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1 di 140 Domande

Scenario SW1P: Una donna di 27 anni, asintomatica, in buone condizioni di salute, due gravidanze a termine, con un'anamnesi patologica completamente muta e con una sorella affetta da lupus eritematoso sistemico, esegue su consiglio del medico curante uno screening di laboratorio per autoanticorpi. Viene riscontrata positività per gli anticorpi anti-nucleo con titolo 1:160 e per le IgM anti-cardiolipina (con LLAC e anti-beta2 glicoproteina I negativi). Qual è la condotta più corretta in questo caso?














La risposta corretta è la B.
L'autoimmunità è definita come una risposta immunitaria diretta contro un antigene normalmente presente nel corpo dell'ospite. La dimostrazione di autoanticorpi è di solito il primo passo per riconoscere una malattia autoimmune; autoanticorpi, infatti, sono comuni in tutte le persone immunologicamente competenti e possono manifestarsi anche durante il decorso di infezioni aspecifiche o di patologie tumorali, pertanto, la sola presenza di autoanticorpi positivi non stabilisce di per sé l’affezione da parte di una determinata patologia autoimmune: essi, infatti, possono essere il risultato e non la causa del processo patologico. Tuttavia, la presenza di risposte autoanticorpali ha un grande valore clinico per la diagnosi e la prognosi di determinate patologie, ad esempio, gli autoanticorpi possono essere presenti molti anni prima della diagnosi di lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide, sindrome antifosfolipidica e diabete mellito di tipo 1. In combinazione con le informazioni genetiche, la storia familiare, e la storia clinica del paziente, la presenza di autoanticorpi può essere altamente predittiva dell'inizio più tardivo di una malattia autoimmune.
ll lupus eritematoso sistemico (LES) è una malattia infiammatoria su base autoimmune la cui patogenesi non è del tutto nota. Si caratterizza per anomalie immunologiche, in particolare per la produzione di anticorpi antinucleari.
Le manifestazioni cliniche possono interessare ogni organo e possono variare drasticamente da paziente a paziente. Il modello più comune è un insieme di disturbi costituzionali associati a coinvolgimento cutaneo, muscolo-scheletrico, ematologico e sierologico, anche se alcuni pazienti hanno manifestazioni prevalentemente ematologiche, renali o del sistema nervoso centrale. Il decorso clinico del LES è molto variabile tra i pazienti e può essere caratterizzato da periodi di remissioni e di ricadute croniche o acute.
La diagnosi di LES viene posta se sono soddisfatti 4 dei criteri clinici ed immunologici con almeno 1 criterio clinico e 1 criterio immunologico, o se la biopsia renale è suggestiva di nefrite lupica associata a positività ANA o anti-dsDNA. I criteri clinici comprendono:
Lupus cutaneo acuto con rush malare, necrolisi epidermica tossica, rush indotto da fotosensibilità;
Lupus cutaneo cronico che comprende rush discoidale, lupus pernio, lupus mucosale, lupus ipertrofico e profondo;
Ulcere orali;
Alopecia non cicatriziale;
Sinovite;
Sierosite;
Interessamento renale;
Interessamento neurologico;
Anemia emolitica;
Leucopenia;
Trombocitopenia <100.000/mm3.
I criteri immunologici invece sono:
ANA;
Anti-dsDNA;
Anti-Sm;
Anticorpi antifosfolipidi;
Bassi livelli del complemento;
Test di Coombs diretto positivo in assenza di anemia emolitica.
 
Dal punto di vista terapeutico nei soggetti che presentano autoanticorpi ma che sono asintomatici non vi è indicazione ad effettuare alcuna profilassi antitrombotica, a differenza di quanto accade per i soggetti sintomatici,  in quanto il rischio di primo evento è < 1% pazienti/anno.

2 di 140 Domande

Con quale termine si definisce la presenza di cellule o tessuti microscopicamente normali ma situati in sede anomala?














La risposta corretta è la C.
Con il termine coristoma si intende un tumore costituito da tessuto normale ma situato in una sede anomala, es. cisti dermoide.
 
La risposta A non è corretta.
Il cordoma è un raro tumore maligno dell’osso che origina da residui embrionali della notocorda primitiva, si localizza lungo la linea mediana dalla base del cranio all’osso sacro e occasionalmente nelle vertebre.
La risposta B non è corretta.
Tiloma deriva dal greco e significa ‘’indurimento’’; infatti indica un’area circoscritta dell’epidermide caratterizzata da ipercheratosi. Cinicamente si manifesta come un ispessimento rotondeggiante dello strato corneo dell’epidermide localizzato, generalmente, in un punto d’appoggio plantare o di sfregamento dorsale. Lo strato corneo si ispessisce e diventa ipercheratosico in seguito allo stimolo pressorio o di confricazione, infatti, le cellule epidermiche vitali per difendersi dagli insulti meccanici accentuano la produzione di cheratine che aumentano lo spessore dello strato corneo.
La risposta D non è corretta.
L’ amartoma è un tumore benigno molto frequente costituito dalla coesistenza di diversi tessuti di origine embrionale al suo interno.

3 di 140 Domande

IIl sarcoma di Ewing è un tumore maligno dell'osso, a cellule piccole rotonde, con un forte potenziale metastatico. Esordisce tra i 5 e i 30 anni e ha un picco d'incidenza tra i 12 e i 18 anni. L'incidenza annuale è stimata in 1/312.500 bambini prima dei 15 anni. Il sintomo più frequente è il dolore. Quale delle seguenti è una traslocazione tipicamente associata al sarcoma di Ewing?














La risposta corretta è la E.
Il sarcoma di Ewing è un tumore maligno dell'osso costituito da cellule piccole e rotonde con un forte potenziale metastatico. Seppur non sia ancora stata identificata la causa della patologia, si è visto che il 90% dei tumori di questo tipo presenta una traslocazione caratteristica che coinvolge i cromosomi 11 e 22, nota come t(11;22). Sul cromosoma 22 è presente il gene del sarcoma di Ewing (EWS), la cui funzione non è ancora ben nota, mentre il gene del cromosoma 11, chiamato FLI1, è coinvolto nel controllo della proliferazione cellulare. Il prodotto derivante dalla suddetta traslocazione è chiamato EWS/FLI e codifica una proteina di fusione alterata implicata nella regolazione genica che assume un ruolo preponderante nella cancerogenesi.
La risposta A non è corretta.
La traslocazione t (11; 18) è presente nel MALT linfoma.
Il linfoma MALT è un frequente tumore gastrico associato all’infezione cronica da parte di Helicobacter Pylori. Si presenta con sintomi aspecifici come epigastralgia e pirosi e alla radiografia con mdc la mucosa appare caratteristicamente ispessita. Ha una prognosi migliore rispetto a quella dell’adenocarcinoma: nel 90% dei casi, infatti, l’eradicazione dell’Helicobacter è associata ad una remissione dei casi.
La risposta B non è corretta.
La leucemia mieloide cronica si caratterizza per l’aumento della serie mieloide associata a leucocitosi.
Clinicamente si manifesta con epatosplenomegalia, a causa dell’infiltrazione con conseguenti disturbi addominali insieme a sintomi aspecifici quali dispnea, affaticamento generale, febbre e sudorazione.
Per la diagnosi ci si serve degli esami di laboratorio, caratterizzati da anemia normocromica normocitica insieme a leucocitosi neutrofila; importante è soprattutto l’esame del midollo osseo che evidenzia una percentuale di blasti <5% e la citologia midollare in grado di mettere in evidenza la traslocazione t (9;22) caratteristica della leucemia mieloide cronica.
La risposta C non è corretta.
Il linfoma di Burkitt è un tumore molto aggressivo costituito da linfociti B maturi.
Si caratterizza per la traslocazione t(8;14)  e perché la biopsia linfonodale mostra un peculiare aspetto ‘’a cielo stellato’’.
La risposta D non è corretta.
Il linfoma follicolare è una tumore ematologico che deriva dai linfociti B del follicolo linfoide del linfonodo.
Si caratterizza per la traslocazione t (14;18) che coinvolge l’oncogene bcl-2, inibitore dell’apoptosi.

4 di 140 Domande

Scenario IU2C: Una donna di 35 anni, nullipara, si reca dal proprio ginecologo per eseguire un Pap-test di routine. All'atto del prelievo è asintomatica. Quale infezione è correlata alla patologia neoplastica della cervice uterina?














La risposta corretta è la D.
L’infezione correlata alla patologia neoplastica della cervice uterina è l’infezione da HPV. Nel mondo, il cancro cervicale è il quarto tumore più comune tra le donne e la correlazione tra l'HPV e il carcinoma del collo dell'utero è ampia: infatti, il 99,7% dei tumori cervicali è associato all’infezione da HPV (risposte A, B, C ed E errate). Il Papilloma Virus umano è un virus a DNA a doppio filamento della famiglia dei Papillomaviridae. Tra i diversi sierotipi esiste una suddivisione specifica in relazione al rischio di determinare il cancro della cervice:
- i tipi 6, 11, 40, 42, 43 sono a basso rischio;
- i tipi 16, 18, 31, 33, 35 sono ad alto rischio.
Mentre i sierotipi 6 e 11 sono responsabili della maggior parte dei condilomi genitali, papillomatosi respiratoria ricorrente e verruche cutanee, i tipi 16 e 18 sono quelli più comunemente isolati nel tumore della cervice. Inoltre, l’HPV è associato anche allo sviluppo di altri tumori tra cui il cancro del cavo orale, il cancro anale, il carcinoma del pene e alcune forme di tumore vulvare e vaginale.


5 di 140 Domande

Scenario IU2C: Una donna di 35 anni, nullipara, si reca dal proprio ginecologo per eseguire un PAP-test di routine. All'atto del prelievo è asintomatica. Come viene standardizzata attualmente la lettura del PAP-test?














La risposta corretta è la B.
Sebbene anche il sistema di Papanicolau serva per la lettura del PAP-test, non si tratta del sistema utilizzato attualmente. Nel 1988 è stata presentata la classificazione Bethesda: si tratta di un sistema di classificazione che è stato aggiornato più volte, Bethesda 1991, Bethesda 2001, Bethesda 2014, e viene oggi utilizzato di routine.
La classificazione di Bethesda tiene conto di tutti gli aspetti citologici delle cellule in esame, da quelli infiammatori e infettivi a quelli displastici e neoplastici.
Le anomalie citologiche cervicali squamose, rilevate con Pap-test, sono riportate usando il termine ‘’lesioni intraepiteliali squamose cervicali (SIL) che la classificazione di Bethesda suddivide in:
1.       L-SIL: SIL di basso grado;
2.       H-SIL: SIL di grado elevato, caratterizzate da alterazioni di tipo premaligno;
3.       ASCUS: atipie dal grado incerto;
4.       AGC: atipe ghiandolari dal significato incerto.
Considerando, invece, non la citologia ma l’istologia, la nomenclatura cambia e si parla di ‘’neoplasie cervicali intraepiteliali (CIN)’’, dove CIN 1 rappresenta le infezioni transitorie da HPV mentre CIN 2 e CIN 3 vengono considerate delle vere e proprie neoplasie. 
 
La risposta A non è corretta.
La pancreatite acuta è un processo infiammatorio acuto del pancreas che deve essere sospettata nei pazienti con dolore addominale acuto ma richiede prove biochimiche o radiologiche per stabilire la diagnosi.
La maggior parte dei pazienti con pancreatite acuta ha un esordio acuto di dolore addominale epigastrico persistente e grave; in alcuni pazienti, il dolore può essere nel quadrante superiore destro o, raramente, confinato sul lato sinistro, e si irradia caratteristicamente posteriormente, tanto da essere definito a cintura.
La diagnosi di pancreatite acuta deve essere sospettata in un paziente con esordio acuto di un dolore persistente, grave, epigastrico e richiede la presenza di due dei seguenti tre criteri:
·         esordio acuto di dolore persistente, grave, epigastrico che spesso si irradia verso la regione posteriore dell’addome;
·         elevazione della lipasi sierica o amilasi a tre volte o più del limite superiore della norma;
·         reperti caratteristici di pancreatite acuta all’ imaging, cioè tomografia computerizzata, risonanza magnetica o ecografia transaddominale.
Nei pazienti con un caratteristico dolore addominale e aumento della lipasi o dell'amilasi sierica fino a tre volte o più del limite superiore della norma, comunque, non è richiesta alcuna immagine per stabilire la diagnosi.
Nei pazienti con dolore addominale che non è caratteristico per pancreatite acuta o senza un aumento significativo dei livelli sierici di amilasi o lipasi, o nei quali la diagnosi è incerta, eseguiamo l'imaging addominale con una TAC con mdc che permette peraltro di escludere altre cause di addome acuto, o con una RMN addominale nel caso in cui non sia possibile somministrare al paziente mdc.
Una volta effettuata la diagnosi, per stabilire la gravità della pancreatite acuta si fa riferimento ai criteri di Glasgow che prendono in considerazione il valore di:
·         Globuli bianchi;
·         LDH;
·         Età >55 anni;
·         Albumina;
·         PCR;
·         Glicemia;
·         Calcemia;
·         PaO2.
La risposta C non è corretta.
I livelli di Berg fanno riferimento alla dissezione dei linfonodi ascellari nel tumore della mammella.
I linfonodi ascellari a seconda della loro posizione si definiscono di I, II o III livello.
Il Iivello di Berg indica i linfonodi dell’ascella inferiore che si trovano lateralmente rispetto al margine del piccolo pettorale; i linfonodi del II livello di Berg si trovano nell’ascella media, tra il margine laterale e mediale del piccolo pettorale e il III livello di Berg è, infine, rappresentato dai linfonodi che si trovano all’apice dell'ascella, mediamente rispetto al muscolo pettorale.
La risposta D non è corretta.
Il sistema di Papanicolaou è stato il primo sistema utilizzato per classificare ed interpretare i risultati del PAP-test; se inizialmente individuava 5 classi (reperto normale, infiammatorio, sospetto, positivo con forte sospetto di malignità e positivo con cellule francamente maligne) è poi stato sottoposto a diverse modifiche con le quali si è introdotto il concetto di CIN, neoplasia intraepiteliale (CIN 1, CIN 2 e CIN 3).
La risposta E non è corretta.
Le linee guida di Tokio sono un pratico ausilio nel trattamento della colecistite acuta litiasica. Secondo tali linee guida nel caso di una colecistite acuta lieve è indicata una colecistectomia laparoscopica precoce; nel caso di una colecistite moderata si raccomanda la colecistectomia precoce o drenaggio colecistico e colecistectomia differita se persiste un’ infiammazione locale severa; nel caso di colecistite severa infine, esse raccomandano il trattamento urgente della disfunzione d’organo e della severa infiammazione locale con drenaggio della colecisti o colecistectomia d’urgenza.

6 di 140 Domande

Scenario KR3T: L'immagine mostra un tracciato elettrocardiografico corrispondente a:

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La risposta corretta è la B.
L’ECG del caso clinico mostra un tracciato elettrocardiografico corrispondente ad infarto miocardico della parete anteriore. In particolare, i pazienti con infarto della parete anteriore presentano un’occlusione dell'arteria coronaria discendente anteriore sinistra e dal punto di vista elettrocardiografico un sopraslivellamento del tratto ST nelle derivazioni da V1 a V4. ​​​​​​​

7 di 140 Domande

Scenario LO3H: Il paziente presenterà probabilmente:

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La risposta corretta è la A.
In base all’elettrocardiogramma, il paziente del caso clinico presenta probabilmente una occlusione della discendente anteriore, che ha determinato un infarto della parete anteriore del miocardio. In particolare, la discendente anteriore, ramo dell’arteria coronaria sinistra, vascolarizza la faccia anteriore ventricolare e il setto interventricolare cardiaco.
 

8 di 140 Domande

Scenario AQ4Z: Un paziente di 75 anni deve essere sottoposto a un intervento elettivo di resezione intestinale. In anamnesi presenta una fibrillazione atriale cronica in terapia con warfarin. Secondo le attuali linee guida europee, in vista dell'intervento:














La risposta corretta è la B
Quando si programma un intervento chirurgico elettivo bisogna anche programmare la sospensione degli
anticoagulanti orali per ridurre al minimo il rischio di sanguinamento.
Per far ciò è necessario considerare le condizioni e il rischio di sanguinamento del paziente oltre che il rischio di sanguinamento cui espone la procedura chirurgica stessa.
Gli interventi chirurgici, infatti, sulla base della possibilità più o meno elevate di determinare sanguinamenti maggiori, sono classificati in:
·         Interventi a basso rischio;
·         Interventi a rischio intermedio;
·         Interventi ad alto rischio, come quelli di resezione intestinale.
In quest’ultimo caso è prevista la sospensione della terapia anticoagulante 5 giorni prima dell’intervento , in modo da poter operare con la sicurezza che non vi sia effetto residuo dell’anticoagulante sull’organismo.

9 di 140 Domande

Scenario AQ4Z: Un paziente di 75 anni deve essere sottoposto a un intervento elettivo di resezione intestinale. In anamnesi presenta una fibrillazione atriale cronica in terapia con warfarin. L'ecocardiografia preoperatoria mostra una funzione contrattile moderatamente depressa. A quale di questi valori di FE (frazione di eiezione) può corrispondere?














La risposta corretta è la B.
La frazione di eiezione rappresenta il parametro più impiegato in cardiologia per la valutazione della funzione sistolica del ventricolo sinistro. Viene definita come la differenza fra il volume telediastolico e quello telesistolico (VTD-VTS) divisa per il VTD ed è espressa attraverso un valore in percentuale.
In base alle raccomandazioni della Società Europea e Americana di Ecocardiografia, il valore normale della FE è ≥50%, mentre si parla di riduzione moderata della FE quando ha valori compresi tra 40-49% e di riduzione grave per FE < 40%.

10 di 140 Domande

Scenario OI5Y: Una ragazza di 15 anni si presenta in Pronto Soccorso perché da un'ora ha difficoltà respiratoria, frequenza respiratoria 35 atti/min e all'auscultazione apprezzate fischi e sibili. Raccogliendo l'anamnesi quale informazione clinica più probabilmente emergerà?














La risposta corretta è la B.
L'asma bronchiale è una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree caratterizzata da un’ostruzione bronchiale reversibile, completamente o in parte, spontaneamente o dopo la somministrazione di farmaci ad attività broncodilatatoria ed antinfiammatoria.
Presenta sicuramente una genesi multifattoriale in cui riconosciamo dei fattori in grado di favorire e scatenare un attacco di asma, e dei fattori predisponenti, alla base dei fenomeni fisiopatologici dell’asma, tra cui fattori genetici come l’atopia, e fattori ambientali come inquinamento atmosferico, fumo di sigaretta attivo e passivo, esposizione ad allergeni o a sostanze presenti nei luoghi di lavoro (es/legno, metalli, prodotti chimici). 
La predisposizione individuale insieme ai fattori ambientali concorrono nella fisiopatogenesi dell’asma che si caratterizza per iperreattività bronchiale, cioè l’ostruzione delle vie aeree che si scatena in alcuni soggetti a seguito di stimoli di varia natura che nei soggetti normali non causano alcuna risposta, e infiammazione cronica: in questi pazienti infatti la mucosa è particolarmente edematosa e le vie aeree sono tappezzate da tappi di muco; l’infiammazione è mediata dall’interazione continua tra cellule infiammatorie e mediatori dell’infiammazione.
Dal punto di vista clinico, l’asma bronchiale si caratterizza per dispnea, sensazione di costrizione toracica e tosse stizzosa, cui si aggiungono, nella fase accessionale, fischi e sibili, rilevabili all’obiettività toracica.
La clinica, insieme alle prove di funzionalità respiratoria, spirometria e test di reversibilità, sono fondamentali per la corretta diagnosi dell’asma bronchiale.

11 di 140 Domande

Scenario KI5A: Una ragazza di 15 anni si presenta in Pronto Soccorso perché da un'ora ha difficoltà respiratoria, frequenza respiratoria 35 atti/min e all'auscultazione apprezzate fischi e sibili. Quale dei seguenti farmaci NON è da utilizzare per trattare questa paziente?














La risposta corretta è la E.
L’asma è una patologia che può essere controllata in maniera efficace con la terapia farmacologica i cui obiettivi sono di rendere asintomatico il paziente, o ridurne i sintomi, prevenire le riacutizzazioni e consentire al soggetto un normale stile di vita.
La terapia di un attacco di asma acuto prevede l’utilizzo di ossigeno, per la correzione dell’ipossiemia, broncodilatatori beta2 agonisti per la risoluzione del broncospasmo, corticosteroidi ev per ottimizzare l’azione dei beta2 contribuendo a migliorare la funzionalità respiratoria, e magnesio solfato, soprattutto nelle forme gravi, anch’esso utile per il miglioramento la funzionalità respiratoria.
Tra i beta2 agonisti di prima scelta è il salbutamolo somministrato per via inalatoria, ev usato nelle forme non responsive alla via inalatoria, associato ad anticolinergici come l’ipatropio bromuro, nelle forme gravi, e a corticosteroidi per via inalatoria come il beclometasone dipropionato. Inoltre, nei pazienti con asma severo non responsivo alla dose massima possibile di beta2 e steroidi sistemici, si potrebbe utilizzare la Teofillina. L’asma bronchiale costituisce una controindicazione assoluta all’utilizzo di protossido d’azoto in quanto aggraverebbe il quadro respiratorio del paziente.

12 di 140 Domande

Scenario AP6I: Viene ricoverato in rianimazione un uomo di 54 anni con diagnosi di shock settico a partenza dalle vie urinarie. Dovendo sostenerlo dal punto di vista emodinamico, quale dei seguenti farmaci è opportuno somministrare?














La risposta corretta è la B.
Per shock si intende una sindrome clinica caratterizzata da ipotensione, PAS < 90 mmHg o PAM < 65 mmHG con inadeguato flusso ematico periferico e sofferenza ipossica degli organi vitali; in particolare lo shock settico è la conseguenza di una sepsi con disfunzione circolatoria e cellulare/metabolica associata ad alto rischio di mortalità. Si caratterizza per la riduzione delle resistenze vascolari periferiche, pertanto la pietra miliare della rianimazione iniziale è il rapido ripristino della perfusione e la somministrazione anticipata di antibiotici, entro la prima ora.
La perfusione tissutale è ottenuta principalmente mediante la somministrazione di liquidi per via endovenosa, di solito somministrati a 30 ml/kg, entro le prime tre ore successive alla presentazione dello shock. Se somministrando 30 ml/Kg di cristalloidi non si raggiungere una PAM ≥ 65 mmHg, occorre avviare l’infusione di ammine: viene considerata la noradrenalina come farmaco di prima scelta.
Essa aumenta la gittata cardiaca e induce vasocostrizione senza causare significativi incrementi della frequenza cardiaca; farmaci come adrenalina, vasopressina o dobutamina si possono usare come seconda scelta mentre, come indicano le linee guida del 2012, la dopamina non va più utilizzata.

13 di 140 Domande

Scenario AP6I: Viene ricoverato in rianimazione un uomo di 54 anni con diagnosi di shock settico a partenza dalle vie urinarie. Il supporto emodinamico con le amine serve a:














La risposta corretta è la E.
Nel contesto dello shock, caratterizzato da inadeguato flusso ematico periferico e sofferenza ipossica degli organi vitali, le ammine, migliorando la perfusione d’organo, sono utili per il supporto emodinamico del paziente. ​​​​​​​

14 di 140 Domande

Scenario MI7A: Una donna di 25 anni lamenta dispnea da sforzo. Agli esami ematochimici gli indici di flogosi sono negativi. All'ecocardiogramma si evidenzia un prolasso della mitrale da rottura di corda tendinea. Secondo le linee guida la paziente viene sottoposta a intervento di plastica della mitrale. Dopo l'intervento è in ritmo sinusale. Quale terapia è indicata alla dimissione?














La risposta corretta è la C.
Gli interventi sulla valvola mitralica si dividono fondamentalmente in due gruppi: quelli di “plastica” o “riparazione”, in cui viene mantenuta la valvola nativa, e gli interventi di “sostituzione”, in cui la valvola viene sostituita con una protesi biologica o meccanica.
L’intervento di plastica della mitrale consiste nella riparazione della valvola in modo da correggere la patologia, stenosi o insufficienza, senza sostituire totalmente la valvola; quando possibile, viene preferita alla sostituzione in quanto si associa a un miglior mantenimento della funzione cardiaca, ad una migliore sopravvivenza con minor rischio di endocardite e necessità di una terapia anticoagulante non a lungo termine, a differenza della sostituzione valvolare. A tal proposito, secondo le ultime Linee Guida della Società Italiana di Cardiologia sulle valvulopatie pubblicate nel 2017, dopo un intervento di plastica della mitrale si esegue una terapia anticoagulante orale per 3 o 6 mesi seguita da terapia con antiaggregante, di solito con cardioaspirina.
Nel caso di sostituzione valvolare con valvole meccaniche, invece, la terapia anticoagulante va mantenuta tutta la vita mentre se si utilizzano valvole biologiche, la terapia anticoagulante viene effettuata per 3-6 mesi seguita da terapia antiaggregante in base al rischio trombotico specifico del paziente.

15 di 140 Domande

In caso di ischemia mesenterica acuta di origine embolica, qual è l'approccio terapeutico più opportuno tra i seguenti?














La risposta corretta è la D.
L'ischemia mesenterica acuta è determinata dalla comparsa improvvisa di una condizione di ipoperfusione intestinale dovuta alla riduzione o alla cessazione dell'afflusso arterioso a causa o di un'ostruzione embolica, più comunemente dall'arteria mesenterica superiore, o di un'ostruzione trombotica acuta, spesso nel contesto di un vaso mesenterico già affetto ad esempio da processi aterosclerotici.  
L'embolia alle arterie mesenteriche è la causa più frequente di ischemia mesenterica acuta e nella maggior parte dei casi è dovuta ad un embolo a partenza cardiaca.
Il trattamento di elezione per questa condizione è l'embolectomia laparotomica in urgenza che, oltre a liberare rapidamente il vaso dall’ostruzione per evitare che l’evento sia irreversibie, consente una valutazione diretta della vitalità dell’organo.

16 di 140 Domande

Scenario HY8E: Un giovane di 23 anni, sportivo e modesto fumatore (5 sigarette/die da 5 anni), lamenta un dolore trafittivo all'emitorace sinistro, improvviso e violento. Quale altro sintomo associato deve essere ricercato?














La risposta corretta è la B.
Bisogna porre attenzione alla presenza di un dolore improvviso, violento e trafittivo nell’emitorace sinistro e pensare alle condizioni cliniche che si presentano con questo sintomo, cioè pneumotorace, embolia polmonare e dissecazione aortica.
Trattandosi di condizioni gravi e potenzialmente letali, è bene indagare la presenza di altri sintomi caratterizzanti queste condizioni patologiche, tra i quali la dispnea: in presenza di dispnea, infatti, potremo avviare l’iter diagnostico migliore per una corretta diagnosi differenziale tra le condizioni patologiche suddette, così da poter impostare successivamente la terapia più adeguata. L’assenza di dispnea, invece, ci consentirebbe di escludere fin da subito queste patologie che necessiterebbero di una valutazione in urgenza, potendo presentare una prognosi infausta.

17 di 140 Domande

Scenario HY8E: Un giovane di 23 anni, sportivo e modesto fumatore (5 sigarette/die da 5 anni), lamenta un dolore trafittivo all'emitorace sinistro, improvviso e violento. Qual è la diagnosi più probabile?














La risposta corretta è la B
Lo pneumotorace si intende una condizione patologica che si caratterizza per la presenza di gas all'interno del cavo pleurico, sussiste, cioè, un anomalo accumulo di aria all'interno dello spazio che separa il polmone dalla parete toracica.
Quando parliamo di pneumotorace spontaneo primario intendiamo uno pneumotorace che si verifica senza un evento precipitante in una persona che non ha una malattia polmonare nota anche se, in realtà, la maggior parte delle persone con questa patologia presenta una malattia polmonare misconosciuta sottostante.
Si ritiene, tuttavia, che la causa principale di pneumotorace spontaneo primario sia la rottura improvvisa di ‘’blebs subpleuriche’’, associate soprattutto all’abitudine tabagica, osservazioni confermate dal fatto che lo pneumotorace spontaneo ha una maggiore incidenza in soggetti di giovane età, 20- 30 anni, di sesso maschile e fumatori.
Dal punto di vista sintomatologico, solitamente si presenta con sintomi tipici quali dispnea improvvisa e dolore toracico di tipo pleurico, improvviso e trafittivo, in assenza di emottisi o espettorato purulento. ​​​​​​​
La risposta A non è corretta.
Nella polmonite lobare il dolore toracico non è violento ed è accompagnato da altri sintomi come febbre e tosse produttiva.
Le risposte C e D non sono corrette.
L’infarto miocardico e il reflusso gastroesofageo si caratterizzando per un dolore urente retrosternale associato a sintomi vagali, nausea e sudorazione nel caso dell’infarto, e a pirosi e rigurgito acido nel caso della malattia da reflusso.
La risposta E non è corretta.
L’infarto polmonare è una complicanza dell'embolia polmonare che si caratterizza per necrosi del tessuto polmonare. Clinicamente si presenta con dolore accompagnato da tosse, emottisi, dispnea, tachipnea, cianosi, febbre e versamento pleurico.

18 di 140 Domande

Scenario HY8E: Un giovane di 23 anni, sportivo e modesto fumatore (5 sigarette/die da 5 anni), lamenta un dolore trafittivo all'emitorace sinistro, improvviso e violento. Quale esame deve essere eseguito in prima istanza?














La risposta corretta è la C.
Per la diagnosi di penumotorace si considerano l’anamnesi del paziente, i fattori di rischio, l’esame obiettivo caratteristico per silenzio respiratorio nell’emitorace interessato, e soprattutto radiografia del torace che permette di osservare la presenza d’aria nel cavo pleurico e il conseguente collasso polmonare.
La TAC torace, invece, può essere utilizzata come seconda scelta, nel caso in cui l’RX non sia chiaro, se ponga il sospetto di patologie cardiache, o per individuare patologie sottostanti e misconosciute che potrebbero causare lo pneumotorace. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare anche l'ecografia, usata in urgenza con il protocollo eco FAST, che può risultare più sensibile rispetto alla radiografia del torace nell'identificazione e nella descrizione della dimensione dello pneumotorace.
 
La risposta B non è corretta.
La spirometria è indicata per valutare la funzionalità respiratoria del paziente nella diagnosi di broncopneumopatie ostruttive e restrittive
La risposta D non è corretta.
L’ecocolordoppler è l’indagine di scelta per patologie che suppongano una disfunzione cardiaca in quanto consente di valutare nel dettaglio l’anatomia e la normale cinesi delle camere cardiache.
La risposta E non è corretta.
La radiografia dell’emicostato sinistro si preferisce nel caso di traumi e fratture delle coste.

19 di 140 Domande

Scenario CP9E: Un paziente esegue una TC del torace che dimostra un nodulo sub-pleurico del lobo superiore sinistro a margini spiculati di diametro 1,8 cm. Nel sospetto di neoplasia polmonare, quale tra i seguenti è l'esame diagnostico più appropriato per la stadiazione della malattia, in funzione della pianificazione della strategia terapeutica?














La risposta corretta è la C.
Nel sospetto di neoplasia polmonare, l’esame diagnostico più appropriato per la stadiazione della malattia, in funzione della pianificazione della strategia terapeutica, è rappresentato dalla PET-TC total body, un esame che fornisce informazioni sull'attività metabolica del tumore primario e sulle potenziali metastasi a distanza. Al contrario, la broncoscopia è un esame indicato al fine di valutare lo stato dei bronchi ed eventualmente effettuare biopsie o lavaggi dei rami bronchiali esplorati (risposta A errata). Così, la TC dell’addome senza e con m.d.c. permette di valutare una eventuale localizzazione a carico degli organi addomino-pelvici e delle strutture ossee comprese nelle scansioni di studio, non consentendo però una stadiazione completa total body (risposta B errata). Infine, la scintigrafia polmonare viene impiegata nello studio delle anomalie del rapporto ventilazione-perfusione (risposta E errata).

20 di 140 Domande

Scenario CP9E: Un paziente esegue una TC del torace che dimostra un nodulo subpleurico del lobo superiore sinistro a margini spiculati di diametro 1,8 cm. In considerazione della sede della lesione, quale esame è indicato in prima istanza per la tipizzazione cito-istologica?














La risposta corretta è la A.
Una lesione polmonare periferica è un nodulo polmonare, tipicamente <3 cm, che si trova nella periferia del polmone; può essere solido o subsolido, benigno o maligno, e in generale è tradizionalmente difficile da analizzare istologicamente mediante broncoscopia flessibile convenzionale, indicata invece per le lesioni centrali.
Per la diagnosi istologica di noduli che non sono accessibili con tramite i normali esami endoscopici delle vie aeree, l’esame di scelta è rappresentato dall’agobiopsia polmonare Tc guidata. Essa prevede che nell’area polmonare interessata, attraverso una piccola incisione operata nella cute previa anestesia locale, venga inserito un ago di pochi millimetri, mandato fino alla lesione polmonare attraverso la TC, di cui se ne preleverà un campione sottoposto successivamente ad analisi anatomopatologica. Se la lesione polmonare si associa a versamento è indicato anche effettuare una toracentesi, cioè la raccolta e l’analisi di tale liquido, così come se vi fosse associata espettorazione, la diagnosi sarebbe adiuvata dall’esame citologico dell'escreato.

21 di 140 Domande

Scenario CP9E: Un paziente esegue una TC del torace che dimostra un nodulo subpleurico del lobo superiore sinistro a margini spiculati di diametro 1,8 cm. Quali dei seguenti farmaci devono essere sospesi o sostituti prima delle procedure diagnostiche invasive?














La risposta corretta è la E.
I farmaci che devono essere sospesi o sostituti prima delle procedure diagnostiche invasive sono gli anticoagulanti orali (TAO) e gli antiaggreganti in quanto aumentano il rischio di emorragie intra-operatorie. Sono esclusi dalla sospensione i NAO (rivaroxaban, apixaban e dabigatran) e l’acido acetilsalicilico se usato con un dosaggio tra 80-100 mg.
La terapia a lungo termine con farmaci antiaggreganti e anticoagulanti è indicata per la prevenzione di eventi tromboembolici dovuti principalmente a fibrillazione atriale, protesi valvolari cardiache meccaniche o tromboembolismo venoso. Quando un paziente sottoposto a terapia antitrombotica si sottopone ad un intervento chirurgico o procedura invasiva, si pone il problema dell'eventuale sospensione della terapia suddetta con un possibile aumento del rischio trombotico, o proseguimento della stessa con un possibile aumento del rischio emorragico. In generale, se un paziente si sottopone ad un intervento chirurgico invasivo con alto rischio di emorragia, può temporaneamente sospendere la terapia. La decisione, tuttavia, non deve prescindere dalla valutazione di diversi fattori tra cui il rischio emorragico specifico dell’intervento e il rischio tromboembolico del paziente: nei pazienti ad alto rischio tromboembolico, infatti, viene effettuata una terapia ‘’ponte’’, nel periodo peri-operatorio, che consiste nella somministrazione di un anticoagulante a breve durata di azione, generalmente eparina, nel corso dell’interruzione temporanea della iniziale terapia antitrombotica. In ogni caso, soprattutto nei pazienti ad alto rischio tromboembolico, il periodi di sospensione della terapia con farmaci anticoagulanti, incluso quello della terapia ponte, dovrebbe essere il più breve possibile.

22 di 140 Domande

Scenario SX10U: Un paziente di 54 anni lamenta da 3 mesi violento dolore anale, scatenato dalla defecazione, ma perdurante per diverse ore. A volte ha proctorragie di modesta entità. Sulla base della raccolta dei dati anamnestici, quale diagnosi è più probabile?














La risposta corretta è la D.
Tra le patologie anali, la ragade anale è una delle più comuni malattie anorettali benigne causa di dolore e sanguinamento anale. La ragade anale è un'ulcerazione lineare dell'ano, talvolta unica e solitaria, situata prevalentemente lungo la linea mediana posteriore; si sviluppa inizialmente come una lacrima nell'anoderma, all'interno della metà distale del canale anale, che provoca cicli di dolore anale ricorrente e sanguinamento, che portano allo sviluppo di una ragade cronica in circa il 40% dei pazienti. Il muscolo sfintere interno, esposto all'interno del letto della spaccatura, frequentemente ha degli spasmi che non solo contribuiscono al dolore severo ma vanno anche a limitare il flusso sanguigno alla ragade, impedendone la guarigione. La maggior parte delle ragadi anali sono primarie e sono causate da traumi locali dovuti a stitichezza, diarrea, parto vaginale o sesso anale; tuttavia, possono anche essere secondarie a malattia di Crohn, altre malattie granulomatose, es. Tubercolosi extrapolmonare, sarcoidosi, patologie maligne, ad es. cancro anale a cellule squamose, leucemia, o malattie trasmissibili sessualmente, es. Infezione da HIV, sifilide, clamidia. Clinicamente i pazienti presentano dolore anale spesso presente a riposo, esacerbato dalla defecazione che perdura diverse ore dopo quest’ultima e, sebbene il dolore sia il sintomo cardinale, un sintomo altrettanto importate è il sanguinamento anale di modesta entità.
Quando i sintomi hanno una durata maggiore di 8 settimane, si parla di ragade anale cronica.
​​​​​​​La risposta A non è corretta.
Le vene emorroidarie sono normali strutture anatomiche situate nello strato sottomucoso nel retto inferiore e possono essere esterne o interne in base al fatto che si trovino al di sotto o al di sopra della linea dentata. Nel 40% dei casi la patologia emorroidaria è asintomatica; i pazienti sintomatici di solito lamentano prurito anale, senso di pesantezza e sanguinamento abbondante a seguito della defecazione, in cronico, potrebbe causare anemia. Non vi è dolore acuto dopo la defecazione e l’ematochezia è accentuata.
La risposta B non è corretta.
La trombosi emorroidaria è una comune complicanza della malattia emorroidaria determinata dalla presenza di un trombo nel sistema venoso emorroidario e caratterizzata da dolore intenso che si autorisolve nell’arco di 24-48h.
La risposta C non è corretta.
Per ascesso perianale si intende una raccolta di pus in prossimità dell'ano, o nella porzione terminale del retto dovuta all’infezione delle ghiandole mucose site all'interno del canale anale. I pazienti con un ascesso perianale si presentano all’osservazione medica con sintomi costituzionali, quali febbre e malessere generale, associati ad una tumefazione dolente ricoperta da cute tesa ed intensamente arrossata.  Il dolore nell'area anale è severo e costante, non associato alla defecazione, e spesso può drenare materiale purulento spontaneamente,  il che comporta un certo sollievo della sintomatologia dolorosa. Non si associa a dolore acuto né a sanguinamento.
La risposta E non è corretta.
La condilomatosi si caratterizza per la presenza di condilomi genitali, anali e perianali, dovuti al Papilloma Virus umano (HPV); i condilomi sono delle escrescenze di dimensioni variabili, piatte o rilevate, che possono trovarsi isolate o in gruppi. Dal punto di vista clinico, nella maggior parte dei casi sono asintomatici e quando sintomatici possono provocare fastidio e raramente dolore. Non si associano ad ematochezia o dolore con la defecazione. 

23 di 140 Domande

Scenario SX10U: Un paziente di 54 anni lamenta da 3 mesi violento dolore anale, scatenato dalla defecazione, ma perdurante per diverse ore. A volte ha proctorragie di modesta entità. A quale esame deve essere sottoposto il paziente in prima istanza per confermare il sospetto diagnostico?














La risposta corretta è la D.
L’esame obiettivo del retto e l’anoscopia sono i principali strumenti nella diagnosi di ragade anale, quando si esaminano per la prima volta dei pazienti con sospetta patologia anale bisognerebbe evitare manovre invasive che potrebbero esacerbare il dolore del soggetto.
Durante l’ispezione bisogna prestare attenzione alla linea mediana posteriore: le ragadi acute appaiono più comunemente come una superficiale lacerazione longitudinale, simile ad un taglio di carta; una ragade cronica, invece, si caratterizza per essere spesso accompagnata da manifestazioni cutanee all'estremità distale della ragade stessa: si parla di manifestazioni sentinella (papille anali ipertrofiche), attribuite all'infiammazione cronica con conseguente fibrosi. L’anoscopia, permettendo di visualizzare chiaramente la ragade nella mucosa ano-rettale, consente di confermare la diagnosi.
 
Le risposte A, C, E non sono corrette.
L’RX clisma opaco, la defecografia e la manometria ano-rettale sono esami che non permettono di studiare la mucosa anale, bensì consentono di studiarne i disturbi funzionali.
La risposta B non è corretta.
L’ecografia trans-anale viene utilizzata sia nella diagnosi di patologie anali benigne quali fistole, ascessi, ragadi croniche, che nell’approfondimento diagnostico di patologie neoplastiche del canale anale e della porzione inferiore del retto; nonostante la sua utilità nello studio della mucosa anale, non è l’esame di prima istanza da impiegare nell’iter diagnostico di una sospetta ragade anale.

24 di 140 Domande

Scenario SX10U: Un paziente di 54 anni lamenta da 3 mesi violento dolore anale, scatenato dalla defecazione, ma perdurante per diverse ore. A volte ha proctorragie di modesta entità. Per escludere la presenza di altre patologie che possano causare proctorragie, anche in considerazione dell'età del paziente, è inoltre opportuno sottoporlo in prima istanza a:














La risposta corretta è la E.
La rettocolonscopia è un esame che permette di osservare la mucosa della parte inferiore del tubo digerente costituita da retto, sigma, colon e quando indicato ileo terminale; rappresenta il gold standard per lo screening dei tumori del colon, soprattutto nei soggetti a rischio: cioè pazienti con età superiore a 50 anni, che hanno familiarità per questa patologia o che presentano sintomi di allarme come la proctorragia.
 
Le risposte A e C non sono corrette.
L’ecografia addominale e l’ RX addome  non permettono la visualizzazione della mucosa del colon e, pertanto, non consentono di definire l’esatta causa della proctorragia.
Le risposta B e D non sono corrette.
La TC e la RM addome consentono lo studio solo di alcune delle patologie che potrebbero causare proctorragie, senza permettere una valutazione completo della mucosa anale, rettale e colica.
Aggiornato al 16/03/21. 

25 di 140 Domande

Scenario JU11S: A un paziente di 65 anni, in buone condizioni generali, con funzionalità respiratoria e cardiologica conservata, viene diagnosticata una neoplasia del lobo polmonare superiore sinistro. Al termine della stadiazione risulta essere un carcinoma a piccole cellule T2, N1, M0. Che terapia verrà proposta al paziente?














AnchorLa risposta corretta è la E.
Il cancro del polmone è ritenuto la causa più comune di morte negli uomini,  anche se, negli ultimi anni, è cresciuto il tasso di mortalità pure nelle donne a causa della diffusione dell’abitudine tabagica tra i soggetti di ambo i sessi.
Per una corretta stadiazione, trattamento e prognosi, la maggior parte dei tumori polmonari vengono distinti in carcinoma polmonare a piccole cellule (SCLC), carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), tumori a grandi cellule e altri tipi minori di tumori polmonari.
Dal punto di vista sintomatologico si tratta di una patologia che può restare asintomatica nelle fasi iniziali e venire scoperta accidentalmente nel corso di esami effettuati per altre ragioni; anche quando sono presenti dei sintomi, tuttavia, si tratta di disturbi aspecifici come tosse continua -che non passa o addirittura peggiora nel tempo, raucedine, dispnea, astenia, anoressia o recidivanti infezioni polmonari. Negli stadi più avanzati, invece, i sintomi possono essere a carico degli organi in cui il tumore si è diffuso: per contiguità possono essere coinvolti il polmone controlaterale, la pleura, la parete toracica e il diaframma; per via linfatica il tumore po' diffondere ai linfonodi di drenaggio di quest’organo e attraverso il flusso sanguigno può invadere organi diversi come ad esempio fegato, cervello, surreni, ossa, reni, pancreas, dando origine a sintomi più specifici come dolore alle ossa, ittero, mal di testa, vertigini e noduli visibili a livello cutaneo.
In un paziente con sospetto carcinoma polmonare bisognerebbe innanzitutto confermare che si tratti di una lesione maligna e successivamente tipizzare e stadiare il carcinoma, in modo da poter impostare una adeguata terapia oncologica.
Il trattamento del carcinoma polmonare si avvale di diversi strumenti tra cui la chirurgia, la radioterapia e la chemioterapia utilizzati secondo specifici protocolli chevariano in base allo stadio e al tipo di tumore da trattare.
Il microcitoma è un tumore molto aggressivo e in quanto tale la chirurgia è limitata allo stadio T1, N0, M0; in tutti gli altri casi, trattandosi di un tumore particolarmente chemiosensibile, è preferita la chemioterapia.
 

26 di 140 Domande

Scenario NJ12O: Per un neonato di 3 giorni con ritardata emissione di meconio, distensione addominale e vomito biliare, il chirurgo pediatra pone il sospetto di Morbo di Hirschsprung. L'RX addome mostra delle anse intestinali dilatate. Quale successivo esame diagnostico strumentale è opportuno eseguire per corroborare il sospetto di megacolon congenito?















La risposta corretta è la E.
La  malattia di Hirschsprung (HD) è un disturbo motorio dell'intestino causato da un difetto nella migrazione delle cellule della cresta neurale, precursori delle cellule gangliari enteriche, durante lo sviluppo intestinale del feto. Ciò determina lo formazione di un segmento colico aganglionico che non riuscendo a rilassarsi, porta ad un'ostruzione intestinale funzionale.
Secondo le più accreditate teorie, alla base del difetto della migrazione dei neuroblasti sono state individuate circa 12 mutazioni genetiche, tra cui predominano quelle del proto-oncogene RET, con conseguente perdita di funzionalità della proteina effettrice, una tirosina chinasi che sembra trasdurre segnali di crescita e differenziazione in diversi tessuti in via di sviluppo, tra cui proprio quelli derivati ​​dalla cresta neurale.
Nella maggior parte dei pazienti la malattia di Hirschsprung viene diagnosticata nel periodo neonatale per la presenza di sintomi di ostruzione intestinale distale quali emesi biliare, distensione addominale e soprattutto mancato o ritardato (>48h) passaggio di meconio o feci.
Nel sospetto di malattia di Hirschsprung l'approccio iniziale consiste nell’esecuzione di un clisma opaco con mdc idrosolubile che, nel caso in cui la malattia sia presente, mostrerà una modificazione anomala del diametro nel punto di passaggio tra il colon dilatato prossimalmente, normalmente innervato, e il segmento distale ristretto, mancante della normale innervazione.
La diagnosi di certezza, comunque è formulata solo a seguito della biopsia del segmento interessato; se la diagnosi è confermata, l’unico trattamento possibile la resezione chirurgica del segmento aganglionico.
 
La risposta A non è corretta.
L’ecografia non riesce a valutare il tratto di intestino affetto da patologia, potrebbe solo mostrare le anse dilatate a monte, condizione che però è determinata non solo dalla malattia di Hirschsprung.
Le risposte B, C non sono corrette.
Non è auspicabile fare la TC in un neonato soprattutto a causa dell’utilizzo di radiazioni ionizzanti, pericolose maggiormente in età pediatrica.
La risposta D non è corretta.
La RMN, come l’ecografia, non consentirebbe uno studio adeguato dei vari segmenti colici.

27 di 140 Domande

Quali sono, in ordine cronologico, le fasi fisiopatologiche della malattia da ustione?















La risposta corretta è la B.
Per ustione si intende una lesione dei tessuti tegumentari causata dall'esposizione a sorgenti di energia termica, a sostanze chimiche, a sorgenti elettriche o a radiazioni; le ustioni si possono classificare in 4 gradi in base all’estensione del coinvolgimento degli strati cutanei: quando è interessato solo il primo strato di pelle si  definiscono ustioni superficiali o di primo grado; quando sono coinvolti alcuni degli strati sottostanti si parla di ustione a spessore parziale o di secondo grado; quando sono coinvolti tutti gli strati della cute, si parla di ustione a tutto spessore o di terzo grado; infine, si definisce di quarto grado quando vi è un interessamento anche di tessuti profondi, quali muscoli e ossa.
Dal punto di vista fisiopatologico, i danni cellulari iniziano ad esserci a temperature superiori a 44 °C: in questo caso le proteine cominciano a perdere la loro struttura tridimensionale e si rompono provocando danni a cellule e tessuti.
In particolare, si possono distinguere diverse fasi nell’evoluzione di un’ustione:
1.       fase di shock: si verifica nelle ore immediatamente successive all’ustione. Il plasma fuoriesce dai capillari, diventati permeabili a seguito dell’insulto, e si diffonde nell’interstizio provocando disidratazione, ipoprotidemia e ipovolemia; in risposta a quest’ultima, si verifica una vasocostrizione compensatoria, soprattutto a livello cutaneo e renale che, in assenza di una terapia sostitutiva adeguata, potrebbe portare ad insufficienza renale acuta. In questa fase sono rilevanti anche i disordini dell'equilibrio idroelettrolitico quali l’iperkaliemia, causata dalla distruzione delle membrane cellulari, e l’iponatriemia, per il passaggio di sodio dal letto vascolare all'interstizio; inoltre, il trauma determina l’attivazione del sistema adrenergico con conseguente iperglicemia;
2.       fase tossinfettiva: in terza-quarta giornata si ha la fase tossinfettiva, causata dal riassorbimento di sostanze tossiche dai tessuti necrotici con conseguente danno a livello parenchimale; in questa fase le complicanze infettive sono favorite da un lato dalla perdita della barriera cutanea, che espone le aree ustionate all’aggressione dei patogeni esterni, e dall’altro alla compromissione del sistema immunitario;
3.       fase distrofico-cicatriziale: ha inizio dopo 3-4 settimane con calo ponderale, dovuto a iperattività metabolica per la guarigione delle lesioni, e aggravamento dell'ipoproteinemia fino ad un possibile quadro di sindrome da disfunzione multiorgano (MODS).


Caratteristiche anatomiche macroscopiche


  • La cute è l’organo con la superficie più estesa (1,5-2 m2), anche se variabile in rapporto alla massa corporea individuale. Il suo peso medio, nell’adulto, è di circa 5 kg, dato che fa di essa uno degli organi più pesanti.
  • Lo spessore della cute è molto variabile in rapporto a età, sesso e sede topografica; per esempio, essa è molto sottile alle palpebre (0,4 mm), mentre è molto spessa sul dorso e sulle superfici palmo-plantari (>3 mm).
  • Il colore varia dal bianco-rosato, nei soggetti di etnia nordeuropea, al marrone scuro nei neri africani, in base alle caratteristiche genetiche. Alcune sedi, come le regioni ano-genitali e l’areola mammaria, sono più pigmentate, soprattutto dopo la pubertà. Il colore cutaneo è il risultato della componente vascolare (tonalità rossa), di quella degli xantocromi (tonalità gialla) e della pigmentazione melanica (tonalità bruna).
  • La cute è quasi totalmente ricoperta di peli, sottili e corti (peli lanugo o di vello) o di maggiori dimensioni: capelli, sopracciglia, ciglia, tragi (orecchio), vibrisse (narici), peli del pube, peli ascellari. Sono glabre le sedi palmo-plantari e le semimucose.
  • La superficie cutanea è solcata da pieghe, legate alla mobilità della pelle a livello articolare (pieghe articolari), alla contrazione dei muscoli sottostanti (pieghe muscolari) e alla diminuzione del pannicolo adiposo e dell’elasticità cutanea (pieghe senili o rughe).
  • La pelle è disseminata di piccole depressioni puntiformi centrate dagli osti; questi sono gli orifizi di sbocco dei follicoli piliferi (osti follicolari), delle ghiandole sebacee non annesse ai follicoli e delle ghiandole sudorifere (pori sudoriferi eccrini).
  • Sottili solchi lineari, definiti solchi cutanei, congiungono gli osti follicolari vicini, disegnando una rete a maglie losangiche. Particolarmente evidenti sono i solchi cutanei palmari. Altri solchi allineati parallelamente e separati da creste, disposti in modo regolare, sul palmo delle mani e sulla pianta dei piedi, in corrispondenza della superficie palmare dei polpastrelli delle dita hanno una caratteristica configurazione ad anse e a vortice (rosette tattili). Le rosette tattili sono differenti in ogni soggetto e da un dito all’ altro, tanto da costituire un carattere individuale e un sicuro segno di identificazione (dermatoglifì) tramite le impronte digitali.
  • La principale caratteristica fisica della cute è rappresentata dalla presenza di uno strato epidermico superficiale cheratinizzato (strato corneo), resistente agli insulti esterni (fisici, chimici, biologici) e semipermeabile. I tessuti sottostanti (derma e ipoderma) sono invece strutture di sostegno dell’epidermide, e garantiscono, tra l’altro, l’elasticità e la distensibilità cutanea.
  • L’elasticità consiste nella capacità di distendersi della cute in seguito a trazione e di riacquistare successivamente l’assetto primitivo, grazie alla funzione delle fibre elastiche. La distensibilità, ossia la proprietà di allungarsi, è limitata dalle fibre collagene. In età senile aumenta la distensibilità, mentre diminuisce l’elasticità, con formazione di rughe, borse e cute lassa.

Caratteristiche anatomiche microscopiche


Struttura architetturale

  • La pelle è costituita da una struttura superficiale rappresentata da un epitelio pluristratifìcato di origine ectodermica, denominata epidermide, e da una struttura sottostante che ne rappresenta l’ “impalcatura di soste­gno”, di natura connettivale, definita derma (di origine mesodermica).
  • Le due componenti sono separate da una sottile lami­na definita membrana basale (MB) o giunzione dermo­epidermica (Immagine 01). Dal punto di vista istologico, al microscopio ottico la MB si evidenzia come un sottile strato positivo alla colorazione PAS (Periodic Acid Schiff, acido periodico di Schiff), mentre alla microscopia elet­tronica (ME) rivela una maggiore complessità strutturale. La sua porzione superiore è delimitata dal polo inferiore dei cheratinociti dello strato basale epidermico, con i loro emidesmosomi e i rispettivi tonofìlamenti. Al di sotto della membrana cellulare dei cheratinociti dello strato basale inizia quindi la MB, costituita, dall’alto verso il basso, da tre sottili strati sovrapposti: lamina lucida, lamina densa e lamina fìbro-reticolare.
  • La lamina lucida appare chiara alla ME ed è attraversata dai filamenti di ancoraggio adesi in corrispondenza degli emidesmosomi delle membrane cellulari dei cheratinociti basali e della sottostante lamina densa. Questo strato contiene la laminina 5, suo principale componente che si lega al collagene di tipo IV e ai proteoglicani; la laminina 5 viene prodotta dai cheratinociti ed è una molecola eterotrimerica costituita da tre catene α3β3ϒ2. Tramite il legame con il recettore integrinico α6β4 tale componente stabilizza la base dei cheratinociti; infatti, nei pazienti con epidermolisi bollosa giunzionale (malattia associata a un difetto del gene che codifica per le catene della laminina) manca l’adesione dei cheratinociti alla MB con il conseguente scollamento epidermico.
  • A questo livello, inoltre, si localizza anche l’antigene del pemfìgoide bolloso.
  • La lamina densa, così definita per la sua elettrondensità, è costituita prevalentemente da collagene di tipo IV più compatto (legato alla laminina e ai proteoglicani), il quale provvede al supporto strutturale e alla flessibilità.
  • La lamina fibra-reticolare, più chiara, è percorsa da fibrille di ancoraggio, costituite da collagene di tipo VII, che si dipartono dalla lamina densa e fanno aderire l’epidermide al derma. In questo strato è localizzato l’antigene dell’epidermolisi bollosa acquisita.
  • La più importante funzione della giunzione dermo-epidermica è di garantire un collegamento strutturale tra epidermide e derma e di fornire resistenza contro le forze d’urto esterne. Tale giunzione serve inoltre come supporto all’epidermide, di cui determina la polarità di crescita, condiziona l’organizzazione del citoscheletro delle cellule basali e funziona da barriera semipermeabile.
  • Il confine dermo-epidermico delimitato dalla MB non è lineare, ma caratterizzato dalla presenza di ondulazioni, grazie alle digitazioni più o meno allungate del derma superficiale che si insinuano nell’epidermide (papille dermiche). Esse assicurano una perfetta coesione fra l’epitelio e il connettivo sottostante e garantiscono anche una più estesa superficie di contatto e, quindi, di scambi metabolico-funzionali fra i due tessuti.
  • L’epidermide è infatti avascolare, mentre il derma è riccamente vascolarizzato da un reticolo vasale superficiale o sottopapillare e da un più sviluppato reticolo vasale profondo dermico, collegati da vasi comunicanti ascendenti. Dal reticolo sub papillare traggono origine i rami terminali capillari siti nelle papille dermiche, estreme propaggini vascolari della cute.
  • Al di sotto del derma si ritrova, senza una delimitazione netta, l’ipoderma, costituito da lobuli adiposi separati da tralci connettivali vascolarizzati e innervati. Anche il tessuto adiposo è di origine mesodermica.
  • L’ipoderma, in alcune sedi, presenta una componente muscolare liscia (muscoli pellicciai del collo e del viso e muscoli lisci dello scroto, delle piccole e delle grandi labbra).
  • Strutture particolari, che hanno la stessa embriogenesi, sono gli annessi cutanei, ossia le ghiandole sudorifere, le ghiandole sebacee, i follicoli piliferi, i peli e le unghie.

Epidermide

  • È costituita da un epitelio pluristratificato di elementi cheratinociti o epiteliociti o corneociti), che subiscono una maturazione differenziativa da cui deriva la produzio­ne di cheratina. I cheratinociti sono cellule di derivazione ectodermica contenenti, nel loro citoplasma, filamenti di cheratina che formano, con i cheratinociti adiacenti, desmosomi o giunzioni desmosomiali. I filamenti di cheratina, di cui esistono più di trenta tipi differenti (circa venti epiteliali e dieci dei capelli), rappresentano la componente distintiva dei cheratinociti. Le cheratine si dividono in acide o di tipo 1 (K10-K20) e basiche-neutrali o di tipo 2 (K1-K9). Lo spessore dell’epidermide varia dai 40 µ alle palpebre sino a 1,5 mm e oltre in sede plantare.
  • Gli strati cellulari costituenti l’epidermide sono cinque (si veda Immagine 01). Quello a diretto contatto con la MB è lo strato germinativo o basale, composto da un unico insieme di cellule prismatiche a maggior asse verticale, con citoplasma basofilo e nucleo ampio. Il 3-5% delle cellule basali va incontro a continue mitosi, grazie alla presenza di cellule staminali e all’attività della funzione moltiplicativa.
  • Il citoplasma delle cellule basali contiene rari tonofìlamenti (costituiti da fibroproteine con gruppi sulfidrilici e ponti disolfuro), che si aggregano in tonofibrille. Queste ultime, assieme a due placche di contatto (ispessimenti delle membrane cellulari di due cheratinociti affiancati) e a una sostanza cementante, costituiscono i desmosomi, sottili ponti che garantiscono la coesione cellulare intraepiteliale e favoriscono gli interscambi tra cheratinociti vicini. L’adesione fra cellule dello strato basale e MB della cute è assicurata dagli emidesmosomi e da filamenti di ancoraggio, attraverso le integrine, le quali costituiscono una famiglia di recettori glicoproteici transmembrana coinvolte nelle interazioni cellula-cellula e cellula-matrice, oltre che nella differenziazione dei cheratinociti.
  • La capacità dell’epidermide di mantenere costante il turnover cellulare è basata sulla presenza, nello strato basale e nel follicolo pilifero, di una popolazione di cellule staminali. Queste ultime danno origine sia ad altre cellule staminali sia a cellule committed, ossia che vanno incontro a una differenziazione terminale. Il passaggio da cheratinocita staminale a cheratinocita differenziato avviene attraverso una sottopopolazione di cellule che si trovano in uno stadio maturativo intermedio, le TAC (Transit Amplifyng Cells, cellule di transizione amplificatorie). Le cellule dello strato basale in fase attiva di moltiplicazione mitotica perdono questa loro caratteristica quando si staccano dalla MB e progrediscono verso la superficie cutanea con un processo di differenziazione terminale (cellule committed). Quando raggiungono lo strato granuloso, le cellule iniziano a perdere il nucleo e gli organelli citoplasmatici, grazie a un meccanismo degradativo che comporta l’attivazione parziale del meccanismo dell’ apoptosi; in questo modo i cheratinociti si trasformano nelle squame cheratinizzate dello strato corneo (corneociti). Lo strato spinoso, così definito per la ricca presenza di desmosomi, appendici simili a spine alla periferia dei cheratinociti osservabili in microscopia ottica, a causa delle alterazioni indotte dalla preparazione istologica, è strutturato in piani sovrapposti di cellule poliedriche ancorate le une alle altre mediante i desmosomi. I chera­tinociti di questo strato si assottigliano di spessore a mano a mano che si spostano verso la superficie. Il citoplasma è abbondante, pallido centralmente e ipercromico alla periferia, ricco di tonofìlamenti. Gli strati basale e spinoso costituiscono il corpo mucoso di Malpighi.
  • Al di sopra dello strato spinoso si trova lo strato granuloso, composto da due o tre piani di cellule appiattite e infarcite di fini granuli di cheratoialina, una sostanza tingibile con ematossilina, carminio e colori basici. La sostanza costituente tali granuli è la filaggrina (una proteina aggregante i filamenti) la cui riduzione è riscontabile in alcuni casi di Ittiosi e di dermatite atopica. Alla ME si osservano, nei gruppi cellulari superiori dello strato spinoso e nel gra­nuloso, dei tipici corpi lamellari, definiti corpi di Odland. Lo strato lucido (uno o due strati di cellule), sovrastante lo strato granuloso, è composto da cheratinociti appiattiti con nucleo atrofico, ripieno di una sostanza chiara (eleidina), che si colora con rosso Congo e con colori acidi. Lo strato lucido è ben sviluppato e visibile istologicamente in sede palmo-plantare. Nel citoplasma delle cellule dello strato lucido, la ME evidenzia gli abbozzi delle fibre cheratiniche.
  • Lo strato corneo è composto da più piani di cellule molto appiattite ed embricate fra di loro, prive di nucleo, con citoplasma omogeneo, eosinofilo e membrana ispessita (corneociti). Questi piani si sfaldano continuamente sulla superficie della cute, dando origine alle squame elementari. Il numero dei cheratinociti basali eguaglia quello dei cheratinociti desquamati, mantenendo quindi costante lo spessore epidermico. Il tempo necessario per la differenziazione da cellula basale a cellula cornea è, in media, di 3 settimane.
  • Alla ME il citoplasma di queste cellule è ricolmo di fibre cheratiniche immerse in una sostanza amorfa. La parte dello strato corneo, in fase di sfaldamento, ossia già parzialmente distaccata della superficie cutanea, viene definita stratum disjunctum. In condizioni fisiologiche, la continua desquamazione cheratinocitaria avviene in modo apparentemente insensibile (si veda Immagine 01).
  • Lo strato corneo, che funge da resistente barriera nei confronti delle aggressioni cutanee, possiede anche una ricca componente lipidica, tramite la quale modula il passaggio delle sostanze esterne attraverso la cute. I lipidi funzionalmente più importanti contenuti nelle membrane delle cellule dello strato corneo sono i ceramidi, che sono attivi nel prevenire l’aridità della superficie cutanea e nel regolare la perdita transcutanea d’acqua (transepidermal water loss). I ceramidi sono un gruppo strutturalmente eterogeneo di sfìngolipidi. Lo strato corneo ne contiene almeno no­ve differenti, due dei quali, ceramide A e B, sono legati covalentemente all’ involucrina (proteina prodotta dallo strato spinoso). La riduzione dei ceramidi dello strato corneo coinvolge la patogenesi di alcune malattie cutanee e, in primo luogo, la dermatite da contatto, l’Ittiosi e la dermatite atopica.

Regolazione della proliferazione e differenziazione epidermica

  • Il continuo rinnovamento dell’epidermide è da collegare a numerosi processi mirati al mantenimento di un numero relativamente costante di cellule.
  • L’equilibrio è regolato grazie all’interazione tra cheratinociti adiacenti, cheratinociti dello strato basale e giunzione dermo-epidermica, tra giunzione dermo-epidermica e derma sottostante, oltre che dal processo di cheratinizza­zione con cui le cellule basali si trasformano in corneociti. L’omeostasi epidermica è controllata da integrine, fattori di crescita, equilibrio tra proteasi e antiproteasi, citochine, retinoidi e vitamina D, ione Calcio e attivazione dell’apoptosi.
  • Integrine I recettori integrinici costituiscono una fami­glia di più di venti diversi recettori transmembrana, eterodimeri di subunità α e β. Le integrine sono maggiormente espresse nei cheratinociti basali e localizzate nei tipici siti di adesione focale e a livello degli emidesmosomi. Sono predominanti α6β4, α2β1 e α3β1; le β1 sono concentrate tra un cheratinocita e l’altro, mentre la α6β4 è presente sulla superficie basale dei cheratinociti, associata agli emidesmosomi.
  • Le integrine formano un legame e una via di comunica­zione tra le molecole della matrice extracellulare, come il collagene e la fibronectina (α2β1 e α3β1), provvedono all’adesione tra cellule e MB e sono coinvolte nei processi di trasduzione del segnale. Esse determinano, inoltre, la polarità dei cheratinociti, dirigendo il processo di cheratinizzazione dallo strato basale allo strato corneo. L’ α6β4 ha un’alta affinità per la laminina 5, prodotta dai cheratinociti, ed è un’importante componente dei filamenti di ancoraggio della lamina lucida della MB.
  • Fattori di crescita Numerosi fattori regolano la crescita e la proliferazione epidermica attraverso meccanismi autocrini e paracrini. L’EGF (Epidermal Growth Factor, fattore di crescita epidermico) e il TGF-α (Transforming Growth Factor α, fattore di crescita della trasformazione α) si legano alla stessa tirosina chinasi tramite recettori presenti sulle cellule epidermiche degli strati basale e spinoso, per stimolarne la proliferazione. Il TGF-α è prodotto dai cheratinociti, mentre l’EGF è prodotto da tutte le cellule epiteliali dell’organismo. Il KGF (Keratinocyte Growth Factor, fattore di crescita dei cheratinociti), prodotto dai fibroblasti, è un potente stimolatore della mitosi dei cheratinociti e degli epiteli. Altri fattori di crescita bloccano la sintesi del DNA e la mitosi dei cheratinociti e ne promuovono invece la differenziazione, come il TGF-β.

Equilibrio tra proteasi e antiproteasi

  • La lisi dei desmosomi, che permette alle cellule superficiali di staccarsi liberamente e di produrre le squame elementari, è causata dall’attivazione di alcune sostanze, le proteasi appunto, che vengono inibite nella loro azione da altre sostanze, gli inibitori delle proteasi, che si disattivano solo al momento giusto che è diverso da sede a sede e che sono pH sensibile.
  • Citochine Sostanze di derivazione cheratinocitica sono le interleuchine (IL)-1α, IL-6, IL-8 e il GM-CSF (Gra­nulocyte Macrophage-Colony Stimulating Factor, fattore di stimolazione della colonia di granulociti e macrofagi). Queste citochine svolgono un ruolo nella normale regolazione epidermica, nei processi infiammatori e di riparazione delle ferite cutanee. In particolare l’IL-1α promuove la crescita di colture cheratinocitarie, le quali esprimono un recettore ad alta affinità proprio per l’IL-1.
  • Retinoidi e Vit. D L’omeostasi epidermica dipende dall’interazione dei diversi ormoni e fattori che controllano il bilanciamento tra proliferazione, differenziazione e apoptosi dei cheratinociti. Uno di questi fattori è rappresentato dalla vitamina A e dai suoi derivati, i retinoidi. L’acido retinoico modula sia la mitosi dei cheratinociti sia la differenziazione delle cellule, epidermiche. Altro importante fattore di regolazione omeostasica dei cheratinociti è la vitamina D3, sintetizzata a livello cutaneo sotto lo stimolo della luce.
  • Calcio Nell’epidermide esiste un gradiente dello ione calcio, la cui concentrazione aumenta passando dallo strato basale allo strato granuloso. Il Calcio interviene nella formazione dei desmosomi e nella stimolazione della proliferazione dei cheratinociti; quest’ultimo effetto, però, è inibito da alte concentrazioni dello ione.
  • Apoptosi Le funzioni dell’apoptosi, o morte cellulare programmata dei cheratinociti, si esplicano nella regolazione del numero di cellule e nella difesa dai danni subiti dalle cellule da parte di radiazioni (raggi UV, radiazioni ionizzanti), infezioni e trasformazione neoplastica.

Altri elementi cellulari dell’epidermide

  • I cheratinociti costituiscono la maggior parte della massa epidermica. Nell’epidermide sono anche presenti melanociti, cellule di Langerhans, cellule di Merkel e rari linfociti T.
  • Melanociti Sono cellule grandi, di forma poliedrica o stellare, con prolungamenti dendritici, con il corpo localizzato nello strato basale, interposte ogni 5-10 cheratinociti (nelle sedi fotoesposte, i melanociti sono più ravvicinati rispetto alle aree coperte) e sotto lo strato basale, ma comunque sopra la lamina densa. I melanociti cutanei sono presenti anche nel pelo, cioè a livello di matrice, midollare e corticale.
  • Essi originano, come l’epidermide, dagli abbozzi della cresta neurale del foglietto ectodermico dell’embrione e sono preposti alla sintesi della melanina (melanogenesi), contenuta in grani (detti melanosomi) nel citoplasma. I melanosomi hanno struttura e grandezza geneticamente determinate e originano dal reticolo del Golgi come una vescicola circondata da una membrana unitaria (premelanosoma), evolvendo successivamente attraverso una serie di stadi morfologicamente definiti (I-IV).
  • Nel I stadio i melanosomi hanno struttura irregolare e contengono piccole vescicole formate dall’invaginazione della membrana limitante esterna; nel II stadio divengono allungati e formano delle striature ordinate, che agiscono come supporto per la polimerizzazione della melanina che inizia nel III stadio, in cui, infatti, i melanosomi possiedono attività ossido-riduttasica e iniziano a diventare scuri con la sintesi di melanina; a mano a mano che il corpo cellulare del melanosoma diventa ricco di pigmento (IV stadio), esso si sposta lungo i prolungamenti dendritici dei melanociti in senso centrifugo, in modo da trasferire il pigmento ai cheratinociti vicini.
  • I melanosomi coinvolti nella sintesi della eumelanina (marrone o nera) sono ellittici e internamente contengono la melanina disposta in lamelle concentriche; quelli che sintetizzano la feomelanina (rossa o gialla), più rappresentata nei soggetti rutili, hanno forma sferoidale e contengono la melanina in microvescicole.
  • I melanociti sono cellule prive di tonofìlamenti e di desmosomi e si evidenziano con l’impregnazione argentica e con la DOPA (DihydrOxyPhenyWanine, diidrossifenilalanina)­reazione.
  • Il pigmento melanico viene trasferito dal melanocita, a circa trenta cheratinociti più vicini ed è poi lentamente eli­minato per via transcutanea, seguendo il destino degli epiceliociti. Sono state proposte tre modalità di trasferimento della melanina, anche se l’esatto meccanismo rimane da chiarire. Il primo meccanismo prevede che il melanocita secerna il melanosoma nello spazio intercellulare e che questo venga poi endocitato dai cheratinociti; il secondo meccanismo di trasferimento propone la fusione diretta delle membrane cellulari di melanociti e cheratinociti, con passaggio dei melanosomi da una cellula all’ altra. Infine, il terzo meccanismo prevede che i prolungamenti dendritici dei melanociti lungo cui viaggiano i melanosomi siano fagocitati dai cheratinociti.
  • Il pigmento, se arriva a livello dermico, viene assorbito dai melanofori (cellule macrofagiche) e viene drenato, per via linfatica, ai linfonodi.
  • Melanogenesi La melanina origina nei melanosomi in seguito a un processo biologico irreversibile promosso dall’enzima tirosinasi, attivo sulla tirosina. Dal punto di vista biochimico, le tappe della sintesi melanica possono essere così sintetizzate: la tirosina, contenuta nei melanosomi, viene trasformata in DOPA dalla tirosinasi. La DOPA si trasforma, a sua volta, in dopachinone e, infine, in melanina granulare per azione della DOPA-ossidasi. La DOPA-reazione, utilizzata in laboratorio, sfrutta la proprietà del substrato melanocitario di attivarsi a contatto con la DOPA, producendo deposizione di pigmento melanico. È positiva soltanto nei melanociti attivi e non nei melanofori.
  • La melanogenesi è controllata da fattori genetici e or­monali: ormoni ipofisari (MSH [Melanocyte Stimulating Hormone, ormone di stimolazione dei melanociti] e ACTH [Adrenocorticotropic Hormone, ormone adrenocorticotropo]), ormoni steroidei (estrogeni, cortisolo), tiroidei, epifisari (melatonina), oltre che da fattori tissutali (poliamine, nucleotidi ciclici ecc.) e cellulari (citochine). La pigmentazione cutanea, controllata geneticamente e di cui si conoscono almeno trenta varianti cromatiche, è un carattere etnico e non è condizionata dal numero di melanociti, ma dalla loro attività melanogenetica e dal grado e dalle modalità della dispersione dei granuli melanosomiali; nella cute scura i melanosomi hanno dimensione maggiore e una membrana più spessa.
  • La pigmentazione melaninica riveste una funzione difensiva cutanea nei confronti delle radiazioni UV. A questo proposito, vengono distinti sei fototipi (classificazione di Fitzpatrick), con cui si valuta la reattività della cute nei confronti delle radiazioni solari. Il fototipo I (cute molto chiara) si scotta sempre e non si abbronza mai. Nel fototipo II, soggetto con capelli biondi o rossi e cute chiara, l’abbronzatura è minima e la scottatura solare è facile. Il fototipo III si abbronza dopo adeguata esposizione e si scotta più difficilmente. Il fototipo IV ha carnagione e capelli scuri e si scotta difficilmente. I fototipi V e VI corrispondono a etnie con cute iperpigmentata (alcuni orientali e alcuni sudamericani e i neri africani). Ovviamente esiste un continuum progressivo di fototipi, con gradi intermedi.
  • Cellule di Langerhans Sono cellule immunocompetenti di origine midollare, di forma stellare e con prolungamenti dendritici che si insinuano tra i cheratinociti dello strato basale epidermico (2-4 % della massa cellulare basale) e dello strato spinoso e granuloso. Sono presenti anche nel derma, nelle mucose, nei linfonodi e nel timo. Le cellule di Langerhans non contengono tonofilamenti e desmosomi, sono DOPA-negative e argento-negative, ma si colorano con i sali d’oro. Contengono caratteristici granuli citoplasmatici a forma di racchetta (granuli di Birbek), osservabili alla ME, e specifici recettori di superficie delle cellule immunocompetenti (antigeni MHC di classe II, CD1a, CD4, S100 e il recettore ad alta affinità per le IgE). Le cellule di Langerhans sono le APC (Antigen Presenting Cells) con funzione di captazione e presentazione degli antigeni ai linfociti T.
  • Cellule di Merkel Sono cellule chiare associate a un assone terminale per formare un recettore tattile e sono particolarmente numerose su polpastrelli, labbra, mucosa orale e guaina follicolare. Si trovano nello strato basale epidermico e aderiscono ai cheratinociti mediante desmosomi. Inoltre, contengono cheratine, granuli citoplasmatici sferici e producono diversi neuropeptidi, come la cromogranina A, l’enolasi neurone-specifica (NSE, Neuron-Specific Enolase) e la sinaptofisina. Tali cellule sono evidenziabili istologicamente mediante la reazione immunoistochimica con anticorpi monoclonali diretti contro l’NSE. Le cellule di Merkel sono stimolate dalla interazione dei cheratinociti, cui rispondono con la liberazione di trasmettitori chimici dai granuli in esse contenuti.

DERMA

  • Il derma è intimamente connesso con l’epidermide sovrastante, di cui costituisce il sostegno meccanico e il substrato per gli scambi metabolici. Lo spessore varia tra 0,4 e 4 mm in rapporto alla sede anatomica.
  • I suoi strati sono sovrapposti in maniera non nettamente differenziabile, come avviene nell’epidermide. Analogamente a tutte le strutture connettivali, il derma è composto da una sostanza fondamentale, fibre e cellule. In esso si distinguono il derma superficiale (o corpo papillare), il derma medio (o chorion) e il derma profondo o reticolare. Il derma superficiale si insinua verso l’alto con digitazioni multiple nell’epidermide (papille dermiche). I tratti di epidermide compresi tra le papille vengono chiamati creste interpapillari.
  • Il derma papillare è particolarmente ricco di fibroblasti, che proliferano rapidamente rispetto al derma reticolare. Il connettivo costituente il derma superficiale è composto da fibre connettivali, elastiche e reticolari sottili, dirette prevalentemente in senso perpendicolare alle papille. Nel derma medio e reticolare i fasci delle fibre sono più spessi e hanno decorso parallelo o obliquo alla superficie cutanea. Il derma reticolare viene suddiviso in una porzione superiore e una profonda. La prima si differenzia dalla inferiore per la presenza di una popolazione cellulare ricca di fibroblasti, altre cellule connettivali e infiammatorie provenienti dal plesso vascolare subpapillare.

Componente fibrosa

  • Le tre componenti fibrillari dermiche prodotte dai fibroblasti sono: fibre reticolari, collagene e fibre elastiche. Le fibre reticolari si evidenziano con l’impregnazione argentica sotto forma di fine trabecolato, sono espressione di una neogenesi connettivale e rappresentano la fase precollagenica.
  • Le fibre collagene, eosinofile, ben rappresentate nel connettivo dermico, conferiscono consistenza strutturale. Le tappe della loro produzione comprendono la fase di formazione di tropocollagene (spessore delle fibrille di 50-150 À), la fase di procollagene e la produzione di fibre collagene mature (con spessore di 750-1000 A e periodicità di 640 À). Esistono diversi tipi di collagene; nella cute si trovano prevalentemente il collagene di tipo I nel derma reticolare, il collagene di tipo III nel derma papillare e quello di tipo di IV nella MB.
  • Le fibre elastiche si colorano con l’orceina e sono costituite da fini fibrille immerse in una sostanza amorfa. Le fibrille non hanno struttura periodica e hanno spessore di 70 A. Le fibre sono immerse nella sostanza fondamentale dermica.
  • Nel derma, inoltre, è presente la fibronectina, una glicoproteina che favorisce l’ancoraggio delle cellule alla matrice extracellulare.

Sostanza fondamentale

  • È costituita da un gel contenente acqua, ioni, proteine, glucosio e mucopolisaccaridi acidi, di cui i più importanti sono l’acido condroitinsolforico, che regola il flusso elettrolitico attraverso la MB, e l’acido ialuronico, deputato all’idratazione dermica.

Componente cellulare

  • Le varie cellule dermiche si differenziano tra loro in base a criteri di struttura, funzione, differenziazione e immunofenotipo.
  • Le classi fondamentali di elementi cellulari abitanti il derma sono di origine mesenchimale (fibrociti, fibrobla­sti e mastociti) ed ematica (macrofagi, linfociti e cellule dendritiche).

Cellule di derivazione mesenchimale

  • Fibrociti e fibroblasti Sono cellule di forma fusata e con nucleo ovalare, citoplasma abbondante e un voluminoso reticolo endoplasmatico che sintetizzano e degradano proteine della matrice connettivale e numerosi fattori solubili; inoltre, provvedono alla costituzione di un ‘impalcatura extracellulare, la cosiddetta “matrice”, con sintesi di laminina, fibronectina, vitronectina, trombospondina e collagene. Fattori solubili secreti da questa popolazione cellulare servono a favorire interazioni derma-epidermiche. La proliferazione dei fibroblasti è regolata da immunomediatori che includono IL-1α e IL-1β, IL-8 e HGF (Hepatocyte Growth Factor, fattore di crescita degli epatociti).
  • Mastociti Sono cellule secretorie specializzate, caratterizzate da un citoplasma con granuli, presenti in grande quantità nel derma papillare vicino alla giunzione dermo­epidermica, attorno ai vasi e alle diramazioni nervose del plesso subpapillare. I mastociti partecipano a reazioni di ipersensibilità di tipo immediato e sono coinvolti in malattie infiammatorie subacute e croniche. Queste cellule sintetizzano importanti mediatori, tutti contenuti in granuli preformati, tra cui istamina, eparina, carbossipeptidasi, fattore chemiotattico dei neutrofili e degli eosinofili. Inol­tre, sintetizzano e rilasciano altre molecole, non contenute in granuli, tra cui numerosi fattori di crescita, citochine (IL-1, -3, -4, -5, GM-CSF e TNF-α), leucotrieni e fattori di aggregazione piastrinica. Tali mediatori attivano la permeabilità vascolare, con produzione di edema tissutale e reclutamento di cellule infiammatorie.

Cellule di derivazione ematica

  • Cellule dendritiche Sono cellule stellate, analoghe alle cellule di Langerhans dell’epidermide, dotate di proprietà immunologiche, in quanto presentano un antigene dopo averlo fagocitato. Esse sono particolarmente abbondanti nel derma papillare e nella parte superiore del derma reticolare.
  • Macrofagi Derivano da precursori del midollo osseo che si differenziano in monociti nel sangue per migrare nel derma, dove subiscono un’ulteriore differenziazione. Le loro funzioni includono: fagocitosi, processazione e presentazione dell’antigene a cellule linfatiche immunocompetenti, attività micobicida, tumoricida, secernente (fattori di crescita e citochine) ed ematopoietica; inoltre, i macrofagi sono coinvolti nella coagulazione, nell’aterogenesi e nel rimodellamento tissutale.

APPARATO PILO-SEBACEO

  • Pelo, follicolo pilare, muscolo erettore del pelo e ghiandola sebacea annessa costituiscono l’unità pilo-sebacea, importante struttura annessiale cutanea.

Pelo

  • È una struttura filiforme presente su quasi tutta la superficie cutanea; sono privi di peli (glabri) le superfici palmari e plantari, le semimucose e il dorso delle falangi ungueali. Gran parte della cute è provvista di peli corti ed esili (peli del vello o lanugo). Le caratteristiche del pelo sono determinate geneticamente (numero, colore, aspetto) e condizionate dal sesso, dall’età e dalla sede anatomica.
  • La parte aerea del pelo è il fusto, mentre la parte che affonda nella cute costituisce la radice del pelo alloggiata in un’invaginazione epidermica che la riveste (follicolo del pelo) (Immagine 02).
  • Il follicolo sbuca, a livello della superficie cutanea, in corrispondenza dell’ostio follicolare e subito al di sotto di questo si svasa a imbuto (infundibolo) (Immagine 03), per poi restringersi (collo o istmo follicolare), dove sbuca il dotto escretore della ghiandola sebacea annessa al pelo. Il follicolo diviene quindi cilindrico fino al colletto del bulbo, si restringe di nuovo prima di rigonfiarsi a livello del bulbo pilare (Immagine 04), il quale accoglie alla sua base un’introflessione dermica (papilla del pelo) con le sue sottilissime terminazioni nervose e vasali (capillari papillari). La struttura del pelo è composta da una porzione interna, midollare, costituita da due o tre file di cellule cubiche scarsamente cheratinizzate, una porzione corticale con cellule appiattite, cheratinizzate, ricche di melanina, e una cuticola esterna, con strato di cellule cornee, appiattite, contenenti cheratina amorfa.
  • La radice è circondata da una guaina epiteliale (guaina della radice), costituita da tre strati dall’interno all’esterno: cuticola della guaina, strato di Huxley e strato di Henle. La guaina della radice viene eliminata unitamente al pelo con la sua caduta (o muta) (si veda Immagine 04) Il follicolo è costituito dalla guaina follicolare epiteliale esterna e, perifericamente, da uno strato di connettivo (Immagine 05).
  • A livello bulbare scompare la netta distinzione tra la radice e la sua guaina, mentre sono presenti cellule epiteliali germinative (matrice del pelo) in moltiplicazione attiva per la ricrescita della radice e della guaina del pelo.
  • Le fasi di sviluppo pilare vengono definite: anagen (fase proliferativa), catagen (fase di regressione) e telogen (fase di riposo).
  • La fase catagen inizia con il blocco della proliferazione della matrice del pelo, successiva scomparsa del bulbo e retrazione e assottigliamento della guaina epiteliale esterna. In seguito si attiva una nuova papilla follicolare in anagen, in prossimità delle cellule germinative del pelo in catagen. Il nuovo pelo con il nuovo follicolo spinge poi all’esterno il vecchio pelo espellendolo.
  • Annesso al follicolo pilo-sebaceo è il muscolo erettore del pelo (muscolo liscio), che si inserisce in profondità a metà del follicolo; da qui con decorso obliquo si porta al di sotto della ghiandola sebacea e, in alto, al limite inferiore del derma papillare (si veda Immagine 02).
  • Peli e follicoli sono impiantati obliquamente rispetto al piano cutaneo, con muscolo erettore e ghiandola sebacea localizzati in corrispondenza dello stesso lato verso il quale è inclinato il pelo. La contrazione del muscolo erettore del pelo determina la compressione della ghiandola sebacea e ne favorisce lo svuotamento, oltre a provocare l’erezione del pelo (orripilazione o “pelle d’oca”).

Ghiandole sebacee

  • Sono ghiandole di tipo alveolare semplice o composto, costituite da lobuli che riversano il contenuto lipidico (sebo) in un dotto escretore il quale, a sua volta, si apre a livello del collo del follicolo pilare. Ghiandole sebacee non annesse al pelo sono localizzate alle labbra, al glande, alle piccole labbra e al prepuzio. La secrezione ghiandolare è di tipo olocrino, ossia le cellule secernenti vengono eliminate con il loro contenuto.

Ghiandole sudoripare

  • Sono ghiandole tubolari semplici costituite da una parte secernente avvolta a gomitolo, situata profondamente nel derma o nell’ipoderma, e una parte escretrice (dotto escretore) di forma tubulare, il cui tratto intraepidermico costituisce l’acrosiringio e termina sulla superficie cutanea con il poro sudorifero.
  • Dal punto di vista istologico, il tubulo secernente è costituito da uno strato esterno connettivale proprio, seguito da uno strato discontinuo di elementi epiteliali contrattili (cellule mioepiteliali) e, internamente, da una fila di cellule prismatiche secernenti. Il dotto escretore è composto da un doppio strato epiteliale.
  • La maggior parte delle ghiandole sudoripare è di tipo eccrino e secerne sudore, che contiene il 98% di acqua e il 2% di composti organici (urea, creatina, acidi grassi), sali (cloruro di sodio), acido urico, acido lattico e ammoniaca. Tali sostanze, unitamente al sebo e ai lipidi di origine cheratinocitaria, costituiscono il mantello o film idrolipidico cutaneo. In sedi particolari, soprattutto sessuali (regione ano-genitale, capezzolo), oltre ad ascelle, palpebre e condotto uditivo esterno, sono presenti ghiandole sudorifere apocrine, la cui secrezione è di tipo merocrino (eliminazione di propaggini citoplasmatiche cellulari sporgenti verso il lume canalicolare). Le ghiandole apocrine hanno anche peculiari caratteristiche anatomiche: maggiori dimensioni rispetto alle ghiandole eccrine, localizzazione più profonda del loro gomitolo secernente, sbocco del dotto escretore nell’infundibolo pilare.
  • Il sudore apocrino ha odore caratteristico in ogni individuo. La natura e la funzione delle ghiandole apocrine, infatti, si ricollegano filogeneticamente al significato delle strutture correlate a funzione odorosa di richiamo sessuale (ferormoni).

Unghie

  • Sono lamine di origine epiteliale, fortemente cheratinizzate, site sulla superficie dorsale delle falangi distali, dure, convesse in senso longitudinale e trasversale.
  • La lamina ha una superficie dorsale e una ventrale o palmare, a contatto con il letto ungueale. La porzione prossimale del letto ungueale si continua con la matrice ungueale, sede germinativa della lamina.
  • La lamina ungueale è composta da un corpo, due margini laterali, un margine distale e una radice. Quest’ultima è inserita nel vallo ungueale, una piega epidermica che dalla superficie dorsale delle falangi distali si introflette a ricoprire la radice. Tale plicatura cutanea viene detta eponichio nella porzione sovrastante la matrice, mentre due altre plicature costituiscono il perionichio, ai due lati della lamina.
  • L’eponichio rappresenta la sede ideale per lo studio dei capillari cutanei, in quanto è l’unica superficie corporea in cui i capillari sono disposti orizzontalmente, permettendo la completa visione dei poli arterioso e venoso e dell’ansa. Il capillaroscopio permette lo studio morfologico e funzionale dei capillari, importante sussidio diagnostico in molte affezioni cutanee e sistemiche (collagenopatie, malattie del microcircolo, diabete). La porzione distale del vallo ungueale è costituita da un sottile bordo ipercheratosico (cuticola). La porzione anteriore della matrice è arcuata, a convessità distale, e traspare, per qualche millimetro, attraverso la lamina ungueale, con colore biancastro (lunula). La struttura della lamina è costituita da cheratinociti notevolmente cheratinizzati, molto appiattiti, con piccoli nuclei picnotici.
  • Il solco ungueale (iponichio) è sito tra il margine libero dell’unghia e il polpastrello.

Vasi cutanei

  • L’irrorazione cutanea è garantita da un ricco sistema arterioso, venoso e linfatico. Oltre alle arterie e alle vene proprie cutanee, la vascolarizzazione è caratterizzata da arterie muscolo-cutanee che attraversano i piani fasciali per raggiungere l’ipoderma e il derma. Esistono due vaste reti cutanee arteriose, venose e linfatiche, orientate parallelamente alla superficie cutanea; la più superficiale è sottopapillare, mentre l’altra è sita nel derma reticolare. Rami verticali vascolari connettono le due reti.
  • Nelle papille del derma e del pelo giungono le estreme diramazioni vasali costituite dalle anse capillari, con caratteristica forma a forcina. Esse sono ben visualizzabili con la capillaroscopia al vallo ungueale, dove assumono una disposizione orizzontale. In tutte le altre sedi corporee le anse sono perpendicolari alla superficie cutanea e, quindi, è possibile osservare solo la sommità dell’ansa del capillare.
  • Glomi arteriolari (peculiari anastomosi artero-venose) sono presenti nel derma reticolare soprattutto a livello dei polpastrelli delle dita.
  • Per quanto concerne il sistema linfatico, i vasi linfatici cutanei sono numerosi e importanti nella regolazione della pressione interstiziale attraverso le loro funzioni di riassorbimento e di drenaggio dei fluidi. Inoltre, svolgono un ruolo di clearance tissutale da cellule, proteine, lipidi, batteri e sostanze di degradazione. La loro distribuzione ricalca quella dei vasi venosi e arteriosi. I collettori lin­fatici cutanei drenano ai linfonodi tributari sottocutanei, con prevalente localizzazione in sedi inguinali, ascellari e cervicali.
  • Il flusso linfatico è regolato dalla contrazione muscolare. La stasi della linfa nei tessuti è prevenuta da valvole specifiche bicuspidi presenti nei vasi linfatici.

NERVI CUTANEI

  • Nella cute sono presenti fibre del sistema cerebro-spinale, prevalentemente sensitive, e fibre vegetative del sistema nervoso simpatico (adrenergiche e colinergiche).  
  • Le fibre cerebro-spinali si arborizzano fino a giungere al derma papillare con fine intreccio anche attorno ai follicoli piliferi e alle ghiandole e hanno terminazioni libere. I nervi sensitivi forniscono innervazione ai dermatomeri, caratterizzati da confini imprecisi e da una parziale innervazione overlap.
  • Le terminazioni nervose libere sono particolarmente sviluppate nel derma papillare e costituiscono importanti recettori sensoriali. Tali sono le fibre penicillate (recettori a rapido adattamento sensibili a calore, dolore e tatto), localizzate a livello subepidermico della cute dotata di peluria, e le terminazioni nervose del derma papillare a livello degli orifizi follicolari, sensibili al freddo.
  • Le terminazioni corpuscolate sono invece strutture costituite da un insieme di fibre sensitive circondate da un involucro connettivale. Nello strato sottocutaneo sono presenti i corpuscoli di Pacini (sensibilità tattile) e di Ruf­fini (calorica), mentre nel derma si trovano i corpuscoli di Meissner (tattili) e di Krause (freddo).
  • Le fibre del sistema nervoso vegetativo si distribuiscono ai muscoli erettori del pelo e alle ghiandole sudoripare apocrine (fibre adrenergiche) ed eccrine (colinergiche).

IPODERMA (O SOTTOCUTE)

  • È uno strato di natura mesenchimale di spessore vario a seconda della sede anatomica, della costituzione corporea della persona e del suo stato di nutrizione.
  • Gli adipociti dell’ipoderma sono grandi cellule rotondeggianti con citoplasma ricolmo di lipidi, soprattutto di trigliceridi, che comprimono il nucleo perifericamente. Nelle colorazioni routinarie, gli adipociti si mostrano otticamente vuoti, a causa della fissazione istologica con solventi.
  • Queste cellule sono strutturate in lobuli delimitati da setti di tessuto fibroso connettivale, i quali, oltre alla funzione di organizzazione, fungono da sostegno alla vascolarizzazione arteriosa, venosa e linfatica e all’innervazione. L’ipoderma svolge numerose altre funzioni tra cui l’isolamento termico del corpo, la fornitura di riserva energetica, la protezione della cute, consentendone la mobilità sulle sottostanti strutture, e, infine, di segnale di regolazione della massa adiposa corporea, attraverso la secrezione dell’ormone leptina da parte degli adipociti. L’ipoderma manca tipicamente in alcune regioni del corpo come le regioni palmoplantari e il capo.

FISIOLOGIA CUTANEA


  • La cute a tutti gli effetti è un organo, poiché è costituita da tessuti diversi ed esercita numerose funzioni specifiche. Qui di seguito verranno prese in considerazione più in dettaglio le varie funzioni assolte dalla cute, cui si è già accennato nei paragrafi precedenti.

Cheratinizzazione


  • Rappresenta la funzione fondamentale della cute ed è il processo attraverso cui i cheratinociti basali si trasformano gradualmente in cellule dello strato corneo. Questo processo avviene mediante la progressiva sintesi di tipi diversi di cheratine, che vanno gradualmente a costituire un involucro cellulare insolubile e lipoproteico. Le cheratine hanno struttura filamentosa differenziata nelle cellule dei vari strati dell’epidermide; i cheratinociti basali producono le cheratine 5 e 14, quelli dello strato spinoso le cheratine 1 e 10. Alcune cheratine sono espresse soprat­tutto in alcune sedi: la cheratina 9, per esempio, è presente soprattutto in regione palmoplantare. Negli strati granuloso e corneo, i filamenti cheratinici si aggregano tra loro grazie alla filaggrina, una sostanza contenuta nei granuli di cheratoialina. Nello strato spinoso viene pro­dotta l’involucrina, proteina insolubile che va a costituire l’involucro corneo endoplasmatico. L’aggregazione tra questo involucro e le fibre di cheratina avviene nello strato granuloso a opera della proteina loricrina. Le sostanze lipidiche che dei corpi di Odland, presenti nei cheratinociti degli strati granuloso, lucido e corneo, contribuiscono alla formazione del film idrolipidico di superficie.

Funzione protettiva


  • L’epidermide, e in particolare lo scrato corneo, rappresenta l’ interfaccia con l’ambiente esterno e svolge importanti funzioni di proiezione e difesa nei confronti di molteplici fattori esogeni.
  • L’ epidermide, infatti, è esposta a continui stimoli quali irradiazione solare, UV e infrarossa, variazioni di temperatura ambientale, inquinamento atmosfrico, microrganismi patogeni ,sostanze chimiche, farmaci applicati per via topica, forze meccaniche e fisiche e corrente elettrica (sia pur a bassi voltaggi). Il derma costituisce la sua struttura portante connettivale e concorre a regolarne il tropismo. L’ipoderma, con lo strato adiposo, ha funzione di riserva e isolante e tende a mantenere costante la temperatura corporea: inoltre, assorbe e ammortizza l’energia meccanica proveniente da urti esterni
  • Le fibre nervose afferenti meccano-, termo- e chemiosensitive hanno un ruolo protettivo, fornendo informazioni sugli stimoli propiocettivi e traumatici.
  • Oltre a comportarsi come mantello protettivo fisico, la pelle possiede numerose altre proprietà che concorrono alla funzione protettiva:
    • mediazione dell’infiammazione attraverso alcune molecole, quali glutatione, ossidasi, catalasi, sistema del citocromo P-450, vitamine C ed E;
    • presenza di heat shock proteins, in grado di mantenere l’omeostasi cutanea;
    • filtrazione dei raggi UV mediante la melanina, l’acido transurocanico e i metaboliti delle vitamine C e D;
    • impermeabilizzazione della cute;
    • metabolismo degli xenobiotici per via enzimatica mediante processi di glucuronizzazione e idrossilazione;
    • difesa antimicrobica con i lipidi di superficie e il film idrolipidico, le proteine leganti il ferro, il complemento e i peptidi antimicrobici.
  • Va sottolineato come lo strato corneo si caratterizzi per un pH marcatamente acido (pH da 4 a 6), che ne influenza significativamente la funzione antimicrobica; infatti, alcuni organismi patogeni quali stafilococchi, streptococchi e Candida per proliferare attivamente necessitano di un pH neutro. A tal proposito, giova ricordare che il mantello idrolipidico è dotato di un sistema tampone per il mantenimento del suo pH fisiologico. La cute è anche in grado di far fronte a insulti di agenti biologici, in quanto possiede un proprio sistema immunitario. La funzione immunologica dell’epidermide è anche legata alle cellule di Langerhans. Esse processano gli antigeni penetrati nella pelle e migrano ai linfonodi che drenano la linfa dalla cute, dove li presentano ai linfociti T, attivandoli. I linfociti T acquisiscono quindi specificità e memoria di risposta e vanno incontro a espansione clonale. Un’ulteriore esposizione cutanea allo stesso antigene, assieme all’ attività chemiotattica esercitata dalle citochine, dai cheratinociti e dai fibroblasti, determina la capacità, da parte del linfocita, di ritornare esattamente nel luogo di attivazione (homing skin).
  • La pelle, quindi, assolve due fondamentali funzioni protettive; da un lato provvede a contrastare agenti patogeni esogeni per preservare la sua integrità e, dall’altro, assicura l’omeostasi dell’intero organismo, favorendo lo sviluppo e l’amplificazione della risposta immunitaria locale e sistemica.

Funzione sensoriale


  • Grazie alla presenza di terminazioni sensoriali nervose per la meccanorecezione, la termorecezione, la sensibilità dolorifica e tattile, la cute è il più vasto organo di senso del nostro organismo. La sua organizzazione sensoriale è assicurata dalla presenza di fibre nervose sensoriali mieliniche. Queste si dipartono da tronchi nervosi principali verso il derma profondo, per formare il plesso profondo; da qui originano nuove ramificazioni che, giunte a livello del derma superficiale, danno luogo al plesso superficiale. Le diramazioni terminali si distribuiscono diffusamente nel derma e, in alcuni casi, oltrepassano la giunzione derma-epidermica come fibre nude, non mielinate. Le unità afferenti non hanno funzione specifica e percepiscono solo un tipo di stimolo.
  • La nocicezione viene espressa da meccanocettori ad alta soglia e da nocicettori polimodali. Nella cute sono presenti anche unità funzionali efferenti neurosecretorie, che condizionano l’induzione di effetti viscera-motori e infiammatori nei tessuti periferici.
  • Nella psoriasi, il fenomeno di Kobner potrebbe essere condizionato dal rilascio di neuropeptidi infiammatori nella cute traumatizzata. I neuropeptidi, inoltre, modulano il normale processo di riparazione delle ferite cutanee a cominciare dalla proliferazione cellulare, dalla produzione di citochine e fattori di crescita e dalla neoangiogenesi. La neuropatia diabetica e le lesioni del midollo spinale condizionano ulcere croniche insensibili a ogni terapia, a causa del deficit sensitivo cutaneo. Quindi, è evidente che la funzione sensoriale della cute va al di là della semplice trasmissione degli impulsi sensitivi al sistema nervoso centrale, in quanto rappresenta un’importante componente del sistema omeostatico cutaneo; inoltre, tale funzione svolge un importante effetto trofico per l’integrità e la funzionalità tissutale.

Funzione secretoria


  • La cute assume un ruolo importante nella regolazione del bilancio idroelettrolitico in virtù della sua funzione secretoria. Infatti, essa è preposta alla secrezione sebacea, indispensabile per la costituzione del mantello idrolipidico cutaneo con sintesi di glicogeno, mucopolisaccaridi, lipidi (acidi grassi, steroidi, squalene) e proteine. Inoltre, la pelle riesce a disperdere il calore attraverso la produzione di sudore e la sua evaporazione, processi che avvengono in rapporto alle caratteristiche individuali e quando la temperatura esterna supera i 36 °C. Attraverso le ghiandole sudoripare di tipo eccrino viene prodotto fino a 1 L al giorno di secrezione sudorale con la perspiratio insensibilis e fino a 15 L in seguito a intensa attività fisica. Le anomalie della sudorazione includono iperidrosi (sudorazione in eccesso), ipoidrosi (in difetto) e bromidrosi (sudorazione maleodorante).

Funzione metabolica


  • La cute assolve alla funzione metabolica con la sintesi di glicogeno, mucopolisaccaridi, biosintesi lipidica (acidi grassi, steroidi, squalene) e proteica. Il 20-25 % del colesterolo totale del corpo è prodotto dalla pelle. La sintesi di steroli e acidi grassi avviene sia nel derma sia nell’epidermide. In modo particolare, a livello dello strato basale si verifica il 60-70% della produzione lipidica totale della cute, sotto il controllo ormonale (variazioni di concentrazione degli ormoni tiroidei, testosterone ed estrogeni).

Funzione pigmento-genetica


  • È correlata alla produzione di melanina e all’attività foto-protettrice. La principale proprietà della melanina consi­ste nella capacità di assorbire le radiazioni UV (280-400 nm) e la protezione dai danni che esse arrecano al DNA. Peraltro, anche i prodotti intermedi della biosintesi della melanina possono essere nocivi.
  • I chinoni derivanti dalle reazioni tirosinasiche (dopachinoni) sono citotossici e inducono la morte cellulare, quando si accumulano ad alti livelli. La melanina è fotoreattiva e favorisce, in risposta alle radiazioni UVA, la produzione di specie reattive dell’ossigeno dannose per le cellule cutanee.
  • Un incremento di feomelanina e di prodotti intermedi della sua biosintesi induce un’aumentata rottura delle catene di DNA, in colture di melanociti irradiati con UVA prelevati da individui di pelle chiara, rispetto a melanociti provenienti da soggetti di pelle più scura. Ciò fa supporre che la maggiore incidenza di melanoma fotoindotto in individui con i capelli rossi e pelle chiara non sia legato solo alla ridotta fotoprotezione, ma anche a una mutagenesi incrementata dalla feomelanina e dai suoi intermedi. L’abbronzatura costituisce la naturale difesa contro gli effetti nocivi delle radiazioni elettromagnetiche. Le radiazioni solari che attivano i melanociti sono i raggi UV compresi nel range del non-visibile tra i 290 e i 400 nm. Essi rappresentano fattori mutageni e promuoventi la possibile trasformazione tumorale dei cheratinociti, inducendo danno cellulare, mutazioni degli oncogeni e promuovendo la proliferazione melanocitaria. L’abbronzatura si sviluppa in due fasi, la prima transitoria e la seconda più tardiva, ma stabile. La fase transitoria ha un ruolo poco chiaro, poiché essa provvede scarsamente alla protezione contro successivi danni solari. In questa fase gli UVA inducono foto-ossidazione della melanina preesistente, dei precursori della melanina e/o dei metaboliti della melanina. Nella fase tardiva i raggi UV attivano la proliferazione dei melanociti, la produzione di melanina e il suo trasferimento ai cheratinociti.

Funzione termoregolatrice


  • La cute ha un ruolo importante nella termoregolazione, sia perché fornisce informazioni termiche specifiche, sia perché agisce come organo effettore per il controllo della perdita di calore corporeo. La cute quindi esplica la sua funzione di termoregolazione con due modalità:
    • organo effettore (modula le perdite di calore);
    • organo efferente (informa i centri nervosi della temperatura esterna).
  • Tale attività si esplica in un intervallo di temperatura com­preso tra i 15 e i 45 °C, oltre i quali la sensazione di calore e/o freddo viene percepita come stimolo nocivo; infatti, la cute è particolarmente sensibile agli insulti determinati dalle temperature estreme dell’ambiente.
  • Risposte reattive vasodilatatorie locali si osservano quan­do la temperatura raggiunge i 40 °C e risposte vasocostrittive quando la temperatura scende al di sotto di 10 °C; in tal modo si ottiene una protezione dal calore o dal freddo.
  • Gli esseri omeotermi, come l’homo sapiens, spendono no­tevoli risorse fisiologiche per mantenere la loro temperatura interna (intorno ai 37 °C per l’uomo), poiché questa variabile fisiochimica condiziona profondamente molti processi biologici, quali il cambio chimico-fisico conformazionale e la conseguente attività di enzimi, recettori, canali di membrana; più in generale, essa condiziona la velocità delle reazioni chimiche cellulari. Ciò è evidente in caso di febbre; infatti, ogni grado di temperatura corporea in più determina un incremento del fabbisogno calorico dell’organismo del 13 % .
  • Il corpo umano si comporta nei riguardi della temperatura ambientale come un sistema a due compartimenti, uno più esterno, maggiormente suscettibile a variazioni di temperatura, e uno più interno, che comprende gli organi vitali del capo e del tronco, con temperatura più elevata e regolata in un intervallo estremamente ristretto. Fattori vari quali l’ora del giorno e le fasi del ciclo mestruale possono determinare un’oscillazione di 1 °C anche a livello della temperatura interna. Inoltre, la temperatura corporea può aumentare in caso di intenso esercizio fisico o di febbre.
  • Neuroni termosensitivi e centri regolatori cerebrali e spi­nali regolano con precisione la temperatura, soprattutto a livello della parte centrale del nostro organismo. La cute, invece, non è provvista di una regolazione cosi precisa e si caratterizza per una temperatura fortemente influenza dall’ambiente esterno. In particolare, i recettori termici endogeni e cutanei trasmettono infromazioni attraverso fibre afferenti al cervello e soprattutto all’ipotalamo dove termina la maggior parte delle informazioni relative alla temperatura. Questo sistema termoregolatorio deve garantire che la temperatura interna subisca minime variazioni e, quindi, che le condizioni ambientali influenzino solo gli strati più periferici dell’organismo.
  • Il calore è trasportato attraverso l’organismo con due modalità: conduzione attraverso i tessuti e convezione attraverso il sangue; l’energia termica si distribuisce in questo modo dai tessuti più caldi e interni a quelli più freddi ed esterni e poi alla cute. La termoregolazione è regolata anche attraverso una ricca rete di shunt arterovenosi cutanei, in particolare in corrispondenza di naso, padiglioni auricolari, labbra, mani e piedi.
  • Inoltre, il sistema vascolare cutaneo è regolato da fibre nervose distinte per funzione: le fibre simpatiche adrenergiche deputate alla vasocostrizione (anche se una minore attività di queste fibre determina, al contrario, una  vasodilatazione) e le fibre parasimpatiche, deputate alla vasodilatazione.
  • Al freddo le arteriole vanno incontro a costrizione come pure le vene superficiali degli arti, determinando un minor flusso sanguigno a questi livelli e una deviazione del sangue soprattutto alle vene profonde degli arti, le quali possono così ricevere energia termica dalle adiacenti arterie profonde con la conseguente conservazione di calore.
  • Un ulteriore meccanismo nel mantenimento dell’energia termica è rappresentato dalla piloerezione al freddo (fenomeno dell’orripilazione). La contrazione contemporanea di un elevatissimo numero di muscoli lisci erettori del pelo determina una reazione esotermica, con ripristino dell’omeostasi termica cutanea. Un controllo comportamentale consente all’uomo, attraverso gli indu­menti, la sopravvivenza anche in condizioni climatiche estreme, mentre il controllo fisiologico regola i sofisticati processi di adeguamento della temperatura interna.

Funzione di assorbimento e di permeabilità selettiva


  • Lo strato corneo si comporta come una membrana omo­genea a permeabilità selettiva, che modula la penetrazione di acqua e di altre sostanze applicate alla superficie cutanea. La proprietà diffusiva varia da soggetto a soggetto, in base alla regione corporea (dorso, arti superiori, tronco/ arti inferiori, addome, fronte) e in funzione delle caratteristiche morfologiche della regione cutanea. Un’importante funzione è svolta dai lipidi sintetizzati nello strato corneo. La capacità di una sostanza di attraversare lo strato corneo dipende dalla sua solubilità e dalla sua diffusibilità nell’acqua e nelle lamelle lipidiche. I lipidi assolvono tale compito grazie alla loro localizzazione intercellulare, concentrazione percentuale, organizzazione lamellare, composizione idrofobica, corretto rapporto molecolare e struttura molecolare compatta.
  • La via di penetrazione translipidica cutanea ha permesso di utilizzare l’assorbimento sistemico di farmaci topici applicati sulla cute come steroidi e retinoidi, ma anche estrogeni (cerotti che contengono estradiolo per terapia anticoncezionale e terapia ormonale sostitutiva in postmenopausa), nitroglicerina, scopolamina e clonidina. Altre due vie di penetrazione transcutanea sono rappresentate dalla via transfollicolare e da quella trans-sudoripara.

Immagine 01


Immagine 01. Disegno degli strati dell’epidermide e della membrana basale.

Immagine 02


Immagine 02. Disegno del follicolo del pelo con annessa ghiandola sebacea e muscolo erettore del pelo. È mostrata anche la ghiandola sudori para eccrina.

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Immagine 03. lstologia della cute, con gli strati epidermici e la struttura del follicolo a livello infundibulare.

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Immagine 04. Disegno del bulbo pila re con gli strati della radice.

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Immagine 05. Sezione trasversale del follicolo a livello della radice.

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Scenario XE13R: Un paziente di 82 anni presenta versamento pleurico monolaterale recidivante. In anamnesi è segnalata esposizione lavorativa all'amianto per diversi anni. Non sono note altre patologie croniche e non assume terapia domiciliare. Nel sospetto di mesotelioma pleurico, qual è l'accertamento che permette di formulare una diagnosi definitiva?














La risposta corretta è la A.
Il mesotelioma pleurico è tumore maligno a prognosi infausta che origina dal mesotelio costituente la pleura, cioè quella membrana sierosa che avvolge e protegge i polmoni e ne riveste la cavità entro cui essi risiedono; si tratta dell’unica neoplasia conosciuta della pleura ed in quasi tutti i casi è provocato dall'esposizione all'amianto: i lavoratori dell'asbesto hanno un rischio fino al 10% di sviluppare mesotelioma pleurico, con una latenza media di circa 30 anni.
Il quadro sintomatologico si caratterizza principalmente per dispnea e dolore toracico non pleuritico (rari inizialmente e più evidenti negli stadi avanzati della malattia) a cui si accompagnano anche raucedine, disfagia, sindrome di Horner, plessopatia brachiale, ascite, dovuti all’invasione della parete toracica e delle strutture ad essa vicine.
Nella diagnosi si possono usare RX torace, che mostra un ispessimento pleurico diffuso mono o bilaterale che generalmente arriva ad obliterare i seni costo-frenici, esame citologico del liquido pleurico, ma la diagnosi di certezza è istologica e si basa sulla biopsia pleurica toracoscopica o a cielo aperto; determinato così che si tratti proprio di un mesotelioma pleurico, la stadiazione del tumore può essere fatta con TC del torace, mediastinoscopia, RM o talvolta con PET e broncoscopia.
Trattandosi di un tumore a prognosi infausta con sopravvivenza a lungo termine rara, il trattamento si basa principalmente su terapia di supporto che comprende la pleurodesi o la pleurectomia, per ridurre l’eventuale versamento pleurico e attenuare la dispnea, l’analgesia con oppiacei e, talvolta, la radioterapia e chemioterapia per la riduzione della massa tumorale e il conseguente miglioramento dei sintomi. L'intervento chirurgico (che prevede la rimozione di pleura, polmone omolaterale, nervo frenico, emidiaframma e pericardio), combinato con la chemioterapia o la radioterapia, può essere preso in considerazione in base allo stadio del tumore e alle condizioni cliniche del paziente anche se non modifica sostanzialmente la prognosi o il tempo di sopravvivenza.

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Scenario AW14P: Una donna di 70 anni, affetta da arteriopatia cronica obliterante degli arti inferiori, giunge in ambulatorio per dolore a riposo da circa 3 settimane scarsamente responsivo agli antidolorifici. Non presenta lesioni trofiche. A quale stadio, secondo la classificazione di Leriche Fontaine, sono riconducibili i sintomi della paziente?















La risposta corretta è la A.
La classificazione di Leriche-Fontaine viene utilizzata per la stadiazione dell’arteropatia obliterante cronica degli arti inferiori. Individua 4 stadi della malattia in base a segni e sintomi dei pazienti, in dettaglio:
·         STADIO I: paziente asintomatico o paucisintomatico con senso di peso o affaticamento degli arti che potrebbero risultare anche freddi.
·         STADIO II: è caratterizzato da claudicatio intermittens, un dolore crampiforme dei muscoli del polpaccio e/o della coscia che compare in relazione al movimento. Si distinguono due sotto-stadi:
o   STADIO IIA: la claudicatio compare dopo aver percorso una distanza >200m, non risultando particolarmente invalidante (forma lieve);
o   STADIO IIB: la claudicatio compare dopo aver percorso una distanza <200m (forma grave).
·         STADIO III: il paziente presenta dolore a riposo soprattutto a livello delle dita del piede e del tallone e principalmente di notte, quando è disteso. Il paziente caratteristicamente sporge i piedi dal letto nel tentativo di aumentare la perfusione dei distretti periferici dell’arto: questa posizione infatti determina un rallentamento del deflusso venoso con conseguente ipertensione venosa, diminuzione del gradiente pressorio artero-venoso capillare e maggiore estrazione di ossigeno nei distretti ischemici.
·         STADIO IV: compaiono delle lesioni trofiche degli arti coinvolgenti inizialmente il tallone e le dita dei piedi e che successivamente assumono una distribuzione cranio-caudale. Si possono sviluppare ulcere fino alla gangrena secca, umida o gassosa: nella gangrena secca la cute appare nerastra e dura a causa di una rapida evaporazione dei liquidi; in quella umida l’area necrotica appare verdastra e maleodorante a seguito della putrefazione determinata dalla contaminazione batterica; nella gangrena gassosa intervengono batteri anaerobi produttori di gas: il risultato è un crepitio alla palpazione dovuto all’enfisema del sottocutaneo e dei muscoli.


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Scenario SS1E5. Paziente uomo di 85 anni, pregresso ictus ischemico, diabetico, in terapia poli-farmacologica. Da circa un mese comparsa di placche eritematose orticarioidi diffuse con successiva comparsa di bolle tese a contenuto limpido. Le lesioni sono intensamente pruriginose. Qual è la diagnosi più probabile?

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La risposta corretta è la C.
Per il paziente del caso clinico, in base ai reperti clinico-anamnestici e all’immagine, la diagnosi più probabile è il pemfigoide bolloso, un disordine cutaneo autoimmune cronico, che si caratterizza per lesioni bollose generalizzate e pruriginose. La malattia colpisce prevalentemente le persone più anziane, ma è stata descritta anche nei bambini. Dal punto di vista eziopatogenetico, anticorpi IgG si legano a determinati antigeni dell'emidesmosoma (BPAg1, BPAg2), con la conseguente attivazione del complemento per formare una bolla sottoepidermica. Il prurito è il primo sintomo del pemfigoide bolloso. Le bolle possono svilupparsi sulla pelle apparentemente normale o essere precedute da placche eritematose o di aspetto orticarioide.
Al contrario, la dermatite da contatto, un'infiammazione cutanea acuta causata da irritanti o allergeni, il cui sintomo primario è il prurito, si caratterizza per alterazioni cutanee che vanno dall'eritema, alle vescicole fino alle ulcerazioni (risposta A errata). Così, l’impetigine, un'infezione cutanea superficiale caratterizzata da croste o bolle, è causata da streptococchi, stafilococchi o entrambi. Tali bolle tendono a rompersi e ricoprirsi di una patina o crosta color miele (risposta B errata). Invece, il pemfigo volgare, un disturbo raro ad esito potenzialmente fatale e autoimmune, è caratterizzato da vescicole intraepidermiche ed estese erosioni della cute e delle mucose. Dal punto di vista eziologico, è dovuto alla presenza di autoanticorpi IgG diretti contro le proteine Ca-dependent cadherins desmoglein 1 e desmoglein 3. Qualsiasi area di epitelio squamoso stratificato può essere colpito, comprese le superfici mucose. Entra in diagnosi differenziale con il pemfigo bolloso, dal quale si differenzia per il coinvolgimento delle mucose, l’assenza di prurito, l’insorgenza su cute apparentemente sana con lesioni, che spesso vanno incontro a rottura, lasciando erosioni dolorose. Infine, se nel pemfigoide volgare il segno di Nikolsky è positivo, nel pemfigoide bolloso è negativo (risposta D errata). Infine, l’Herpes zoster, una patologia determinata dalla riattivazione del virus della varicella-zoster (VZV), rimasto in uno stato di latenza in un ganglio della radice dorsale dopo un primo contagio, si manifesta inizialmente con dolore lungo il dermatomero interessato, seguito da un'eruzione vescicolare localizzata diagnostica (risposta E errata).



Definizione


Il Pemfigoide bolloso è una malattia autoimmune caratterizzata dalla formazione di vesciche che solitamente colpisce i soggetti di età superiore ai 70 anni. Per quanto riguarda le possibili cause è spesso stato associato a molti farmaci ed ad alcune malattie neurologiche, ma il fattore scatenante rimane spesso sconosciuto. Il Pemfigoide bolloso può rimanere autolimitante ed addirittura scomparire da solo nel giro di mesi o anni, oppure diventare cronico con frequenti ricadute.

La diagnosi di Pemfigoide bolloso viene sospettata nei pazienti di età superiore ai 70 anni con prurito grave e vesciche o bolle sul tronco e sulle estremità senza coinvolgimento delle mucose. Occasionalmente può anche presentarsi con un prurito senza bolle o con lesioni cutanee solo eczematose o ulceranti. Per arrivare alla diagnosi è importante raccogliere campioni di vesciche delle zone perilesionali, da pelle non coinvolta a circa 1 cm di distanza dalla lesione per l’immunofluorescenza diretta e la biopsia.

Si raccomanda anche di raccogliere campioni di sangue o, se non è possibile, del liquido delle vesciche, per attuare l’immunofluorescenza indiretta o il test ELISA. La diagnosi viene confermata con una biopsia che mostra l’immunoglobulina G (IgG) e/o C3 lungo la giunzione dermo-epidermica e gli autoanticorpi circolanti.

Epidemiologia


Come già accennato, è un disturbo autoimmune intensamente pruriginoso, diffuso, o locale, che colpisce soprattutto gli anziani. E’ raro nei neonati, nei bambini e negli adolescenti anche se in letteratura sono stati segnalati 4 casi di Pemfigoide bolloso descritti in neonati di 5-12 mesi (fonte: Arch Dermatol 2007 Feb).

Eziologia e patogenesi


Il pemfigoideè una malattia autoimmune caratterizzata da un autoanticorpo che si lega ai componenti della giunzione dermo-epidermica causando la separazione del derma dall’epidermide e formando così le tipiche bolle. Le immunoglobuline target (Ig)G coinvolte sono BP180 (chiamato anche BPAg2 o collagene di tipo XVII) e BP230 (chiamato anche distonina o BPAg1), che sono proteine emidemosomiche coinvolte nell’adesione alla giunzione dermo-epidermica. Ad ogni modo, la veracausa della risposta immunitaria contro gli autoanticorpi non è stata chiaramente identificata.

I possibili fattori coinvolti nell’innesco del Pemfigoide bolloso includono:

  • malattie neurologiche: il 30%-50% dei pazienti ha una malattia neurologica preesistente, come il morbo di Parkinson, ictus, epilessia e l’autoantigene BP180 è stato trovato anche nel sistema nervoso centrale;
  • fattori scatenanti esterni, come traumi, ustioni, radioterapia e radiazioni ultraviolette;
  • farmaci, quando essi sembrano innescare il pemfigoide in modo simile ad altri fattori scatenanti clinici, con conseguente decorso cronico e persistente. In questo caso tende ad interessare un’età più giovane, si risolve più rapidamente e può essere più reattivo al trattamento con steroidi rispetto al Pemfigoide bolloso innescato da altri fattori clinici. Tra questi farmaci ricordiamo:
    • diuretici, tra cui furosemide e spironolattone;
    • antidiabetici, tra cui gliptine e metformina;
    • fenotiazine;
    • neurolettici;
    • farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS);
    • salicilati;
    • antipertensivi, tra cui calcio-antagonisti, inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE), beta-bloccanti e bloccanti del recettore dell’angiotensina II;
    • farmaci alfa antitumorali (TNF), tra cui adalimumab, efalizumab ed etanercept;
    • vaccini, come l’antinfluenzale, contro l’influenza suina, il tossoide tetanico e gli esavalenti;
    • antibiotici, come l’actinomicina, amoxicillina e ampicillina, cefalexina, ciprofloxacina, clorochina, levofloxacina, penicillina, rifampicina e dactinomicina;
    • altri farmaci, tra cui arsenico, fluoxetina, oro e interleuchina-2.

In relazione alla sequenza di eventi che portano alla formazione di vesciche, in primo luogo gli autoanticorpi sono prodotti contro le proteine coinvolte nell’adesione dermo-epidermica. La maggior parte degli anticorpi sono reattivi alle IgG, meno comunemente alle IgA, IgM ed IgE.

I due autoantigeni principali sono BP180 (chiamato anche BPAg2 o collagene di tipo XVII) e BP230 (chiamato anche distonina o BPAg1), ciascuno con diversi epitopi. In seguito il complemento viene attivato provocando l’inizio di una reazione infiammatoria alla giunzione dermo-epidermica. A questo punto la secrezione di mediatori infiammatori aumenta ulteriormente la reazione infiammatoria e l’infiltrazione di cellule infiammatorie nel derma superiore porta infine alla scissione dermico-epidermica ed alla formazione di vesciche.

Anamnesi ed esame obiettivo


Il Pemfigoide bolloso si presenta comunemente con vesciche e bolle che appaiono tese (di solito 1-3 cm) con essudato chiaro, a volte emorragiche. Esse si possono manifestare sulla pelle di aspetto normale o eritematosa e possono apparire di tipo annulare o figurato. Sono tipicamente distribuite simmetricamente sul tronco e sulle estremità, e le pieghe degli arti sono coinvolte nell’80% dei casi. Escoriazioni e croste sono comuni.

Il segno di Nikolsky è negativo (strofinando la cute sana in prossimità di una bolla con un dito, si manifesta uno scollamento caratteristico dell’epidermide, evidenziando la compromissione della coesione normalmente esistente fra le cellule che formano l’epidermide). E’ caratteristico e può aiutare a differenziare il Pemfigoide bolloso dalle altre malattie pemfigoidi.

Caso clinico 001

Pemfigoide bolloso

Il Pemfigoide bolloso è un disturbo autoimmune tipico delle persone anziane. Vescicole tese sono più comuni sul tronco, gli arti, e le pieghe del corpo; lesioni orali non sono in genere presenti.

Le presentazioni cliniche comprendono:

  • Pemfigoide bolloso generalizzato;
  • forma vescicolare;
  • Orticaria con papule o placche eczematose, orticarioidi (tipicamente si verificano prima della presenza di bolle);
  • con placche vegetative, in particolare nelle aree intertriginose;
  • forma infantile, tipica dei neonati con lesioni su pelle eritematosa o normale delle zone acrali;
  • presentazioni non bollose, con lesioni che appaiono simili a: lesioni eritrodermatosiche, all’ ecthyma gangrenosum, all’intertrigo, all’epidermolisi tossica ed al prurigo nodularis;
  • le vesciche e le bolle a volte sono localizzate nelle aree colpite da radioterapia, chirurgia, traumi, ustioni, stomie, fistole per emodialisi o nell’area ombelicale;
  • possono verificarsi presentazioni con prurito anche in assenza di lesioni cutanee;
  • Pemfigoide bolloso che si presenta come lesioni bollose (alcune emorragiche) raggruppate su una zona di trapianto cutaneo;
  • l’attività della malattia può essere misurata come:
    • moderata se < 10 bolle appaiono ogni giorno
    • grave se ≥ 10 bulle appaiono ogni giorno.

Diagnosi


La diagnosi viene sospettata in pazienti con eruzioni pruritiche, eczematose o orticarioidi con o senza vesciche, in particolare se ≥ 70 anni. La stessa viene poi confermata se vengono soddisfatti i seguenti criteri:

  • Almeno uno tra:
    • età > 70 anni;
    • mancanza di cicatrici atrofiche;
    • mancanza di coinvolgimento delle mucose;
    • assenza di lesioni predominanti su testa e collo;
  • alla colorazione dell’ematossilina e dell’eosina viene evidenziata la formazione di vesciche subepidermiche con infiltrazione predominante di eosinofili;
  • all’immunofluorescenza diretta del campione perilesionale viene mostrata la localizzazione di immunoglobulina (Ig)G e/o C3 lungo la giunzione dermico-epidermica;
  • tramite l’immunofluorescenza indiretta sierologica, o test di immunosorbimento enzimatico positivo (ELISA), vengono identificati gli autoanticorpi da pemfigoide bolloso;
  • nei bambini con vesciche sui palmi delle mani, sulla pianta dei piedi o a livello vulvare, l’immunofluorescenza mostra la localizzazione di IgG e/o C3 lungo la giunzione dermo-epidermica e l’immunofluorescenza indiretta mostra autoanticorpi circolanti tali da confermare la diagnosi di pemfigoide bolloso.

Terapia


Gli obiettivi del trattamento sono la riduzione dei sintomi (come prurito e sviluppo di nuove lesioni) con minimi effetti collaterali. Nonostante dunque la scelta del trattamento dipenda dalla gravità della malattia e dalla presenza di comorbidità, si consiglia una terapia topica a tutti i pazienti, a base di antisettici in caso di ulcere che andranno poi bendate con garza e fascia elastica. Le vesciche possono essere lasciate intatte per evitare infezioni batteriche secondarie, a meno che non interferiscano con le normali attività quotidiane.

Gli steroidi sono tipicamente utilizzati come trattamento di prima scelta, per cui si raccomanda di applicare Clobetasol 0,05% crema a meno che non ci siano controindicazioni. Per malattie localizzate o lievi, applicare due volte al giorno solo sulla pelle lesionata, mentre per malattie da moderate a gravi applicare 10-30 g al giorno (divisi due volte al giorno) su tutta la superficie cutanea del corpo. Il Clobetasol è raccomandato anche nei bambini, anche se le dosi non sono ancora state stabilite.

Come seconda scelta nella terapia del Pemfigoide bolloso ritroviamo il prednisolone o il prednisone orale. La dose iniziale comprende:

  • 0,3 mg/kg/giorno per forme lievi o localizzate;
  • 0,5 mg/kg/giorno per forme moderate;
  • 0,75 mg/kg/giorno per forme gravi.

È importante cercare di aggiustare la dose a seguito di un trattamento di successo, definito come controllo delle lesioni entro 4 settimane.

Ad ogni modo è noto che il Clobetasol topico può controllare il Pemfigoide bolloso con un rischio di mortalità inferiore rispetto al prednisone orale.

Inoltre, per lesioni localizzate, è possibile considerare il Tacrolimus topico 0,1% crema 3-5 volte/giorno per 2 settimane.

Per i pazienti con controindicazioni agli steroidi, come il diabete o l’ipertensione, o per i bambini, è possibile prendere in considerazione antibiotici come la tetraciclina, sola o in aggiunta agli steroidi topici per le forme localizzate, lievi o da moderate a gravi, oppure con o senza nicotinammide per le forme recidivanti.

Per le forme che non rispondono al trattamento di prima linea, o per le recidive nonostante le alte dosi di steroidi, è possibile prendere in considerazione l’aggiunta di farmaci come:

  • azatioprina 1-2,5 mg/kg/giorno;
  • metotrexato 5-15 mg/settimana;
  • dapsone 50-200 mg/giorno;
  • clorambucil 0,05-0,1 mg/kg/giorno.

In casi particolarmente recidivanti inoltre, è possibile amministrare:

  • Immunoglobuline per via endovenosa 2g/kg in dosi uguali somministrate in 3 giorni in intervalli di 4 settimane fino al controllo delle lesioni e con pause più lunghe in seguito;
  • micofenolato mofetile 0,5-1 g due volte al giorno;
  • ciclofosfamide;
  • plasmaferesi e immunofissazione indicate nelle recidive o come trattamento di supporto agli steroidi;
  • nei bambini, anche se pochi studi ne sostengono l’efficacia, si possono prendere in considerazione farmaci relativamente poco tossici, come i corticosteroidi topici e l’eritromicina.
VariabiliPemfigoide BollosoPemfigo Volgare
Localizzazione delle lesioniMembrana basaleIntraepidermico
AutoanticorpiContro le proteine emidesmosomicheAnti desmogleina (responsabile dell’adesione dei keratinociti)
Comparsa delle bolleBolle compatte, a volte precedute da Orticaria (figura A)Ulcere più comuni delle bolle, per mancanza delle aderenze tra cheratinociti (figura B)
Segno di NikolskyNegativoPositivo
Interessamento delle mucoseRaroComune
Età del pazienteSolitamente < 60 anniSolitamente tra 40-60 anni
Farmaci scatenantiGeneralmente idiopaticoACE-inibitori, Penicillamine, Fenorbarbital e Penicillina
MortalitàDecorso moderato, rarà mortalitàPossibile
DiagnosiComparsa di bolle tese sul tronco. Conferma attraverso biopsia+immunofluorescenza e/o test ELISAComparsa di bolle flaccide ed ulcere sulle estremità e sulle mucose
TrattamentoEfficace con steroidi localiSteroidi ad alto dosaggio (Prednisone)+ terapia immunomodulante (Aziatropina, Micofenolato Mofetile, IVIG, Rituximab)
  

31 di 140 Domande

Scenario 15: Paziente uomo di 85 anni, pregresso ictus ischemico, diabetico, in terapia polifarmacologica. Da circa un mese comparsa di placche eritematose orticarioidi diffuse con successiva comparsa di bolle tese a contenuto limpido. Le lesioni sono intensamente pruriginose. Qual è il procedimento diagnostico più appropriato?

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La risposta corretta è la A.
La diagnosi di certezza del pemfigoide bolloso, dopo averlo sospettato clinicamente per la natura delle lesioni, è istologica e viene effettuata mediante biopsia cutanea con immunofluorescenza diretta e ricerca degli anticorpi IgG anti-membrana basale nel siero.


Definizione


Il Pemfigoide bolloso è una malattia autoimmune caratterizzata dalla formazione di vesciche che solitamente colpisce i soggetti di età superiore ai 70 anni. Per quanto riguarda le possibili cause è spesso stato associato a molti farmaci ed ad alcune malattie neurologiche, ma il fattore scatenante rimane spesso sconosciuto. Il Pemfigoide bolloso può rimanere autolimitante ed addirittura scomparire da solo nel giro di mesi o anni, oppure diventare cronico con frequenti ricadute.

La diagnosi di Pemfigoide bolloso viene sospettata nei pazienti di età superiore ai 70 anni con prurito grave e vesciche o bolle sul tronco e sulle estremità senza coinvolgimento delle mucose. Occasionalmente può anche presentarsi con un prurito senza bolle o con lesioni cutanee solo eczematose o ulceranti. Per arrivare alla diagnosi è importante raccogliere campioni di vesciche delle zone perilesionali, da pelle non coinvolta a circa 1 cm di distanza dalla lesione per l’immunofluorescenza diretta e la biopsia.

Si raccomanda anche di raccogliere campioni di sangue o, se non è possibile, del liquido delle vesciche, per attuare l’immunofluorescenza indiretta o il test ELISA. La diagnosi viene confermata con una biopsia che mostra l’immunoglobulina G (IgG) e/o C3 lungo la giunzione dermo-epidermica e gli autoanticorpi circolanti.

Epidemiologia


Come già accennato, è un disturbo autoimmune intensamente pruriginoso, diffuso, o locale, che colpisce soprattutto gli anziani. E’ raro nei neonati, nei bambini e negli adolescenti anche se in letteratura sono stati segnalati 4 casi di Pemfigoide bolloso descritti in neonati di 5-12 mesi (fonte: Arch Dermatol 2007 Feb).

Eziologia e patogenesi


Il pemfigoideè una malattia autoimmune caratterizzata da un autoanticorpo che si lega ai componenti della giunzione dermo-epidermica causando la separazione del derma dall’epidermide e formando così le tipiche bolle. Le immunoglobuline target (Ig)G coinvolte sono BP180 (chiamato anche BPAg2 o collagene di tipo XVII) e BP230 (chiamato anche distonina o BPAg1), che sono proteine emidemosomiche coinvolte nell’adesione alla giunzione dermo-epidermica. Ad ogni modo, la veracausa della risposta immunitaria contro gli autoanticorpi non è stata chiaramente identificata.

I possibili fattori coinvolti nell’innesco del Pemfigoide bolloso includono:

  • malattie neurologiche: il 30%-50% dei pazienti ha una malattia neurologica preesistente, come il morbo di Parkinson, ictus, epilessia e l’autoantigene BP180 è stato trovato anche nel sistema nervoso centrale;
  • fattori scatenanti esterni, come traumi, ustioni, radioterapia e radiazioni ultraviolette;
  • farmaci, quando essi sembrano innescare il pemfigoide in modo simile ad altri fattori scatenanti clinici, con conseguente decorso cronico e persistente. In questo caso tende ad interessare un’età più giovane, si risolve più rapidamente e può essere più reattivo al trattamento con steroidi rispetto al Pemfigoide bolloso innescato da altri fattori clinici. Tra questi farmaci ricordiamo:
    • diuretici, tra cui furosemide e spironolattone;
    • antidiabetici, tra cui gliptine e metformina;
    • fenotiazine;
    • neurolettici;
    • farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS);
    • salicilati;
    • antipertensivi, tra cui calcio-antagonisti, inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE), beta-bloccanti e bloccanti del recettore dell’angiotensina II;
    • farmaci alfa antitumorali (TNF), tra cui adalimumab, efalizumab ed etanercept;
    • vaccini, come l’antinfluenzale, contro l’influenza suina, il tossoide tetanico e gli esavalenti;
    • antibiotici, come l’actinomicina, amoxicillina e ampicillina, cefalexina, ciprofloxacina, clorochina, levofloxacina, penicillina, rifampicina e dactinomicina;
    • altri farmaci, tra cui arsenico, fluoxetina, oro e interleuchina-2.

In relazione alla sequenza di eventi che portano alla formazione di vesciche, in primo luogo gli autoanticorpi sono prodotti contro le proteine coinvolte nell’adesione dermo-epidermica. La maggior parte degli anticorpi sono reattivi alle IgG, meno comunemente alle IgA, IgM ed IgE.

I due autoantigeni principali sono BP180 (chiamato anche BPAg2 o collagene di tipo XVII) e BP230 (chiamato anche distonina o BPAg1), ciascuno con diversi epitopi. In seguito il complemento viene attivato provocando l’inizio di una reazione infiammatoria alla giunzione dermo-epidermica. A questo punto la secrezione di mediatori infiammatori aumenta ulteriormente la reazione infiammatoria e l’infiltrazione di cellule infiammatorie nel derma superiore porta infine alla scissione dermico-epidermica ed alla formazione di vesciche.

Anamnesi ed esame obiettivo


Il Pemfigoide bolloso si presenta comunemente con vesciche e bolle che appaiono tese (di solito 1-3 cm) con essudato chiaro, a volte emorragiche. Esse si possono manifestare sulla pelle di aspetto normale o eritematosa e possono apparire di tipo annulare o figurato. Sono tipicamente distribuite simmetricamente sul tronco e sulle estremità, e le pieghe degli arti sono coinvolte nell’80% dei casi. Escoriazioni e croste sono comuni.

Il segno di Nikolsky è negativo (strofinando la cute sana in prossimità di una bolla con un dito, si manifesta uno scollamento caratteristico dell’epidermide, evidenziando la compromissione della coesione normalmente esistente fra le cellule che formano l’epidermide). E’ caratteristico e può aiutare a differenziare il Pemfigoide bolloso dalle altre malattie pemfigoidi.

Caso clinico 001

Pemfigoide bolloso

Il Pemfigoide bolloso è un disturbo autoimmune tipico delle persone anziane. Vescicole tese sono più comuni sul tronco, gli arti, e le pieghe del corpo; lesioni orali non sono in genere presenti.

Le presentazioni cliniche comprendono:

  • Pemfigoide bolloso generalizzato;
  • forma vescicolare;
  • Orticaria con papule o placche eczematose, orticarioidi (tipicamente si verificano prima della presenza di bolle);
  • con placche vegetative, in particolare nelle aree intertriginose;
  • forma infantile, tipica dei neonati con lesioni su pelle eritematosa o normale delle zone acrali;
  • presentazioni non bollose, con lesioni che appaiono simili a: lesioni eritrodermatosiche, all’ ecthyma gangrenosum, all’intertrigo, all’epidermolisi tossica ed al prurigo nodularis;
  • le vesciche e le bolle a volte sono localizzate nelle aree colpite da radioterapia, chirurgia, traumi, ustioni, stomie, fistole per emodialisi o nell’area ombelicale;
  • possono verificarsi presentazioni con prurito anche in assenza di lesioni cutanee;
  • Pemfigoide bolloso che si presenta come lesioni bollose (alcune emorragiche) raggruppate su una zona di trapianto cutaneo;
  • l’attività della malattia può essere misurata come:
    • moderata se < 10 bolle appaiono ogni giorno
    • grave se ≥ 10 bulle appaiono ogni giorno.

Diagnosi


La diagnosi viene sospettata in pazienti con eruzioni pruritiche, eczematose o orticarioidi con o senza vesciche, in particolare se ≥ 70 anni. La stessa viene poi confermata se vengono soddisfatti i seguenti criteri:

  • Almeno uno tra:
    • età > 70 anni;
    • mancanza di cicatrici atrofiche;
    • mancanza di coinvolgimento delle mucose;
    • assenza di lesioni predominanti su testa e collo;
  • alla colorazione dell’ematossilina e dell’eosina viene evidenziata la formazione di vesciche subepidermiche con infiltrazione predominante di eosinofili;
  • all’immunofluorescenza diretta del campione perilesionale viene mostrata la localizzazione di immunoglobulina (Ig)G e/o C3 lungo la giunzione dermico-epidermica;
  • tramite l’immunofluorescenza indiretta sierologica, o test di immunosorbimento enzimatico positivo (ELISA), vengono identificati gli autoanticorpi da pemfigoide bolloso;
  • nei bambini con vesciche sui palmi delle mani, sulla pianta dei piedi o a livello vulvare, l’immunofluorescenza mostra la localizzazione di IgG e/o C3 lungo la giunzione dermo-epidermica e l’immunofluorescenza indiretta mostra autoanticorpi circolanti tali da confermare la diagnosi di pemfigoide bolloso.

Terapia


Gli obiettivi del trattamento sono la riduzione dei sintomi (come prurito e sviluppo di nuove lesioni) con minimi effetti collaterali. Nonostante dunque la scelta del trattamento dipenda dalla gravità della malattia e dalla presenza di comorbidità, si consiglia una terapia topica a tutti i pazienti, a base di antisettici in caso di ulcere che andranno poi bendate con garza e fascia elastica. Le vesciche possono essere lasciate intatte per evitare infezioni batteriche secondarie, a meno che non interferiscano con le normali attività quotidiane.

Gli steroidi sono tipicamente utilizzati come trattamento di prima scelta, per cui si raccomanda di applicare Clobetasol 0,05% crema a meno che non ci siano controindicazioni. Per malattie localizzate o lievi, applicare due volte al giorno solo sulla pelle lesionata, mentre per malattie da moderate a gravi applicare 10-30 g al giorno (divisi due volte al giorno) su tutta la superficie cutanea del corpo. Il Clobetasol è raccomandato anche nei bambini, anche se le dosi non sono ancora state stabilite.

Come seconda scelta nella terapia del Pemfigoide bolloso ritroviamo il prednisolone o il prednisone orale. La dose iniziale comprende:

  • 0,3 mg/kg/giorno per forme lievi o localizzate;
  • 0,5 mg/kg/giorno per forme moderate;
  • 0,75 mg/kg/giorno per forme gravi.

È importante cercare di aggiustare la dose a seguito di un trattamento di successo, definito come controllo delle lesioni entro 4 settimane.

Ad ogni modo è noto che il Clobetasol topico può controllare il Pemfigoide bolloso con un rischio di mortalità inferiore rispetto al prednisone orale.

Inoltre, per lesioni localizzate, è possibile considerare il Tacrolimus topico 0,1% crema 3-5 volte/giorno per 2 settimane.

Per i pazienti con controindicazioni agli steroidi, come il diabete o l’ipertensione, o per i bambini, è possibile prendere in considerazione antibiotici come la tetraciclina, sola o in aggiunta agli steroidi topici per le forme localizzate, lievi o da moderate a gravi, oppure con o senza nicotinammide per le forme recidivanti.

Per le forme che non rispondono al trattamento di prima linea, o per le recidive nonostante le alte dosi di steroidi, è possibile prendere in considerazione l’aggiunta di farmaci come:

  • azatioprina 1-2,5 mg/kg/giorno;
  • metotrexato 5-15 mg/settimana;
  • dapsone 50-200 mg/giorno;
  • clorambucil 0,05-0,1 mg/kg/giorno.

In casi particolarmente recidivanti inoltre, è possibile amministrare:

  • Immunoglobuline per via endovenosa 2g/kg in dosi uguali somministrate in 3 giorni in intervalli di 4 settimane fino al controllo delle lesioni e con pause più lunghe in seguito;
  • micofenolato mofetile 0,5-1 g due volte al giorno;
  • ciclofosfamide;
  • plasmaferesi e immunofissazione indicate nelle recidive o come trattamento di supporto agli steroidi;
  • nei bambini, anche se pochi studi ne sostengono l’efficacia, si possono prendere in considerazione farmaci relativamente poco tossici, come i corticosteroidi topici e l’eritromicina.
VariabiliPemfigoide BollosoPemfigo Volgare
Localizzazione delle lesioniMembrana basaleIntraepidermico
AutoanticorpiContro le proteine emidesmosomicheAnti desmogleina (responsabile dell’adesione dei keratinociti)
Comparsa delle bolleBolle compatte, a volte precedute da Orticaria (figura A)Ulcere più comuni delle bolle, per mancanza delle aderenze tra cheratinociti (figura B)
Segno di NikolskyNegativoPositivo
Interessamento delle mucoseRaroComune
Età del pazienteSolitamente < 60 anniSolitamente tra 40-60 anni
Farmaci scatenantiGeneralmente idiopaticoACE-inibitori, Penicillamine, Fenorbarbital e Penicillina
MortalitàDecorso moderato, rarà mortalitàPossibile
DiagnosiComparsa di bolle tese sul tronco. Conferma attraverso biopsia+immunofluorescenza e/o test ELISAComparsa di bolle flaccide ed ulcere sulle estremità e sulle mucose
TrattamentoEfficace con steroidi localiSteroidi ad alto dosaggio (Prednisone)+ terapia immunomodulante (Aziatropina, Micofenolato Mofetile, IVIG, Rituximab)
  

32 di 140 Domande

Scenario ME16L: Un uomo di 69 anni giunge all'attenzione dell'ematologo per il riscontro all'elettroforesi sieroproteica di una banda omogenea in zona Beta2. L'immunofissazione sierica conferma la presenza di una componente monoclonale. Quale tra le seguenti patologie può essere sicuramente esclusa, alla luce di tali reperti?














La risposta corretta è la D.
L’immunodeficienza comune variabile, ad insorgenza in età adulta, si caratterizza per ridotti livelli di immunoglobuline: i linfociti B sono fenotipicamente normali e possono proliferare ma non si trasformano in cellule secernenti Ig: si tratta, quindi, di un’immunodeficienza primaria che coinvolge l’immunità umorale. A causa di ciò i pazienti possono presentare ricorrenti infezioni o possono sviluppare diverse patologie autoimmuni, come ad esempio trombocitopenia autoimmune, anemia emolitica autoimmune, lupus eritematoso sistemico, malattia di Addison, tiroidite etc.
Il sospetto diagnostico, avanzato sulla base delle ricorrenti infezioni, è indagato mediante la misurazione delle immunoglobuline e di titoli anticorpali sierici, la citometria a flusso per lo studio delle sottopopolazioni cellulari T e B e l’elettroforesi delle proteine seriche. Questi esami mostrano una forte riduzione dei livelli di IgG associata ad un’alterazione dei linfociti T (es potrebbe esserci un’inversione CD4/CD8), e all’assenza di una componente monoclonale.
 
La risposta A non è corretta.
La macroglobulinemia di Waldenstrom è una rara malattia la cui eziologia è sconosciuta, caratterizzata dalla proliferazione di cellule B alterate che producono grandi quantità di proteine IgM monoclonali.
Viene diagnosticata quando è presente sia la proliferazione linfocitaria di cellule B, sia l’iperproduzione di una componente monoclonale IgM infine, al contrario di quanto accade nel mieloma multiplo, non vi è proliferazione plasmacellulare, né distruzione ossea.
La risposta B non è corretta.
L’amiloidosi primitiva si caratterizza per la deposizione extracellulare di fibrille non solubili composte da proteine disaggregate che si possono accumulare localmente o in modo diffuso, coinvolgendo vari organi fino a causarne una grave insufficienza. Anch’essa si associa ad una componente monoclonale.
La risposta C non è corretta.
Il plasmocitoma è un tumore maligno delle plasmacellule che si definisce ‘’solitario dell’osso’’ quando cresce all’interno dello scheletro. Nell’iter diagnostico si annovera la biopsia del midollo e l’elettroforesi delle proteine plasmatiche che può evidenziare un picco monoclonale delle immunoglobuline.
La risposta E non è corretta.
La gammopatia monoclonale di incerto significato non è una vera e propria forma di tumore maligno del sistema immunitario anche se può rappresentarne il preludio; si caratterizza per l'accumulo di una proteina anomala nel midollo osseo e nel sangue: paraproteina, proteina monoclonale o M proteina.

33 di 140 Domande

Scenario ME16L: Un uomo di 69 anni giunge all'attenzione dell'ematologo per il riscontro all'elettroforesi sieroproteica di una banda omogenea in zona Beta2. L'immunofissazione sierica conferma la presenza di una componente monoclonale Quale tra le seguenti situazioni rientra nella definizione di mieloma multiplo asintomatico?














La risposta corretta è la A.
Per mieloma multiplo si intende una proliferazione neoplastica di plasmacellule che infiltrano il midollo osseo e producono una proteina monoclonale (componente M o paraproteina). L’aumento delle plasmacellule e l’infiltrazione del midollo sono gli elementi alla base del quadro sintomatologico dei pazienti, sintomi che si possono raggruppare con l’acronimo CRAB: ipercalcemia, insufficienza renale da iperviscosità del sangue, anemia normocromica-normocitica e lesioni ossee; a questi, come conseguenza dell’alterazione dell’immunità umorale, si unisce la maggior probabilità di sviluppare infezioni batteriche, causa principale della morte di questi pazienti. La diagnosi viene posta sulla base della clinica e soprattutto su esami di laboratorio e soprattutto sulla biopsia del midollo osseo: gli esami ematochimici mostrano anemia normocitica, componente monoclonale nel sangue, componente monoclonale nelle urine delle 24h, ipercalcemia e aumento della β2-microglobulina sierica; l’esame del midollo osseo, esame imprescindibile per giungere alla diagnosi, mostra l’infiltrazione di plasmacellule nel midollo. Più precisamente i criteri diagnostici del mieloma multiplo sono: sintomi CRAB; picco monoclonale del siero sommato a quello delle urine >3g/dl; infiltrazione di plasmacellule nel midollo >10%. Detto ciò, possiamo definire che si parla di mieloma asintomatico quando il midollo ha un’infiltrazione di plasmacellule >10% ma <60% e/o il picco monoclonale di siero e urine è > 3g/dl ma non sono presenti sintomi CRAB.
Al contrario, la biopsia osteomidollare mostra un’infiltrazione rispettivamente di 8% e 5%, un valore al di sotto del limite minimo necessario perché si possa parlare di mieloma (risposte C e D errate). Inoltre, seppur non siano presenti sintomi CRAB, l’infiltrazione di plasmacellule del 65% è troppo elevata e non rientra nel range necessario per la diagnosi di mieloma asintomatico (risposta B errata). Infine, la presenza di sintomi CRAB esclude la diagnosi di mieloma asintomatico (risposta E errata).
 


34 di 140 Domande

Scenario ME16L: Un uomo di 69 anni giunge all'attenzione dell'ematologo per il riscontro all'elettroforesi sieroproteica di una banda omogenea in zona Beta2. L'immunofissazione sierica conferma la presenza di una componente monoclonale. Quale tra le seguenti combinazioni predice una minore sopravvivenza nei pazienti affetti da mieloma multiplo?














La risposta corretta è la D.
La stadiazione clinica del mieloma multiplo secondo lo schema di Durie e Salmon classifica il mieloma in 3 stadi secondo la gravità dell’anemia, la calcemia, l’estensione delle lesioni osteolitiche e i livelli della componente M; tuttavia, nonostante l’utilità, questo sistema non prende in considerazione fattori importanti come la β2-microglobulina. Pertanto, è stato sviluppato un nuovo Sistema di Stadiazione Internazionale (ISS) che prende in considerazione fattori aggiuntivi quali l’aumento della β2-microglobulina, il valore dell’albumina e la presenza di alterazioni cromosomiche.
L’elevata concentrazione di β2-microglobulina sierica, direttamente proporzionale alla massa tumorale, e la presenza della traslocazione cromosomica t(4; 14) sono dei fattori prognostici negativi che si associano ad una ridotta sopravvivenza nei pazienti con mieloma.

35 di 140 Domande

Scenario ER17Z: Un ragazzo di 14 anni giunge in Pronto Soccorso accompagnato dalla madre per importante addominalgia, tachipnea e compromissione del sensorio. Non vi sono segni di rigor nucale. La glicemia capillare è 405 mg/dL, corpi chetonici nelle urine; emogasanalisi: acidosi metabolica. Gli indici di flogosi sono negativi. Quale approccio terapeutico è indicato in questa circostanza?














La risposta corretta è la B.
La chetoacidosi diabetica è una complicanza acuta del diabete di tipo 1, e spesso ne rappresenta il sintomo d’esordio in una minoranza di pazienti. Si caratterizza per la presenza di iperglicemia, iperchetonemia e acidosi metabolica e si sviluppa quando i livelli di insulina sono insufficienti a soddisfare le richieste metaboliche dell'organismo, pertanto diverse sono le condizioni di stress che in un soggetto diabetico potrebbero innescare chetoacidosi: tra questi i principali sono infezioni acute, soprattutto polmoniti e infezioni urinarie, infarto del miocardio, ictus, traumi, pancreatite e farmaci come corticosteroidi e diuretici tiazidici. 
In presenza di una significativa carenza di insulina rispetto al fabbisogno, la produzione di energia non può essere assicurata dal metabolismo del glucosio motivo per cui l’organismo inizierà a metabolizzare trigliceridi e aminoacidi: a causa della lipolisi incontrollata si avrà un forte aumento dei livelli sierici di glicerolo e acidi grassi liberi, così come a seguito del catabolismo muscolare aumenteranno i livelli di alanina. Il glicerolo e l’alanina vengono utilizzati come substrati per la gluconeogenesi epatica, stimolata dall'eccesso di glucagone che stimola altresì la conversione degli acidi grassi liberi in chetoni, processo normalmente inibito dall’insulina. La chetogenesi così attivata produce acidi organici forti che provocano acidosi metabolica: acido acetoacetico e acido β-idrossibutirrico.
Il risultato della carenza insulinica non è solo l’attivazione della chetogenesi, ma anche l’aumento dei livelli sierici di glucosio; l’iperglicemia, che in queste condizioni non supera 800 mg/dl, causa una diuresi osmotica con conseguente perdita marcata di acqua ed elettroliti: mentre il sodio sierico viene perso rapidamente,  il potassio sierico inizialmente è solitamente normale, a causa della sua fuoriuscita dalle cellule in risposta all'acidosi, e solo successivamente il suo livello tenderà ad abbassarsi.
I pazienti con chetoacidosi diabetica sono, generalmente, soggetti giovani con nausea, vomito, dolori addominali, alito dall’odore fruttato per l’eliminazione di acetone con l’espirazione, ipotensione, tachicardia compensatoria, tachipnea (respiro caratteristico definito di Kussmaul) e nei casi più gravi vi può essere compromissione del sensorio. La diagnosi si basa sulla clinica e la misurazione degli elettroliti, dell’azotemia e della creatinina, del glucosio, dei chetoni, dell’osmolarità, sull’esame delle urine -che mostra chetonuria, e soprattutto sull’emogasanalisi arterioso con cui si riscontra acidosi (pH arterioso < 7,30) con gap anionico aumentato.
Il primo passo nel trattamento della chetoacidosi diabetica è l'infusione di soluzione salina isotonica, per espandere il volume extracellulare e stabilizzare l’assetto cardiovascolare, associato alla correzione del deficit di potassio sierico e alla somministrazione di insulina rapida per via endovenosa: siccome i livelli sierici di potassio tendono a scendere soprattutto durante il trattamento insulinico, in quanto l’insulina lo veicola nuovamente all'interno delle cellule, se il potassio sierico è inferiore a 3,3 mEq/l, la terapia con insulina deve essere ritardata fino a quando i livelli di questo elettrolita non siano sufficientemente alti.
 
Le risposte C, D ed E non sono corrette.
Si tratta di misure che non possono essere usate in condizioni di emergenza in quanto necessitano di tempi più lunghi per espletare la loro azione.
La risposta A non è corretta.
La terapia del coma chetoacidosico prevede necessariamente l’utilizzo di insulina.

36 di 140 Domande

Scenario ER17Z: Un ragazzo di 14 anni giunge in Pronto Soccorso accompagnato dalla madre per importante addominalgia, tachipnea e compromissione del sensorio. Non vi sono segni di rigor nucale. La glicemia capillare è 405 mg/dL, corpi chetonici nelle urine; emogasanalisi: acidosi metabolica. Gli indici di flogosi sono negativi. Si conduce una raccolta anamnestica degli ultimi giorni prima del ricovero con l'ausilio della madre. Quale dei seguenti elementi NON è tipicamente associato al quadro che si sospetta alla luce dei dati clinici e biochimici a disposizione?














La risposta corretta è la C.
I soggetti con coma chetoacidosico generalmente manifestano sintomi legati all’iperglicemia quali poliuria, polidipsia, calo ponderale e man mano che il grado e la durata dell'iperglicemia progrediscono possono svilupparsi sintomi neurologici tra cui letargia, segni focali, ottundimento; a questi si associano i sintomi propri dell’acidosi metabolica e delle anomalie elettrolitiche quali nausea, vomito, alito dall’odore fruttato e dolore addominale dovuto al rallentamento dello svuotamento gastrico. Inoltre, il paziente avrà segni associati alla disidratazione e all’ipovolemia che vanno dal ridotto turgore della cute alla tachicardia compensatoria. Caratteristico, infine, il respiro dei pazienti con chetoacidosi diabetica, definito respiro di Kussmaul: si tratta di una forma di iperventilazione compensatoria alla condizione di acidosi con cui l’organismo tenta di eliminare quantità maggiori di anidride carbonica, che si caratterizza per un’inspirazione rumorosa e profonda seguita da una breve apnea inspiratoria ed una espirazione lenta con una successiva più lunga apnea espiratoria.

37 di 140 Domande

Scenario SP18A: Un paziente di 78 anni affetto da carcinoma prostatico si presenta in Pronto Soccorso per dolore al rachide. Si riscontrano livelli di calcemia di 12.0 mg/dL (vn 8.5-10). Quale dei seguenti parametri è necessario conoscere per interpretare correttamente questo valore di calcemia?














La risposta corretta è la E.
La calcemia è la somma della quota di calcio legata all’albumina più il calcio ionizzato che ne rappresenta la forma attiva. In presenza di condizioni che favoriscono la perdita di albumina, ad esempio la sindrome nefrosica o un’enteropatia proteino-disperdente, la calcemia totale può essere normale anche se in realtà vi è un aumento del calcio ionizzato (ipercalcemia mascherata); al contrario, un incremento di albumina, ad esempio nei pazienti con grave disidratazione, può risultare in una ipercalcemia nonostante il calcio ionizzato sia normale (ipercalcemia factitia). Esiste una formula che viene comunemente usata per calcolare la calcemia in relazione all’albuminemia, cioè: calcio (mg/dl)+ 0,8 x (4,0-albuminemia).

38 di 140 Domande

L'uso di quale dei seguenti farmaci comporta un maggior rischio di ulcera gastrica?














La risposta corretta è la B.
Per ulcera peptica si intende un’erosione della mucosa gastrointestinale dovuta principalmente all’acidità del succo gastrico. Rappresenta un'importante causa di morbilità in quanto, se non trattata adeguatamente, può andare incontro a diverse complicanze tra cui sanguinamento e perforazione.
Lo sviluppo dell’ulcera peptica può essere correlato all'inefficacia dei meccanismi protettivi della mucosa gastrica: un malfunzionamento isolato nella secrezione, difesa o riparazione della mucosa è, tuttavia, una causa molto rara di ulcera. Oggigiorno, la maggior parte delle ulcere si verificano quando i normali meccanismi di difesa della mucosa gastrica vengono alterati da processi infettivi, ad esempio l'infezione da Helicobacter pylori, o a seguito della gastrolesività dei farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) come ketoprofene, ibuprofene, acido acetilsalicilico, diclofenac etc. In particolare, le ulcere correlate ai FANS sono in aumento soprattutto negli anziani, a causa dell’uso sempre più diffuso e prolungato di aspirina e FANS in generale.
Il ketoprofene è un farmaco antinfiammatorio non steroideo (FANS) con attività analgesica, antinfiammatoria e antipiretica ed una tossicità gastrointestinale maggiore rispetto agli altri FANS. È sconsigliato assumerlo con altri FANS e corticosteroidi per non amplificare gli effetti gastrolesivi e non andrebbe neanche associato ad anticoagulanti in quanto sarebbe aumentato il rischio di sanguinamento del paziente; se associato a diuretici può ridurne l’effetto, mentre se somministrato in combinazione con metotrexato e litio può aumentarne il rischio di tossicità.
 
Le risposte A e D non sono corrette.
Codeina e tramadolo sono farmaci appartenenti alla classe degli oppioidi e come tali a livello gastrointestinale causano nausea, vomito, costipazione ma senza avere effetti lesivi sulla mucosa.
La risposta C non è corretta.
Il paracetamolo è un farmaco con attività antidolorifica e antipiretica non appartenente alla classe dei FANS e non gastrolesivo. Gli effetti tossici del paracetamolo si esplicano, in caso di ingestione massiccia, a livello epatico, l’organo che metabolizza il farmaco, e a livello renale.
La risposta E non è corretta.
Il sucralfato è un composto formato da saccarosio e idrossido di alluminio che, legandosi alla mucosa gastrica, crea una barriera fisica che previene il contatto di quest’ultima con l’acido cloridrico, svolgendo, quindi, un’azione protettiva nei confronti delle ulcere peptiche, delle gastriti o delle gastropatie da FANS.

39 di 140 Domande

Il propranololo e' considerato un beta-bloccante non selettivo. Su quali recettori adrenergici agisce?














La risposta corretta è la B.
Il propanololo è un beta-bloccante non selettivo che agisce bloccando l’azione dell’adrenalina sui recettori β1 e β2 adrenergici. È assorbito rapidamente, quasi completamente e il picco dei suoi livelli plasmatici è raggiunto circa dopo 1-3 ore dall'assunzione per via orale; la gran parte del principio attivo è metabolizzata dal fegato: per aumentare la sua biodisponibiltà potrebbe essere utile somministrarlo durante o subito dopo i pasti, mentre in caso di affezioni che riducono la funzionalità epatica ci si deve aspettare una concentrazione sierica maggiore, a parità di dosaggio.
Viene utilizzato in condizioni di ipertensione arteriosa, ipertensione portale (per prevenire il sanguinamento delle varici esofagee), aritmie, tireotossicosi, tremore essenziale, glaucoma, profilassi della cefalea a grappolo, feocromocitoma, angina e infarto del miocardio.
Data la sua azione, gli effetti indesiderati sono principalmente a carico dell’apparato respiratorio e cardiocircolatorio: potrebbe causare broncospasmo, dispnea, bradicardia, ipotensione, insufficienza cardiaca, vasocostrizione periferica, trombocitopenia e potrebbe essere responsabile anche di altri effetti minori quali nausea, affaticamento o disturbi del sonno.

40 di 140 Domande

Il propranololo e' indicato nella terapia dell'ipertensione arteriosa. A quale dei seguenti farmaci NON dovrebbe mai essere associato nella terapia dell'ipertensione arteriosa a causa dei possibili effetti collaterali sulla conduzione cardiaca?














La risposta corretta è la A.
Tra le principali interazioni annoveriamo quelle con verapamil, adrenalina, FANS, beta2-agonosti selettivi, lidocaina e alcuni antibiotici come la rifampicina.
Il verapamil è un calcio-antagonista non diidropiridinico che agisce bloccando il flusso degli ioni calcio all’interno della cellula attraverso i canali L presenti sulle membrane plasmatiche; ha un effetto sulla contrattilità miocardica, sull’impulso elettrico cardiaco, con il risultato di una depressione sulla capacità contrattile del miocardio e un rallentamento della velocità di conduzione. Ha un effetto anche sulla muscolatura liscia dei vasi, agendo come un vasodilatatore.
Agendo sia il propanololo che il verapamil sulla conduzione cardiaca, la loro associazione potrebbe determinare lo sviluppo di gravi bradicardie fino a dei veri e propri blocchi della conduzione.
 
La risposta B non è corretta.
La doxazosina è un alfa-bloccante usato principalmente nell’iperplasia prostatica benigna e nella disfunzione erettile. Agisce legando i recettori α1 presenti su quasi tutta la muscolatura liscia, inducendone il rilassamento: ciò a livello della prostata e dell’uretra si traduce in un incremento della velocità del flusso urinario, che riduce i disturbi dovuti all’ostruzione; a livello sistemico, invece, causa ipotensione.
La risposta C non è corretta.
La Furosemide (Lasix) è un diuretico dell’ansa usato principalmente nel trattamento degli edemi dovuti a scompenso cardiaco e nella terapia dell’ipertensione arteriosa. Esercita la sua azione a livello del tratto ascendente dell'ansa di Henle del nefrone, inibendo il riassorbimento di sodio e cloro, consentendo un effetto diuretico massimale.
Le risposte D non è corretta.
Il Ramipril (Triatec) è un farmaco della classe degli ACE-inibitori usato principalmente nel trattamento dell’ipertensione arteriosa. Esplica la sua azione attraverso l’inibizione dell’ACE, con conseguente riduzione della sintesi dell'angiotensina II, il che riduce le resistenze vascolari periferiche con riduzione della pressione arteriosa.
Le risposte E non è corretta.
Il Valsartan è un sartano usato nel trattamento dell’ipertensione, dell’insufficienza cardiaca e nel trattamento post-infarto: si tratta di un antagonista dei recettori dell'angiotensina II che impedisce l'interazione tra quest’ultima e i suoi recettori tissutali, determinando quindi un effetto finale simile a quello degli ACE-inibitori, ma senza che l’enzima ACE venga bloccato.

41 di 140 Domande

Scenario AK19J: Una ragazza di 15 anni viene portata dai genitori dalla ginecologa per amenorrea. Presenta anche un limitato sviluppo puberale associato a bassa statura, torace a scudo e bassa attaccatura dei capelli. L'esame ecografico transvaginale mostra la presenza di banderelle fibrose al posto delle ovaie. Qual è la diagnosi più probabile?














La risposta corretta è la D.
La sindrome di Turner è una comune anomalia cromosomica causata dalla perdita di una parte o di tutto il cromosoma X.
La caratteristica saliente delle pazienti affette dalla sindrome di Turner è la bassa statura a cui si accompagnano altre anomalie fisiche, tra cui il torace "a scudo" con capezzoli ampiamente distanziati, collo corto e tozzo, deformità dell'avambraccio e del polso, difetti nello sviluppo della faccia e del sistema cardiovascolare.
Insieme al deficit della statura, una delle caratteristiche più comuni della sindrome di Turner è l'ipogonadismo primario, una delle più frequenti cause di insufficienza ovarica prematura; le pazienti sono colpite da amenorrea primaria, un alterato sviluppo delle mammelle e le ovaie sono costituite in genere da piccole quantità di tessuto connettivo senza follicoli o con pochi follicoli atresici, tanto che si parla di gonadi a striscia.
I neonati possono presentare linfedema delle mani e dei piedi, displasia delle unghie, palato stretto e un aspetto tozzo dei metacarpi o dei metatarsi mentre in età adulta si potrebbe avere perdita dell'udito, l'ipotiroidismo o alterazioni della funzione epatica. Infine, dobbiamo notare che vi può essere una maggiore predisposizione alle malattie autoimmuni, mentre dal punto di vista cognitivo generalmente non ci sono alterazioni.

42 di 140 Domande

Quale dei seguenti esami di laboratorio è più importante e specifico nel monitoraggio di una terapia con metformina, in quanto una sua alterazione significativa è un'indicazione alla sospensione di tale terapia?














La risposta corretta è la E.
La metformina è una molecola della famiglia delle biguanidi utilizzata per il trattamento del diabete di tipo 2, soprattutto nei soggetti obesi in quanto non induce aumento di peso. Il meccanismo d’azione non è ancora ben chiaro, ciò che si sa è che, al contrario delle sulfaniluree, non va a stimolare la secrezione di insulina da parte delle cellule beta del pancreas, ma si ritiene che agisca riducendo la concentrazione di glucosio ematico sia diminuendone la produzione da parte del fegato, sia riducendone l'assorbimento da parte dell'intestino e aumentandone il consumo da parte dei tessuti periferici. Una volta assunto, per via orale, il farmaco è eliminato attraverso le urine; questo significa che se il paziente presenta una compromissione renale la metformina potrebbe accumularsi e determinare acidosi lattica: sarà utile per questa ragione controllare la clearance della creatinina e il valore dell’eGFR durante il trattamento con metformina. In virtù di ciò, si considera la sospensione del farmaco se eGFR<30ml/min, mentre se ne deve ridurre la dose progressivamente per eGFR tra 30ml/min e 60ml/min.
Gli effetti collaterali sono solitamente dose-dipendente e tra i più comuni annoveriamo quelli di natura gastrointestinale come nausea, vomito, anoressia, diarrea, dolore addominale.

43 di 140 Domande

Scenario QS20R: Un uomo di 80 anni, affetto da diabete mellito tipo II e insufficienza renale cronica, giunge in Pronto Soccorso per febbre, tosse produttiva e dispnea. Un radiogramma del torace evidenzia un addensamento con carattere flogistico in campo inferiore destro. Gli esami ematochimici sono coerenti con un processo infettivo in atto. Si decide di ricoverare il paziente. Il paziente non ha eseguito ricoveri nei precedenti 3 mesi. Nel sospetto di polmonite ad acquisizione comunitaria, quale agente patogeno - tra quelli elencati - abitualmente NON è coinvolto?














La risposta corretta è la A.
La polmonite acquisita in comunità (CAP) è una delle principali cause di morbilità e mortalità in tutto il mondo il cui rischio aumenta con l'età; si può presentare con sintomi molto variabili che vanno da una forma lieve, con febbre e tosse produttiva, a forma grave, con difficoltà respiratoria fino alla sepsi. 
I microrganismi che più comunemente possono essere causa di polmonite comunitaria sono distinti in:
1.       Batteri tipici: S. pneumoniae (causa batterica più comune), Haemophilus influenzae, Moraxella catarrhalis, Staphylococcus aureus, Batteri gram-negativi aerobici
2.       Batteri atipici: Legionella spp, Mycoplasma pneumoniae, Chlamydia pneumoniae, Chlamydia psittaci, Coxiella burnetii,
3.        Virus respiratori: Virus dell'influenza A e B, Rhinoviruses, Virus parainfluenzali, Adenoviruses, Virus respiratorio sinciziale
Pseudomonas aeruginosa è un batterio ubiquitario, considerato un patogeno opportunista per l’uomo, in grado di causare infezioni in qualsiasi distretto corporeo, ma in pazienti defedati, con dispositivi di ventilazione meccanica o con particolari comorbilità (ad esempio fibrosi cistica, traumatizzati, ustionati, dializzati, diabetici o tossicodipendenti). A livello polmonare può determinare da quadri lievi assimilabili a tracheobronchiti benigne fino a polmoniti bilaterali con microascessi e necrosi del tessuto polmonare. 

44 di 140 Domande

Nell'ambito dei precursori del carcinoma invasivo dell'esocervice uterina, a cosa corrisponde "moderato grado di displasia"?














La risposta corretta è la E.
La condizione pre-maligna del cancro dell’esocervice viene definita CIN (neoplasia intraepiteliale cervicale); nell'ambito dei precursori del carcinoma invasivo dell'esocervice uterina, il grado di displasia moderato è il CIN 2. Infatti, si distinguono 3 gradi di CIN:
- CIN 1, che corrisponde alla displasia di basso grado;
- CIN 2, che corrisponde alla displasia di grado moderato;
- CIN 3, che corrisponde alla displasia di grado severo.
Nelle donne con una neoplasia intraepiteliale è necessario prevenire la progressione verso il cancro invasivo, evitando tuttavia il sovra-trattamento delle lesioni che potrebbero regredire; nel caso di CIN 2 e 3 i pilastri del trattamento sono l'escissione e l'ablazione della lesione, mentre nel caso di CIN 1 è necessario effettuare uno stretto follow-up (risposte A, B, C e D errate).

45 di 140 Domande

Scenario KO21S: Una giovane coppia si presenta all'osservazione del ginecologo perché non riesce ad avere figli. Quando si può definire una situazione di infertilità?














La risposta corretta è la E.
Si definisce infertilità la condizione in cui una coppia, per cause relative all'uomo o alla donna, non riesce ad avere una gravidanza dopo un anno di rapporti costanti e non protetti; non si tratta di una condizione permanente, ma di una situazione potenzialmente risolvibile legata a degli interferenti.
Si parla, invece, di sterilità quando in una coppia vi è impossibilità nel concepimento a causa di una patologia a carattere permanente che coinvolge uno od entrambi i coniugi.

46 di 140 Domande

Scenario KO21S: Una giovane coppia si presenta all'osservazione del ginecologo perché non riesce ad avere figli. Il primo livello diagnostico dovrebbe prevedere:














La risposta corretta è la E.
In una giovane coppia che si presenta all'osservazione del ginecologo perché non riesce ad avere figli, il primo livello diagnostico dovrebbe prevedere indagini per lo studio di una eziologia endocrino-metabolica e anatomica della donna e spermiogramma del partner. La coppia può avere più fattori che contribuiscono all’infertilità, pertanto, inizialmente deve essere eseguita una valutazione completa comprendente un’accurata anamnesi ed un esame obiettivo completo. In quest’ottica, sarà necessario valutare entrambi i partner contemporaneamente; in prima istanza si effettua l’analisi dello sperma, l’anamnesi mestruale, la valutazione del LH prima dell'ovulazione e/o del progesterone (per valutare la funzione ovulatoria) e un’ecografia pelvica, per determinare la presenza di eventuali patologie interferenti con un’eventuale gravidanza. Qualora tali esami risultassero negativi, sarà necessario procedere nell’iter diagnostico con ulteriori indagini tra cui: l’isterosalpingografia per la valutazione della pervietà tubarica, la valutazione dell’FSH, usato come marker di riserva ovarica, il dosaggio di estradiolo, dell’ormone anti-Mülleriano, il conteggio dei follicoli antrali, fino alla laparoscopia per identificare endometriosi o altre patologie pelviche (risposte A, B, C e D errate).

47 di 140 Domande

Scenario AQ22W: A una donna di 32 anni, primipara, con anamnesi precedente alla gravidanza negativa, viene posta diagnosi di ipertensione gestazionale di grado moderato. La paziente viene messa al corrente dei possibili rischi legati a tale patologia, tra cui rientrano tutti i seguenti TRANNE uno. Quale?















La risposta corretta è la E.
Ipertensione gestazionale, preeclampsia ed eclampsia sono disturbi ipertensivi indotti dalla gravidanza.
Si definisce ipertensione gestazionale una condizione clinica definita dalla nuova insorgenza di ipertensione (pressione sistolica ≥140 mmHg e/o pressione diastolica ≥90 mmHg) in una donna che si trova oltre la ventesima settimane di gestazione, in assenza di proteinuria o segni di disfunzione d’organo. Si definisce grave quando la pressione sistolica è ≥ 160 mmHg e/o quella diastolica ≥110 mmHg. La maggior parte delle donne con ipertensione gestazionale diventa normotesa entro la prima settimana dopo il parto: se la pressione arteriosa torna normale entro 12 settimane dopo il parto si parla di ipertensione transitoria della gravidanza, al contrario, qualora ciò non accadesse si parlerebbe di ipertensione cronica.
Tra i rischi associati all’ipertensione gestazionale vi sono sia quelli a carico della gestante che del feto: tra i primi vi è l’aggravamento dell’ipertensione fino alla preeclampsia e lo sviluppo di ipertensione con associate le malattie correlate all’ipertensione stessa quali malattie cardiovascolari, iperlipidemia, malattia renale cronica o diabete mellito; tra i secondi vi è il rischio di distacco intempestivo della placenta, prematurità e sofferenza fetale, tanto che in queste donne viene raccomandato il parto  tra la 38esima e la 39esima settimana.
Per polidramnios si intende un volume eccessivo di liquido amniotico associato ad un aumentato rischio di vari esiti avversi della gravidanza tra cui nascita pretermine, distacco della placenta e anomalie fetali.
Il volume del liquido amniotico riflette l'equilibrio tra la produzione di fluidi e il movimento del fluido fuori dal sacco amniotico: qualsiasi condizione che comporti anche un aumento relativamente minore nella produzione quotidiana di urina fetale o una diminuzione della deglutizione fetale può determinare un marcato aumento del volume del liquido amniotico.
Il polidramnios può essere idiopatico o associato a una varietà di disturbi del feto, o della madre, tra cui:
·         Anomalie cromosomiche fetali;
·         Sindrome da trasfusione feto-fetale;
·         Alterazioni ematologiche come l’anemia fetale;
·         Diabete mellito materno;
·         Infezioni nel feto.
Tuttavia dobbiamo osservare che la causa più comune di polidramnios severo è rappresentata da anomalie fetali, spesso associate ad una sindrome genetica sottostante, mentre il diabete materno, la gestazione multipla e i fattori idiopatici sono più spesso associati a casi lievi.


48 di 140 Domande

Scenario AQ22W: A una donna di 32 anni, primipara, con anamnesi precedente alla gravidanza negativa, viene posta diagnosi di ipertensione gestazionale di grado moderato. La paziente contatta il proprio ginecologo, riferendo di avere entrambe le gambe gonfie, senza tuttavia gonfiore in altre sedi. Sulla base di quanto ha raccontato al telefono si consiglia di:














La risposta corretta è la B.
Sulla base dei reperti clinico-anamnestici del caso clinico, si deve consigliare alla paziente di rivolgersi ad un pronto soccorso ostetrico per escludere una manifestazione iniziale di pre-eclampsia. Le linee guida concordano sul fatto che la diagnosi di pre-eclampsia dovrebbe essere posta in una donna precedentemente normotesa con nuova insorgenza di ipertensione (pressione sistolica ≥ 140 mmHg e/o pressione diastolica ≥ 90 mmHg in due occasioni distanti almeno quattro ore) e proteinuria dopo la ventesima settimana di gestazione; in assenza di proteinuria, però, la diagnosi può essere posta se l'ipertensione di nuova insorgenza è accompagnata da segni o sintomi di disfunzione d’organo significativa (trombocitopenia, alterazione della funzionalità epatica, insufficienza renale, edema polmonare, disturbi cerebrali o visivi di nuova insorgenza). Se non trattata adeguatamente, la pre-eclampsia può degenerare rapidamente e improvvisamente verso l'eclampsia (risposte A, C, D ed E errate).

49 di 140 Domande

Scenario AQ22W: A una donna di 32 anni, primipara, con anamnesi precedente alla gravidanza negativa, viene posta diagnosi di ipertensione gestazionale di grado moderato. La paziente contatta telefonicamente il proprio ginecologo, lamentando dolore addominale dopo aver ingerito cibo avariato. Viene quindi invitata a rivolgersi al più vicino Pronto Soccorso poiché, in considerazione della patologia di base, tale sintomo potrebbe porre in diagnosi differenziale le seguenti patologie:














La risposta corretta è la D
Sulla base delle informazioni clinico-anamnestiche del caso clinico, nell’ambito delle diagnosi differenziali bisogna considerare l’HELLP (ipertensione, enzimi epatici elevati e ipopiastrinemia), la preeclampsia e l’eclampsia. Le linee guida concordano sul fatto che la diagnosi di pre-eclampsia dovrebbe essere posta in una donna precedentemente normotesa con nuova insorgenza di ipertensione (pressione sistolica ≥ 140 mmHg e/o pressione diastolica ≥ 90 mmHg in due occasioni distanti almeno quattro ore) e proteinuria dopo la ventesima settimana di gestazione; in assenza di proteinuria, però, la diagnosi può essere posta se l'ipertensione di nuova insorgenza è accompagnata da segni o sintomi di disfunzione d’organo significativa (trombocitopenia, alterazione della funzionalità epatica, insufficienza renale, edema polmonare, disturbi cerebrali o visivi di nuova insorgenza). In aggiunta, nel 10-20% dei casi si sviluppa anche la sindrome HELLP (hemolysis, elevated liver function tests and low platelets). Se non trattata adeguatamente, la pre-eclampsia può degenerare rapidamente e improvvisamente verso l'eclampsia, una condizione clinica caratterizzata da crisi convulsive tonico-cloniche generalizzate. Al contrario, il distacco della placenta, una patologia causa di emorragie in gravidanza, può essere parziale o completa e si verifica solitamente oltre la ventesima settimana di gestazione. Determina solitamente dolore addominale, associato a sanguinamento vaginale, contrazioni uterine ipertoniche, dolorabilità uterina, pattern di frequenza cardiaca fetale non rassicurante, parto pretermine e a volte morte fetale (risposta B errata). In contrapposizione, le infezioni del tratto urinario (UTI) comprendono la cistite e la pielonefrite (infezione del tratto urinario superiore), ma non sono compatibili con tale quadro clinico (risposta D errata). Invece, il diabete gestazionale può svilupparsi in donne in sovrappeso, iper-insulinemiche, insulino-resistenti o in donne magre, relativamente insulino-deficitarie. Il diabete gestazionale si verifica almeno nel 5% di tutte le gravidanze e aumenta la morbilità e la mortalità materna e fetale. Può determinare diverse complicanze: malformazioni congenite, aborto spontaneo, macrosomia fetale, polidramnios, pre-eclampsia, parto di feto nato morto, distocia di spalla (risposta E errata).

50 di 140 Domande

Scenario NH23T: Una paziente di 42 anni, terzigravida-para 0, è molto spaventata perché all'ecografia di screening a 32 settimane è stato riscontrato un eccesso di liquido amniotico. La paziente viene informata che tale condizione non è molto comune e che:














La risposta corretta è la A.
In presenza di una ecografia di screening a 32 settimane di gestazione con riscontro di eccessivo liquido amniotico è necessario informare la gestante che tale condizione non è molto comune e che sarà necessario eseguire un'ecografia di secondo livello presso un centro di diagnosi prenatale. In particolare, il polidramnios, una patologia caratterizzata da un eccessivo volume di liquido amniotico, è associato ad un aumentato rischio di nascita pretermine, distacco della placenta e anomalie fetali. La diagnosi si basa sulla visualizzazione ecografica dell'aumento del volume del liquido amniotico (AFV), con un indice del liquido amniotico (AFI) ≥ 24 cm (risposte B, C, D ed E errate).

51 di 140 Domande

Che caratteristiche possiede il vaccino anti morbillo?














La risposta corretta è la C.
Il vaccino anti morbillo è costituito da un ceppo vivo attenuato di virus del morbillo utilizzato per indurre immunità attiva contro quest’ultimo: stimola la risposta immunitaria adattativa e fornisce protezione a lungo termine contro la malattia.
 
La risposta A non è corretta.
Il vaccino contro il morbillo oggi viene somministrato in formulazione bivalente con quello per la parotite o in formulazione trivalente con quello della parotite e della rosolia (MPR).
Il vaccino per la pertosse è costituito da ceppi di Bordetella pertussis inattivati, utilizzato per l'immunizzazione attiva nei confronti della pertosse, un’infezione particolarmente pericolosa durante l’infanzia; per tale ragione la vaccinazione dovrebbe essere effettuata intorno al secondo mese dopo il parto e generalmente viene somministrato insieme al vaccino della difterite e del tetano, noto come trivalente DTP.
Il vaccino contro il rotavirus è formato da componenti vive attenuate ed indicato per la protezione dai principali ceppi di rotavirus; viene somministrato per via orale generalmente intorno al secondo mese di vita.
La risposta B non è corretta.
L’immunizzazione è una delle misure di prevenzione più efficaci che ha permesso di ridurre il numero di casi della maggior parte delle malattie prevenibili di oltre il 90%. L’iniezione di un vaccino consente di creare uno stato immunitario nei confronti di una o più malattie, permettendo al sistema immunitario di rispondere adeguatamente nei confronti di uno specifico agente patogeno. Alcuni vaccini sono obbligatori mentre altri sono facoltativi, tuttavia, secondo l’OMS affinché un vaccino consenta l’eliminazione del virus è necessaria una copertura vaccinale >90%.

52 di 140 Domande

Scenario 24: In uno studio caso-controllo per comprendere l'eziologia del cancro dell'esofago, 870 casi e 902 controlli sono stati indagati per quanto concerne il consumo abituale di superalcolici. L'associazione tra la malattia e il fattore di rischio può essere quantificata calcolando:

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La risposta corretta è la B.
Uno studio caso-controllo è uno studio retrospettivo, che cioè parte dall’analisi dell’evento e provvede a raccogliere diverse informazioni utili dal passato.
In questo tipo di studi non si riesce a valutare la proporzione della popolazione che è stata esposta al fattore di rischio e quindi se ha sviluppato o meno la malattia in esame: perciò il rischio relativo e l'incidenza della malattia non possono essere calcolati. Tuttavia, il rapporto di probabilità fornisce una stima ragionevole del rischio relativo: si definisce odds ratio (OR) e si calcola come rapporto tra la probabilità che un individuo con una condizione specifica sia stato esposto a un fattore di rischio e la probabilità che un controllo sano sia stato esposto allo stesso fattore di rischio. Se il valore dell'OR è uguale a 1 significa che il fattore di rischio è ininfluente sulla comparsa della malattia, se OR> 1 il fattore di rischio può essere implicato nella comparsa della malattia e se OR< 1 il fattore esaminato, considerato fattore di rischio, in realtà è un fattore protettivo nei confronti della malattia in esame.

Al contraio, il rischio relativo è la probabilità che un soggetto appartenente al gruppo degli esposti sviluppi la malattia, rispetto alla probabilità che la stessa malattia venga contratta da un soggetto appartenente al gruppo dei non esposti; si calcola dividendo l'incidenza degli individui esposti per l'incidenza degli individui non esposti.
Si utilizza come misurazione in studi in cui è nota la percentuale di pazienti esposti e non esposti a un rischio, come uno studio di coorte, cioè uno studio prospettico (risposta A errata). Invece, il rischio attribuibile è un indice di associazione usato negli studi prospettici che esprime il numero di casi di malattia che si possono attribuire all'esposizione ad un dato fattore di rischio, definendo, praticamente i casi eliminabili con la rimozione del fattore di rischio stesso (risposte C e D errata).

53 di 140 Domande

Scenario 24: In uno studio caso-controllo per comprendere l'eziologia del cancro dell'esofago, 870 casi e 902 controlli sono stati indagati per quanto concerne il consumo abituale di superalcolici. E' generalmente indicato tra i vantaggi degli studi caso-controllo:

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La risposta corretta è la A.
Gli studi caso-controllo sono studi retrospettivi con il pregio di essere rapidi, poco costosi e particolarmente adatti a studiare patologie rare ad eziologia sconosciuta, che consentono di confrontare pazienti malati (casi) con pazienti sani (controlli), tutti esposti ad uno stesso fattore di rischio.

54 di 140 Domande

Scenario XD5A: Una ragazza di 15 anni si presenta in Pronto Soccorso perché da un'ora ha difficoltà respiratoria, frequenza respiratoria 35 atti/min e all'auscultazione apprezzate fischi e sibili. In considerazione del quadro clinico, si chiede che vengano eseguiti prioritariamente:














La risposta corretta è la E.
I segni e i sintomi classici dell'asma sono dispnea intermittente, tosse e respiro sibilante; tuttavia non sono sintomi specifici, rendendo talvolta difficile la diagnosi differenziale con altre malattie respiratorie.
La diagnosi definitiva di asma richiede un’accurata anamnesi, una clinica coerente con il disturbo stesso e la dimostrazione di un’ostruzione del flusso aereo espiratorio. Gli strumenti utilizzati nella diagnosi di asma includono quindi anamnesi, esame obiettivo, test di funzionalità polmonare ma, innanzitutto, sarà necessario eseguire una Rx torace ed un’emogasanalisi arteriosa. L’RX torace solitamente è normale nei pazienti con asma e, in acuto, viene effettuata più che altro per escludere diagnosi alternative che possono simulare l'asma; l’emogasanalisi, invece, consente di determinare il grado dell’ostruzione bronchiale sulla base dei valori di pH, pO2 e pCO2.
​​​​​​​La risposta C non è corretta.
La TC torace non viene utilizzata di routine per la diagnosi di asma, in acuto potrebbe servire nel sospetto di condizioni morbose gravi alla base della dispnea, come l’embolia polmonare; tuttavia, si potrebbe far ricorso a questa metodica di imaging  nel caso si osservino anomalie sulla radiografia del torace convenzionale che necessitano di chiarimenti o quando si sospettano altri processi morbosi come bronchiectasie, bronchiolite obliterante, tracheomalacia o anomalie vascolari che compromettono le vie aeree centrali.
La risposta D non è corretta.
I test di funzionalità polmonare sono strumenti critici nella diagnosi di asma da utilizzare in elezione e non durante un attacco acuto per la possibilità di aggravare il broncospasmo.
La spirometria, in cui un'inalazione massimale è seguita da un'espirazione completa rapida e potente in uno spirometro, include la misurazione del volume espiratorio forzato in un secondo (FEV 1) e la capacità vitale forzata (FVC); il modello ostruttivo viene identificato numericamente mediante una riduzione del rapporto tra FEV 1 e FVC: quando FEV 1/FVC è ridotto al di sotto del 70%, è presente l'ostruzione espiratoria. A questo punto sarà possibile valutare la gravità dell'ostruzione del flusso aereo in base al grado di riduzione del FEV 1 al di sotto della norma. 
Un altro test usato è quello di reversibilità, effettuato con l’uso di un broncodilatatore; viene effettuata una spirometria in condizioni basali, utilizzato poi il broncodilatatore, di solito salbutamolo, e successivamente ripetuta la spirometria: un aumento del FEV1> 12% accompagnato da un aumento assoluto FEV1 di almeno 200 ml, può essere attribuito al broncodilatatore con una quasi totale certezza.
I  test allergologici non sono utili per la diagnosi di asma, ma possono essere utili per confermare la sensibilità a sospetti trigger allergici e per guidare la gestione continua del paziente; oltre alla conta degli eosinofili nel sangue periferico, i test principali per l'allergia sono il dosaggio del livello totale di immunoglobuline E (IgE) e i test per la sensibilizzazione allergica specifica, che includono esami del sangue per specifici anticorpi IgE agli allergeni inalanti e test cutanei con estratti di allergeni inalanti.

55 di 140 Domande

Scenario FV25A: In una fonderia viene diagnosticato un caso di Legionellosi in un operaio. Si segnala che: le vasche di raffreddamento dei metalli hanno una temperatura controllata pari a 60 °C; gli operai utilizzano la mensa comune per il pasto; utilizzano bagni e docce all'interno dell'azienda; nelle vicinanze della fabbrica non ci sono scavi o lavori edilizi. In base ai dati a disposizione, qual è considerata la sorgente più probabile di infezione?















La risposta corretta è la D.
I batteri della legionella sono patogeni aerobici, gram-negativi, intracellulari importanti cause di polmonite acquisita in comunità e nosocomiale.
L. pneumophila, e la maggior parte delle altre specie di legionella, risiedono principalmente in corpi idrici, come laghi, corsi d'acqua e riserve artificiali d'acqua. All'interno di questo ambiente i batteri possono vivere nei biofilm o come parassiti intracellulari all'interno dei protozoi; la replicazione all'interno di questi ultimi li protegge dai cambiamenti di temperatura, di pH e dagli ambienti poveri di nutrienti. Inoltre, la crescita in acqua è promossa dalle calde temperature, da 25 a 42 °C. I batteri della legionella sono tipicamente trasmessi agli esseri umani attraverso l'inalazione di aerosol derivati ​​da acqua o suolo; la dose infettiva per l'uomo non è stata quantificata con precisione ma è probabilmente alta, richiedendo più di 1000 microrganismi per causare l'infezione.
La polmonite è la manifestazione più comunemente descritta ed è chiamata malattia del legionario; tuttavia il batterio può anche causare una malattia febbrile acuta autolimitante, chiamata febbre di Pontiac, e raramente causa infezioni extra-polmonari come cellulite, ascessi, endocardite o meningite.
La polmonite causata da Legionella è clinicamente e radiograficamente simile ad altre forme di polmonite, i sintomi predominanti includono febbre, tosse e mancanza di respiro e sebbene nessun aspetto clinico distingua in modo affidabile la malattia del legionario da altri tipi di polmonite, alcune caratteristiche possono sollevare il sospetto clinico tra cui sintomi gastrointestinali come nausea, vomito, diarrea, aumento delle transaminasi epatiche e mancata risposta al trattamento per polmonite con monoterapia con beta-lattamico.
Posto il sospetto clinico in base ai dati epidemiologici e clinici, la diagnosi di certezza prevede la ricerca del batterio con PCR su un campione del tratto respiratorio inferiore e se la PCR non è disponibile, o se l'espettorato non può essere ottenuto, può essere effettuato il test dell'antigene urinario.
 
 


56 di 140 Domande

Scenario PR26S: Un uomo di 63 anni, noto per cirrosi epatica alcolica, si presenta in Pronto Soccorso per distensione addominale e febbre. La T.C. è 38.2 °C. L'addome è trattabile ma diffusamente dolorabile alla palpazione superficiale. Viene posto il sospetto di peritonite batterica spontanea. Quale dei seguenti batteri è più frequentemente responsabile di tale complicanza?














La risposta corretta è la A.
La peritonite batterica spontanea (SBP), un'infezione del fluido ascitico senza una causa evidente (come ad esempio, un’evidente fonte chirurgicamente infetta intra-addominale), è un disturbo comunemente dovuto ad Escherichia Coli. Altri batteri coinvolti sono la Klebsiella pneumoniae e altri Gram positivi, come lo Streptococcus pneumoniae (risposte B, C, D ed E errate). Può provocare gravi sequele o il decesso. La diagnosi è stabilita da una coltura batterica positiva del liquido ascitico, con un conteggio elevato di leucociti polimorfonucleati (PMN ≥ 250 cellule/mm3) e l'esclusione di cause secondarie di peritonite batterica. Un conteggio assoluto elevato di PMN nel fluido ascitico è adeguato ad effettuare una diagnosi presuntiva e iniziare la terapia empirica, anche se molto spesso la paracentesi viene eseguita dopo l'avvio di antibiotici con conseguenti colture batteriche negative.

57 di 140 Domande

Scenario KI27A: Un uomo di 57 anni si presenta in Pronto Soccorso lamentando dolore epigastrico, irradiato a cintura alla schiena, insorto improvvisamente, intenso e continuo. All'esame obiettivo egli si presenta sofferente; non si rilevano segni di peritonite né di perforazione intestinale. Agli esami ematochimici si osserva incremento dell'amilasemia (1.400 UI/L, valori normali: 20-100 UI/L). Nel contesto di un approccio diagnostico, quale delle seguenti affermazioni è corretta in riferimento al quadro clinico?














La risposta corretta è la B.
Sulla base dei dati clinico-anamnestici, per il paziente del caso clinico è possibile formulare la diagnosi di pancreatite acuta, un processo infiammatorio acuto del pancreas causato da calcoli e dall'alcolismo in più del 70% dei casi. In dettaglio, la diagnosi di pancreatite acuta deve essere sospettata in un paziente con esordio acuto di un dolore persistente, grave, epigastrico e richiede la presenza di 2 dei 3 criteri seguenti:
- esordio acuto di dolore persistente, grave, epigastrico che spesso si irradia verso la parte posteriore;
- lipasi sierica o amilasi tre volte o più del limite superiore della norma;
- reperti caratteristici di pancreatite acuta all’imaging con TC, RM o ecografia transaddominale.
Invece, nei pazienti con dolore addominale non caratteristico di pancreatite acuta o senza aumento significativo dei livelli sierici di amilasi o lipasi, o nei quali la diagnosi è incerta, l’esecuzione della TC addominale con m.d.c. permette di escludere altre cause di addome acuto; infine, nei pazienti con grave allergia al contrasto o insufficienza renale, in cui la TC con m.d.c. non può essere effettuata, è possibile effettuare la RM (risposte A, C, D ed E errate).

58 di 140 Domande

Scenario KI28S: Un uomo di 63 anni affetto da cirrosi epatica alcolica con ascite, viene sottoposto a valutazione della prognosi della malattia con punteggio di Child-Pugh. Oltre alla presenza e al grado di ascite, tutti i seguenti sono parametri da considerare nel calcolo dello score di Child-Pugh, TRANNE uno; quale?














La risposta corretta è la A.
La presenza e il grado di varici esofagee non rientra nella classificazione di Child-Pugh, un sistema di classificazione che consente di valutare la gravità della cirrosi epatica e la necessità del paziente di trapianto epatico. In dettaglio, essa valuta 5 parametri:

​​​​​​​In base al punteggio, si possono identificare 3 stadi, che dal più lieve al più grave sono Child-Pugh A, Child-Pugh B e Child-Pugh C (risposte B, C, D ed E errate).

59 di 140 Domande

Scenario DW29O: Un ragazzo di 26 anni giunge in Pronto Soccorso lamentando dispnea insorta a breve distanza da un improvviso dolore all'emitorace di sinistra. EO: PA 110/60 mmHg, FC 96/min ritmico, SpO 88% in aria ambiente; MV assente in campo superiore sinistro; temperatura corporea 36.7 °C. Quale dei seguenti è l'evento che più probabilmente si è verificato in questo paziente?














La risposta corretta è la D.
Uno pneumotorace spontaneo primario è uno pneumotorace che si verifica senza un evento precipitante in un soggetto a che non ha malattie polmonari note anche se, nella maggior parte dei casi, vi è una malattia polmonare non riconosciuta e lo pneumotorace deriva dalla rottura di blebs subpleuriche. I pazienti sono in genere soggetti giovani, alti e magri di età compresa tra i 20 e i 40 anni, che sviluppano sintomi a riposo. Essi di solito lamentano l'improvvisa insorgenza di dispnea e dolore toracico pleurico con una gravità variabile in base al volume di aria nello spazio pleurico.
I reperti fisici caratteristici quando è presente un grande pneumotorace includono diminuzione dell'escursione toracica sul lato interessato, riduzione dei suoni respiratori, percussione iperfonetica; può essere presente enfisema sottocutaneo.
 
La risposta A non è corretta.
Il chilotorace è la presenza di chilo nello spazio pleurico che quando non trattato è associato ad alta morbilità e mortalità.
La maggior parte dei pazienti con chilotorace si presenta con dispnea, indotta dagli effetti meccanici del versamento pleurico; ulteriori sintomi includono sensazione di pesantezza al petto, affaticamento e perdita di peso. La febbre e il dolore al petto sono rari perché il chilo all'interno dello spazio pleurico non evoca una risposta infiammatoria e raramente si infetta. L'esordio è graduale in pazienti con chilotorace non traumatico mentre l'inizio di un chilotorace post-traumatico o post-chirurgico può essere immediato se il volume del chilo è massivo o si verifica entro pochi giorni dopo evento traumatico per quantità di chilo minori.
La risposta B non è corretta.
L’infarto polmonare è una frequente complicanza dell’embolia polmonare che si presenta con un improvviso e violento dolore toracico trafittivo che si accentua con gli atti del respiro e con la tosse (dolore di tipo pleurico) associato a dispnea, tachipnea, cianosi, tosse ed emottisi, emoftoe e febbre. Dal punto di vista obiettivo, invece, si riscontra tachicardia, tachipnea, la febbre, l’edema, la dolorabilità degli arti inferiori, la cianosi e gli sfregamenti pleurici.
La risposta C non è corretta.
L’infarto del miocardio acuto è una condizione patologica caratterizzata da necrosi miocardica a seguito dell’ostruzione acuta di un'arteria coronaria.
Dal punto di vista clinico si caratterizza per dolore toracico con o senza dispnea associato a nausea e malessere generale e la sua diagnosi si basa sull'ECG e sulla presenza o assenza di marker sierologici specifici di danno miocardico.
La risposta E non è corretta.
Per emotorace si intende l'accumulo di sangue nella cavità pleurica causato dalla lacerazione del polmone, dei vasi intercostali, o di un'arteria mammaria interna; più spesso è secondario ad un trauma penetrante o contusivo e frequentemente si accompagna a pneumotorace. In base alla quantità di sangue che si accumula nella cavità pleurica i pazienti possono essere asintomatici o presentare dispnea, suoni respiratori diminuiti e ottusità alla percussione; nei casi più gravi potrebbe manifestarsi con shock emorragico.
 

60 di 140 Domande

Scenario DW29O: Un ragazzo di 26 anni giunge in Pronto Soccorso lamentando dispnea insorta a breve distanza da un improvviso dolore all'emitorace di sinistra. EO: PA 110/60 mmHg, FC 96/min ritmico, SpO 88% in aria ambiente; MV assente in campo superiore sinistro; temperatura corporea 36.7 °C. Quale esame diagnostico è opportuno scegliere come primo approccio?














La risposta corretta è la D.
La diagnosi di pneumotorace spontaneo primario viene stabilita tramite l’RX torace, esame di prima istanza, che permette di osservare un’area radiotrasparente, per la presenza di aria e nel caso di pneumotorace di grosse dimensioni è possibile osservare anche la deviazione tracheale e lo spostamento del mediastino.
 
La risposta B non è corretta.
La scansione TC generalmente non viene eseguita, nonostante fornisca una valutazione eccellente dello pneumotorace, dati i costi elevati; si usa nel momento in cui si riscontrino anormalità sulla radiografia del torace o si sospetti una malattia polmonare sottostante.
Le risposte A ad E non sono corrette.
L' ecocardiografia transtoracica è la modalità di imaging non invasiva primaria per la valutazione quantitativa e qualitativa dell'anatomia e della funzionalità cardiaca. Il dosaggio delle troponine viene effettuato di routine nell’iter diagnostico di infarto del miocardio.

61 di 140 Domande

Scenario AT29K: Un ragazzo di 26 anni giunge in Pronto Soccorso lamentando dispnea insorta a breve distanza da un improvviso dolore all'emitorace di sinistra. EO: PA 110/60 mmHg, FC 96/min ritmico, SpO 88% in aria ambiente; MV assente in campo superiore sinistro; temperatura corporea 36.7 °C. Quale dei seguenti e' un noto fattore di rischio per lo sviluppo dell'evento che più probabilmente si è verificato in questo paziente?














La risposta corretta è la D.
I fattori che sono stati proposti per predisporre i pazienti allo pneumotorace spontaneo primario includono il fumo, la storia familiare, la sindrome di Marfan, l'omocistinuria e l'endometriosi toracica.
Il fumo di sigaretta è il più importante fattore di rischio per pneumotorace spontaneo primario, probabilmente a causa dell'infiammazione delle vie aeree che determina: i pazienti con bronchioliti sembrano avere il rischio di sviluppare pneumotorace 7 volte maggiore rispetto ai soggetti sani. In dettaglio, la risposta infiammatoria innescata dal fumo di sigaretta porta all’attivazione di neutrofili che distruggono i setti alveolari, ciò porterà allo sviluppo di un enfisema centro-acinare che, a sua volta, porta alla formazione delle blebs subpleuriche. 

62 di 140 Domande

Qual e' la piu' comune causa di tachicardia parossistica sopraventricolare (TPSV)?















La risposta corretta è la D.
La tachicardia parossistica sopraventricolare è un’aritmia caratterizzata da una frequenza cardiaca superiore ai 200 bpm.
Clinicamente si manifesta con palpitazioni, dispnea, vertigini, dolore toracico, malessere generale che molto spesso insorgono durante l’attività fisica.
Dal punto di vista patogenetico la causa più frequente è una tachicardia da rientro nodale. La tachicardia da rientro nodale è una tachicardia sopraventricolare, regolare, risultante dalla formazione di un circuito di rientro limitato al nodo AV e al tessuto atriale perinodale. A causa della sua insorgenza e cessazione improvvisa viene classificata come un’aritmia parossistica. Come con la maggior parte delle tachicardie sopraventricolari il complesso QRS è solitamente stretto ≤120 msec, il che riflette la normale attivazione ventricolare attraverso il sistema di Purkinje.
 
Le risposte A e B non sono corrette.
Il flutter atriale è un ritmo cardiaco anormale caratterizzato da depolarizzazioni atriali rapide e regolari con una frequenza caratteristica di circa 300 bpm e una frequenza ventricolare di circa 150 bpm. 
Può portare a sintomi di palpitazioni, mancanza di respiro, stanchezza o vertigini, nonché un aumento del rischio di formazione di trombi atriali che possono causare embolizzazione cerebrale o sistemica. 
La designazione del flutter atriale tipico coinvolge un circuito macrorientrante che attraversa l'istmo cavo-tricuspide, cioè la regione dell’atrio destro che si trova tra l'orifizio della vena cava inferiore e l'anello della valvola tricuspide; se non si sospetta che l'istmo cavotricuspidico sia coinvolto nel meccanismo sottostante, allora si parla di flutter atriale atipico che può interessare qualsiasi regione dell'atrio destro o sinistro, attorno a aree di tessuto cicatriziale dovute a malattie cardiache intrinseche o dovute a precedenti chirurgie.
La risposta C non è corretta.
La sindrome di Wolff-Parkinson-White è una condizione clinica in cui il paziente presenta sia sintomi di pre-eccitazione che un ECG caratterizzato da aritmie sintomatiche che coinvolgono la via accessoria. La conduzione anterograda attraverso il percorso accessorio determina una pre-eccitazione di parte dei ventricoli. Il modello elettrocardiografico classico nel modello e nella sindrome di WPW ha due caratteristiche principali: un intervallo PR abbreviato e un complesso QRS allargato a causa della presenza di un'onda delta. 
La risposta E non è corretta.
La tachicardia da rientro atrio-ventricolare rappresenta una minoranza delle tachicardie parossistiche sopraventricolari. Si manifesta con una clinica molto variabile rappresentata da cardiopalmo ad insorgenza ed interruzione improvvise ed in rari casi sincope. Si tratta di un’aritmia in cui il circuito da rientro si realizza attraverso una via accessoria. All’ECG si presenta con un complesso QRS stretto e un intervallo PR relativamente lungo con un’onda P retrograda, in genere visibile, a differenza della tachicardia da rientro nodale in cui la P non è visibile in quanto si trova nel complesso QRS perché atrio e ventricolo sono attivati contemporaneamente.

63 di 140 Domande

Scenario AA30X: Un uomo, 48 anni, fumatore, iperteso in terapia con ACE inibitore. Lamenta dolore epigastrico da circa 6h. Vengono rilevati i seguenti parametri P.A. 90/50 mmHg, FC 57/min, satO2 99% e viene eseguito un ECG come mostrato in figura. Mentre si allerta la sala di emodinamica, è opportuno iniziare la somministrazione di:

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La risposta corretta è la B.
Siccome il paziente del caso clinico presenta STEMI inferiore, è opportuno iniziare la somministrazione di Ticagrelor, mentre si allerta la sala di emodinamica. Nello specifico, il paziente con sindrome coronarica acuta (ACS) con sopra-slivellamento ST deve essere monitorato e devono essere somministrati i seguenti farmaci: l’ossigeno (solo se il paziente ha una saturazione arteriosa <90%, difficoltà respiratoria o se sono presenti altre caratteristiche ad alto rischio di ipossiemia), l’ASA (la dose di carico da 162 a 365 mg deve essere somministrata il prima possibile a qualsiasi paziente con STEMI, indipendentemente dalla strategia di trattamento), un secondo antiaggregante (Ticagrelor o Prasugrel, a meno che il paziente non abbia controindicazioni, come un rischio eccessivo di sanguinamento o a meno che non sia stato pianificato un CABG urgente) e una terapia del dolore (nitroglicerina per via sublinguale ogni 5 minuti secondo necessità per il sollievo del dolore dovuto all'ischemia o la nitroglicerina IV per il controllo dell'ischemia)Al contrario, l’enalapril (ACE-inibitore) e il nitroprussiato di sodio (vasodilatatore diretto appartenente al gruppo dei nitroderivati), siccome causano vasodilatazione, non sono usati nella terapia dell’infarto inferiore, in quanto potrebbero determinare ipotensione, bradicardia e blocchi della conduzione, che aggraverebbero le condizioni del paziente (risposte A e C errate). Così, il warfarin, un anticoagulante cumarinico, viene utilizzato per il trattamento della TVP, della embolia polmonare, per prevenire l'ictus in corso di fibrillazione atriale, per alcune valvulopatie e nei soggetti portatori di valvole meccaniche (risposta D errata). Invece, il Diltiazem, un calcio antagonista non-diidropiridinico, è indicato nel trattamento dell’ipertensione e dell’angina; ma siccome ha un effetto deprimente sulla contrattilità miocardica, nella fase acuta dell’infarto del miocardio, si preferisce non utilizzarlo.
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64 di 140 Domande

Scenario AA30X: Un uomo, 48 anni, fumatore, iperteso in terapia con ACE inibitore. Lamenta dolore epigastrico da circa 6h. Vengono rilevati i seguenti parametri P.A. 90/50 mmHg, FC 57/min, satO2 99% e viene eseguito un ECG come mostrato in figura. Le alterazioni presenti sono compatibili con:

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La risposta corretta è la A.
Le alterazioni dell’ECG del caso clinico sono compatibili con STEMI inferiore. I pazienti che presentano un infarto della parete miocardica inferiore hanno generalmente un’occlusione dell'arteria coronaria circonflessa destra: in questo caso, si potrà osservare un innalzamento del tratto ST nelle derivazioni DIII e DII, aVF combinato con la depressione ST nelle derivazioni speculari DI e aVL. All’opposto, l’infarto della parete anteriore, che deriva solitamente dall’occlusione dell'arteria coronaria discendente anteriore sinistra, presenta un sopra-slivellamento del tratto ST nelle derivazioni anteriori, da V1 a V4 (risposta C errata). Invece, l’infarto antero-laterale, che deriva dall’occlusione del tronco comune dell’arteria coronaria sinistra, presenta un sopra-slivellamento ST esteso, che si osserva sia nelle derivazioni anteriori, da V1 a V4, che in quelle laterali V5-V6, D1 e aVL (risposta B errata). All'opposto, un infarto pregresso presenta onde Q patologiche e markers negativi (risposta D errata).
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65 di 140 Domande

Scenario AA30X: Un uomo, 48 anni, fumatore, iperteso in terapia con ACE inibitore. Lamenta dolore epigastrico da circa 6h. Vengono rilevati i seguenti parametri: P.A. 90/50 mmHg, F.C. 57/min, satO2 99% e viene eseguito un ECG come mostrato in figura. Verosimilmente il paziente avrà una lesione a carico di:

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La risposta corretta è la D.
Il paziente del caso clinico presenta un infarto della parete miocardica inferiore, dovuto verosimilmente ad un’occlusione a carico dell'arteria coronaria destra, che è responsabile dell’irrorazione dell’atrio destro, del ventricolo destro, della parte posteriore del ventricolo sinistro e della parte posteriore del setto interventricolare.​​​​​​​ Al contrario, dato che il margine ottuso del cuore è irrorato dall’arteria circonflessa e dai suoi rami, l’ostruzione a carico di uno di questi ultimi sarebbe responsabile di un infarto laterale con alterazioni a livello di D1, aVL, V5 e V6 all’ECG (risposta A errata).

66 di 140 Domande

Scenario DC31I: All'auscultazione cardiaca, una paziente di 37 anni presenta un soffio meso-telesistolico 3/6 meglio udibile in mesocardio e in corrispondenza dell'apice cardiaco. Il resto dell'esame obiettivo, i parametri vitali e gli esami ematochimici sono nei limiti. Tale reperto è maggiormente indicativo di quale dei seguenti difetti anatomici?















La risposta corretta è la E.
L’insufficienza mitralica è una valvulopatia che si caratterizza per il reflusso di sangue dal ventricolo all’atrio sinistro in presenza di una valvola mitralica non competente.
Diverse sono le cause che possono portare ad un’anomalia valvolare, tra queste vi può essere un’anomalia primaria di uno o più componenti dell'apparato valvolare, ad esempio delle corde tendinee, dei muscoli papillari o dell’anulus, o può essere secondaria ad un'altra malattia cardiaca come la cardiopatia ischemica o cardiomiopatia.
La natura e la gravità dei sintomi associati all’insufficienza cronica sono correlate alla gravità del rigurgito valvolare, alla sua velocità di progressione, alla pressione dell'arteria polmonare, alle aritmie eventualmente presenti o alle cardiopatie associate. I pazienti con insufficienza da lieve a moderata sono asintomatici, poiché vi è solo un piccolo sovraccarico di volume del ventricolo ma la gittata nel complesso rimane stabile; la maggior parte dei pazienti rimane asintomatica fino a quando non vi è una dilatazione cavità ventricolare sinistra con disfunzione sistolica, ipertensione polmonare o insorgenza di fibrillazione atriale. In questo caso, i sintomi più comuni sono dispnea a riposo ma soprattutto da sforzo dovuti alla combinazione di una ridotta portata cardiaca e un aumento della pressione atriale sinistra dovuta al riflusso attraverso la valvola con l'ipertensione arteriosa polmonare che vi si associa nelle fasi gravi.
Per la diagnosi è imprescindibile l’esame obiettivo; l’auscultazione cardiaca permette di repertare S1 diminuito, per un'apposizione inadeguata dei lembi della mitrale, S2 ampiamente suddiviso a causa della componente polmonare accentuata per l’ipertensione polmonare, S3 per aumento della portata diastolica, e, soprattutto un soffio caratteristico di insufficienza mitralica: si tratta di un soffio olosistolico, che inizia immediatamente dopo S1, udibile meglio al di sopra dell'apice che si può irradiare verso l'ascella e la base del collo.
 
La risposta A non è corretta.
Il difetto interventricolare fa parte delle malattie cardiache congenite e causa una comunicazione anomala tra i ventricoli; può essere rilevato tramite l’auscultazione in quanto si presenta con un soffio forte, aspro, olosistolico udibile soprattutto al margine sternale inferiore sinistro.
La risposta B non è corretta.
Il dotto di Botallo pervio è un’anomalia congenita cardiaca in cui il dotto arterioso non si chiude dopo la nascita, come dovrebbe accadere fisiologicamente, e se non corretto può portare ad insufficienza cardiaca.
La clinica dipende dalla grandezza del dotto arterioso pervio e dall'età gestazionale al momento del parto: nel caso di lattanti e bambini con un piccolo difetto generalmente non vi sono sintomi mentre nei casi di un difetto ampio sono già presenti i sintomi insufficienza cardiaca quali difficoltà di accrescimento, scarsa alimentazione, tachipnea, dispnea e tachicardia. È caratterizzato da un soffio continuo associato ad un soffio diastolico apicale dovuto  all’alto flusso che attraversa la valvola mitrale, o a ritmo di galoppo se vi è un grande shunt sinistro-destro o se si sviluppa insufficienza cardiaca.
La risposta C non è corretta.
La stenosi mitralica è una valvulopatia in cui vi è una riduzione dell’orifizio valvolare che ostacola il passaggio di sangue dall’atrio al ventricolo sinistro.
L'obiettività cardiaca varia in rapporto alla gravità della valvulopatia, in dettaglio, in sede precordiale può essere avvertibile un fremito diastolico, a causa dei vortici generati dal passaggio di sangue attraverso la valvola stenotica. Il reperto più caratteristico è comunque quello auscultatorio in cui si ha un primo tono di intensità accentuata e durata, un tono aggiunto protodiastolico, schiocco della mitrale, di breve durata ed alta frequenza, seguito da un soffio a bassa frequenza, rullio diastolico, di durata proporzionale alla gravità della stenosi.
La risposta D non è corretta.
L’insufficienza aortica è una valvulopatia causata dalla chiusura imperfetta della valvola che durante la diastole porta al rigurgito di sangue dall’aorta al ventricolo sinistro. Ciò si traduce all’auscultazione con un soffio diastolico, ad alta frequenza, in decrescendo e di massima intensità a livello del focolaio di Erb.

67 di 140 Domande

Scenario DC31I: All'auscultazione cardiaca, una paziente di 37 anni presenta un soffio meso-telesistolico 3/6 meglio udibile in mesocardio e in corrispondenza dell'apice cardiaco. Il resto dell'esame obiettivo, i parametri vitali e gli esami ematochimici sono nei limiti. La paziente riferisce anche palpitazioni aritmiche. Qual è, con maggiore probabilità, la patologia aritmica responsabile di tali palpitazioni?














La risposta corretta è la D.
La fibrillazione atriale (FA) è l'aritmia cardiaca più comune associata principalmente a cardiopatia ipertensiva e le cardiopatie ischemica e l’insufficienza mitralica che hanno in comune la modificazione nell'anatomia e nell'elettrofisiologia del miocardio atriale: esse cioè portano a dilatazione atriale e l'innalzamento della pressione atriale. Questi sono substrati importanti nella patogenesi della fibrillazione atriale: seppur non sia stata completamente chiarita, è stato evidenziato che allo sviluppo della fibrillazione sono necessari diversi fattori tra cui la presenza, appunto, di validi substrati a sostegno dell’aritmia e trigger da cui diparte l’aritmia stessa, recentemente individuati in battiti ectopici a partenza da focus vicini allo sbocco delle vene polmonari.

68 di 140 Domande

Scenario QF32G: Una donna di 67 anni viene portata in Pronto Soccorso con un quadro di febbre (TC 38.8 °C), alterato stato di coscienza, ipotensione (PA 80/40 mmHg), tachicardia (FC 100 bpm), tachipnea (FR 25 atti/min), saturazione dell'ossigeno 82% in aria ambiente. Agli esami ematobiochimici si riscontrano leucocitosi neutrofila (GB 22000/mm ; neutrofili 84%); creatininemia e parametri di funzione epatica nei limiti, iperlattacidemia. Viene sospettato uno shock settico. ​​​​​​​Quali tra i seguenti parametri per lo screening rapido dello shock settico costituiscono il quick SOFA (Quick Sequential Organ Failure Assessment) score?















La risposta corretta è la D.
Il punteggio SOFA è stato inizialmente progettato per valutare la gravità della disfunzione d'organo in pazienti con sepsi grave.
Lo score utilizza semplici misurazioni della funzione dei principali organi per calcolarne la gravità della disfunzione, in particolare, il punteggio SOFA si basa sulle seguenti misurazioni:
·         Sistema respiratorio: rapporto tra la pressione parziale dell'ossigeno arterioso e la frazione di ossigeno inspirato (PaO2/FiO2);
·         Sistema cardiovascolare: la quantità di farmaci vasoattivi necessari per prevenire l'ipotensione;
·         Livello di bilirubina;
·         Numero di piastrine;
·         Glasgow coma scale;
·         Creatinina sierica o produzione di urina;
·         Quantità di farmaci vasoattivi necessari per prevenire l'ipotensione.
Il punteggio qSOFA è uno score SOFA semplificato, utilizzato nei pazienti al di fuori dell’UTI, facile da calcolare poiché ha solo tre componenti, ognuno dei quali è facilmente identificabile al posto letto del paziente e al quale viene assegnato un punto:
·         Frequenza respiratoria ≥22 / minuto;
·         Alterazione dello stato mentale GCS< 15;
·         Pressione sistolica ≤100 mmHg.
Un punteggio pari a 2 definisce il paziente come ad alto rischio di sepsi.

69 di 140 Domande

Scenario QF32G: Una donna di 67 anni viene portata in Pronto Soccorso con un quadro di febbre (TC 38.8 °C), alterato stato di coscienza, ipotensione (PA 80/40 mmHg), tachicardia (FC 100 bpm), tachipnea (FR 25 atti/min), saturazione dell'ossigeno 82% in aria ambiente. Agli esami ematobiochimici si riscontrano leucocitosi neutrofila (GB 22000/mm ; neutrofili 84%); creatininemia e parametri di funzione epatica nei limiti, iperlattacidemia. Viene sospettato uno shock settico.














La risposta corretta è la D.
Lo shock settico è una forma di shock vasodilatatorio o distributivo dovuto ad una sepsi. Clinicamente, questo include i pazienti che soddisfano i criteri per la sepsi che, nonostante un'adeguata rianimazione fluida, richiedono vasopressori per mantenere una pressione arteriosa media≥65 mmHg e che hanno un valore di lattati sierici> 2 mmol/L (> 18 mg / dl).
Nei pazienti con shock settico per prima cosa è necessario assicurare in modo adeguato le vie, correggere l'ipossiemia e reperire un accesso venoso per la somministrazione precoce di liquidi e antibiotici; la pietra miliare del trattamento iniziale è il rapido ripristino della perfusione e la somministrazione anticipata di antibiotici. La perfusione tissutale è ottenuta principalmente mediante la somministrazione massiccia di liquidi per via endovenosa, di solito cristalloidi somministrati a 30 ml/kg entro le prime tre ore successive alla presentazione dello shock; la terapia antibiotica empirica dev’essere somministrata a dosi ottimali  per via endovenosa, preferibilmente entro un'ora dalla presentazione shock ma solo dopo che sono state effettuate le emocolture, in numero di due e preferibilmente una da una vena centrale ed una da una vena periferica quando si verifica il picco febbrile.

70 di 140 Domande

Scenario HE33I: Un uomo di 30 anni giunge in Pronto Soccorso con febbre (TC 39,5 °C), confusione mentale, mialgie. Agli esami di laboratorio si rilevano leucopenia e piastrinopenia oltre che anemia. Da un paio di settimane è tornato dal Ruanda. Non ha effettuato profilassi antimalarica. All'esame dello striscio di sangue e in goccia spessa si pone la diagnosi di malaria da Plasmodium falciparum. Qual e' la specie di zanzara più verosimilmente implicata nella trasmissione della malaria?














La risposta corretta è la D.
La malaria è una parassitosi provocata da un parassita del genere Plasmodium trasmessa attraverso la puntura di una zanzara femmina Anopheles gambiae
Le specie di Plasmodium che nell’uomo causano la malaria sono P. falciparum, responsabile della malaria maligna, P. vivax della terzana benigna, P. malarie causa della malaria quartana e P. ovale.
La malaria si verifica in gran parte delle regioni tropicali del mondo, con P. falciparum che causa il più grande carico di malattia, seguito da P. vivax, mentre P. malaria è rara e si trova nella maggior parte delle aree endemiche, specialmente nell'Africa sub-sahariana.
I plasmodi compiono una parte del loro ciclo vitale all’interno dell’organismo umano ed una parte nell’organismo delle zanzare anofele, in particolare, durante un pasto di sangue, una zanzara femmina Anopheles infettata dal plasmodium inocula gli sporozoiti nell’uomo; questi ultimi invadono le cellule epatiche e maturano in schizonti che si rompono e rilasciano i merozoiti che infettano i globuli rossi; in questa fase i parassiti prendono il nome di trofozoiti i quali vanno incontro ad una riproduzione sessuata che porta alla formazione di gametociti. È durante questa fase intraeritrocitaria che si osserva anemia emolitica, dovuta proprio alla replicazione del parassita.
Le manifestazioni cliniche della malaria variano in base alla specie di parassita, epidemiologia, immunità ed età; nelle zone in cui la malaria è altamente endemica, i gruppi a più alto rischio comprendono i bambini piccoli (da 6 a 59 mesi), che possono sviluppare gravi malattie e le donne in gravidanza, che sono a rischio di anemia.
I viaggiatori in aree malariche, che non hanno avuto alcuna precedente esposizione ai parassiti della malaria, sono ad alto rischio di malattia grave se infettati con Plasmodium falciparum: per questo motivo, è importante considerare la malaria in tutti i pazienti febbrili con una storia di viaggi in aree malariche.
I sintomi iniziali della malaria sono aspecifici e possono includere tachicardia, tachipnea, brividi, malessere generale, affaticamento, diaforesi, mal di testa, tosse, anoressia, nausea, vomito, dolore addominale, diarrea, artralgia, mialgia con il frequente riscontro di anemia. Si ritiene che i pazienti abbiano malaria non complicata se presentano sintomi aspecifici della malaria e un test parassitologico positivo in assenza di segni di malaria grave; la malaria complicata, invece, si presenta con alterazione del sensorio, distress respiratorio, insufficienza cardiaco, insufficienza renale, acidosi, coagulopatia, CID, ipoglicemia, anemia grave o emolisi massiva che può evolvere anche nella rottura della milza. 
Un’altra forma di malaria è la malaria cerebrale, un'encefalopatia che presenta disturbi della coscienza, delirio o convulsioni; i segni neurologici focali sono inusuali. L'esordio può essere graduale o improvviso a seguito di una convulsione e la sua gravità dipende da una combinazione di fattori tra cui virulenza dei parassiti, risposta immunitaria dell'ospite e tempo tra l'inizio dei sintomi e l'inizio della terapia.

71 di 140 Domande

Scenario HE34Y: Un paziente noto per TVP recidivanti lamenta improvvisa difficoltà respiratoria. In considerazione dell'anamnesi remota e della sintomatologia suggestiva per embolia polmonare, quale delle seguenti condizioni aumenta maggiormente la probabilità di tale diagnosi?














La risposta corretta è la E.
L'embolia polmonare acuta è una malattia comune e talvolta fatale; dal punto di vista clinico ha una vasta gamma di possibili presentazioni, che vanno da nessun sintomo a shock o morte improvvisa. Tuttavia, il sintomo di presentazione più comune è la dispnea seguita da dolore al petto (classicamente pleuritico ma spesso opaco) e tosse, wheezing ed emottisi. La dispnea resta il sintomo più caratteristico, generalmente con un’insorgenza rapida, di solito in secondi.
La sintomatologia può essere accompagnata da tachipnea, tachicardia, ritmo di galoppo ventricolare o sdoppiamento del secondo tono.
Nella maggior parte dei casi l’embolia polmonare è dovuta alla presenza di trombi nel sistema venoso profondo, per tale ragione, dispnea improvvisa associata ad una TVP supporta fortemente il sospetto clinico. Fondamentalmente l’embolia polmonare è favorita dai fattori che costituiscono la triade di Wirchov, cioè stasi ematica, ipercoagulabilità e immobilità: nessuno da solo è in grado di portare alla formazione di trombi con eventuale embolia polmonare successiva.

72 di 140 Domande

Scenario HR34Y: Un paziente noto per TVP recidivanti lamenta improvvisa difficoltà respiratoria. Qual è il quadro ecocardiografico maggiormente indicativo di embolia polmonare severa?














La risposta corretta è la B.
L’ecocardiografia è uno strumento importante che può essere utilizzato nel sospetto di embolia polmonare: nel corso di quest’ultima, infatti, la presenza di dilatazione ventricolare destra all’ecocardiografia fortifica il sospetto diagnostico.
Dal punto di vista patogenetico, infatti, durante l’embolia polmonare il trombo che ostruisce i vasi polmonari fa sì che la resistenza opposta dai polmoni al cuore aumenti; il ventricolo destro deve pompare sangue contro un regime pressorio aumentato in modo improvviso con il risultato che avendo una parete sottile, si dilata; Il ventricolo risulterà inoltre ipocinetico in virtù della sofferenza dovuta al lavoro contro resistenza.
 
Le risposte C e D non sono corrette.
Il ventricolo sinistro, e l’apparato valvolare sinistro, non vanno incontro a modificazioni anatomiche nel breve termine in quanto la parete del ventricolo è costituito da uno spesso strato muscolare che non ne permette lo sfiancamento se non con un insulto prolungato nel tempo.
La risposta A non è corretta.
I trombi responsabili dell’embolia polmonare generalmente dipartono dagli arti inferiori, nel contesto di un tromboembolismo venoso degli arti inferiori. Ovunque il trombo si formi comunque, tramite la circolazione esso arrivano nelle sezioni destre del cuore per essere spinti dal ventricolo destro nell’albero vascolare polmonare dove, in base alle loro dimensioni, possono provocare occlusione ed embolia.

73 di 140 Domande

Scenario HE34Y: Un paziente noto per TVP recidivanti lamenta improvvisa difficoltà respiratoria. Quale indagine è dirimente per la diagnosi di embolia polmonare?














La risposta corretta è la A.
Il gold standard per la diagnosi di embolia polmonare è rappresentato dall’ angioTC con mdc che consente di evidenziare direttamente gli emboli nell’albero polmonare e i segni di sovraccarico del ventricolo destro.
I vasi in cui sono presenti gli emboli sono evidenziati come delle aree di minor enhancement rispetto ai vasi circostanti dello stesso calibro; si potrebbe evidenziare un’occlusione completa del vaso con dilatazione e assenza di flusso a valle, un’occlusione parziale o angoli di raccordo tra emboli e parete vasale. L’unica limitazione all’utilizzo di questa metodica è l’impossibilità di utilizzare il mdc a causa di insufficienza renale o allergia al mdc stesso.
 
AnchorLa risposta B non è corretta.
La RMN viene utilizzata per i pazienti che non possono usufruire dell’angioTC per allergia al mdc o IR, prevalentemente ha un’applicazione di ricerca quasi esclusivamente in ambito accademico. Si tratta di un esame che per la sua durata non è agevole da usare in acuto e, altresì, non consente un’adeguata visualizzazione dei vasi polmonari.
La risposta C non è corretta.
L’RX torace nella maggior parte dei pazienti mostra delle anomalie aspecifiche, tra cui l’elevazione dell’emidiaframma, perdita di volume o atelettasie, e alterazioni specifiche tra cui gobba di Hampton alla periferia del polmone, segno di Westermark (ipertrasparenza dovuta all’occlusione da parte dell’embolo) e asimmetria delle arterie polmonari; nonostante ciò ormai non viene più utilizzata in prima battuta vista la superiorità diagnostica dell’ angioTC.
La risposta D non è corretta.
L’ecocardiografia trova il suo utilizzo nella stratificazione del rischio e nella valutazione della prognosi del paziente tramite l’osservazione dei segni della disfunzione ventricolare destra, ma non permette di avere alcuna certezza circa la causa di quella disfunzione ventricolare e, quindi, sulla diagnosi di embolia polmonare.
La risposta E non è corretta.
Il dosaggio del D-dimero è un test ad elevata sensibilità ma a bassa specificità, potendosi elevare anche in altre condizioni diverse dall’embolia polmonare come infezioni, traumi, interventi chirurgici o gravidanza; per tale ragione se il paziente è emodinamicamente stabile con un basso sospetto di trombosi venosa profonda viene eseguito subito poiché se negativo consente di escludere la diagnosi di embolia polmonare.

74 di 140 Domande

Scenario OO35A: Un operaio edile utilizza quotidianamente e per diverse ore trapano e martello pneumatico. Il paziente potrebbe manifestare e ottenere automaticamente il riconoscimento di tutte le seguenti malattie professionali, TRANNE una; quale?














La risposta corretta è la D.
La malattia di Dupuytren è un disturbo caratterizzato da fibrosi progressiva della fascia palmare. La causa della malattia di Dupuytren è sconosciuta, fattori importanti includono etnia, sesso, età insieme ai più svariati fattori ambientali ma sembra comunque avere una pronunciata predisposizione genetica.
È una malattia benigna e lentamente progressiva; l'ispessimento fasciale iniziale è solitamente visto come un nodulo nel palmo che può essere inizialmente doloroso e successivamente indolore che spesso passa inosservato e non diagnosticato. Dopo un periodo variabile di tempo, di solito decenni, si sviluppano in modo insidioso la rigidità articolare e la perdita della completa estensione.
Con l'evoluzione del processo, infatti, sulla fascia palmare i noduli possono formare bande longitudinali, denominate corde: il dito perde gradualmente l'estensione, con contratture che portano una o più dita in flessione.
Dal punto di vista istopatologico, i noduli presenti nella prima fase della malattia sono delle lesioni patognomoniche dovute alla fase proliferativa della malattia, cioè quella in cui vi è proliferazione fibroblastica e deposizione disordinata di collagene con ispessimento fasciale. I noduli sono composti da fibroblasti, collagene di tipo III, cellule muscolari lisce e miofibroblasti; i tendini flessori non sono intrinsecamente coinvolti, ma a causa dell'invasione del derma si osservano delle pieghe cutanee caratteristiche.
La diagnosi è clinica, basata sulla storia della perdita indolore dell'estensione delle dita, sulla presenza di noduli o corde fibrose sulla faccia palmare delle mani, sulla presenza di una caratteristica piega triangolare cutanea sul tendine flessorio appena prossimale alla piega flessoria del dito e l'estensione passiva delle dita interessate sull'articolazione metacarpo-falangea mostrerà un caratteristico raggrinzimento della pelle.

75 di 140 Domande

Scenario OO35A: Un operaio edile utilizza quotidianamente e per diverse ore trapano e martello pneumatico. L'uomo inoltre manifesta una lesione radiologica caratteristica della patologia da vibrazioni e nota come "Malattia di Kienbock", ovvero:














La risposta corretta è la D.
La necrosi avascolare dell'osso semilunare è comunemente conosciuta come malattia di Kienböck. La causa non è nota, ma si è visto che insorge soprattutto in soggetti che svolgono ripetitivi lavori manuali; il semilunare collassa e determina una rotazione dello scafoide con conseguente degenerazione delle articolazioni carpali. Clinicamente si caratterizza per la comparsa di un intenso dolore sulla regione dorsale del polso, a livello dell'osso semilunare, senza che i pazienti ricordino di aver subito un trauma.
La diagnosi si basa sulla storia clinica insieme alla TC e alla RM del polso che consentono di osservare alterazioni a carico dell’osso semilunare.

76 di 140 Domande

Scenario II36I: Un fruttivendolo di 45 anni ha avvertito un dolore acutissimo in regione lombare e alla superficie posteriore della coscia e del polpaccio sinistro mentre sollevava un cassetta pesante piena di frutta. Dopo aver raccolto l'anamnesi, il medico visita il paziente ed effettua il segno di Lasègue, che risulta positivo. In che cosa consiste questo test?














La risposta corretta è la C.
La radicolopatia lombosacrale è una condizione in cui un processo patologico influisce sulla funzione di una o più radici dei nervi lombosacrali: la più comune radicolopatia è quella di L5 ed S1 che colpisce la colonna vertebrale lombosacrale. Le cause più diffuse di questa condizione patologica comprendono erniazione del disco inter-vertebrale, presenza di osteofiti, fibrosi e restringimento del canale vertebrale. Clinicamente, l’interessamento di L5 si presenta con mal di schiena che si irradia verso il basso, sulla superficie laterale della gamba e del piede; all'esame obiettivo, la forza può essere ridotta nei movimenti di dorsiflessione, estensione, inversione ed eversione del piede. Nei casi gravi può essere evidente debolezza nell'abduzione delle gambe a causa del coinvolgimento del piccolo e del medio gluteo.
La perdita di sensibilità è limitata alla superficie laterale della parte inferiore della gamba e del dorso del piede.
Gli studi di elettromiografia e conduzione nervosa mostrano tipicamente anomalie nei muscoli innervati dalle radici nervose di L5, tra cui il gluteo medio, il tensore della fascia lata, il semitendinoso, il tibiale anteriore e posteriore.
Il coinvolgimento di S1, invece, si manifesta con il dolore irradiato all'estremità posteriore della gamba verso il piede, in questo caso vi è debolezza della flessione plantare, nell'estensione della gamba e nella flessione del ginocchio. La sensibilità è ridotta sulla superficie posteriore della gamba e sul bordo laterale del piede. Gli studi di elettromiografia rivelano anomalie nei muscoli innervati di S1 tra cui il grande gluteo, le teste lunghe e corte dei bicipiti femorali e i muscoli gastrocnemio e soleo.
Per valutare il coinvolgimento della radice S5-L1, in un paziente che presenta dolore alla schiena irradiato agli arti inferiori e al piede, viene effettuato il test di Lasegue: il paziente viene fatto mettere in posizione supina, gli si chiede di stendere la gamba interessata e, passivamente, si esegue la flessione della gamba sul bacino; in questo modo si provoca uno stiramento delle fibre del nervo ischiatico e se ciò evoca un profondo dolore già ad una flessione di circa 40°, il test è ritenuto positivo. ​​​​​​​

77 di 140 Domande

Scenario II37I: Si presenta alla visita un uomo di 30 anni con gonalgia diffusa, comparsa da alcuni giorni dopo trauma distorsivo del ginocchio mentre giocava a calcetto. Coesistono sensazione di instabilità e cedimento articolare. Sospettando una lesione legamentosa, quale reperto clinico ci si aspetta di riscontrare?















La risposta corretta è la C.
Le lesioni del legamento crociato anteriore possono verificarsi con meccanismi variabili tra cui traumi ad alta energia (come ad esempio la collisione con veicoli a motore), o traumi a bassa energia che possono comportare il contatto (ad esempio un colpo al ginocchio laterale) o avvenire senza contatto. Questi ultimi sono i più comuni e rappresentano circa il 70 % delle lesioni del legamento crociato anteriore; in particolare, il meccanismo più comune riguarda una lesione a basso impatto energetico, senza contatto, sostenuta durante l’attività fisica: si tratta di un atleta che corre o salta e improvvisamente decelera e cambia direzione o cade atterrando in un modo che implica la rotazione o la flessione laterale del ginocchio, cioè uno sforzo in valgo. 
Gli sport associati agli infortuni ACL spesso comportano cambiamenti improvvisi in direzione e includono lo sci alpino, il calcio, il basket o il tennis. 
I pazienti che subiscono una lesione del legamento senza contatto spesso si lamentano di sentire un "pop" nelle loro ginocchia al momento della lesione, cui fa seguito un gonfiore acuto e la sensazione che il ginocchio sia instabile o stia cedendo. Quasi tutti i pazienti con lesione acuta presentano emartro ma non tutti i pazienti che hanno dolore al ginocchio associato ad emartro hanno un danno al LCA.
Spesso dopo che il gonfiore iniziale è migliorato, i pazienti percepiscono una sensazione di pesantezza e lamentano instabilità e movimenti come accovacciarsi, ruotare e fare un passo lateralmente e attività come scendere le scale spesso accentuano questa sensazione.
La valutazione del ginocchio include una storia e un esame fisico appropriati: nei pazienti con possibile lesione del legamento crociato anteriore, il medico deve informarsi sul tempo trascorso dal trauma, sul meccanismo, sul gonfiore articolare, sull'abilità funzionale come camminare o salire le scale, sull'instabilità articolare e sulle lesioni associate. Sono descritti molti test per delineare il danno al legamento crociato anteriore e tre di questi, il Lachman test, il Pivot Shift test e il test del cassetto anteriore, sono i più sensibili e specifici.
Il test Lachman viene eseguito flettendo il ginocchio di circa 30° e, stabilizzato il femore distale con una mano, si tira la tibia prossimale anteriormente con l'altra mano, tentando in questo modo di produrre la dislocazione anteriore della tibia: un legamento intatto limita la traslocazione anteriore mentre una traslazione aumentata rispetto al ginocchio non ferito suggerisce una lesione legamentosa.
Il test del cassetto anteriore viene eseguito con il paziente supino e il ginocchio flesso a 90°; la tibia prossimale viene afferrata con entrambe le mani e tirata anteriormente, controllandone la traslazione anteriore. Spesso ci si siede sul piede mentre si esegue il test per fornire una maggiore precisione alla manovra. Il test è positivo se c'è una traslazione anteriore maggiore rispetto a quella del ginocchio controlaterale.
Il Pivot Shift test viene eseguito con il ginocchio inizialmente in estensione. Il clinico tiene la gamba inferiore con una mano e ruota internamente la tibia, mentre simula uno sforzo in valgo sul ginocchio usando l'altra mano, il che causa una sublussazione del ginocchio nel caso di deficit legamentoso. A questo punto il medico flette il ginocchio: se è presente lesione del LCA vi sarà una riduzione della tibia sublussata percepita come un "click", che definisce il test positivo.
La certezza diagnostica, tuttavia, può essere fornita dall’utilizzo della RM.
 
La risposta A non è corretta.
I legamenti hanno la funzione di stabilizzare le articolazioni impedendone movimenti eccessivi, nel ginocchio la funzione primaria del legamento crociato anteriore è quella di limitare la traslazione anteriore della tibia. La lesione del LCA porta a lassità dell’articolazione e non al suo blocco.
La risposta B non è corretta.
Le cisti sinoviali poplitee, note anche come cisti di Baker, sono comuni negli adulti; sono spesso secondarie a malattie degenerative o infiammatorie delle articolazioni o a lesioni articolari. Si possono trovare anche nei bambini in cui sono di solito un processo primario, derivante direttamente dalla borsa del gastrocnemio-semimembranoso. Soprattutto negli anziani le cisti comunicano con lo spazio articolare del ginocchio adiacente e contengono, quindi, liquido sinoviale, cosa che invece non accade nel bambino.
Clinicamente, si presentano sotto forma di un gonfiore nella fossa poplitea a causa dell'ampliamento della borsa del gastrocnemio-semimembranoso che si trova tra questi due muscoli, sul lato mediale della fossa poplitea, leggermente distale rispetto alla piega centrale nella parte posteriore del ginocchio.
La risposta D non è corretta.
Il riflesso patellare è un riflesso miotattico, usato per dimostrare un’adeguata funzionalità del sistema nervoso. Viene evocato sul paziente seduto, con le gambe che pendono liberamente oltre il bordo del lettino. Con un martelletto viene colpito il muscolo quadricipite femorale, stirandone le sue fibre: questo determinerà la contrazione involontaria del quadricipite femorale stesso con la conseguente estensione della gamba in avanti. Anomalie del riflesso patellare, quali ipo- o iper-reflessia, dipendono da alterazioni a carico del sistema nervoso.
La risposta E non è corretta.
La rotula permette il movimento del ginocchio, veicolando la forza dal muscolo quadricipite femorale. Un dolore della lateralizzazione della rotula potrebbe derivare da fenomeni degenerativi come quelli dell’artrosi o alla sindrome femoro-rotulea, cioè un malfunzionamento nello scorrimento reciproco di femore e rotula.

78 di 140 Domande

Quale delle seguenti malattie si associa al deficit di alfa1 anti-tripsina?














La risposta corretta è la A.
Il deficit di α1-antitripsina (AAT), una malattia ereditaria che colpisce soprattutto polmoni e fegato, si può associare a:
1) cirrosi epatica, causata dalla polimerizzazione patologica della AAT, con conseguente accumulo intra-epatocitario della proteina, piuttosto che da un meccanismo proteolitico;
2) enfisema polmonare, dovuto ad uno squilibrio tra le elastasi dei neutrofili del polmone, che distrugge l'elastina, e l'inibitore dell'elastasi AAT, che protegge l’elastina dalla degradazione proteolitica.
In particolare, l’AAT, un inibitore delle serin-proteasi prodotta dal fegato e immessa nel torrente circolatorio, esplica la sua attività soprattutto su elastasi e proteasi, quali tripsina, chimotripsina e trombina. Il gene responsabile della produzione della proteina si trova sul cromosoma 14 e sono stati identificati più di 150 alleli di AAT. Le varianti di AAT possono essere classificate in quattro gruppi:
1) fenotipo normale, con alleli normali associati ad un livello e ad una funzione normale di AAT. La famiglia degli alleli normali viene definita M e il genotipo normale è MM;
2) fenotipo con deficit, con livelli plasmatici di AAT inferiori al 35% del livello medio normale. L'allele carente è l'allele Z, che è comunemente associato all’enfisema polmonare;
3) fenotipo nullo, con alleli nulli che non producono nessuna proteina AAT rilevabile nel plasma. In particolare, gli individui con genotipo nullo sono i meno comuni e a rischio per la forma più grave di malattia polmonare, ma non per malattia epatica;
4) fenotipo disfunzionale, con alleli disfunzionali che producono una quantità normale di proteina AAT, ma che non funziona correttamente (risposte B, C, D ed E errate).

79 di 140 Domande

Quale delle seguenti condizioni NON si riscontra comunemente nella sclerosi sistemica?














La risposta corretta è la A.
La sclerodermia è una malattia cronica a patogenesi autoimmune del sistema connettivo che può avere un’estensione anatomica limitata, che interessa solo la pelle e i tessuti sottostanti, oppure può essere associato ad un coinvolgimento sistemico. Quando il disturbo cutaneo caratteristico è associato al coinvolgimento di un organo interno, la malattia viene definita sclerosi sistemica, sottocategorizzata ulteriormente in forma cutanea diffusa e forma cutanea limitata sulla base dell'estensione e della distribuzione del coinvolgimento cutaneo. 
Le manifestazioni sistemiche della malattia sono diverse. Le più importanti sono le anomalie della circolazione, in particolare il fenomeno Raynaud, e il coinvolgimento del sistema muscoloscheletrico, renale, polmonare, cardiaco e gastrointestinale, con complicanze fibrotiche o vascolari.
La manifestazione clinica più caratteristica della disfunzione vascolare è il fenomeno di Raynaud, definito come variazioni sequenziali di colore dei polpastrelli quando esposti al freddo, allo stress o persino a variazioni di temperatura, dovuto a vasocostrizione arteriosa nei capillari delle falangi. I cambiamenti di colore comprendono pallore, acrocianosi e rossore per la successiva iperemia da riperfusione. Le lesioni vascolari e i conseguenti danni cronici ai tessuti sono alla base di altre gravi complicanze sistemiche della sclerosi sistemica, tra cui ectasia vasale antrale gastrica, ulcere ischemiche digitali, ipertensione arteriosa polmonare, crisi renale da sclerodermia e infarto del miocardio.
Il coinvolgimento della pelle è una caratteristica quasi universale della sclerosi sistemica che può avere estensione e gravità variabili: si manifesta con ispessimento e indurimento della pelle e le dita, le mani e il viso sono generalmente le prime aree del corpo coinvolte. Tra le manifestazioni prominenti ci sono:
prurito nelle prime fasi, edema nelle prime fasi, iperpigmentazione cutanea o depigmentazione ("sale e pepe"), perdita di capelli appendicolari, sclerodattilia, ulcere digitali e telangiectasia.
Nel sistema gastrintestinale l'ipomotilità esofagea e l'incompetenza della malattia dello sfintere esofageo inferiore sono le prime manifestazioni viscerali che si presentano. Qualsiasi parte del tratto gastrointestinale, dalla bocca all'ano, può essere colpita: i sintomi più comuni comprendono disfagia e soffocamento, bruciore di stomaco, raucedine, tosse dopo deglutizione, gonfiore, stitichezza e diarrea alternate, pseudo-ostruzione e proliferazione batterica dell'intestino tenue con malassorbimento e incontinenza fecale. I sintomi derivano principalmente dal reflusso gastroesofageo cronico, con conseguente esofagite cronica e formazione di stenosi, esofago di Barrett e microaspirazione che può contribuire allo sviluppo o alla progressione della malattia polmonare interstiziale.
I pazienti possono presentare alveolite e fibrosi polmonare precoce in assenza di sintomi respiratori o reperti fisici e la malattia vascolare polmonare si manifesta principalmente con l'ipertensione arteriosa polmonare.
Altri organi comunemente coinvolti sono il cuore, i reni, il pericardio, il tratto genito urinario e il sistema muscolo-scheletrico.

80 di 140 Domande

Quale dei seguenti reperti NON è tipicamente presente in caso di insufficienza renale cronica?














La risposta corretta è la A.
L’insufficienza renale cronica IRC è una riduzione progressiva e definitiva della funzione renale per perdita della massa nefronica con i nefroni residui che non sono più sufficienti per svolgere le normali funzioni renali dell’organismo.
Il rene svolge diverse funzioni fisiologicamente e ognuna di queste viene compromessa nell’IRC.
In un rene malato la prima cosa che viene meno è la capacita di formazione delle urine: si riduce la velocità della filtrazione glomerulare VFG, vi è iniziale poliuria, a causa della perdita del potere di concentrazione e diluizione delle urine, che nelle fasi finali di malattia può invece arrivare all’anuria con rischio di edemi fino all’edema polmonare e necessità di dialisi; la riduzione del VFG compromette, altresì, l’escrezione di metaboliti tossici con conseguente aumento della creatininemia e dell’azotemia che può progredire fino all’uremia. Vi è una compromissione della regolazione dell’equilibrio acido-base con conseguente costante acidosi metabolica: il rene normalmente interviene in questo meccanismo complesso con la produzione di bicarbonati che se assenti sono alla base della condizione di acidosi, a cui concorre anche l’incapacità nell’eliminazione di fosfati e ammonio. Il rene è anche una ghiandola endocrina che provvede alla produzione di eritropoietina, che promuove la crescita dei globuli rossi; quando il rene non funziona adeguatamente l’eritropoietina non viene assicurata con conseguente anemia normocromica e normocitica anche se in realtà è più spesso ipocromica e microcitica accompagnata da sideremia in quanto associata anche a carenza di ferro dovuta sia alla presenza di gastrite uremica che alla mancanza di appetito che hanno questi pazienti. Altro ormone prodotto dal rene è l’1-25 diidrossicolecalciferolo, la vitamina D3 idrossilata dal rene dopo una seconda idrossilazione da parte del fegato, importante per il metabolismo del calcio ed implicata nello sviluppo di ipocalcemia tipica di questi pazienti. Ad essere presente in modo costante è anche l’ipertensione arteriosa dovuta sia trattenimento di liquidi che non riescono ad essere smaltiti, che alla cronica attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, finalizzato all’aumento di filtrazione nei capillari glomerulari. Infine, nel caso di IRC si sviluppa una caratteristica dislipidemia definita da bassi livelli di HDL ed aumentati livelli di LDL e trigliceridi. ​​​​​​​

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Scenario IN38U: Un uomo di 53 anni si sottopone a una TC del torace con mezzo di contrasto in seguito all'insorgenza di dispnea progressiva, accompagnata da tosse e raucedine. Si evidenzia la presenza di un aneurisma dell'aorta discendente del diametro di circa 7,5 cm. Quale delle seguenti malattie sistemiche NON è associata a un rischio incrementato di sviluppare aneurismi dell'aorta toracica?














La risposta corretta è la C.
L'aorta è il principale condotto arterioso che trasporta il sangue dal cuore alla circolazione sistemica. Ha origine immediatamente al di là della valvola aortica e sale inizialmente, quindi curva, formando l'arco aortico per scendere poi caudalmente, adiacente alla colonna vertebrale.
Il diametro dell'aorta toracica normale varia tra 2-3 cm a seconda della costituzione del soggetto, del sesso e dell'età. Un vero aneurisma è definito come una dilatazione segmentaria a tutto spessore di un vaso sanguigno con almeno un aumento del 50% del diametro rispetto al diametro normale atteso e che coinvolge tutti e tre gli strati della parete arteriosa: intima, media e avventizia.
La maggior parte degli aneurismi aortici toracici sono degenerativi, anche detti sporadici, e si verificano in associazione a fattori di rischio per l'aterosclerosi, in risposta a un processo autoimmune sistemico, a malattie del connettivo o a causa di un'infezione aortica.
Gli aneurismi toracici si presentano frequentemente nel caso di disturbi del tessuto connettivo come le sindromi di Marfan, Loeys-Dietz o Ehlers-Danlos e anche in un ampio gruppo di disturbi infiammatori tra cui arterite a cellule giganti, arterite di Takayasu, artrite reumatoide, spondilite anchilosante, granulomatosi di Wegener, artrite reattiva e sindrome di Behcet. È stata osservata un’associazione anche con la sifilide.
Gli aneurismi aortici toracici sono classificati in base a diversi fattori tra cui localizzazione all'interno dell'aorta, estensione del coinvolgimento aortico e morfologia. Esistono due tipi principali di morfologia dell'aneurisma: fusiforme, che si presenta come una dilatazione simmetrica che coinvolge l'intera circonferenza della parete aortica, e sacculare, che appare come un retaggio di solo una parte della parete aortica. Gli aneurismi sacculari possono essere una manifestazione di emorragia placentare e ulcera aortica o infezione della parete aortica e sembrano avere un aumentato rischio di rottura. La malattia dell'aneurisma aortico toracico di solito è silenziosa a meno che non si verifichi una complicazione come dissezione o rottura che si presentano con sintomi possono inizialmente essere attribuite ad un'altra causa

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Scenario VV39S: Una donna di 28 anni in buone condizioni di salute vuole iniziare una terapia anticoncezionale con un estroprogestinico. Su consiglio del medico curante si sottopone a una dettagliata valutazione dei fattori di rischio pro-trombotici, in virtù del fatto che la madre, qualche anno prima, aveva avuto una tromboembolia polmonare. Gli esami risultano nei limiti di norma, fatta eccezione per la presenza di resistenza alla proteina C attivata. In quale delle seguenti proteine della coagulazione si verifica una mutazione tipicamente associata a tale dato di laboratorio?














La risposta corretta è la E.
La mutazione del fattore V di Von Leiden rende il fattore V della coagulazione, sia attivo che inattivo, insensibile alle azioni della proteina C attivata, un anticoagulante naturale. Di conseguenza, gli individui che ereditano la mutazione suddetta sono ad aumentato rischio di tromboembolia venosa. 
Il fattore V è un fattore procoagulante che amplifica la produzione di trombina, l'enzima centrale che converte il fibrinogeno in fibrina, che porta alla formazione dei coaguli. Il fattore V viene sintetizzato come un fattore inattivo che circola nel plasma e viene attivato da una piccola quantità di trombina nel sito di una ferita, il fattore così attivato, fattore Va, funge quindi da cofattore nel complesso protrombinasi, che scinde la protrombina per generare più trombina, in un ciclo di feedback positivo. La scissione del fattore procoagulante Va da parte della proteina C determina la degradazione del fattore stesso, mentre la scissione del fattore V da parte della proteina ne migliora la funzione: il fattore V con la mutazione di Von Leiden è insensibile a entrambe queste modificazioni perché manca il sito di clivaggio Arg506.

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Scenario FC40Z: Una donna di 32 anni si presenta con tosse e dispnea da due settimane. L'RX del torace rivela linfoadenopatie ilari e plurimi noduli bilaterali confluenti. Esegue approfondimenti di imaging, broncolavaggio e biopsia. All'esame citologico si dimostrano CD4/CD8>2 e all'esame istologico la presenza di granulomi epitelioidi senza necrosi caseosa. Si decide di dosare l'ACE nel siero, che risulta elevato. Qual è l'ipotesi diagnostica?














La risposta corretta è la B.
La sarcoidosi è un disordine granulomatoso sistemico con eziologia sconosciuta caratterizzata dalla presenza di granulomi non caseosi negli organi coinvolti. In genere colpisce i giovani adulti e inizialmente presenta una o più delle seguenti anomalie tra adenopatia ilare bilaterale, opacità reticolari polmonari e lesioni cutanee, articolari o oculari.
In circa la metà dei casi la malattia viene individuata incidentalmente durante esami radiografici eseguiti per altri motivi. La sarcoidosi coinvolge più frequentemente il polmone, ma fino al 30% dei pazienti presenta manifestazioni extratoraciche. Classicamente la sarcoidosi polmonare determina malattia polmonare interstiziale diffusa ma può anche portare ad altri quadri meno comuni che includono pneumotorace, ispessimento pleurico, chilotorace e ipertensione polmonare. Nella sua forma più classica, comunque, i sintomi respiratori comunemente presenti includono tosse, dispnea, dolore al petto, affaticamento, malessere, febbre e perdita di peso. L'infiammazione sistemica può contribuire alla debolezza muscolare e all'intolleranza all'esercizio fisico e nei pazienti con sospetto di sarcoidosi andrebbero indagati anche la presenza di nuove lesioni cutanee, in particolare intorno a tatuaggi o cicatrici, cambiamenti visivi, secchezza degli occhi o della bocca, gonfiore della parotide, palpitazioni, sincope, dolore o gonfiore alle articolazioni o debolezza muscolare.
Una valutazione iniziale completa dovrebbe essere eseguita in tutti i pazienti con sospetto sarcoidosi in modo da ottenere ulteriori dati a supporto della diagnosi, eliminando al contempo diagnosi alternative, stratificare la gravità della compromissione polmonare e identificare il coinvolgimento di organi extrapolmonari che potrebbero essere sottoposti a biopsia o richiedere una terapia immediata.
A seguito di un’attenta anamnesi ed esame obiettivo si procede con l’esecuzione dei più comuni test di laboratorio che di solito comprendono un esame emocromocitometrico completo, test di funzionalità epatica, azoto ureico nel sangue, creatinina, glucosio, elettroliti, calcio sierico ed analisi delle urine. Diverse sono le anomalie che potrebbero risultare da questi primi esami nei pazienti con sarcoidosi, tra cui leucopenia, lieve aumento di VES e PCR, ipercalciuria, moderata elevazione della concentrazione di fosfatasi alcalina sierica e ipergammaglobulinemia. Sono stati esaminati anche diversi marcatori sierologici le cui modificazioni potessero ben correlarsi con la malattia e tra questi è risultato come il livello di ACE sierico sia elevato nel 75% dei pazienti con sarcoidosi.
Tutti i pazienti sottoposti a valutazione per la possibile sarcoidosi devono avere una radiografia del torace: l'adenopatia ilare bilaterale è classica nella sarcoidosi.
La diagnosi di certezza, tuttavia, si ottiene solo con la conferma istopatologica dei noduli polmonari, cioè granulomi non caseificanti, e con l’esame istologico che mostra un rapporto tra linfociti CD4 e CD8 maggiore di 2. 

  • La Sarcoidosi è una malattia granulomatosa sistemica a eziologia sconosciuta, che colpisce maggiormente i giovani e gli adulti di mezza età; sono colpiti più frequentemente i polmoni, dove è caratteristica la presenza di linfoadenopatia ilare bilaterale e gli infiltrati parenchimali; meno frequentemente interessati sono gli occhi, la cute, il fegato, la milza, i linfonodi, le ghiandole salivari, il cuore, il SNC, i muscoli, le ossa e altri organi. La diagnosi viene posta quando il quadro clinico-radiologico è supportato dall’evidenza istologica di granulomi epitelioidi in assenza di necrosi caseosa. Le caratteristiche immunologiche più frequentemente osservate sono una depressione della ipersensibilità ritardata cutanea e un incremento della risposta immunitaria Th1; si possono altresì riscontrare immunocomplessi circolanti e una iperreattività tipo B cellulare con ipergammaglobulinemia (attivazione oligoclonale dei B linfociti).
  • La modalità e l’estensione della malattia all’esordio sono spesso correlate con il decorso e con la prognosi.
  • Un inizio acuto con Eritema Nodoso o una linfoadenopatia ilare bilaterale asintomatica preannuncia generalmente un decorso autolimitante, mentre un inizio insidioso con lesioni extrapolmonari multiple, può essere il preludio a una irreversibile Fibrosi polmonare secondaria.
  • La prima descrizione della Sarcoidosi risale al 1877 in cui vennero descritte lesioni maculari cutanee multiple a livello delle mani e dei piedi che tuttavia vennero interpretate come gotta. Ventidue anni dopo venne coniato il termine di Sarcoidosi a opera di Caesar Boeck, che ne rivelò la natura sistemica. Sven Loefgren nella prima metà del XX secolo descrisse la sindrome caratterizzata da eritema nodoso, linfadenopatia ilare bilaterale, febbre e poliartralgie. Oggi la sindrome di Loefgren viene classificata come forma separata dalle altre per la sua tendenza alla risoluzione spontanea e per alcune particolari caratteristiche genetiche. Nel 1958 venne proposto un primo sistema di stadiazione della malattia basata sull’aspetto radiologico; negli anni ’70 si è assistito a un notevole progresso in ambito diagnostico, grazie alla diffusione della broncoscopia a fibre ottiche associata all’analisi del lavaggio broncoalveolare (BAL) e all’uso della determinazione dei livelli di enzima di conversione dell’angiotensina circolante (ACE sierico) come marcatore biochimico di attività della sarcoidosi.

Epidemiologia


  • La Sarcoidosi si manifesta ovunque nel mondo colpendo tutte le razze e tutte le età con una certa predilezione per il sesso femminile, soprattutto quando l’esordio è dopo i 50 anni. La diffusione della malattia è decrescente nel senso dei paralleli da nord a sud. Predilige gli adulti con età inferiore ai 40 anni con un picco tra 20 e 29 anni; un secondo picco si ha dopo i 50 anni. Secondo studi epidemiologici condotti negli USA, l’incidenza annuale è compresa fra 5 e 10 casi per 100.000 persone (5,9 per 100.000 persone/anno per gli uomini e 6,3 per 100.000 persone/anno per le donne). Il rischio di ammalarsi di sarcoidosi, nel corso della vita, è di 0,85% per i bianchi americani e 2,4% per i neri americani. I Paesi scandinavi (soprattutto Svezia e Danimarca) e i neri americani sembrano avere un rischio maggiore di ammalarsi di sarcoidosi, mentre i Paesi dove questa malattia è meno rappresentata sono Spagna, Portogallo, India, Arabia Saudita, Sud America. Il dato può essere in parte dovuto alla presenza di altre malattie granulomatose più comunemente riconosciute (TBC, lebbra e infezioni fungine), che possono creare problemi di diagnosi. Sembra, inoltre, che la Sarcoidosi nei neri sia più severa, mentre nei bianchi è più probabile la presenza di malattia in forma asintomatica. La mortalità è dovuta soprattutto all’Insufficienza Respiratoria da Fibrosi polmonare secondaria e varia dall’ 1% al 5%.

Eziologia e patogenesi


  • La causa o le cause della Sarcoidosi sono, a oggi, ancora sconosciute. Quali possibili agenti eziologici sono stati indicati batteri (Borrelia burgdorferi, micobatteri), virus (Human Herpes virus 8, Epstein­Barr virus, Cytomegalovirus e Coxsackie B), metalli (berillio e zirconio), minerali (talco) e sostanze tossiche (pollini del pino marittimo). Oggi si ritiene che la Sarcoidosi sia una patologia multifattoriale, in cui fattori ambientali interagiscono con fattori genetici nel provocare l’insorgenza della malattia e nel mo­dularne le manifestazioni cliniche.

Anatomia Patologica


  • La Sarcoidosi è una malattia sistemica, che coinvolge non solo i polmoni e i linfonodi ilari e mediastinici ma anche altri linfonodi, milza, tonsille, fegato, cute, ghiandole salivari e lacrimali.
  • La lesione elementare è un granuloma non necrotizzante, composto da cellule epiteliodi e cellule giganti tipo Langhans. Alla periferia dei granulomi si trovano accumuli di linfociti di tipo T-helper CD4+. Nelle fasi di attività della malattia si osserva nel BAL un elevato numero di linfociti con una inversione del rapporto CD4+/CD8+ (helper/ suppressor), che è elemento diagnostico. Si possono in alcuni casi evidenziare concrezioni proteiche calcifiche (corpi di Schaumann) e inclusioni cristalloidi raggiate, contenute nel citoplasma delle cellule giganti (corpi asteroidi). Nelle fasi attive della malattia, nei linfonodi dell’ilo e nell’interstizio polmonare, in particolare in sede peri-ilare, si osserva una proliferazione di granulomi confluenti, che vanno poi incontro a sclerosi, provocando una fibrosi interstiziale diffusa, con ispessimento e rigidità delle pareti dei vasi polmona­ri che porta a ipertensione polmonare. In circa il 70% dei casi la malattia non ha tendenza evolutiva, mentre nel 30% dei casi si osserva una progressione verso una Fibrosi polmonare con insufficienza respiratoria.

Manifestazioni cliniche


  • La Sarcoidosi è una patologia sistemica le cui manifestazioni cliniche dipendono dall’etnia, dalla durata della patologia, dalla localizzazione, tipo e grado del coinvolgimento d’organo, dalla durata e dall’attività del processo granulomatoso. Essa è per definizione una patologia sistemica e i pazienti possono presentare diverse localizzazioni intra o extratoraciche della malattia, con sintomi variabili e aspecifici.
  • La malattia può avere un andamento clinico insidioso e spesso è asintomatica all’esordio. Altre volte l’esordio clinico è acuto e i sintomi possono scomparire altrettanto acutamente. Talvolta all’esordio si può avere la contemporanea presenza di eritema nodoso, adenopatia ilare bilaterale, poliartralgie e febbre delineando il quadro della sindrome di Loefgren.
  • I sintomi respiratori colpiscono la maggioranza dei pazienti e sono rappresentati da dispnea da sforzo, sino alla dispnea a riposo, tosse secca e dolore toracico. Le prove di funzionalità respiratoria possono mostrare un disordine di tipo restrittivo e alterazione dei test di diffusione. La patologia si può considerare in progressione se si ha un peggioramento alle prove di funzionalità respiratoria del 10% dell’FVC e/o del 15% della DLCO. Solo nell’l-5% dei casi si ha Versamento pleurico di tipo linfocitario.
  • Non rari sono i sintomi generali quali affaticabilità, perdita di peso, linfoadenomegalie superficiali, dolori articolari. Gli altri possibili segni e sintomi sono legati alle diverse eventuali localizzazioni d’organo, e sono classificabili in:
    • cutanei: eruzioni rosso-porpora calde al termotatto, chiazze cutanee, noduli di consistenza dura, di dimensioni variabili da 1 a 10 mm. Lupus pernio: aspetto simile alle lesioni dei geloni: lesioni rilevate, roseo-vinose, talvolta con tendenza alla sfumatura cianotico-bluastra, non dolenti, localizzate talvolta alla piramide nasale e/o alle labbra, orecchie, dita e ginocchia. Eritema nodoso: noduli dolenti sulla superficie anteriore degli arti inferiori, bilaterali e violacei;
    • oculari: arrossamento congiuntivale, prurito, fotofobia, dolore;
    • cardiaci: dolore precordiale, palpitazioni, aritmie;
    • neurologici: interessamento dei nervi cranici, più spesso paralisi del faciale, disfunzioni del nervo ottico, anomalie dell’ipotalamo e dell’ipofisi, Meningite cronica.
  • La tabella 01 sintetizza i diversi quadri clinici.

Tabella 01


Tabella 01. Localizzazioni e quadri clinici.

Stadiazione


  • Nella Sarcoidosi polmonare si distinguono 5 stadi cui corrispondono diversi momenti evolutivi della malattia. Si tratta di una classificazione basata sulla radiografia standard del torace che non fornisce alcuna valutazione sull’attività biologica della malattia. La tabella 02 sintetizza quadro radiologico, incidenza, sintomatologia e reversibilità della malattia per stadi.

Tabella 02


Tabella 02. Stadiazione.

Diagnosi


  • La diagnosi di Sarcoidosi è impegnativa poiché non esistono test specifici. Gli elementi essenziali sono:
    • presenza di aspetti clinico-radiologici compatibili con la malattia;
    • conferma istologica di granulomi epiteliodi non caseosi. Generalmente si scelgono la sede più accessibile e la tecnica meno invasiva, come la biopsia cutanea delle lesioni multiformi con l’eccezione dell’eritema nodoso. La broncoscopia rappresenta l’esame di riferimento che porta alla conferma istologica o citologica nella maggioranza dei pazienti. In caso di dubbio diagnostico può trovare indicazione la biopsia linfonodale mediastinica, oppure la biopsia polmonare in videotoracoscopia;
    • esclusione di altre patologie infettive (in particolare la TBC polmonare) o neoplastiche (linfomi o carcinomi metastatici);
    • in caso di biopsia negativa o in caso di rifiuto dell’esame bioptico da parte del paziente, alcuni altri test comprendenti marcatori biologici, possono essere d’aiuto nella diagnosi.
  • La malattia, peraltro, è molto variabile e le difficoltà diagnostiche derivano anche dalla possibile mancanza di sintomi nelle fasi iniziali, mentre nelle fasi sintomatiche è necessario porre la diagnosi differenziale con altre affezioni con quadro clinico simile. In presenza di esordio acuto il sospetto clinico è generalmente più semplice mentre le forme a esordio insidioso e andamento cronico sono di più difficile inquadramento diagnostico. Nelle tabelle 03 – 05 sono riportati i reperti della TC, della broncoscopia e gli altri test diagnostici.
  • Le immagini 01 – 06 mettono in evidenza i quadri radiologici della TC nelle diverse fasi della malattia.

Tabella 03


Polmone e pleuraLinfonodi
– Aree a vetro smerigliato: zone di alveolite o granulomi interstiziali diffusi, al di sotto del potere di risoluzione dello strumento (Immagine 01).
– Noduli: granulomi interstiziali “miliariformi” a distribuzione perilinfatica, piccoli e diffusi (Immagine 02) o “coalescenti” con aspetto radiologico variabile (opacità anche di grandi dimensioni a margini irregolari, con frequente broncogramma aereo}.
Consolidazioni parenchima/i, atelectasie od opacità massive: caratteristici ai campi medio e apicale con irradiazione ilofuga (Immagine 03).
– Cisti, bolle, Bronchiectasie e “honeycombing”: espressione di fibrosi ed enfisema paracicatriziale (Immagine 04).
Cavitazioni parenchima/i: rare, sono l’esito necrotico centrale di granulomi confluenti e possono ospitare micetomi.
Ispessimenti: di diverse strutture (scissure, fasci bronco vascolari, setti interlobulari}. Diagnosi differenziale con linfangite carcinomatosa.
Versamento pleurico: per coinvolgimento diretto della pleura o per blocco linfatico. Rari gli ispessimenti cicatriziali focali.
– Sede: comune l’interessamento ilare bilaterale, carenale, paratracheale inferiore, pre e subaortico.
– Morfologia: I linfonodi ingranditi rimangono singolarmente distinguibili (Immagine 05). Nella malattia di vecchia data, possibili le calcificazioni puntiformi, “a spruzzo”, a “pop corn” o a “guscio d’uovo” (Immagine 06).
Dimensioni: possono superare il diametro massimo di 3 cm, ma non raggiungono mai le masse enormi riscontrabili nei linfomi, poiché gli elementi linfonodali non confluiscono tra loro. Sono sempre assenti eventi compressivi sulle strutture vascolari limitrofe.

Tabella 03. Reperti radiologici: TC torace. Diagnosi: reperti TC.

Tabella 04


Lavaggio broncoalveolare (BAL)Esame di I livello. Caratteristico incremento dei linfociti CD4+ con un rapporto CD4/ CD8 >3,5. Tale rapporto è, invece, ridotto nel sangue periferico, come se il polmone “sequestrasse” i linfociti CD4 circolanti.
Biopsia bronchialeDi routine anche in assenza di reperti patologici endoscopici (consigliati 6 prelievi: 2 alla carena principale e 2 a livello delle biforcazioni bronchiali di entrambi gli emisistemi).
Biopsia polmonare transbronchiale (TBLB)Tecnica bioptica di scelta poiché consente un’analisi istologica del tessuto polmonare. Il numero delle biopsie (sino a 10) e la loro sede (più lobi, bilateralmente) influiscono sulla resa diagnostica della procedura.
Agobiopsia transbronchiale (TBNA)Metodica semplice e meno invasiva della TBLB; trova indicazione nello stadio I e II.
(EBUS-TBNA)TBNA sotto guida ultrasonografica laddove disponibile migliora la resa diagnostica.

Tabella 04. Diagnosi: reperti broncoscopici.

Tabella 05


Tabella 05. Diagnosi: esami diagnostici.

Terapia


  • Le premesse necessarie a comprendere quali siano gli effettivi problemi circa le decisioni terapeutiche nella Sarcoidosi sono:
    • la malattia guarisce spontaneamente in molti casi;
    • in altri mostra una tendenza evolutiva più aggressiva;
    • l’eventuale evoluzione è comunque progressiva, mai fulminante;
    • l’interessamento polmonare è molto frequente anche se si tratta comunque di una malattia sistemica;
    • i farmaci di prima scelta sono i corticosteroidi sistemici.
  • Il problema principale è stabilire quando sia necessario iniziare il trattamento: nelle forme a esordio acuto al I stadio o con sindrome di Loefgren si consiglia di astenersi da alcun tipo di trattamento, se non utilizzando farmaci “sintomatici” e analgesici di tipo non steroideo per le artralgie, proprio per la loro tendenza ad autolimitarsi in poche settimane. I corticosteroidi sono, invece, da utilizzare come farmaci di prima scelta nelle forme extrapolmonari (in particolare oculare, neurologica, cardiaca o renale) e nelle Sarcoidosi polmonari al II stadio – III stadio, comunque in tutte quelle forme con coinvolgimento del parenchima polmonare. Il protocollo prevede l’uso di 1 mg/kg/die di prednisone per 8-12 settimane e graduale riduzione in 3-12 mesi. In caso di inefficacia o intolleranza ai corticosteroidi per gli effetti collaterali, si possono utilizzare il metotrexate o l’idrossiclorochina (particolarmente efficace nelle forme cutanee). Terapie ancora sperimentali, ma che promettono buoni risultati sono gli inibitori del TNF (Tumor Necrosis Factor).
  • Da sottolineare, infine, che la Sarcoidosi nelle donne non controindica una gravidanza, purché i test di funzionalità respiratoria risultino nei limiti; tuttavia si possono avere riacutizzazioni della malattia nel puerperio.

Immagine 01


Immagine 01. TC del torace. Aree multiple a vetro smerigliato.

Immagine 02


Immagine 02. TC del torace. Noduli multipli a disposizione perilinfatica.

Immagine 03


Immagine 03. TC del torace. Vasta area di consolidazione parenchimale del lobo medio estesa dall’ilo verso la periferia.

Immagine 04


Immagine 04. TC del torace. Bolle e Bronchiectasie espressione di fibrosi e di enfisema paracicatriziale.

Immagine 05


Immagine 05. TC del torace. Multiple adenomegalie mediastiniche, tipiche della sarcoidosi. Si noti che gli elementi linfonodali ingranditi sono individualmente ben riconoscibili e non tendono a conglomerare.

Immagine 06


Immagine 06. TC del torace: calcificazioni in adenopatie mediastiniche. Calcificazioni tipiche delle Adenopatie mediastiniche nella sarcoidosi, definite: A) a “pop corn”; B) a “guscio d’uovo”; C) a “spruzzo”.

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Quale tra i seguenti farmaci NON ha indicazione per il trattamento dell'osteoporosi?














La risposta corretta è la B.
L’osteoporosi è una patologia sistemica caratterizzata da una riduzione quantitativa generalizzata della massa ossea e da alterazioni qualitative del tessuto osseo con diminuzione della componente minerale di calcio e fosforo.
Rappresenta un importante fattore di rischio per lo sviluppo di fratture tra cui, le più frequenti sono le fratture di Colles, le fratture d’anca e i crolli vertebrali: per valutare il rischio di frattura di un paziente con osteoporosi è stato sviluppato un algoritmo chiamato FRAX.
I farmaci per il trattamento dell’osteoporosi possono essere raggruppati in:
1.       Anti-riassorbitivi;
2.       Anabolici.
Gli antiriassorbitivi comprendono estrogeni, modulatori selettivi del recettore per gli estrogeni, bifosfonati farmaci d’elezione tra cui ci sono Ibandronato e Alendronato, e il denosumab. Essi agiscono riducendo il riassorbimento osseo, e di conseguenza la sua formazione, favorendo l’aumento della densità ossea.
Tra i farmaci anabolici, invece, ci sono il paratormone e il teriparatide che stimolano la formazione dell’osso.
I corticosteroidi, farmaci ampiamente usati per le loro azioni anti-infiammatorie e immunosoppressive, sono farmaci alla base della forma di osteoporosi definita ‘indotta da glucocorticoidi’, in particolare, essi agiscono sugli osteoblasti inibendone la funzione, riducendo di conseguenza la formazione di nuovo osso.


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Scenario NT41E: A un paziente di 47 anni viene riscontrata una retinopatia ipertensiva durante esecuzione di un fundus oculi. La misurazione della pressione arteriosa risulta 160/105 mmHg. Tale valore viene confermato da altre due misurazioni durante la settimana. Nel sospetto di una ipertensione arteriosa secondaria di natura nefro-vascolare, quale sintomo/segno è opportuno ricercare?














La risposta corretta è la A.
L’ipertensione nefro-vascolare è l’ipertensione arteriosa causata dalla stenosi di una o di entrambe le arterie renali; solitamente l’occlusione è su base ateromasica, cioè vi è una placca aterosclerotica all’origine o nel tratto intermedio dell’arteria renale, tuttavia, soprattutto nei soggetti più giovani la causa della stenosi è da ricercarsi in un’arterite, una vasculite dei grossi vasi che trasforma la parete del vaso. In questo caso, infatti, a seguito della flogosi si osserva un’iperplasia fibro-muscolare della tonaca media responsabile di un aspetto tipico dell’arteria renale a ‘corona di rosario’.
La stenosi, comunque, qualunque sia la causa, attiva il sistema renina-angiotensina-aldosterone con conseguente vasocostrizione, ritenzione di sodio ed espansione del volume circolante. Si tratta di un’ipertensione generalmente non associata ad una storia di familiarità, ad insorgenza brusca ed anche con valori piuttosto elevati: l’assenza di familiarità e l’insorgenza in età giovane devono far porre il sospetto clinico di ipertensione nefrovascolare.
Nel sospetto di malattia nefrovascolare dopo un’accurata anamnesi del paziente sarà necessario prestare attenzione all’esame obiettivo: è caratteristico in questo pazienti un soffio addominale a livello periombelicale. A questo punto proseguiremo l’indagine diagnostica con un’ecografia renale, una renoscintigrafia morfofunzionale sequenziale, un ecocolordoppler delle arterie renali, seguita da un RM o un’angio TC.

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Scenario NT41E: A un paziente di 47 anni viene riscontrata una retinopatia ipertensiva durante esecuzione di un fundus oculi. La misurazione della pressione arteriosa risulta 160/105 mmHg. Tale valore viene confermato da altre due misurazioni durante la settimana. Nel caso l'ipertensione fosse secondaria a una stenosi dell'arteria renale, quale tra le seguenti opzioni terapeutiche risulterebbe la più appropriata?