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1 di 5 Domande

Una ragazza di 20 anni si reca presso il suo medico di famiglia, lamentando menorragia ed ecchimosi anche di traumi lievi. Riferisce, inoltre, che anche sua sorella maggiore presenta menorragia e frequenti episodi di epistassi. Dalle analisi di laboratorio precedentemente eseguite si evincono i seguenti valori: PT 13 s (10-14), aPTT 51 s (30-45), PLT 265 × 10 /l (150-400), INR 1,0 (0,0-1,2), Hb 10,1 g/dl (11,5-16,0), attività di cofattore ristocetinico (RoCF) 23 IU/dl (50-200), gruppo sanguigno A+, fattore V nella norma. Quale diagnosi si deve presumere dai dati forniti?














La risposta corretta è la E.

La paziente presenta la malattia di Von Willebrand (VWD), un deficit ereditario del fattore di von Willebrand, il cui gene si trova in corrispondenza del braccio corto del cromosoma 12.

Il fattore di Von Willebrand è sintetizzato e secreto da parte dell’endotelio vascolare allo scopo di formare una parte della matrice perivascolare. Il fattore di von Willebrand favorisce la fase emostatica dell’adesione piastrinica, legandosi a un recettore presente sulla membrana piastrinica (glicoproteina Ib/IX), pertanto connettendo la piastrine alla parete del vaso. Inoltre, il fattore di von Willebrand è necessario, anche, per mantenere livelli normali di fattore VIII nel plasma. I livelli di fattore di von Willebrand possono aumentare temporaneamente in risposta a stress, esercizio, gravidanza, infiammazione o infezioni. La patologia presenta 3 forme cliniche:

  • deficit quantitativo parziale (tipo I), la forma più diffusa, a trasmissione autosomica dominante;
  • deficit qualitativo (tipo II), che può derivare da varie anomalie genetiche a trasmissione autosomica dominante
  • deficit totale (tipo III), una rara malattia a trasmissione autosomica recessiva, in cui gli omozigoti non hanno alcuna attività rilevabile di fattore di von Willebrand.

I test diagnostici includono: il tempo di protrombina (PT), il tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT), l’attività del fattore VIII, l’attività della vWF e la determinazione del livello di antigene della vWF. Il PT rientra nell’intervallo di riferimento, mentre l’aPTT è leggermente prolungato nella metà dei pazienti affetti. Il grado di agglutinazione piastrinica è proporzionale alla concentrazione di vWF nel plasma: questo è chiamato test di attività della vWF o attività di cofattore di ristocetina ed è ridotto nei pazienti con vWD.

Le risposte A e C non sono corrette.

Le emofilie sono patologie emorragiche ereditarie, che si dividono in:

  • l’emofilia A, caratterizzata dal deficit del fattore VIII;
  • l’emofilia B, caratterizzata dal deficit del fattore IX.

Le 2 forme hanno identiche manifestazioni cliniche e simili anomalie negli esami di screening: per distinguerle è necessario il dosaggio dei fattori specifici.

Nell’emofilia A il PT e conta piastrinica sono normali, mentre il PTT sarà severamente prolungato; nell’emofilia B si riscontrano livelli normali del fattore di von Willebrand, PT normale e PTT normale o leggermente prolungato, bassi o assenti livelli del fattore IX.

La risposta B non è corretta.

Il fattore V di Leiden è una variante della proteina fattore V, che aumenta il rischio di trombosi venosa poiché causa uno stato di ipercoagulabilità del sangue.

Il fattore V della coagulazione è coinvolto nella cascata coagulativa plasmatica e la sua forma attivata (Va) costituisce un cofattore essenziale per l’attivazione della protrombina (fattore II) in trombina (IIa). Il suo effetto pro-coagulante viene di norma impedito dalla Proteina C attivata, che cliva il fattore Va a livello dell’aminoacido arginina in corrispondenza della posizione 506. In tale patologia, invece, l’arginina viene sostituita dalla glutammina, impedendo così il clivaggio da parte della Proteina C attivata, determinando così una resistenza del fattore V di Leiden all’azione della proteina C attivata; ciò determina uno stato di aumentata coagulabilità.

La mutazione G1691A nel gene che codifica per il fattore V di Leiden è autosomica dominante e può manifestarsi in condizioni di eterozigosi (in questo caso si ha un rischio aumentato di 7 volte di TVP, rispetto a pazienti non portatori) o omozigosi (in questo caso si ha un rischio aumentato di 35 volte di TVP). Si ritiene che la mutazione del fattore V sia presente nel 20–60% dei pazienti con trombosi venosa spontanea.

La risposta D non è corretta.

La sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS) è una patologia autoimmune, responsabile di trombosi e aborti, causati da vari anticorpi diretti contro proteine legate a fosfolipidi (quali la protrombina, la β2-glicoproteina 1, la annessina A5). Gli anticorpi antifosfolipidi determinano uno stato proinfiammatorio e procoagulante, che esita nella trombosi.

I criteri per l’APS sono soddisfatti in presenza di almeno un criterio clinico e un criterio di laboratorio. Criteri clinici:

  • Trombosi vascolare:
    • Almeno 1 episodio di trombosi arteriosa, venosa o microvascolare a carico di qualsiasi tessuto o organo. La trombosi deve essere confermata da un criterio oggettivo e convalidato (aspetto tipico a un esame di imaging diagnostico o, per le indagini patologiche, la trombosi deve essere presente in assenza di infiammazione vascolare sottostante).
  • Morbilità ostetrica:
    • Almeno un’occorrenza di morte fetale inspiegata prima della 10° settimana di gravidanza, con normale morfologia fetale documentata da un’ecografia o un esame macroscopico
  • Almeno un’occorrenza di parto prematuro con feto morfologicamente normale prima della 34° settimana di gravidanza, associato a grave eclampsia o pre-eclampsia o con evidenze di insufficienza placentare
  • Almeno 3 aborti spontanei consecutivi inspiegati prima della 10° settimana di gravidanza, una volta escluse anomalie anatomiche, ormonali materne e cromosomiche materne/paterne.
  • Criteri di laboratorio:
    • anticoagulante lupus rilevato in almeno 2 occasioni, a 12 settimane di distanza, secondo le raccomandazioni ISTH (Human Science & Technology Institute)
    • anticorpi anticardiolipina (IgG e/o IgM) presenti in almeno 2 occasioni, con livelli moderati o alti (> 40 unità GPL o MPL o > 99° percentile), misurati mediante tecnica ELISA standard.
    • anticorpi anti-beta-2 GP I (IgG o IgM) con livelli superiori al 99° percentile, in almeno 2 occasioni a 12 settimane di distanza, misurati mediante tecnica ELISA standard.

 

 


2 di 5 Domande

Una donna di 30 anni, affetta da miastenia gravis, diagnosticata 2 anni prima, si reca presso l’ambulatorio del proprio medico curante per una visita. È in terapia con farmaci anticolinesterasici orali e immunosoppressori ed ha sempre goduto sostanzialmente di buona salute, ma da circa 2 mesi, è preoccupata di un ritorno dei sintomi relati alla miastenia, nonostante assuma i farmaci regolarmente. Riferisce una stanchezza muscolare generalizzata, soprattutto la sera, una occasionale diplopia, aumento di peso, amenorrea e edema alla caviglia. All’esame obiettivo il medico nota un eritema palmare e una tachicardia a riposo. Qual è l’indagine di prima linea da prescrivere in tal caso per confermare la causa di questa riacutizzazione improvvisa della malattia?














La risposta corretta è la D.

Questa paziente presenta alcuni sintomi suggestivi di recidiva di miastenia, ma gli altri sintomi e segni devono far sospettare, in una ragazza in età fertile, uno stato di gravidanza, che peraltro rappresenta una causa comune di recidiva di miastenia.

La gravidanza ha un effetto variabile sul decorso della miastenia:

  • le donne con miastenia controllata, prima della gravidanza, possono rimanere stabili per tutta la durata della gravidanza, anche se una piccola percentuale può avere un peggioramento post-partum;
  • le donne con miastenia mal controllata prima della gravidanza possono manifestare disturbi nel primo trimestre e nel periodo successivo al parto.

Pertanto, in tal caso clinico sarebbe necessario come esame di prima linea un dosaggio della gonadotropina corionica umana.

La risposta A non è corretta.

In tal caso clinico sarebbe necessario come esame di prima linea un dosaggio della gonadotropina corionica umana, successivamente test di funzionalità tiroidea e autoanticorpi tiroidei.

La risposta B non è corretta.

L’ecocardiogramma può essere utilizzato per studiare la morfologia cardiaca, ma non sarebbe un’indagine di prima linea in questo contesto.

 

La risposta C non è corretta.

Una TC del torace può essere utilizzata per verificare la presenza di un timoma nei pazienti affetti da miastenia, ma la presenza di un timoma non spiegherebbe l’improvviso peggioramento delle condizioni cliniche e la recidiva di malattia. Inoltre, prima di sottoporre una donna in età fertile ad alte dosi di radiazioni ionizzanti, proprio in virtù della correlazione fra gravidanza e miastenia, dovrebbe essere escluso uno stato gravidico prima di effettuare tale esame.

La risposta E non è corretta.

Il fattore reumatoide risulta positivo nel 10-40% della popolazione e c’è una maggiore incidenza di artrite reumatoide nei pazienti affetti da miastenia. Tuttavia, questa indagine non aiuterebbe a spiegare i suoi sintomi e pertanto non rappresenta l’opzione corretta in questo caso clinico.


3 di 5 Domande

Una donna di 52 anni si presenta presso l’ambulatorio del proprio medico curante, lamentando letargia e lividi diffusi. Ha avuto 5 anni prima un tumore al seno allo stadio iniziale trattato con successo; per il resto la sua anamnesi patologica remota è negativa. Non assume farmaci. L’esame obiettivo rivela una donna magra con lividi su tutte le estremità e pallore congiuntivale, mentre per il resto è nella norma. I risultati delle analisi di laboratorio a cui la donna si è sottoposta mostrano: Hb 9.8 g/dl, WCC 3,4 × 10 /l, PLT 112 × 10 /l, Neutrofili 1,0 × 10 /l, Reticolociti 12 × 10 /l (25-85), PT 13 s (11.5-15.5), APTT 36 s (30-40), evidenza allo striscio di sangue di mielociti e qualche promielocita e globuli rossi nucleati. Quale diagnosi è la più probabile sulla base del quadro presentato?














La risposta corretta è la B.

Le analisi del sangue della paziente mostrano un’anemia leucoeritroblastica, detta anche mieloftisica, un’anemia normocitica e normocromica, che si determina quando il midollo viene invaso e sostituito da cellule non ematopoietiche o anomali. Può comportare una compromissione dell’emopoiesi (con conseguente anemia), perché lo spazio del tessuto emopoietico è occupato dal tessuto infiammatorio o da tessuto fibroso o dalla neoplasia.

In questo caso la carenza dei globuli rossi è accompagnata dalla piastrinopenia, ma non da una leucopenia (anzi in periferia i globuli bianchi possono anche aumentare).

Altra caratteristica tipica di questa insufficienza midollare è la presenza in circolo di forme blastiche (forme emopoietiche immature): sono figure fisiologiche midollari che entrano in circolo perché non hanno più spazio. Questo quadro prende il nome di “leucoeritroblastosi” ed è tipico di questa disfunzione midollare. Se si sospetta l’anemia mieloftisica, deve essere eseguito uno striscio periferico che evidenzierà cellule mieloidi immature ed eritrociti nucleati, così come la presenza di normoblasti. Si possono osservare, inoltre, anche eritrociti di morfologia atipica, a forma di lacrima (detti dacrociti e/o anisocitosi e poichilocitosi); spesso, inoltre, si riscontra piastrinopenia con piastrine talvolta di grandi dimensioni e di forma bizzarra. La diagnosi di certezza, sulla base di una clinica suggestiva e di alterazioni indicative per tale condizione agli esami ematici, viene fatta con una biopsia osteomidollare, che di solito mostra la sostituzione del tessuto ematopoietico con cellule maligne da metastasi.

La risposta E non è corretta.

L’anemia aplastica è una condizione patologica a carico del midollo osseo, in cui si sviluppano cellule ematiche mature danneggiate, con pancitopenia periferica e insufficienza midollare.

La risposta A non è corretta.

La leucemia promielocitica acuta è caratterizzata dalla presenza di promielociti nel sangue periferico, piuttosto che dal quadro leucoeritroblastico che si vede nel caso clinico in questione.

La risposta C non è corretta.

La mielofibrosi è una manifestazione tardiva della leucemia mieloide cronica ad eziologia sconosciuta e a prognosi fatale.

Mentre il midollo osseo cessa di produrre eritrociti, si avvia l’ematopoiesi extra-midollare a livello splenico, portando ad una splenomegalia massiva, che può causare infarti splenici. I megacariociti e le piastrine persistono nel midollo, ma nel sangue periferico sono visibili piastrine più grandi.

La diagnosi richiede generalmente la biopsia midollare, perché non è possibile aspirare un tessuto fibroso. La mielofibrosi mostra, talvolta, un quadro sanguigno leucoeritroblastico, ma data l’anamnesi patologica remota per tumore mammario, la neoplasia metastatica rappresenta la causa più probabile.

La risposta D non è corretta.

La porpora trombotica trombocitopenica si caratterizza per trombocitopenia e anemia emolitica microangiopatica.

Si manifesta una distruzione non immunologica delle piastrine e si caratterizza clinicamente per un aumento del rischio di trombosi, emolisi e un basso numero di piastrine.


4 di 5 Domande

Un uomo sieropositivo ha un conteggio di linfociti CD4+ di 220 × 10 /l. È generalmente asintomatico, ma ha notato delle macchie bianche sulla lingua. All’esame obiettivo del cavo orale si osserva la presenza di macchie bianche irregolari, con un aspetto ondulato sui lati della lingua, che non spariscano dopo esser raschiate. In attesa del risultato del tampone, qual è la migliore terapia in tal caso da iniziare?

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La risposta corretta è la C.

La diagnosi del paziente è di leucoplachia pelosa orale, una malattia insolita dell’epitelio squamoso linguale, che si manifesta nei pazienti con AIDS, ma che può verificarsi anche in altri casi di immunosoppressione.

Il quadro clinico si caratterizza per la presenza di macchie bianche irregolari con un aspetto “ondulato” sulla lingua, che spesso viene scambiata per una candidosi orale, con la sola differenza che le placche di leucoplachia non possono essere rimosse.

Tale manifestazione mucocutanea è causata dal virus EBV e generalmente colpisce le porzioni laterali della lingua, anche se il pavimento della bocca, il palato o la mucosa buccale possono essere coinvolti. Tale condizione è associata ad un’intensa replicazione dell’EBV e all’azione di proteine codificate in EBV, come la proteina di membrana latente-1.

Il trattamento migliore consiste nell’iniziare la terapia antiretrovirale, e quando il conteggio dei CD4+ aumenta, generalmente la leucoplachia pelosa orale procede verso la risoluzione.

La risposta A non è corretta.

Il fluconazolo è un farmaco antimicotico, che inibisce la sintesi della membrana cellulare di diversi miceti.

Viene generalmente utilizzato per trattare la candidosi, ma sebbene il quadro clinico sia molto simile, la candida orale può essere eliminata mediante raschiamento, a differenza della leucoplachia pelosa orale che rimane adesa all’epitelio mucoso.

La risposta B non è corretta.

Questa è una opzione di trattamento per la candida orale, che come detto non è la diagnosi più probabile.

 

La risposta D non è corretta.

La terapia antiretrovirale è il trattamento corretto per herpes simplex, ove le lesioni orali possono apparire come ulcere tipicamente dolorose. La descrizione clinica non corrisponde e questa non è l’opzione terapeutica giusta, anche perché in caso di leucoplachia pelosa orale bisognerebbe usare aciclovir ad alto dosaggio (3 g/giorno).

La risposta E non è corretta.

Migliorare l’igiene orale rappresenta il trattamento corretto per la gengivite, che è un’infiammazione della gengiva e di solito si presenta con gengive che sanguinano facilmente, ma non per tale condizione.

Fonte Immagine:

Journal List AIDS Res Ther v.7; 2010 PMC2903493

 


5 di 5 Domande

Kevin, un bambino in età prescolare affetto da anemia falciforme già nota, viene portato dai genitori al pronto soccorso dell’Ospedale Civile di Bologna, in quanto da alcuni giorni lamenta dolore agli avambracci. Il dott. Pellini, medico di guardia, lo visita e nota un esteso gonfiore ed eritema in corrispondenza degli avambracci, che risultano dolorabili al tatto. Il bambino presenta anche febbre, associata a brividi; viene effettuato un prelievo del sangue, che rivela una neutrofilia. Qual è la terapia più idonea da prescrivere per il problema descritto?














La risposta corretta è la E.

Il disturbo che affligge il paziente è, con molta probabilità, riferibile ad un quadro di osteomielite.

L’anemia falciforme pregressa espone il paziente del caso clinico a un rischio aumentato di sviluppare osteomielite da salmonella o staphylococcus aureus. Batteri come lo staphylococcus aureus attraverso adesine riescono a aderire alle molecole presenti sulla matrice ossea, moltiplicandosi ed instaurando una colonizzazione.

Dal punto di vista eziologico le alterazioni di circolo, determinate dalle cellule falciformi in segmenti ossei consentono ai batteri di instaurare dei processi infettivi.

La terapia si basa su farmaci antibiotici, capaci di offrire copertura sugli agenti patogeni più comunemente responsabili di osteomielite in questa categoria di pazienti; le cefalosporine di terza generazione come il ceftriaxone corrispondono a questi requisiti.

La risposta A non è corretta.

Dal momento che Kevin è in età prescolare, i fluorochinoloni (come la ciprofloxacina) non vanno prescritti; questi antibiotici non devono essere impiegati nei bambini e negli adolescenti in fase di crescita, eccetto che nel trattamento delle esacerbazioni polmonari acute della fibrosi cistica.

A causa della loro interferenza con lo sviluppo osseo, devono essere sostituiti con farmaci ugualmente efficaci, ma privi di questi effetti sulla crescita.

La risposta B non è corretta.

La calcitonina, un ormone prodotto dalle cellule C tiroidee con attività ipocalcemizzante, viene sfruttata a scopo terapeutico nella terapia del morbo di Paget, una condizione genetica in cui le ossa sono demineralizzate a causa dell’iperattività degli osteoclasti, nell’osteoporosi, o per correggere l’ipercalcemia che si riscontra in presenza di alcune patologie tumorali maligne. Non ci sono evidenze di anomalie ossee, legate al calcio nel caso di Kevin.

La risposta C non è corretta.

L’etidronato è una molecola appartenente alla famiglia farmacologica dei bifosfonati, utilizzati nella terapia del morbo di Paget, osteoporosi, mieloma, malattia metastatica della mammella e della prostata. I bisfosfonati migliorano la morfologia dell’osso, il numero degli osteoclasti viene ridotto e il nuovo tessuto sintetizzato assume la normale conformazione lamellare, invece che disorganizzata.

Nel caso clinico, quindi, l’etidronato non trova indicazioni, dal momento che verosimilmente il paziente è affetto da osteomielite secondaria all’anemia.

La risposta D non è corretta.

La vitamina D viene utilizzata generalmente nel rachitismo e nell’osteomalacia. Il rachitismo, tipico dell’età pediatrica, si caratterizza per un deficit di mineralizzazione della matrice osteoide. L’osteomalacia è una condizione morbosa in cui si assiste a deficit di mineralizzazione dell’osso con accumulo nell’osso di matrice (osteoide), simile al rachitismo, ma che interessa i soggetti di età adulta.

Il bambino presentato nel caso non presenta elementi che possano far ipotizzare la presenza di questi disturbi.

 


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