Simulazione

Cliccando in alto a destra sul pulsante 2 è possibile "Consegnare", "Salvare e Interrompere", "Salvare e Continuare" il compito.

1 di 5 Domande

Angelina è una donna di 70 anni, che sta assumendo l'amiodarone per il trattamento della fibrillazione atriale parossistica. Si reca dal suo medico di medicina generale a causa di stanchezza e perdita di peso. Vengono prescritte delle indagini biochimiche che rivelano:
Proteina C-reattiva 6 mg / L (<10)
Tiroxina libera 38 pmol / L (10-22)
TSH <0,05 mU / L (0,4-5)
Qual è il trattamento più appropriato per questa paziente?














La risposta corretta è la C.

Sono stati riconosciuti due tipi di ipertiroidismo indotto da amiodarone; il primo si verifica in pazienti con patologia tiroidea sottostante, come un gozzo nodulare o malattia di Graves. L’amiodarone, infatti, contiene una quantità significativa di iodio, che si traduce in un aumento della sintesi dell’ormone tiroideo.

Il secondo tipo è determinato dal fatto che l’amiodarone può causare una tiroidite subacuta con rilascio di ormoni tiroidei preformati nella circolazione sanguigna; questa evenienza è determinata da un effetto tossico diretto determinato dal farmaco a livello delle cellule follicolari tiroidee, e si verifica in pazienti senza patologia tiroidea sottostante.

La malattia si caratterizza per una fase tireotossica, che può durare da alcune settimane a mesi, solitamente seguita da una fase ipotiroidea, di recupero.

Il secondo tipo è più comune in Europa e Nord America, mentre il primo tipo è più frequente nelle aree carenti di iodio.

Non è possibile stabilire con esattezza se nel caso della paziente del caso clinico si tratti di ipertiroidismo indotto da amiodarone di tipo 1 o 2 basandosi semplicemente sulle informazioni date dal domanda.

Tuttavia, il tipo 2 è molto più comune a meno che non ci si trovi in ​​aree carenti di iodio, pertanto è molto più probabile che sia questo la causa della patologia.

La differenziazione tra le due forme di ipertiroidismo indotto da amiodarone ha implicazioni terapeutiche.

I test di funzionalità tiroidea da soli non possono differenziare le die forme: la storia clinica ed esami accurati possono determinare se il paziente ha una patologia tiroidea sottostante.

In generale la scintigrafia tiroidea con iodio 131 è l’esame più utile: la captazione è in genere normale o alta nel tipo 1 ma minima o nessuna nel tipo 2.

L’ipertiroidismo da amiodarone può risolversi spontaneamente con la sospensione del farmaco stesso. Tuttavia, la maggior parte dei casi richiede un trattamento: il tipo 1 viene solitamente trattato con una tionamide, anche se possono essere usati anche perclorato di potassio e carbonato di litio. I casi di tipo 2, invece, sono trattati con glucocorticoidi, in genere prednisolone.


2 di 5 Domande

Pamela è una ragazza di 25 anni con una storia di malattia di von Willebrand di tipo 1 (vWD) che si reca dalla sua ematologa, la dottoressa Spina, per un consulto. Deve fare una biopsia del cono cervicale ma i ginecologi sono preoccupati per la sua coagulazione. Si scopre che ha una storia menorragia e ha avuto due estrazioni dentali da adolescente che non si sono complicate. Qual è il test più utile per valutare la sua tendenza al sanguinamento?














La risposta corretta è la C.

La malattia di von Willebrand è una disfunzione genetica autosomica dominante caratterizzata da emorragie spontanee a carico delle membrane mucose o da un eccessivo sanguinamento a seguito di ferite o menorragia.

Nel tipo 1 vi è una modesta riduzione del livello plasmatico del fattore vW che determina una riduzione dell’attività coagulante del fattore

VIII e della ristocetina sierica.

Nel vWD di tipo I il tempo di protrombina (PT) e l’aggregazione piastrinica sono normali.

È probabile, invece, che il tempo di sanguinamento, il tempo di tromboplastina parziale attivata(APTT) e il fattore VIII della coagulazione (FVIIIc) siano anormali.

Il tempo di sanguinamento sarebbe un buon test di screening ma, poiché sappiamo già che ha il tipo I di vWBD, non fornirà una misurazione quantitativa della sua tendenza al sanguinamento.

Allo stesso modo, APTT non sarà così utile.

Il test più utile, nella pratica clinica è la valutazione dell’attività plasmatica del fattore VIII.


3 di 5 Domande

Carmenia è una donna di 65 anni che si reca dal suo medico di base a causa di un dolore alla spalla insorto in modo acuto circa 6 mesi fa ed in progressivo peggioramento; riferisce che si tratta di un dolore bilaterale e associato a rigidità mattutina della durata di circa un'ora. Le vengono prescritti degli esami ematochimici da cui risulta:
VES 55 mm / ora 0 - 30
PCR 1mg / L <10
Fattore reumatoide 1:80> 1:40
Quale dei seguenti aumenta la probabilità di una diagnosi diversa da quella di polimialgia reumatica?














La risposta corretta è da D.

La polimialgia reumatica è una malattia infiammatoria che si presenta tipicamente con dolore, tipicamente simmetrico, rigidità dei muscoli delle spalle e dei cingoli pelvici. Può avere un esordio acuto o subacuto ed è associato ad una risposta infiammatoria sistemica e, quindi, a sintomi costituzionali come febbre, anoressia, perdita di peso e malessere generale.

Il decorso della malattia è imprevedibile e in circa il 30% dei pazienti ha anche un’arterite a cellule giganti associata.

La causa è sconosciuta, anche se diversi studi hanno portato a teorie riguardanti un innesco infettivo.

La debolezza muscolare non è una caratteristica della polimialgia reumatica ma può essere difficile da valutare in presenza di dolore.

Le indagini  biochimiche generalmente rivelano:

  • Anemia normocromica / normocitica
  • VES aumentata (ESR) spesso> 50 mm / h (anche se questo può essere normale)
  • Proteina reattiva C aumentata (CRP).

Non si associa invece, di solito, alla presenza di un fattore reumatoide elevato, ma è importante notare che questo è presente nell’1-2% della popolazione normale tanto da non essere specifico neanche per l’artrite reumatoide.

La diagnosi di PMR può rivelarsi difficile e altre condizioni infiammatorie dovrebbero essere escluse; nell’iter diagnostico la risposta ad una dose moderata di steroidi può essere utile. La dose massima di prednisolone non deve superare 20 mg una volta al giorno. I pazienti devono riportare un miglioramento del 70% dei sintomi entro tre o quattro settimane e i marker infiammatori dovrebbero normalizzarsi.

In generale, gli antinfiammatori non steroidei hanno scarso utilizzo e sono associati a una morbilità significativa.


4 di 5 Domande

Giambattista è un uomo di 45 anni che presenta da circa un paio di settimane una storia di gonfiore facciale e dispnea. La radiografia del torace rivela una marcata linfoadenopatia mediastinica e una massa nel lobo inferiore destro. La TAC torace fatta successivamente conferma questi risultati e diagnostica l'ostruzione della vena cava superiore. Quale delle seguenti affermazioni è più accurata per quanto riguarda la sindrome della vena cava superiore?














La risposta corretta è la A.

La sindrome della vena cava superiore è più comunemente causata da linfadenopatia mediastinica tipicamente dovuta a carcinoma polmonare. Tuttavia, può anche verificarsi in seguito a linfoma e tumori a cellule germinali.

Le cause non maligne, invece, comprendono aneurisma aortico, fibrosi mediastinica e gozzo di grandi dimensioni.

La linfoadenopatia può causare una paralisi del nervo laringeo ricorrente, che si presenta con voce rauca. Potrebbe determinare anche la sindrome di Horner dovuta al coinvolgimento della catena simpatica.

Si presenta tipicamente, inoltre, con l’insorgenza di mancanza di respiro, che peggiora in clinostatismo. I pazienti possono anche soffrire di tosse e dolore toracico, a causa della distorsione dell’anatomia mediastinica. I segni fisici sono spesso assenti o minimi, ma classicamente comprendono edema facciale e periorbitale, chemosi e vene della parete toracica distese.

Si associa ad una pressione venosa giugulare non pulsatile elevata.

Il trattamento dipende dalla causa sottostante. Se maligna, dipende anche dalla chemiosensibilità di base del tumore primario e da quanto il paziente sia malato.

Gli steroidi (tipicamente desametasone) possono essere somministrati per ridurre i sintomi mentre vengono iniziati trattamenti specifici. Il linfoma e il carcinoma a piccole cellule sono relativamente chemio-sensibili e pertanto la sindrome della vena cava superiore che ne consegue può essere trattata con chemio-radioterapia.


5 di 5 Domande

Maria è una donna di 54 anni che si reca presso lo studio del dottor Francianelli, uno pneumologo, a causa di una storia di tosse non produttiva. È molto turbata dai suoi sintomi che la svegliano spesso di notte. Lei è una fumatrice da circa 25 anni. Secondo le attuali linee guida almeno per quanto tempo i sintomi devono essere presenti per essere definiti come una tosse cronica e indagati come tali?














La risposta corretta è la C.

La tosse acuta è definita come una tosse che dura meno di tre settimane. Una tosse cronica, invece, è definita come quella che dura per più di otto settimane. C’è una zona grigia tra le tre e le otto settimane in cui si parla di tosse post-virale.

Ci sono diverse condizioni gravi che possono presentarsi con una tosse isolata tra cui neoplasia, infezione (ad esempio, tubercolosi) e malattia polmonare interstiziale.

Nei pazienti che hanno una normale radiografia del torace, si devono considerare come causa di malattia la malattia da reflusso, le sindromi asmatiche e la rinite.


Consegna il compito!


Tempo Rimasto 5 minuti!

Dottore, non aggiorni questa pagina prima del completamento della correzione.
Clicchi su "Consegna il Compito" per ottenere la correzione del compito.

consegna v3 il compito