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1 di 5 Domande

Quale di questi farmaci NON è indicato nel trattamento dell'emorragia del post partum causata da atonia uterina?














La risposta corretta è la A.
L’atosiban, un farmaco analogo di sintesi dell’ossitocina endogena, non è indicato nel trattamento dell'emorragia del post-partum causata da atonia uterina, ma al contrario, è somministrato in caso di minaccia di parto prematuro: infatti, funge da antagonista selettivo dei recettori dell’ossitocina con conseguente riduzione della capacità contrattile uterina. In aggiunta, essendo un tocolitico, è assolutamente controindicato in caso di emorragia post-partum da atonia uterina, una condizione patologica estremamente grave, caratterizzata dalla perdita del tono e dalla assenza di contrazione della muscolatura uterina nell’immediato post-parto. Tale patologia rappresenta la principale causa di emorragia post-partum: infatti, viene meno la contrazione delle fibre muscolari uterine, che costituisce il principale meccanismo di emostasi per occlusione delle strutture vascolari in seguito all’espulsione del feto. La diagnosi ed il trattamento devono essere immediati: la terapia prevede il sostegno e il ripristino della volemia, la somministrazione di uterotonici (ossitocina, prostaglandine), l’utilizzo di manovre manuali o l’impiego di dispositivi atti ad ottenere l’emostasi, la correzione chirurgica ed in estrema ratio l’isterectomia. 
All’opposto, l’ergometrina, un alcaloide della segale cornuta, causa vasocostrizione periferica e aumento della contrattilità del miometrio e può essere impiegata per il controllo dell’emorragia post partum (risposta B errata). Invece, il sulprostone, un farmaco analogo della prostaglandina E2, avente attività ossitocica, stimola la contrazione della parete uterina e pertanto può essere impiegato in caso di emorragia post-partum. Tuttavia, la somministrazione deve essere attentamente controllata poiché il farmaco può causare angina, infarto miocardico e ictus (risposta C errata). Infine, anche l’ossitocina, ovviamente, rappresenta il primo farmaco che viene impiegato nella prevenzione e nel controllo dell’emorragia post-partum (risposta D errata).

2 di 5 Domande

Scenario RF3I: Si presenta all'attenzione del medico una paziente di 53 anni che ritiene di non essere ancora in menopausa perché ha ancora, per quanto scarse e non periodiche, perdite ematiche vaginali. Si procede con la visita senza alcun reperto obiettivo e si effettua un'ecografia transvaginale che evidenzia un endometrio spesso circa 12 mm. Quale procedura diagnostica dovrebbe eseguire la paziente?














La risposta corretta è la D.
La paziente del caso clinico di 53 anni riferisce scarse e non periodiche perdite ematiche vaginali e presenta obiettività clinica ginecologica negativa con evidenza di un endometrio ispessito all'ecografia trans-vaginale di circa 12 mm. Di conseguenza, deve essere sottoposta a biopsia endometriale nel sospetto di neoplasia. Lo spessore endometriale è un importante parametro da valutare: durante l’età fertile, lo spessore dell’endometrio varia in base alle varie fasi del ciclo, con un valore ritenuto normale sino a circa 14 mm, salvo alterazioni ormonali. Invece, durante la premenopausa e la menopausa, la progressiva involuzione dell’organo porta alla riduzione dello spessore della mucosa uterina, che dovrebbe raggiungere massimo 5 mm.
Invece, l’istero-sonografia è un esame diagnostico semi-invasivo, che permette di individuare patologie della cavità uterina (malformazioni, polipi, fibromi, ispessimenti dell’endometrio), ma non consente una certezza diagnostica come la biopsia (risposta A errata). Al contrario, la risonanza magnetica uterina permette di studiare in maniera estremamente dettagliata l’anatomia uterina, ma non di definire le cause dell’ispessimento uterino già riscontrato mediante esame ecografico (risposta B errata). All’opposto, il Pap-test, un esame citologico di screening, permette di individuare in maniera estremamente precoce la presenza di alterazioni cellulari e lesioni precancerose della cervice uterina (risposta C errata). 

3 di 5 Domande

Una ragazza di 30 anni già con un figlio ed alla ventesima settimana di gestazione, si reca dal proprio ginecologo. Presenta nausea, vomito e dolore ai quadranti di destra dell’addome. I sintomi sono insorti da alcune ore e sono diventati progressivamente più intensi. Non ha brividi, disuria e pollachiuria. Presenta T.C. 38,1°C, P.A. 125/75 mmHg, F.C. 95 bpm/min e la F.R. 19 atti/min. All’esame obbiettivo si riscontra un utero gravido situato appena sotto l'ombelico ed una moderata dolorabilità con atteggiamento di difesa alla palpazione in corrispondenza del quadrante inferiore destro. La F.C. fetale è di 145 bmp/min. I risultati degli esami di laboratorio sono i seguenti: Hb 12,3 g/L, leucociti 17.000/mL. Quale dei seguenti è il passo successivo più adeguato nella gestione di questa paziente?














La risposta corretta è la A. 
Il passo successivo più adeguato nella gestione clinica della paziente del caso clinico è rappresentato dalla esecuzione di un’ecografia dell’addome, un esame facilmente accessibile, non invasivo ed innocuo, che fornisce valide informazioni per dirimere i dubbi diagnostici e per escludere alcune cause di addome acuto, come un’appendicite acuta. In particolare, l’ecografia dell’addome, in virtù della sua scarsa invasività ed innocuità, dovrebbe essere il primo test diagnostico nel sospetto di appendicite in gravidanza e per escludere altre patologie. Qualora l’esame ecografico non si dimostrasse risolutivo per giungere con certezza alla diagnosi, dovrebbe essere presa in considerazione l’utilizzo della RM, che sfruttando campi magnetici e non radiazioni ionizzanti, può essere eseguita in gravidanza (risposta B errata). Invece, la RX e la TC dell’addome non sono generalmente utilizzate in gravidanza (ad eccezioni di particolari situazioni cliniche) a causa delle radiazioni ionizzanti (risposta C e D errata). Infine, la laparotomia diagnostica, un intervento chirurgico, non rappresenta una procedura diagnostica iniziale nel sospetto di appendicite acuta (risposta E errata). 

4 di 5 Domande

Una studentessa poco più che maggiorenne si presenta dal proprio ginecologo. Lamenta prurito vaginale e dolore durante la minzione da oltre una settimana. Non ha avuto febbre, dolore pelvico, ematuria o sanguinamento vaginale. Ha avuto dei rapporti sessuali con un unico partner, utilizzando il preservativo. All’esame obiettivo, si riscontra la presenza di una secrezione vaginale giallastra. Il dosaggio urinario della gonadotropina corionica umana è negativo. Viene eseguito un esame colturale del materiale prelevato dalla cervice su linee cellulari McCoy, trattate con colorazione di Giemsa. L'osservazione al microscopio ottico presenta quanto riportato nella foto. Quale tra le seguenti è la terapia farmacologica più appropriata per questo disturbo?

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La risposta corretta è la A

Dato che in base alle informazioni clinico-anamnestiche e all’immagine del caso clinico, la diagnosi più probabile è quella di vaginite sostenuta da Trichomonas vaginalis, il trattamento più indicato è il metronidazolo o il tinidazolo, sia per la paziente che per il partner. Il Trichomonas vaginalis è un protozoo flagellato, a trasmissione sessuale. L’infezione è sempre asintomatica nei maschi (i microrganismi possono persistere per lunghi periodi nel tratto genitourinario senza produrre sintomatologia ed essere trasmessi inconsapevolmente ai partner sessuali). Segni e sintomi tipici di tale infezione nella donna includono: una secrezione maleodorante giallo-verdastra, prurito, bruciore, disuria, pollachiuria, dispareunia, petecchie emorragiche sulla vagina e/o cervice.

Fonte Immagine: AMA Mahmoud A, Sherif NA, Abdella R, El-Genedy AR, El Kateb AY, Askalani AN. Prevalence of Trichomonas vaginalis infection among Egyptian women using culture and Latex agglutination: cross-sectional study. BMC Women’s Health. 2015; 15:7. doi: 10.1186/s12905-015-0169-2.


5 di 5 Domande

Una giovane studentessa liceale si reca dal proprio medico curante, perché da circa 1 settimana ha un aumento delle perdite vaginali, associate ad un odore sgradevole. È sessualmente attiva con il proprio partner e fa uso della pillola anticoncezionale. L'esame obiettivo ginecologico rivela una cervice eritematosa e una sottile secrezione biancastra. Il test di gravidanza è negativo. Il WHIFF TEST o test al KOH è positivo ed il pH del secreto vaginale è 6. Quale dei seguenti è la causa probabilmente responsabile del quadro clinico presentato dalla paziente?

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La risposta corretta è la E

Sulla base delle informazioni clinico-anamnestiche e dell’immagine del caso clinico, la causa responsabile del quadro della paziente è la vaginosi batterica, una complessa alterazione della flora vaginale, in cui i lactobacilli diminuiscono e aumentano le proporzioni di batteri come Gardnerella, Mobiluncus o Peptostreptococcus. I sintomi comprendono secrezioni vaginali grigiastre con odore di pesce e prurito. La diagnosi viene stabilita se tre di quattro criteri seguenti sono soddisfatti:

  • un sottile secreto vaginale biancastro;
  • un pH vaginale > 4.5;
  • un test di “Whiff” positivo con idrossido di potassio al 10%;
  • evidenza di Clue cells alla microscopia.

Invece, la candidosi vulvare, la cervicite da Neisseria gonorrhoeae, la candidosi vaginale e l’infezione da Trichomonas vaginalis rappresentano diagnosi meno verosimili visto il quadro tipico presentato dalla paziente (risposte A, B, C e D errate).


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