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1 di 5 Domande

Si reca presso l’ambulatorio del proprio medico curante un uomo di 57 anni, che ha subito circa una settimana prima un intervento di colectomia per carcinoma del colon, lamentando un forte prurito e dolore occasionale, localizzato a livello della regione glutea. Il medico rimuove la medicazione per esaminare la zona interessata e riscontra una zona eritematosa ben delimitata che corrisponde per forma e dimensioni alla medicazione. La pelle circostante è normale e non c’è linfoadenopatia. Il paziente è preoccupato che si possa trattare di un processo infettivo. Il paziente è apiretico ed è stato sottoposto a terapia antibiotica per via endovenosa dopo l’intervento chirurgico, ora sta assumendo degli antibiotici per os. Qual è la gestione più appropriata in tal caso?














La risposta corretta è la E.

La paziente presenta dermatite allergica da contatto, una reazione da ipersensibilità di tipo IV, che si svolge in 2 fasi molto importanti: inizialmente vi è la sensibilizzazione ad un Ag (la sensibilizzazione iniziale avviene entro pochi giorni dal contatto con la sostanza), successivamente vi è una reazione allergica dopo la riesposizione (l’antigene viene presentato ai linfociti sensibilizzati, che scatenano una risposta infiammatoria in poche di ore). Pertanto, è una risposta di ipersensibilità ritardata agli agenti esterni, mediata dalle cellule T, che si traduce in una lesione geometrica corrispondente alla regione di contatto.

Le cause sono molto numerose: gomme naturali, lattice (condom, cateteri, palloncini), composti metallici (cobalto, cromo, berillio, zinco, nichel), cosmetici, alcuni tipi di cerotti, coloranti, profumi, sostanze industriali, prodotti per la cura della pelle, piante (buccia di mango, edera velenosa e molte altre).

Dal punto di vista clinico il sintomo principale è il prurito, mentre il dolore è di solito causato dall’infezione o dal grattamento. Le lesioni cutanee possono variare da semplice eritema fino alla formazione di vescicole. Inoltre, nei casi di grave allergia, vi possono essere edema, bolle, ulcerazioni, croste e lichenificazione. Il quadro descritto fa propendere verso tale diagnosi in quanto l’eruzione corrisponde alle dimensioni e alla forma della medicazione. Il trattamento consiste nell’evitare l’allergene responsabile e nell’uso dei corticosteroidi topici.

La risposta A non è corretta.

Non si tratta di erisipela. L’erisipela è una forma di cellulite superficiale che interessa il sistema linfatico del derma, che clinicamente si manifesta con placche eritematose, dure, lucenti e dolenti con bordi nettamente demarcati e rilevati. Nella stragrande maggioranza dei casi l’agente eziologico responsabile è lo streptococco β-emolitico di gruppo A.

La risposta B non è corretta.

L’esecuzione di una biopsia cutanea non è una scelta corretta, perché la clinica è suggestiva per la dermatite da contatto.

La risposta C non è corretta.

L’inizio di una terapia immunoglobulinica non è una scelta corretta, in quanto il paziente non ha febbre o coinvolgimento della mucosa orale o congiuntivale, che potrebbero suggerire una necrolisi epidermica tossica secondaria a farmaci; la paziente mostra una dermatite da contatto.

La risposta D non è corretta.

La sospensione della terapia antibiotica non è una scelta corretta, perché l’eruzione tipica di un farmaco, indotta da antibiotici, non è limitata ad un’area cutanea con margini netti e ben delimitati, ma è più generalizzata.


2 di 5 Domande

Un neonato nasce presentando alterazioni delle mani, ipoplasia degli arti e convulsioni. Qual è la diagnosi più probabile?














La risposta corretta è la E.

L’infezione da varicella entro le prime 20 settimane di gravidanza può provocare la sindrome della varicella congenita. La varicella è un’infezione acuta sistemica, causata dal virus della varicella-zoster appartenente alla famiglia degli Herpesviridae. Il virus della varicella può essere trasmesso durante il periodo gestazionale o al momento del parto per via ascendente. Clinicamente si possono avere quadri diversi, che vanno da un’infezione asintomatica alla morte del feto o all’insorgenza di anomalie congenite, come la cosiddetta sindrome da varicella congenita, clinicamente caratterizzata da lesioni cutanee, anomalie oculari, quali cataratta e corioretiniti, difetti neurologici, ipoplasia corticale cerebrale e cerebellare, microcefalia, convulsioni, ipoplasia degli arti e alterazioni delle mani, ritardo psicomotorio e atrofia muscolare. Il 30% circa dei neonati affetti da sindrome da varicella congenita muore nel corso dei primi mesi di vita.

La risposta A non è corretta.

La trasmissione del Citomegalovirus (CMV), virus appartenente alla famiglia degli Herpesviridae, dalla madre al feto o al neonato può avvenire per via transplacentare, durante il parto o mediante l’allattamento. In generale la trasmissione perinatale o postnatale del CMV non si associa alla comparsa di un’infezione sintomatica e pertanto possiamo avere clinicamente quadri diversi, che vanno da un’infezione asintomatica all’insorgenza di anomalie congenite sintomatiche, manifestando una clinica caratterizzata da microcefalia, ipotonia, letargia, epilessia, petecchie, epato-splenomegalia, ittero, trombocitopenia ed incremento delle transaminasi epatiche e della bilirubina coniugata.

La risposta B non è corretta.

Gli herpes simplex virus 1 (HSV-1) e 2 (HSV-2) sono virus appartenenti alla famiglia degli Herpesviridae. La trasmissione verticale di HSV avviene principalmente durante il parto e le infezioni neonatali acquisite verticalmente sono responsabili di un elevato tasso di mortalità e morbilità.

La risposta C non è corretta.

La listeriosi è un processo infettivo, causato dalla Listeria monocytogenes, un batterio gram-positivo, catalisi positivo e ossidasi negativo, mobile per mezzo di flagelli. La sua distribuzione è alquanto ubiquitaria ,perché si può trovare nel suolo, nelle piante, nell’acqua, nei concimi di origine animale. È veicolata dalle feci dell’uomo (2-6% di portatori) e degli animali come vitelli, pollame, maiali (10-50% di portatori). È in grado di vivere e moltiplicarsi alle basse temperature, ha scarse necessità nutritive e persiste a lungo nell’ambiente (anche 50-60 giorni). La listeriosi neonatale viene acquisita per via transplacentare al momento o dopo il parto. L’infezione uterina può essere responsabile di una disseminazione fetale con formazione di granulomi a carico di diversi organi e tessuti. Può causare aborto, parto prematuro, mortalità perinatale o sepsi neonatale.

La risposta D non è corretta.

La toxoplasmosi è un’infezione da toxoplasma Gondii, parassita ubiquitario tra gli uccelli e i mammiferi L’infezione congenita è la conseguenza dell’infezione acuta, di solito asintomatica, contratta dalla madre durante la gravidanza. La probabilità di trasmettere l’infezione è correlata al trimestre di gravidanza:

  • nel primo trimestre si ha una probabilità del 10-25%;
  • nel secondo trimestre fino a 45%;
  • nel terzo trimestre fino al 65%.

Questa patologia solitamente si manifesta nel primo mese dopo la nascita. La classica tetrade della toxoplasmosi congenita consiste in retino-coroidite bilaterale, idrocefalo o microcefalia, calcificazioni intracraniche, ritardo psicomotorio. Tuttavia, il quadro clinico è molto variabile, potendo ritrovare anche: cecità, corio-retinite, anemia, piastrinopenia, esantema, ittero, polmonite, strabismo, calcificazioni intracraniche, epilessia, ritardo psicomotorio, encefalite, idrocefalo. Se la patologia non viene trattata, può portare a morte.


3 di 5 Domande

Una donna di 65 anni si reca al pronto soccorso a causa di un’ulcera, che ha difficoltà a cicatrizzarsi, localizzata al piede destro. Ha un’anamnesi patologica remota positiva per diabete insulino-dipendente, ipertensione arteriosa e per insufficienza renale cronica, per la quale è in dialisi. La donna ha notato la presenza di tale ulcera al piede destro una decina di giorni prima dopo un’escursione in montagna. Ha iniziato di sua iniziativa a prendere antibiotici, che aveva a disposizione a casa. Dal giorno prima ha iniziato a presentare febbre ed ha notato una secrezione maleodorante dell’ulcera, e associato gonfiore del piede. La sua T.C. è di 39.2ºC, la P.A. è di 135/70 mm Hg e la F.C. è di 85 bpm/min. L’esame obiettivo dell’arto inferiore di destra mostra la presenza di un gonfiore della gamba e del piede con associato crepitio e la presenza di un’ulcera di 3 x 2 cm alla base dell’alluce sul versante plantare con secrezione sierosa e maleodorante di colore brunastro. I polsi periferici dell’estremità inferiore sono ridotti bilateralmente. Le analisi di laboratorio mostrano: ematocrito 40%, conteggio dei leucociti 28.500/mm, glicemia 345 mg/dL, potassio ematico 5,3 mEq/L. Qual è il passo successivo più appropriato nella gestione di questo paziente?














La risposta corretta è la C.

La paziente è affetta da diabete, una condizione patologica caratterizzata da elevati livelli di glicemia, legati ad un alterata secrezione insulinica o ad una ridotta sensibilità all’insulina. Il diabete, soprattutto se di grado severo, di lunga durata e/o mal controllato, predispone a complicanze vascolari (micro-vascolari a livello di rene, arti inferiori, retina; macro-vascolari a livello di cuore, cervello, arterie degli arti inferiori).

Il quadro clinico presentato nel caso è suggestivo per piede diabetico, che è una complicanza piuttosto comune nei pazienti diabetici, dovuta ad alterazioni nervose (neuropatia diabetica) e vascolari (arteriopatia diabetica), tanto da portare alla formazione di vere e proprie ulcere senza alcuna sintomatologia relata per alterazioni del sistema nervoso periferico. Tale condizione si associa, infatti, ad una vera e propria polineuropatia sensitivo-motoria cronica, che riguarda solitamente entrambi gli arti inferiori, caratterizzata da simmetrica perdita sensoriale distale, sensazione intermittente di bruciore, riduzione dei riflessi achillei e/o rotulei e debolezza muscolare; la causa è da ricercarsi in alterazioni metaboliche e micro-vascolari, di solito associate ad alterazioni anche dell’assetto lipidico, ipertensione arteriosa ed altri fattori. Con il persistere di tale condizione di glicemia mal controllata, si ha lo sviluppo del cosiddetto “piede diabetico”. Le ulcere del piede diabetico, se trattate in modo inadeguato, possono provocare gangrena umida e infezioni necrotizzanti. La presenza di secrezioni brunastre, gonfiore del piede e della gamba con crepitio alla palpazione, febbre e leucocitosi sono i segni distintivi di un’infezione necrotizzante in un piede diabetico. In tal situazione è buona norma richiedere l’esecuzione di radiografie del piede e della gamba, al fine di accertare la presenza di enfisema sottocutaneo soprattutto per definire il grado di estensione del processo gangrenoso. Successivamente, il paziente dovrà essere portato in sala operatoria per essere sottoposto ad uno sbrigliamento o addirittura ad un’amputazione a seconda dell’estensione della necrosi tissutale. Un controllo glicemico ottimale è sicuramente il primo passo ed il più importante risultato da raggiungere per rallentare la progressione della neuropatia e/o prevenirla e per una corretta guarigione della ferita in un diabetico, ma rimuovere la fonte di infezione è importante per prevenire ulteriori complicazioni relate all’infezione.

La risposta A non è corretta.

In questa paziente la somministrazione di insulina e antibiotici è essenziale, ma lo sbrigliamento chirurgico è ancora più importante; inoltre, tale paziente ha bisogno di ulteriori approfondimenti diagnostici e trattamenti e non deve essere rispedita a casa.

La risposta B non è corretta.

Lo sbrigliamento chirurgico rappresenta una gestione appropriata in questo caso, ma è importante fare prima una radiografia per valutare l’estensione dell’infezione.

La risposta D non è corretta.

La semplice incisione e drenaggio non è una scelta adeguata nel trattamento di un’infezione necrotizzante.

La risposta E non è corretta.

Sebbene la paziente abbia bisogno di antibiotici per via endovenosa per un migliore controllo dell’infezione, lo sbrigliamento chirurgico del piede è il primo passo essenziale per controllare il danno e limitare la disabilità, ma prima è importante fare una radiografia per valutare l’estensione dell’infezione.


4 di 5 Domande

Una donna di 32 anni si presenta al PS, lamentando dispnea improvvisa e dolore toracico. Riferisce di aver avuto un episodio simile già qualche mese prima, quando è stata sottoposta ad una radiografia al torace e un drenaggio toracico, che ha consentito l’espansione del torace ed ha risolto il problema. Afferma, inoltre, che anche l’anno precedente ha avuto un episodio acuto di dispnea, associato a versamento pleurico, che è stato drenato e alla dimissione le è stato consigliato di seguire una dieta a basso contenuto di grassi. L’anamnesi patologica remota e farmacologica è negativa. Qual è la diagnosi più probabile?














La risposta corretta è la E.

La linfangioleiomiomatosi è una rara malattia idiopatica, caratterizzata da una crescita progressiva e dall’infiltrazione di cellule muscolari immature nelle pareti bronchiolari e alveolari nel polmone, nei vasi sanguigni e linfatici polmonari e nelle pleure: ciò comporta la distruzione delle vie aeree, la formazione di cisti e il progressivo declino della funzionalità polmonare.

L’eziopatogenesi non è nota, tende a colpire esclusivamente il sesso femminile in età riproduttiva. La clinica si caratterizza per dispnea, tosse, il dolore toracico ed emottisi e spesso PNX spontaneo. La diagnosi viene sospettata in pazienti di sesso femminile in età riproduttiva, che presentano dispnea, associata ad alterazioni interstiziali con conservati volumi polmonari o pneumotorace spontaneo. La TC ad alta risoluzione permette di escludere patologie di tipo interstiziale e di osservare reperti patognomonici della linfangioleiomiomatosi, quali piccole cisti polmonari multiple a distribuzione diffusa. La biopsia è indicata solo quando i reperti della TC non sono dirimenti per la diagnosi: il riscontro di una anomala proliferazione di fibrocellule muscolari lisce in presenza di formazioni cistiche conferma la diagnosi. La prognosi è incerta, ma tale patologia ha una progressione lenta e nel corso degli anni spesso conduce a insufficienza respiratoria e al decesso.

La risposta A non è corretta.

L’istiocitosi polmonare (o istiocitosi polmonare a cellule di Langerhans) è una malattia che dal punto di vista anatomopatologico si contraddistingue per la proliferazione di “cellule monoclonali di Langerhans CD1a-positive” insieme ad altre cellule leucocitarie e non nell’interstizio polmonare e nei bronchioli. Dall’eziopatogenesi non nota, tale patologia colpisce prevalentemente i soggetti di età compresa fra i 20-40 anni con abitudine al fumo. Clinicamente si caratterizza con dispnea, tosse non produttiva, dolore toracico di tipo pleuritico, febbre e debolezza generalizzata; in alcuni casi, seppur una minoranza, vi può essere un PNX spontaneo e/o ipertensione polmonare. La diagnosi si basa fondamentalmente sull’anamnesi e la clinica, ma anche sull’imaging, ove soprattutto alla TC si evidenziano formazioni cistiche e pattern ad honey combing; la diagnosi di certezza si effettua tramite la biopsia. La presenza di versamenti pleurici rende improbabile tale patologia nel caso presentato.

La risposta B non è corretta.

La sclerosi tuberosa è una patologia ereditaria autosomica dominante, che si caratterizza clinicamente per la presenza di macule ipopigmentate (a foglia di frassino), macchie “a pelle di zigrino” (ispessimenti cutanei coriacei), amartomi a livello del viso, nel cuore, nei reni, negli occhi, nel cervello, con epilessia e ritardo mentale. Tale patologia si manifesta nell’infanzia.

La risposta C non è corretta.

La neurofibromatosi di tipo I (o malattia di von Recklinghausen) è una patologia a trasmissione ereditaria, legata a varie mutazioni del gene NF1, che creano una predisposizione a formare questo tipo di tumore soprattutto in sede sottocutanea. Si associa a macchie discromiche a livello della cute di colore caffè-latte.

Nell’ambito della fibromatosi si può avere la trasformazione dei neurofibromi (in genere benigni) in varianti maligne (es. tumore maligno delle guaine periferiche). Il 10-20% dei pazienti con la neurofibromatosi possono sviluppare dei gliomi delle vie ottiche. Per fare la diagnosi è sufficiente che ci siano almeno 2 di questi criteri:

  • macchie caffè-latte in numero maggiore o uguale a 6 (> 0,5 cm al diametro maggiore nei prepuberi e > 1,5 cm in soggetti dopo la pubertà);
  • numerose aree iperpigmentate di 2-3 mm di diametro (efelidi) alle pieghe cutanee (ascella e inguine);
  • due o più noduli di Lisch (amartomi dell’iride);
  • due o più neurofibromi cutanei o sottocutanei o 1 neurofibroma plessiforme;
  • glioma delle vie ottiche;
  • lesioni ossee caratteristiche (displasia dello sfenoide, curvatura della tibia e della fibula, pseudoartrosi degli arti inferiori, cifosi, scoliosi);
  • familiarità di primo grado con neurofibromatosi tipo I (NF1), diagnosticata secondo questi criteri.

L’assenza di neurofibromi rende questa diagnosi improbabile.

La risposta D non è corretta.

L’infezione da Pneumocystis Jirovecii, un fungo patogeno opportunista nell’uomo, noto in passato come P. Carinii, è una causa molto diffusa di polmonite nei pazienti immunodepressi (con infezione da HIV con CD4+ < 200/μL o che hanno ricevuto un trapianto d’organo o con tumori in trattamento). Dal punto di vista clinico ritroviamo febbre, dispnea, tosse secca, perdita di peso, astenia, ipossia. La triade classica (tosse non produttiva, febbre e dispnea da sforzo) si può riscontrare fino al 50% dei casi. La RX torace mostra caratteristici infiltrati peri-ilari bilaterali diffusi. Tuttavia, fino al 30% dei pazienti ha dei reperti normali. La TC può essere effettuata se la RX è inconcludente. Per poter effettuare una diagnosi dobbiamo andare ad isolare il microrganismo in un campione di espettorato indotto. Tale opzione appare molto improbabile, visto che la paziente non è immunodepressa.

 


5 di 5 Domande

Domanda 1 Scenario AAX001: Una donna di 35 anni si reca presso il PS per un forte attacco di dolore, causato dalla sua patologia di base ovvero l’anemia falciforme: riferisce di avere tali episodi di crisi dolorose circa un paio di volte all’anno, anche se non sempre viene ricoverata in ospedale. Ultimamente si sente più astenica del solito ed ha dolori alla schiena, al petto e alle cosce. Prende l’acido folico ogni giorno. Non ha febbre, la sua F.C. è di 102 bpm. Il medico di guardia del PS le somministra l’ossigeno, liquidi per via endovenosa ed un antidolorifico. Dagli esami di laboratorio emerge che ha un ematocrito del 18% ed una conta leucocitaria di 6.500/mcL. Il suo ematocrito abituale è del 32% con una conta leucocitaria normale. Quale fra le seguenti opzioni rappresenta l’esame diagnostico più rapido per questa paziente?














Domanda 1 Scenario AAX001.

La risposta corretta è la B.

L’anemia falciforme (o drepanocitosi) è una emoglobinopatia, caratterizzata da una produzione di catene globiniche quantitativamente normali, ma qualitativamente alterate. La causa del cambiamento della forma dei globuli rossi sta nella sostituzione amminoacidica sottostante (Glu → Val), che tende ad avvicinare le molecole di Hb e a formare polimeri. Tale polimerizzazione, che avviene prevalentemente nello stato desosossigenato si ripercuote sul globulo rosso che si deforma e acquista la caratteristica forma a falce. Cosi, sono proprio i globuli rossi danneggiati il trigger principale dello scatenamento della crisi vaso-occlusiva, che può portare a fenomeni infartuali, con grosse conseguenze cliniche, a livello del microcircolo.

La prima manifestazione clinica della drepanocitosi è l’emolisi cronica con conseguente pallore, subittero o ittero, astenia, tendenza alla litiasi della colecisti e segni e sintomi della deplezione dell’ossido nitrico. A livello della circolazione arteriosa si sviluppa la diatesi trombotica, in quanto si crea una vera e propria disfunzione endoteliale. L’emolisi cronica rappresenta uno stato di equilibrio, che viene interrotto più o meno frequentemente dalle crisi vaso-occlusive. Inoltre, i pazienti con malattia a cellule falciformi sono ad alto rischio di sviluppare crisi aplastiche da parvovirus B19: questo microrganismo ha una predilezione per i normoblasti del midollo osseo che vengono danneggiati, determinando un breve arresto della eritropoiesi. In soggetti con emoglobinopatie, il miglior test iniziale è rappresentato dalla conta dei reticolociti.

Siccome, i pazienti affetti da anemia falciforme dovrebbero avere una reticolocitosi nell’ordine del 10-20%, quindi la conta dei reticolociti è il test iniziale più rapido da fare per confermare se si tratta di un disturbo della produzione midollare.

La risposta A non è corretta.

L’elettroforesi dell’emoglobina non è di nessun aiuto in presenza di una crisi aplastica acuta a prescindere dalla causa.

La risposta C non è corretta.

La PCR per il DNA è il test più specifico che si può eseguire, ma non è così facile e veloce come la conta dei reticolociti.

 

La risposta D non è corretta.

È improbabile che i livelli di acido folico siano bassi, considerato che la paziente assume regolarmente acido folico (come la maggior parte dei pazienti con malattia a cellule falciformi).

La risposta E non è corretta.

La conta dei reticolociti è il test iniziale più rapido, benché non più specifico da fare per confermare tale diagnosi.


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