globale dell’assorbimento della ghiandola. Quale delle seguenti è la diagnosi più probabile?














La risposta corretta è la D.

I sintomi riportati dalla paziente, preceduti da una malattia simil-influenzale, associati a dolore alla palpazione della tiroide e a tireotossicosi biochimica, pongono il sospetto di tiroidite subacuta.

Alla scintigrafia, questa patologia si caratterizza per una riduzione della captazione di iodio radioattivo della tiroide: la tireotossicosi, infatti, è causata da un aumentato rilascio di tiroxina, piuttosto che da un aumento della sua produzione. La gestione della paziente ha come obiettivo primario quello di alleviare i sintomi; successivamente sarà necessario effettuare nuovamente dei test di funzionalità tiroidea per confermare la risoluzione dell’ipertiroidismo.


3 di 5 Domande

Marco, un bambino di 6 anni, viene portato dai genitori presso l’ambulatorio del suo pediatra, il Dott. Verdi. Il piccolo paziente presenta un’eruzione cutanea, associata a prurito. La madre afferma che tale eruzione è apparsa da circa 20 giorni e che un’eruzione cutanea simile aveva interessato la faccia quando il bambino aveva circa un anno, ma che poi si era risolta spontaneamente. Il rash è comparso dapprima sul suo braccio sinistro e poi si è diffuso sulla schiena e sulle ginocchia. La mamma ha pensato ad un’allergia al nuovo detersivo per indumenti utilizzato, ma l’eruzione non si è risolta, nonostante la sostituzione del detersivo. L’anamnesi clinica di Marco è positiva per bronchiolite, quando era molto piccolo, per il resto è sempre stato sano. Il Dott. Verdi lo visita e riscontra la presenza di alterazioni cutanee anche in corrispondenza delle superfici flessorie prossimali di entrambi gli arti superiori e dei cavi poplitei bilateralmente; le placche sono eritematose ed asciutte, con papule sparpagliate ed escoriazioni. Quale la diagnosi più probabile?

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La risposta corretta è la D.

Il paziente del caso presenta la dermatite atopica (eczema), una patologia infiammatoria autoimmune, che si manifesta di solito prima dei 7 anni. Il prurito è il sintomo principale e si palesa con desquamazione, placche eritematose, cute secca ed escoriazioni; le lesioni cutanee vanno dall’eritema lieve alla lichenificazione grave. Nei bambini più grandi e negli adulti le zone flessorie (ma non l’inguine) sono più frequentemente coinvolte, mentre nei neonati e nei bambini più piccoli, le superfici estensorie, la regione posteriore del cuoio capelluto e la faccia sono tipicamente coinvolte, mentre la regione del pannolino è risparmiata. La dermatite atopica cronica si manifesta con pelle ispessita ed escoriata e con la presenza di papule diffuse. Quando compare in età pediatrica, spesso tende a regredire totalmente o parzialmente in età adulta. La terapia si basa sulla prevenzione all’esposizione nei confronti di fattori allergenici, cortisonici applicati localmente, immunomodulanti e con il mantenimento dell’idratazione.

La risposta A non è corretta.

La dermatite seborroica è una patologia infiammatoria, che si manifesta sulle aree cutanee, che presentano una quantità fisiologicamente maggiore di ghiandole sebacee. L’eziologia è sconosciuta, si ritiene tuttavia che la Malassezia ovale giochi un ruolo nella sua genesi; cause di eziopatogenesi sono anche attribuite a stress, fattori genetici ed ambientali (il clima freddo tende ad esacerbarla). Può essere associata a psoriasi o precederne lo sviluppo. I picchi di incidenza coincidono con i primi 3 mesi di vita e nei soggetti adulti tra 30 e 70 anni.

I segni e sintomi sono desquamazioni untuose di color ocra-giallo, forfora, prurito.

La risposta B non è corretta.

La psoriasi è una patologia infiammatoria, che nella maggior parte dei casi si manifesta con papule e placche di color salmone ben circoscritte, eritematose e ricoperte da squame argentee.

Colpisce circa l’1-5% della popolazione mondiale, soprattutto le persone con una carnagione chiara, mentre quelle con una carnagione più scura sono meno a rischio.

L’eziologia è multifattoriale e include la predisposizione genetica. È una patologia infiammatoria che insorge in seguito a traumi, uso di farmaci, infezioni in soggetti predisposti.

Vi sono 5 maggiori varianti cliniche:

  • a placche: più del 80% dei casi;
  • guttata: circa il 10% dei casi;
  • inversa: si manifesta in concomitanza alla psoriasi a placche, o in maniera isolata;
  • eritrodermica: meno del 3% dei casi;
  • pustolosa: meno del 3% dei casi.

La psoriasi si presenta con placche e papule, che tendono alla desquamazione in aree eritematose, circoscritte, pruriginose. Può evolvere in una forma grave, che coinvolge le articolazioni, detta artrite psoriasica.

Le lesioni di solito si manifestano sulle superfici estensorie (gomiti e ginocchia). Solitamente, i sintomi sono minimi; tuttavia, in casi gravi vi può essere prurito. Ma le implicazioni estetiche possono essere importanti. La diagnosi si basa sull’aspetto e sulla distribuzione delle lesioni: in questo paziente non abbiamo elementi per sospettare una psoriasi. Il trattamento può comprendere l’utilizzo di emollienti, farmaci topici, fototerapia e, nelle forme gravi, di farmaci sistemici.

La risposta C non è corretta.

La pitiriasi rosea di Gibert (PR) è una patologia cutanea benigna idiopatica, caratterizzata dalla presenza di papule o placche desquamanti. La PR colpisce entrambi i sessi e tutte le fasce di età (con picco di incidenza tra i 10 e i 35 anni). Esordisce con la tipica chiazza madre (o “medaglione di Gilbert”), tondeggiante, ben delimitata e di colore salmone (la chiazza madre può essere preceduta o meno da sintomi e segni prodromici aspecifici: mal di testa, malessere generalizzato, mal di gola, artralgie; anche se spesso è del tutto asintomatica).

Alcuni pazienti avvertono prurito (occasionalmente di grado grave).

La chiazza presenta un bordo ben delimitato e finemente desquamato, mentre, il centro della chiazza viene definito a “cartina di sigaretta”.

Dopo alcuni giorni, compaiono delle “chiazze figlie” più piccole della chiazza madre, che si presentano a gittate per circa 2 settimane. Le lesioni figlie si dispongono secondo le linee di tensione della cute (linee parallele di Blaschko) con papule squamose sul tronco e sugli arti superiori, che si diffondono dal collo in giù.  Il coinvolgimento del viso è insolito.

Questa disposizione delle chiazze dà luogo al cosiddetto aspetto ad “albero di Natale” (Christmas tree pattern). Dal punto di vista eziologico probabilmente la causa può essere un’infezione virale (probabilmente herpes virus umani 6, 7, e 8). Alcuni farmaci possono causare eruzioni cutanee simil-pitiriasi rosea.

Esiste anche una forma particolare detta “pitiriasi rosea invertita o inversa”, che si manifesta più spesso nei bambini: variante che si localizza in sedi insolite (es: braccia, viso, gambe), risparmiando le sedi classiche (tronco).

La diagnosi si basa sulla anamnesi e sull’esame obiettivo. In genere non è necessario alcun trattamento, perché le eruzioni cutanee si risolvono entro 2-3 mesi. Gli antistaminici per via orale sono utilizzati solo in caso di prurito molto intenso.

La risposta E non è corretta.

La storia di questo piccolo paziente parla di una esposizione possibile ad un allergene (detersivo per indumenti), ma questa possibilità è poco probabile; inoltre, una dermatite, risultante dall’esposizione ad un detersivo, si dovrebbe prevalentemente manifestare nelle zone di contatto con gli indumenti e pertanto il coinvolgimento iniziale del volto, in questo caso sarebbe difficile da associare con l’allergia al detersivo.


4 di 5 Domande

Mara, 20 anni, si reca dal proprio medico curante, il dottor Neri. Manifesta prurito, lacrimazione e una secrezione nasale limpida, che persistono da alcune settimane. Inoltre, riferisce che soffre di questo problema quasi tutto l’anno, soprattutto durante le stagioni primaverili ed autunnali. Nega di aver avuto febbre, secrezioni nasali purulente o dolori al viso. Durante la visita si rileva una congiuntivite bilaterale. Inoltre, la paziente si presenta pallida con secrezioni limpide dal naso ed un ipertrofia dei turbinati inferiori. Il setto nasale non è deviato e pertanto il dottor Neri diagnostica una rinite allergica e le prescrive una terapia con: glucocorticoide intranasale, Loratadina orale ed Fenilefrina spray nasale, necessari per la risoluzione dei sintomi. Mara però ritorna dal Dottor Neri dopo circa 15 giorni, senza aver avuto un miglioramento del quadro clinico. Quale dei seguenti provvedimenti rappresenta il miglior passo nella gestione del suo quadro clinico?














La risposta corretta è la C.

La paziente presenta i tipici sintomi nasali e oculari, associati con le allergie stagionali, perciò la diagnosi di rinite allergica avanzata è corretta. I soggetti affetti da rinite allergica lamentano congestione nasale, congiuntivite, starnuti, rinorrea e prurito che insorgono in concomitanza all’esposizione ad allergeni. La diagnosi si effettua sulla base dei dati anamnestici e si può ricorrere a test allergologici cutanei. La malattia viene trattata con antistaminici e decongestionanti per via orale o corticosteroidi per via inalatoria, associati o meno ad antistaminici.

Per l’appunto per la gestione in acuto dei sintomi, la migliore terapia è una combinazione di glucocorticoidi per via intranasale, un antistaminico per via orale come la Loratadina ed un vasocostrittore nasale come la Fenilefrina per la congestione nasale acuta.

Solo quando non vi è miglioramento clinico dopo una settimana di terapia e la loro condizione è così grave da interferire con le normali attività della vita quotidiana, il passo successivo è quello di prescrivere una terapia di breve durata, circa 10 giorni, con un glucocorticoide somministrato per via orale, al fine di migliorare il controllo della sintomatologia.

La risposta A non è corretta.

La somministrazione di amoxicillina con acido clavulanico è utile nel trattamento di un’infezione acuta, ma questa paziente non riferisce di aver avuto febbre né secrezioni purulente o dolori facciali, che possano far pensare ad una diagnosi di sinusite acuta con un processo infettivo di base.

La risposta B non è corretta.

La diagnosi si basa sulla clinica ed è supportata dagli esami radiografici del massiccio facciale. La sinusite consiste in uno stato infiammatorio dei seni paranasali, scatenata da una reazione allergica o da infezioni sostenute da batteri, virus o miceti. Si presenta con cefalea, congestione nasale, dolore al volto, secrezioni muco-purulente. La terapia viene effettuata con antibiotici, se è causata da batteri; forme di sinusite ricorrente possono essere trattate chirurgicamente.

La risposta D non è corretta.

I decongestionanti vasocostrittori topici includono fenilefrina, xilometazolina e naftazolina. Gli spray decongestionanti nasali non sono consigliati come unica terapia nel trattamento cronico della rinite allergica, in quanto una down-regolazione del recettore alfa-adrenergico si sviluppa dopo 3-7 giorni, con conseguente ritorno ciclico di congestione nasale.

La risposta E non è corretta.

Continuando con la terapia attuale, la paziente probabilmente non vedrebbe un miglioramento del quadro clinico, visto che dopo circa 15 giorni la sua sintomatologia non è regredita, pertanto è necessario, come sopra indicato, impostare una terapia tramite somministrazione di glucocorticoidi per via orale.


5 di 5 Domande

Giovanni, un uomo di 40 anni in stato di incoscienza, viene portato d’urgenza al pronto soccorso del Policlinico Careggi di Firenze, dopo aver ricevuto una ferita da arma da fuoco al torace durante una rapina. Il paziente sta sanguinando abbondantemente ed è poco reattivo agli stimoli dolorifici ed, essendo in stato di incoscienza, non è in grado di dare alcuna informazione circa la sua storia clinica. I parametri vitali indicano che la sua pressione arteriosa iniziale era di 120/70 mmhg, la frequenza cardiaca di 95 bpm/minuto e la frequenza respiratoria di 15 atti al minuto. Arrivato in pronto soccorso, però, i parametri vitali peggiorano: la P.A. è di 65/40 mmhg, la F.C. è di 125 bpm/minuto e la F.R. di 30 atti al minuto. Ha una ferita aperta da arma da fuoco sul torace con il foro di uscita del proiettile in corrispondenza della schiena. I medici del pronto soccorso somministrano immediatamente fluidi e vasopressori per via endovenosa e ci si prepara ad attuare una trasfusione massiva di sangue. Ma la compagna del paziente arriva di corsa in pronto soccorso e riferisce che il paziente non vorrebbe ricevere alcuna trasfusione di sangue, perché è un testimone di Geova. Però nessuna volontà è chiaramente dichiarata o scritta, né sono state trovate informazioni in merito nelle direttive preliminari ospedaliere, né il controllo dei suoi documenti mostra alcuna indicazione chiara di non voler ricevere trasfusioni di sangue. Come si deve procedere?














La risposta corretta è la B.

Questo paziente è un presunto testimone di Geova, che presenta uno shock emorragico. Poiché manca di capacità decisionale, i suoi conoscenti dovrebbero mostrare almeno un documento che stabilisca in maniera chiara le sue volontà, al fine di guidare le decisioni di trattamento (la maggior parte dei testimoni di Geova sono muniti di schede di direttive anticipate che documentano esplicitamente il rifiuto dell’individuo di una trasfusione di sangue). Nel caso dei pazienti adulti, i tribunali hanno sempre sostenuto il diritto di rifiutare la trasfusione di sangue per motivi religiosi. In questo caso, però, non viene fornita alcuna scheda di direttiva preventiva e un ritardo nel trattamento potrebbe causare gravi danni al paziente.


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