Simulazione

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1 di 15 Domande

Quale complicanza clinica NON si riscontra nell'IRC terminale?














La risposta corretta è la B

Nell’IRC terminale non si riscontra come complicanza l’artrite. La malattia renale cronica è classificata in 5 stadi: Stadio 1: velocità di filtrazione glomerulare normale (?90 mL/min/1,73 m²) con albuminuria persistente o malattia renale strutturale o ereditaria; Stadio 2: 60-89 mL/min/1,73 m²; Stadio 3a: 45-59 mL/min/1,73 m²; Stadio 3b: 30-44 mL/min/1,73 m²; Stadio 4: 15-29 mL/min/1,73 m²; Stadio 5: <15 mL/min/1,73 m². La velocità di filtrazione glomerulare può essere stimata tramite l’equazione CKD-EPI: 141 × (creatinina sierica)^-1,209 × 0,993^età, moltiplicata per 1,018 se donna e 1,159 se afroamericano (1,1799 per donne afroamericane). Questo calcolo è poco accurato negli anziani sedentari, obesi o molto magri. In alternativa, si può usare l’equazione di Cockcroft-Gault per stimare la clearance della creatinina, che tende a sovrastimare del 10-40%. Le complicanze comprendono quelle neurologiche (neuropatia periferica), ematologiche (anemia da ridotta produzione di eritropoietina), scheletriche (osteodistrofia, risposte C-D-E errate) e pericardite nel 20% dei pazienti con insufficienza renale (risposta A errata).


2 di 15 Domande

Nella brucellosi acuta qual e' il titolo minimo per la diagnosi:














La risposta corretta è la C.

La brucellosi (nota anche come "febbre ondulante", "febbre mediterranea" o "febbre maltese") è un’infezione zoonotica trasmessa all’uomo da animali infetti (bovini, ovini, caprini, cammelli, suini o altri) attraverso l’ingestione di prodotti alimentari non pastorizzati, in particolare lattiero-caseari, oppure per contatto diretto con tessuti o fluidi contaminati. Va sospettata in pazienti con febbre, malessere, sudorazione notturna e artralgie in presenza di esposizione epidemiologica significativa, come consumo di prodotti caseari non pastorizzati, contatto con animali in aree endemiche o esposizione professionale. Una diagnosi presuntiva può essere formulata sulla base di:

  • titolo anticorpale totale anti-Brucella ?1:160 mediante test di agglutinazione in provetta standard su siero prelevato dopo l’insorgenza dei sintomi;
  • rilevazione del DNA di Brucella in un campione clinico tramite reazione a catena della polimerasi (PCR).

3 di 15 Domande

In figura è rappresentato uno schema della sequenza genica che costituisce l’operone Lac (sequenza genica che regola la produzione delle lattasi) dei procarioti. Si tratta di una sequenza regolatrice che determina la produzione di lattasi, quando?

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La risposta corretta è la B

La domanda chiede quando l’operone lac, sequenza regolatrice della produzione di lattasi, induce l’espressione: la risposta corretta è “Quando è presente lattosio nel mezzo di coltura”. Nel sistema lac dei procarioti, in assenza di lattosio il repressore LacI si lega all’operatore e impedisce all’RNA polimerasi di trascrivere i geni lacZYA; quando è presente lattosio, una parte viene isomerizzata in allolattosio che funge da induttore legandosi a LacI, causandone il distacco dall’operatore e consentendo l’avvio della trascrizione, inclusa la sintesi di ?-galattosidasi (lattasi). L’espressione è massima se il glucosio è basso perché il complesso cAMP-CAP facilita il reclutamento dell’RNA polimerasi, ma la condizione chiave che rimuove la repressione è la presenza di lattosio. In sintesi, il lattosio segnala alla cellula di esprimere gli enzimi necessari al suo metabolismo attivando l’operone lac.


4 di 15 Domande

Un bambino di 2 anni di origine africana si presenta con tumefazioni dolorose della mani e piedi. Dati di laboratorio mettono in evidenza una emoglobina di 9g/dl, una conta dei globuli bianchi di 11500/mm3 ed una conta delle piastrine di 250000/mm3. Quale dei seguenti esami di laboratorio dara' supporto alla tua diagnosi?














La risposta corretta è la B

Il quadro clinico descritto è compatibile con anemia falciforme o drepanocitosi, un’emoglobinopatia caratterizzata dalla produzione di catene globiniche quantitativamente normali ma qualitativamente alterate. La causa della deformazione dei globuli rossi è una sostituzione amminoacidica (Glu ? Val) che favorisce l’aggregazione delle molecole di Hb con formazione di polimeri simili a pali nel citoplasma eritrocitario. La polimerizzazione, che avviene soprattutto nello stato deossigenato, determina deformazione e la caratteristica forma a falce dei globuli rossi. Questa condizione provoca squilibri che riducono elasticità e vitalità cellulare. I globuli rossi danneggiati rappresentano il principale trigger delle crisi vaso-occlusive, responsabili di fenomeni infartuali a livello del microcircolo, che spesso si manifestano con tumefazioni dolorose di mani e piedi. La prima manifestazione clinica è l’emolisi cronica con pallore, subittero o ittero, astenia, litiasi della colecisti e segni della deplezione di ossido nitrico. A livello arterioso si osserva diatesi trombotica per disfunzione endoteliale. L’emolisi cronica rappresenta uno stato di equilibrio, interrotto più o meno frequentemente da crisi vaso-occlusive. Tra le manifestazioni vaso-occlusive, tipica è l’ostruzione dei vasi retinici, che porta a cecità parziale o totale e determina cicatrici corio-retiniche, una delle manifestazioni retiniche più comuni e patognomoniche dell’anemia falciforme. Dal punto di vista laboratoristico, si osserva riduzione dell’Hb; la diagnosi è confermata da striscio periferico, test di solubilità ed elettroforesi dell’emoglobina, che evidenzia le anomalie strutturali.


5 di 15 Domande

Il Sig. Versici, un uomo di circa 70 anni, si reca presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, Il Dott. Mancini, per un fastidio al polso destro. Anamnesi patologica prossima: lamenta dolore al polso destro da circa due giorni.

Anamnesi patologica prossima: positiva per due interventi di chirurgia sostitutiva dell'anca, due precedenti episodi di gotta in entrambe le prime articolazioni metatarso-falangee ed ipertensione. Esame obiettivo: il Dott. Mancini visitandolo riscontra la presenza di rossore e gonfiore sul versante dorsale del polso. La sintomatologia dolorosa viene esacerbata da movimenti di flesso-estensione completi. Gli vengono prescritti 80 mg di aspirina al giorno. Due giorni dopo il gonfiore però è aumentato sul versante dorsale del polso ed a livello della mano. La flessione del polso risulta limitata dell' 80% con dolore severo, pertanto il Sig. Versici si reca nuovamente presso l’ ambulatorio del Dott. Mancini, che rivisitandolo nota che evoca un dolore sordo alla palpazione dello scafoide e pertanto nel sospetto di frattura gli prescrive un esame radiografico del polso/mano. Esami strumentali-laboratoristici: evidenza di alterazioni riconducibili ad un quadro di artrite gottosa. Quale tipo di citochine sono coinvolte in questo processo?

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La risposta corretta è la C.

La flogosi è un meccanismo di difesa di tipo aspecifico: risponde all’agente lesivo di tipo fisico-meccanico, radiazioni, batteri o sostanze chimiche. È quindi la risposta al danno tissutale ed è un processo reattivo (diverso dalla necrosi che è regressiva), aspecifico (contro tutto ciò che causa danno), stereotipato (stessi meccanismi principali a prescindere dalla causa, con vie diverse secondo lo stimolo), e procede indipendentemente dalla causa (una volta innescato, continua anche se lo stimolo è rimosso). Nella fase acuta si ha aumento del flusso ematico e della permeabilità vascolare, con accumulo di fluidi, leucociti e mediatori come le citochine. Vari fattori solubili favoriscono il reclutamento dei leucociti aumentando l’espressione di molecole di adesione e di fattori chemiotattici. Le citochine chiave sono IL-1, TNF-?, IL-6, IL-8 e altre chemochine; IL-1 e TNF-? sono particolarmente potenti, inducono febbre promuovendo la sintesi di PGE2 nell’endotelio ipotalamico. L’IL-1 è prodotta da macrofagi, neutrofili, cellule endoteliali ed epiteliali: a basse concentrazioni induce adesione leucocitaria, ad alte induce febbre e proteine di fase acuta. Diversamente dal TNF-?, non causa da sola shock settico. Inoltre stimola i mastociti al rilascio di istamina, con vasodilatazione precoce e aumento della permeabilità.

Durante l’infiammazione avvengono: (1) modificazioni di flusso e calibro vascolare con aumento del flusso sanguigno, (2) modificazioni del microcircolo e formazione dell’essudato, (3) richiamo chemiotattico dei leucociti, (4) fagocitosi. Dopo lo stimolo lesivo si ha vasocostrizione transitoria seguita da vasodilatazione intensa (iperemia attiva, responsabile di rubor e calor). Successivamente si verifica rallentamento della circolazione (iperemia passiva o stasi), dovuto ad aumentata permeabilità capillare con essudazione proteica e aumento della viscosità ematica. Il modello tipico dell’infiammazione acuta comprende: alterazioni di flusso e calibro, iperemia attiva e passiva, permeabilizzazione endoteliale con essudato, migrazione leucocitaria e chemiotassi, fagocitosi.

La chemiotassi è movimento orientato lungo un gradiente chimico; gli stimoli possono essere esogeni (prodotti batterici) o endogeni (complemento, leucotrieni, citochine). Durante la stasi i neutrofili si dispongono lungo l’endotelio (marginazione). Segue l’adesione: i leucociti rotolano con legami labili, poi aderiscono stabilmente formando la “pavimentazione”. Successivamente attraversano l’endotelio (diapedesi) e migrano verso lo stimolo. L’endotelio normalmente è continuo e liscio, ma nell’infiammazione aumenta la permeabilità ed esprime molecole di adesione preformate (es. P-selectina dai corpi di Weibel-Palade).

Le principali molecole di adesione sono: selectine (E sull’endotelio, P sull’endotelio in infiammazione, L sui leucociti, legano zuccheri); immunoglobuline (ICAM-1 e VCAM-1, interagiscono con integrine leucocitarie, le ICAM-1 si legano alle integrine ?2); VCAM-2 proprie dell’endotelio; integrine (già presenti sui leucociti, ma con bassa affinità: aumentano l’avidità a seguito di stimoli chemiokinici e dell’induzione di ICAM/VCAM-1). Le citochine IL-1 e TNF inducono fortemente la sintesi di ICAM-1 e VCAM-2, molecole implicate nei legami forti, la cui espressione richiede più tempo.


6 di 15 Domande

Il Sig. Mariani, un uomo di 78 anni si reca presso il PS del Policlinico Torvergata di Roma, a causa di un episodio di dispnea acuta. Anamnesi patologica prossima: lamenta comparsa di episodi di tosse produttiva, gonfiore degli arti inferiori e dei piedi, astenia, che perdurano da 3 settimane. Inoltre, da due mesi a questa parte, si sono presentate crisi di dispnea da sforzo ingravescente. Anamnesi patologica remota: una decina di anni prima è stato sottoposto ad un intervento di chirurgia sostitutiva per impianto di protesi valvolare di suino, a causa di un rigurgito della valvola mitrale di grado severo. Il paziente è affetto da coronaropatia, diabete mellito di tipo 2 ed ipertensione. Anamnesi fisiologica: ha fumato per 55 anni un pacchetto di sigarette al giorno e abitualmente beve una birra al giorno. Anamnesi farmacologica Attualmente prende diversi farmaci tra cui cardioaspirina, simvastatina, ramipril, metoprololo, metformina e idroclorotiazide. Esame obiettivo: si presenta dall’ aspetto pallido. L’ uomo è alto 181 cm e pesa 128 kg, con una BMI di circa 41 kg/m2. Ha una temperatura corporea di 37.3 °C , frequenza respiratoria di 23 atti/min, frequenza cardiaca di 97 bpm, e pressione arteriosa di 148/95 mm Hg. All’ auscultazione del torace si riscontra la presenza di rantoli alle basi polmonari bilateralmente. L’ esame obiettivo del cuore rivela la presenza di un battito apicale dislocato lateralmente e la presenza, a livello dell’ apice, di un soffio diastolico 3/6 di intensità decrescente. Inoltre si osserva la presenza di edemi improntabili bilateralmente a livello dei piedi e delle caviglie. Il resto dell’ esame obiettivo non mostra altre anomalie. Quale tra le seguenti è la causa più probabile dei sintomi di questo paziente?

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La risposta D è corretta.

Il paziente circa 10 anni fa si era sottoposto a un intervento di sostituzione protesica con impianto di protesi valvolare suina per severo rigurgito mitralico. Il trattamento di una valvulopatia, a meno che non sia di grado medio-elevato e clinicamente significativa, richiede solo un controllo periodico, mentre l’intervento chirurgico è indicato in presenza di una lesione moderata o grave responsabile di sintomi e/o disfunzione cardiaca. Le opzioni vanno dalla valvuloplastica alla riparazione fino alla sostituzione, che può essere effettuata con protesi meccaniche (preferite nei pazienti <65 anni o con lunga aspettativa di vita, ma richiedono anticoagulazione cronica con warfarin per prevenire tromboembolismo) o biologiche (suine o bovine, più soggette a deterioramento sclero-fibrotico, con durata media 10-15 anni). Una complicanza possibile delle protesi biologiche è l’ostruzione/stenosi o il rigurgito, entrambi responsabili di scompenso cardiaco.

L’endocardite infettiva insorge in presenza di una predisposizione endocardica (patologie congenite, reumatiche, valvole bicuspidi calcifiche, prolasso mitralico, cardiomiopatia ipertrofica, precedente endocardite). Fattori predisponenti sono protesi valvolari, tossicodipendenza, diabete, uso cronico di anticoagulanti o steroidi, età avanzata. Agenti più comuni sono streptococchi e stafilococchi (80-90%), seguiti da enterococchi e microrganismi HACEK. Clinicamente si manifesta con febbre, nuovo soffio o modifica di un soffio preesistente, può causare scompenso cardiaco e, all’ecocardiogramma, vegetazioni. Segni caratteristici: petecchie congiuntivali, macchie di Roth, lesioni di Janeway, nodi di Osler, emorragie subungueali a scheggia. La diagnosi si basa sui criteri di Duke (diagnosi rigettata, possibile o certa). In assenza di emocolture disponibili, e senza rischio per MRSA, la terapia empirica si effettua con un ?-lattamico + amminoglicoside. Sebbene questo paziente presenti soffio e segni di scompenso, non ha febbre né criteri di Duke: l’endocardite è improbabile (risposta A errata).

La BPCO è una malattia polmonare cronica non reversibile, con ostruzione bronchiale persistente (VEMS/CVF <0,7), spesso correlata a fumo e caratterizzata da progressione, riacutizzazioni infettive, dispnea, tosse produttiva cronica, tachipnea, cianosi e ipertensione polmonare nelle fasi avanzate. All’auscultazione: respiro sibilante e fase espiratoria prolungata. Nonostante il paziente sia fumatore con tosse, i sintomi durano solo da 3 settimane e non vi sono segni obiettivi di ostruzione: la diagnosi di BPCO è errata (risposta B errata).

La polmonite è un’infiammazione acuta polmonare (batterica, virale, fungina, parassitaria) diagnosticata con RX torace e reperti clinici. Può essere comunitaria (più spesso da Streptococcus pneumoniae, Mycoplasma pneumoniae) o nosocomiale. Clinicamente: febbre, tosse, dispnea, astenia, ipossia; nella forma tipica: esordio acuto con febbre, tosse produttiva, crepitii e rumori bronchiali; nella forma atipica: esordio graduale con tosse secca, dispnea e pochi segni obiettivi. È indicato esame colturale di sangue/escreato. Questo paziente presenta tosse produttiva ma non febbre, e all’auscultazione rantoli basali bilaterali: più compatibili con scompenso cardiaco che con polmonite (risposta C errata).

L’embolia polmonare è occlusione di arterie polmonari da trombi (arti inferiori/pelvi). Presentazione acuta con sintomi aspecifici: dolore toracico pleuritico, tosse, sincope, dispnea, arresto cardiorespiratorio nei casi gravi; segni: tachipnea, tachicardia, ipotensione. Fattori di rischio: immobilizzazione, trombofilie, gravidanza, chirurgia recente. In questo paziente tosse e dispnea possono mimarla, ma anamnesi negativa per immobilizzazione e presenza di stenosi mitralica con edemi declivi bilaterali fanno propendere per scompenso cardiaco congestizio piuttosto che embolia polmonare (risposta E errata).


7 di 15 Domande

Il Sig. Verci, un uomo di circa 60 anni si reca, presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, il Dott. Briga, per dispnea. Anamnesi patologica prossima: lamenta una dispnea ingravescente da circa un mese. Inizialmente era in grado di salire 3 rampe di scale fino al suo appartamento, ma ora necessita di effettuare numerose pause per recuperare il fiato. Non lamenta dolore al petto. Anamnesi patologica remota: l'uomo è affetto da cardiopatia reumatica e diabete mellito di tipo 2. Anamnesi fisiologica: è emigrato dall'India circa 20 anni prima. Anamnesi farmacologica: assume carvedilolo, torasemide e insulina. Esame obiettivo: il Dott. Briga visita il Sig. Verci riscontrando una temperatura corporea di 37.2 °C, una frequenza cardiaca di 74 bpm, una frequenza respiratoria di 19 atti/min ed una pressione arteriosa di 135/80 mm Hg. La pulsossimetria mostra una saturazione d'ossigeno del 96% in aria ambiente. L'auscultazione del torace rivela la presenza di crepitii alle basi polmonari bilateralmente. All’ auscultazione cardiaca si riscontra la presenza di un soffio d'apertura seguito da un soffio diastolico di bassa tonalità , a livello del quanto spazio intercostale di sinistra in corrispondenza della linea medio-claveare. Esami strumentali-laboratoristici: il Dott. Briga decide di far eseguire una radiografia del torace al Sig. Verci, che mostra una dilatazione dell'atrio di sinistra, con stiramento del margine cardiaco di sinistra, ed un’ aumentata trama vascolare. Quale tra i seguenti rappresenta l'intervento di prima scelta per migliorare la sintomatologia del paziente?

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La risposta corretta è la D.

La malattia reumatica è la causa più frequente di stenosi mitralica non complicata. È caratterizzata da fibrosi, calcificazione dei lembi valvolari e parziale fusione delle commissure, con conseguente riduzione dell’ostio valvolare (normalmente 4-6 cm²) fino a valori <1 cm². A causa di questo restringimento, l’unico modo per garantire il passaggio di sangue dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro durante la diastole è aumentare le pressioni atriali. Questo incremento si trasmette a monte, con aumento della pressione nelle vene e nei capillari polmonari: ecco la causa della dispnea. Se le pressioni aumentano ulteriormente, soprattutto acutamente, può verificarsi la trasudazione di liquido negli alveoli con conseguente edema polmonare. Il nostro paziente all’auscultazione presenta anche crepitii basali bilaterali. Il gradiente diastolico transvalvolare è proporzionale al grado di stenosi ed è sensibile ad aumenti di portata e frequenza cardiaca: maggiore la portata/frequenza, maggiore il gradiente. Per questo un soggetto asintomatico a riposo può diventare sintomatico anche per sforzi lievi. L’evoluzione della stenosi mitralica è rappresentata dallo sviluppo di ipertensione polmonare arteriosa, secondaria a quella venosa, che provoca vasocostrizione arteriolare inizialmente funzionale e reversibile, successivamente irreversibile per ipertrofia della tonaca media e fibrosi dell’intima. Le elevate resistenze arteriolari del circolo polmonare causano sovraccarico pressorio del ventricolo destro con dilatazione, ipertrofia, disfunzione contrattile e segni di scompenso destro e bassa gittata. Nell’insufficienza mitralica, invece, la pressione atriale sinistra, molto più bassa di quella aortica, fa sì che il sangue refluisca in atrio già durante la contrazione isometrica ventricolare. Nell’insufficienza mitralica cronica l’atrio sinistro si adatta dilatandosi, per cui la pressione a monte non aumenta significativamente; nell’insufficienza acuta, invece, l’atrio non ha tempo di adattarsi e subisce un brusco aumento pressorio con ripercussioni sulla pressione venosa polmonare. Il ventricolo sinistro, sottoposto a sovraccarico di volume, si dilata: inizialmente la frazione di eiezione rimane conservata, poi si riduce progressivamente perché il rigurgito in atrio riduce il volume sistolico effettivo. Una frazione di eiezione <60% è indicativa di compromissione ventricolare sinistra. Nel nostro paziente, per segni, sintomi e reperti auscultatori, è probabile un coinvolgimento valvolare mitralico, in particolare stenosi o steno-insufficienza. L’intervento di scelta, nella stenosi mitralica clinicamente significativa (area ?1,5 cm²) o sintomatica, e nei pazienti con controindicazioni alla chirurgia, è la valvuloplastica percutanea con palloncino: una “dilatazione controllata” eseguita con un palloncino ad alta resistenza gonfiato in prossimità della valvola, introdotto tramite catetere da vena femorale destra. È una tecnica mini-invasiva che riduce morbilità e mortalità perioperatorie, con buona efficacia a lungo termine (sopravvivenza libera da eventi nel 30-70% dei casi), sebbene non siano rare le restenosi. Non può essere eseguita in presenza di calcificazioni valvolari, per cui è indicata la sostituzione valvolare.


8 di 15 Domande

Un ragazzo di 20 anni presenta il seguente ECG. Cosa si nota all'ECG?

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La risposta esatta è la A.

Le derivazioni da V1 a V6, chiamate derivazioni precordiali, esprimono l’attività elettrica del cuore sul piano orizzontale: V1-V2 esplorano il setto interventricolare, V3-V4 la parete anteriore del ventricolo sinistro, V5-V6 la parete laterale del ventricolo sinistro. L’onda P indica la depolarizzazione atriale, il complesso QRS e l’onda T indicano rispettivamente la depolarizzazione e la ripolarizzazione ventricolare, mentre la ripolarizzazione atriale non è visibile poiché avviene durante la depolarizzazione ventricolare. In età giovanile, dopo la pubertà, il vettore di ripolarizzazione ventricolare rende le T positive in tutte le derivazioni precordiali, tranne V1 e raramente V2; in casi eccezionali, la negatività può coinvolgere anche V3 e V4 (onda T giovanile). Dopo la pubertà, la presenza di onde T invertite ?2 mm in due o più derivazioni contigue del ventricolo destro può indicare cardiopatia congenita con sovraccarico di pressione o volume (cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro) oppure, più raramente, patologie ereditarie dei canali del sodio o potassio. L’ECG descritto mostra ritmo sinusale, alterazioni diffuse della ripolarizzazione con T negativa da V1 a V5, R alta in V1 e asse spostato a destra: reperti suggestivi di ipertrofia ventricolare destra a carattere aritmogeno. La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro è spesso familiare, più frequentemente a trasmissione autosomica dominante, e coinvolge prevalentemente ma non esclusivamente il ventricolo destro. Nel 10-20% dei casi è presente una mutazione nei geni che codificano proteine del desmosoma. Istologicamente si osserva progressiva sostituzione del miocardio con tessuto fibro-adiposo, che genera aree di discinesia e dilatazione soprattutto nel tratto di afflusso, efflusso e apice del ventricolo destro (triangolo della displasia), ma può estendersi all’intera parete ventricolare destra o anche al ventricolo sinistro. Questa condizione, per le alterazioni morfologiche e funzionali, è causa frequente di aritmie ventricolari e morte improvvisa, soprattutto in età giovanile durante o subito dopo l’attività fisica. In presenza di un ECG di questo tipo è quindi indicato eseguire un ecocardiogramma per rilevare eventuali alterazioni strutturali cardiache.


9 di 15 Domande

Un paziente di 37 anni si presenta in Pronto Soccorso per comparsa di valori elevati di pressione arteriosa. L'addome si presenta globoso per adipe ed è raffigurato nell'immagine seguente. Gli arti sono estremamente sottili. Per confermare l'ipotesi diagnostica tutti gli esami seguenti sono congrui a ECCEZIONE di uno. Quale?

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La risposta corretta è la A.

La sindrome di Cushing è una sindrome caratterizzata da una costellazione di anomalie cliniche provocate da livelli ematici cronicamente elevati di cortisolo o di corticosteroidi ad esso correlati.

Le manifestazioni cliniche interessano molteplici organi, sistemi e processi biochimici: alti livelli di cortisolo causano diabete, osteoporosi, ipertensione, aumentato rischio cardiovascolare, depressione, infertilità , e una ridotta qualità di vita.

Dati recenti riportano che nei Cushing non trattati la mortalità aumenta di 5 volte, la normalizzazione dei livelli di cortisolo riportano la mortalità a valori normali.

Il cortisolo è un ormone devastante se presente in eccesso: protido-catabolico e anti-anabolico. Nel Cushing è in un range deleterio per il resto dell’ organismo, e in quanto antagonista dell’ insulina determina una serie di sintomi per cui porta l’ organismo in una situazione di estrema fragilità : i muscoli diventano fragili, il sistema vascolare si rompe facilmente, azione iperglicemizzante. Il paziente guadagna peso se mangia: l’ aumento di peso è relativo all’ introito di cibo.

Quando questo eccesso di cortisolo si associa ad adenoma ipofisario, noi parliamo di Malattia di Cushing.

La sindrome di Cushing la distinguiamo il ESOGENA ed ENDOGENA.

– ESOGENA è dovuta all’ assunzione di corticosteroidi sintetici, che è la causa più frequente e meno conosciuta.

– ENDOGENA l’ ipercostisolismo è legato all’ aumentata produzione di cortisolo.

L’ endogena la distinguiamo in:

1)  ACTH-dipendente, quindi l’ iperproduzione di cortisolo è legata all’ eccesso di ACTH.

2) ACTH-indipendente.

L’ iperproduzione di cortisolo è legata all’ eccesso di ACTH che stimola il surrene. La sindrome di Cushing endogena ACTH-dipendente (80% dei casi) in realtà comprende tre sindromi diverse che possiamo chiamare:

  1. surrenalica quando la causa è nel surrene, quindi sindrome di Cushing surrenalica legata alla presenza di un adenoma o di un carcinoma oppure di un’ iperplasia surrenalica;
  2. ipofisaria quando alla base della sindrome di Cushing c’ è l’ eccesso di ACTH, eccessiva produzione autonoma di ACTH da parte dell’ ipofisi;
  3. ectopica quando l’ aumento degli ormoni corticosteroidi è legata alla secrezione a livello di una neoplasia non presente nell’ asse, quindi ectopica, che può produrre sia CRH che ACTH.

Dunque distinguiamo una sindrome di Cushing endogena surrenalica, una sindrome di Cushing ipofisaria e una sindrome di Cushing ectopica.

Dal punto di vista clinico questa sindrome si caratterizza per: astenia, dolore lombare legata all’ osteoporosi, diminuzione o aumento dell’ appetito, diminuzione della concentrazione, alterazione della memoria, insonnia, irritabilità , anomalie del ciclo, diminuzione della libido, facies a luna piena, gobba di bufalo, obesità centrale, deposito sovraclaveare del grasso (a volte il collo sparisce completamente), la cute sottile ed estremamente friabile, porpora, comparsa delle cosiddette strie rubre a livello addominale,  l’ acne, l’ irsutismo con l’ alopecia, arretramento della linea di impianto dei capelli, ipertensione arteriosa, debolezza dei muscoli prossimali, l’ edema periferico e la difficile guarigione delle ferite (numerosi di questi segni sono mostrati anche nell’ immagine presenta nel caso, risposta C corretta).

Quindi la sindrome di Cushing esogena deriva da una somministrazione dall’ esterno di cortisolo e di ACTH. L’ endogena può essere ACTH-dipendente e ACTH-indipendente. L’ ACTH-indipendente a sua volta si suddivide in ipofisaria ed ectopica. L’ ACTH-indipendente comprende l’ iperplasia surrenalica, l’ adenoma surrenale e il carcinoma surrenale. Per quanto riguarda l’ iperplasia nodulare, quindi la forma ACTH-dipendente, la distinguiamo in macronodulare e micronodulare. Quindi abbiamo diverse forme.

Quindi sulla sindrome di Cushing endogena abbiamo detto l’ ipofisaria, l’ adenoma che può essere associato ad iperplasia surrenalica o anche l’ iperplasia ipofisaria quando abbiamo, per esempio, il CRH ipotalamico, oppure quando alla base della sindrome c’ è la produzione ectopica di CRH. Noi avremo che questo CRH dà un’ iperplasia, un’ iperfunzione ipofisaria che non dipende da un adenoma.

La produzione ectopica può essere di CRH o di ACTH.

La sindrome di Cushing surrenalica può essere:

  1. unilaterale e abbiamo i tumori surrenali, abbiamo detto l’ adenoma singolo, l’ adenoma multiplo o i carcinomi;
  2. bilaterale e abbiamo la displasia nodulare.

Poi abbiamo tutta una serie di situazioni che concretizzano quello che viene definito lo pseudo-Cushing, cioè i segni e i sintomi di un eccesso di cortisolo, ma non un eccesso di cortisolo che si verifica, fondamentalmente, nell’ obesità , nella depressione e nell’ alcolismo, nell’ assunzione di alcol.

La sindrome di Cushing esogena può essere iatrogena e factizia: iatrogena per somministrazione terapeutica e factizia per assunzione spontanea di corticosteroidi che possono essere somministrati per via orale, inalatoria e cutanea; factizia con l’ assunzione di ACTH che, per esempio, è largamente utilizzato dagli allergologi, da quelli che fanno terapia steroidea per lungo periodo. Anziché dare il cortisone, stimolano il surrene a produrre una maggiore quantità di cortisolo con l’ ACTH. Un altro farmaco che può dare la sindrome di Cushing esogena è il medrossiprogesterone acetato che è un progestinico, utilizzato principalmente come anabolizzante nelle terapie di pazienti affetti da carcinoma della mammella oppure in altre patologie neoplastiche a scopo anabolizzante.

A questo consegue che c’ è una soppressione comune dell’ asse ipotalamo-ipofisario.

I sintomi collaterali di questo eccessivo uso di cortisolo caratterizzano una sindrome perfettamente analoga a quella data da iperfunzione del surrene.

Poi abbiamo la sindrome di Cushing endogena ACTH-indipendente surrenalica, con adenomi e carcinomi nel 20% dei casi, la displasia micronodulare e l’ iperplasia macronodulare.

Nell’ ipercortisolismo endogeno ACTH-dipendente vedete che l’ ACTH stimola il surrene a produrre più glucocorticoidi, viene a mancare il meccanismo di feedback perché nonostante i glucocorticoidi cerchino di ridurre l’ input dell’ ACTH e del CRH, ciò non avviene.

Nel caso dell’ ipercortisolismo endogeno ACTH-indipendente abbiamo iperproduzione di glucocorticoidi da parte del surrene che esercitano rapidamente un feedback a livello ipofisario e avremo un ACTH pari a 0.

Nel caso di sindrome primitiva, per il feedback viene messo a riposo l’ asse ipotalamo-ipofisario. Nel caso di alterazione a livello superiore l’ ACTH rimarrà alto nonostante i valori elevati ci cortisolo.

Qui abbiamo tre situazioni:

  1. alterazione a livello ipotalamico, l’ ACTH ipofisario è aumentato ed è aumentato anche il cortisolo;
  2. alterazione a livello ipofisario, l’ ipotalamo sano subisce il feedback da parte dell’ ACTH ipofisario, dunque il CRH sarà diminuito. L’ ACTH è aumentato e il cortisolo anche;
  3. alterazione surrenale, sia l’ ACTH che il CRH sono fortemente diminuiti mentre è aumentato il cortisolo.

La sindrome di Cushing ACTH-dipendente ipofisaria è la più frequente dopo la sindrome di Cushing esogena. L’ incidenza della sindrome di Cushing ipofisario è 2-6 casi per milione di individui l’ anno, predilige il sesso femminile di età media tra i 20 e i 40 anni. E’ causata generalmente da adenomi ipofisari ACTH-secernenti.

Per quello che concerne l’ ectopica (20% dei casi), non è prevalente nel sesso femminile come l’ ipofisaria, ma prevale nel sesso maschile (quella legata a neoplasie). L’ età è un pochino più avanzata: tra i 50 e i 70 anni. La causa è una neoplasia secernente ACTH o CRH, quindi è una sindrome paraneoplastica, e i tumori responsabili sono i microcitomi polmonari che sono i più frequenti, i carcinomi delle cellule pancreatiche, poi i carcinoidi.

La sindrome ectopica è più frequente negli uomini ed è data da questi tumori, generalmente tumori a piccole cellule del polmone. In questo caso la vera incidenza è misconosciuta perché questi tumori portano così rapidamente a risoluzione negativa della situazione per cui è difficile fare la diagnosi. Anche per la sindrome dell’ ACTH ectopico la frequenza reale è sconosciuta. Tranne quando si tratti di adenomi o carcinomi bronchiali con un andamento più benigno: in questi casi la sindrome del’ ACTH ectopico ha la sua piena estrinsecazione.

Le ipotesi per cui questi ormoni sono prodotti a livello delle neoplasie sono tante, ma fondamentalmente ciò avviene perché a livello delle neoplasie ci sono dei geni non repressi.

Nell’ adenoma, nell’ iperattività ipofisaria abbiamo un aumento dell’ ACTH, iperplasia del surrene e malattia di Cushing. Quando abbiamo eccesso di ormoni surrenali ne deriva il blocco dell’ asse. La malattia ectopica accade quando c’ è un tumore broncogeno oppure un tumore del timo, ma a volte anche nello stesso surrene (per esempio un tumore nel surrene destro a volte ha dato il Cushing del surrene sinistro). In queste situazioni abbiamo che c’ è l’ aumento dell’ ACTH che, rispetto a quello della sindrome di Cushing ipofisaria, è molto più alto però , fondamentalmente, il più delle volte non è l’ ACTH puro ma la beta-lipotropina oppure il CRH che in aggiunta dà una sindrome ipofisaria. E allora diventa difficile fare una diagnosi differenziale tra le varie sindromi perché abbiamo l’ ectopica aggravata da varie complicazioni a livello centrale.

Poi abbiamo le forme surrenaliche le quali sono ACTH-indipendenti e non sono molto frequenti. La sindrome di Cushing surrenale è circa il 20% delle sindromi di Cushing. Abbiamo tumori, alterazioni unilaterali e bilaterali.

Nel caso di sindrome di Cushing da alterazioni unilaterali abbiamo:

  1. adenomi nel 60% dei casi,
  2. carcinomi cortisolo-secernenti nel 40% dei casi.

Poi abbiamo la sindrome di Cushing da alterazioni bilaterali:

  1. la displasia micronodulare che distinguiamo in pigmentata nell’ 1% dei casi,
  2. il complesso di Carney sempre nell’ 1% dei casi,
  3. la sindrome McCune-Albright (che abbiamo visto a proposito della pubertà precoce),
  4. l’ iperplasia macronodulare massiva,
  5. l’ iperplasia surrenalica da recettori aberranti.

Dal punto di vista diagnostico, l’ algoritmo si fonda su:

1) SOSPETTO: Il sospetto ovviamente viene da tutti questi sintomi che abbiamo detto. Però il sospetto deve venire anche per altre situazioni che non danno la sintomatologia completa:

– un’ ipertensione arteriosa in un soggetto in buona salute, con assenza di familiarità e un mancato controllo nonostante politerapia;

– un diabete mellito con insulino– resistenza;

– la presenza di una sindrome metabolica in soggetti giovani,  in assenza di familiarità e fattori predisponenti, la necessità di una terapia aggressiva, con cambi di terapia frequenti per l’ esordio del  diabete mellito, che fanno pensare che non è solo una questione di alterazione del metabolismo ma che alla base ci sta qualcosa che la rende perdurante nel tempo;

– l’ osteoporosi, soprattutto nei soggetti giovani.

– disturbi dell’ umore, euforia, depressione o instabilità emotiva nonostante una politerapia di tipo ansiolitico-antidepressiva come pure un cambiamento improvviso della conformità corporea, le alterazioni del ciclo mestruale, la comparsa di irsutismo e acne in soggetti non più giovani, la riduzione della libido e della potenza sessuale sono tutti sintomi che mi portano al sospetto di ipercortisolismo più che altro subclinico.

Devo avere la conferma di ipercortisolismo e poi la localizzazione.

2) CONFERMA: qual è il protocollo per la diagnosi?

Innanzitutto definire se esiste un’ ipercortisolinemia e valutare i livelli di ACTH, quindi:

– il Cortisolo libero urinario (CLU),

– la cortisolemia,

– il dosaggio dell’ ACTH,

– valutare se c’ è la conservazione del ritmo circadiano: gli ormoni surrenalici, il cortisolo e l’ ACTH, sono secreti secondo un ritmo circadiano, che ha lo zenit al risveglio e il nadir a mezzanotte per il cortisolo, mentre l’ ACTH  aumenta verso le 4 del mattino poi scende all’ aumento del cortisolo.

Devo utilizzare i Test di Soppressione con il desametasone.

Il desametasone è un farmaco, un analogo sintetico del Cortisolo, che ha una potentissima azione anti-infiammatoria e viene usato perché consente di bloccare l’ asse senza che poi venga dosato nelle urine e nel sangue: quindi se io blocco l’ asse con il cortisolo poi quando andremo a fare gli esami troveremo una cortisolemia aumentata e quindi non potrò studiare se dipende dall’ ipofisi, dal surrene o se è ectopica; se invece bloccassimo l’ asse, potremo dosare la produzione del cortisolo ed è chiaro che se l’ asse è bloccato non avremo cortisolemia presente, perché non lo produce l’ asse e perché avremo introdotto un analogo che però non viene dosato nel sangue o nelle urine. Per questo viene utilizzato il test con il desametasone, per vedere se l’ asse è soppresso o meno.

Il Test con il CRH per studiare e valutare l’ integrità della secrezione dell’ ACTH, mentre per esaminare  la morfologia dell’ ipofisi si può fare la RM e la TC e/o la RM per il surrene.

Come detto dosiamo il cortisolo libero urinario, perché il cortisolo plasmatico è legato alla proteina di trasporto: in tutte le situazioni che portano all’ aumento o alla diminuzione della proteina di trasporto (la CBG, la Cortisol Binding Globulin) c’ è la possibilità di avere ipercortisolismo, che è legato al trasporto e non all’ ormone stesso.

Il cortisolo plasmatico ha un altro limite, è legato al ritmo circadiano, per cui posso trovare un momento in cui è di più e un momento in cui è di meno. Quindi la prima cosa da fare allora è il cortisolo libero urinario (cioè libero dalla proteina), quindi fare almeno tre raccolte delle urine, data la possibilità che almeno nel 10% dei Cushing si possono trovare anche valori normali.

E poi si va a studiare l’ asse per vedere se è soppresso o meno, o meglio se risponde alla soppressione, con la somministrazione di 1 mg di desametasone alla sera, alle 23 e dosaggio il mattino successivo di ACTH e cortisolo (sottoporsi al prelievo entro le ore 9 – perché c’ è il discorso dei ritmi – a digiuno).

Quindi perché possa esserci la produzione di ACTH la notte e la produzione di cortisolo la mattina, ci deve essere un asse funzionante, se io blocco l’ asse e blocco la produzione di ACTH e di CRH la mattina successiva il cortisolo deve essere diminuito. Questa è la prima cosa da fare, prima vedere se è in eccesso veramente e secondo valutare com’ è l’ asse, perché se risponde allora abbiamo dei pseudo-Cushing.

Quindi si va a valutare il cortisolo libero urinario, l’ importante è che la raccolta delle urine sia fatta in modo adeguato: significa dire al paziente che deve urinare la mattina presto e successivamente raccogliere le urine, dalla seconda fino alla prima della mattina successiva, possibilmente alla stessa ora, prendendo le urine nella soglia delle 24 ore. Il cortisolo in condizioni fisiologiche sarà inibito se è uguale o  inferiore a 5 mg, se invece supera 1,5 mg non è da considerarsi inibito ma parzialmente inibito.

Per valutare il ritmo circadiano, valutiamo i valori di cortisolo e di ACTH alle 8, alle 18 e alle 23 .

Nei soggetti normali il ritmo segue una determinata sequenza (valore massimo al mattino, diminuisce alle 18 e si azzera alle 23) invece sia nel caso di una sindrome da ACTH ectopico, sia nel caso di una malattia di Cushing ipofisaria troviamo la mancanza di ritmo circadiano.

3) LOCALIZZAZIONE: si fa con l’ ACTH, dobbiamo distinguere la forma ACTH-dipendente e la forma ACTH-indipendente.

L’ ACTH ipofisario è l’ alto, mentre l’ ACTH ectopico è estremamente alto.

Per la localizzazione si fa la soppressione con dosaggi maggiori di desametasone: questa soppressione parte dal concetto che l’ adenoma ipofisario ACTH secernente conserva la propria  capacità di rispondere all’ inibizione ma per dosaggi più alti, ossia è parzialmente resistente, cioè il recettore ipofisario è parzialmente resistente, per cui se ho l’ inibizione con un quantitativo più alto di cortisolo, la diagnosi  punta sull’ adenoma ipofisario, cioè l’ ACTH ipofisario e il CRH ipotalamico in caso di malattia di Cushing, quindi di sindrome centrale, risponde all’ inibizione con livelli più alti di cortisolo, mentre l’ ectopico non risponde all’ inibizione, però se l’ ectopico produce CRH ci complica la vita, perché risponderà pure alla grande inibizione.

Poi abbiamo il CRH-test e il test con Arginil-Vasopressina: la secrezione dell’ ACTH oltre a rispondere al CRH ipotalamico risponde anche all’ ADH.

Quindi le anomalie che noi troviamo nel Cushing di qualsiasi tipologia (o ipofisaria o ipotalamica o surrenalica) sono: aumentata produzione di cortisolo, aumentata escrezione urinaria di cortisolo, perdita del normale ritmo circadiano dell’ ACTH e del cortisolo, resistenza relativa o assoluta al feedback negativo operato dai Glucocorticoidi.

Possiamo trovare un Cushing esogeno, Cushing endogeno, Cushing ACTH-dipendente e Cushing ACTH-indipendente.

L’ ACTH-dipendente si riduce in produzione ectopica o ipofisaria mentre l’ ACTH-indipendente in iperplasia surrenalica, adenoma surrenalico o carcinoma surrenalico.

Quindi se vogliamo discriminare la forma esogena e questo riusciamo a farlo con il tramite dell’ anamnesi, l’ esogena ACTH-indipendente che non si associa ad anomalie strutturali del surrene mentre, per quanto riguarda la forma endogena, dobbiamo distinguere se è ACTH-dipendente o ACTH-indipendente e poi capire se dobbiamo andare a studiare il surrene, l’ ipofisi o il resto dell’ organismo.

Quindi ACTH, soppressione con desametasone 8 mg per due giorni che darà risultati positivi nel caso di residuo ipofisario e non inibizione nel caso di ACTH ectopico.

Il CRH-test o la stimolazione con Arginil-Vasopressina per vedere se l’ ipofisi è integra e quindi risponde allo stimolo.

La prima cosa da fare dopo che abbiamo stabilito l’ ipercortisolemia è vedere le concentrazioni dell’ ACTH che saranno differenti a seconda che si tratti di un Cushing ipofisario o una sindrome di Cushing associata a tumore surrenalico o una sindrome da ACTH ectopico.

Nel Cushing surrenalico i livelli di ACTH sono normo-bassi, molto alti sono invece nel caso del Cushing ipofisario, ma non tantissimo e livelli ancor più elevati nel caso dell’ ACTH ectopico.

Il test di soppressione l’ abbiamo già detto quindi passiamo alla cortisolemia delle 24 ore, questa volta non con 2 mg di desametasone ma con 8 mg.

Generalmente la piccola e la grande inibizione vengono associate in caso di un dubbio.

Si somministrano 2 mg e si raccolgono le urine al secondo giorno per valutare se c’ è stata una riduzione nell’ escrezione del cortisolo che avevamo rivelato alla base, poi si continua per altri due giorni con 8 mg di desametasone e poi si raccolgono le urine finali e si fa il dosaggio di cortisolo plasmatico e di ACTH.

Poi abbiamo il CRH-test: si stimola il paziente con il CRH e poi si dosano i livelli di ACTH ogni mezz’ ora per due ore.

In caso di Malattia di Cushing abbiamo una risposta in quanto l’ adenoma viene stimolato e produce più ormoni; assenza di risposta nel caso di ACTH ectopico e assenza di risposta anche nel caso di Cushing surrenalico.

Se è una forma ACTH-indipendente e se non è legato alla stimolazione da parte del CRH ovviamente non mi darà nessuna risposta, invece nella malattia di Cushing la risposta ci sarà . Questo è come viene fatto il CRH-test, con 10 μg endovena.

Nei casi in cui con la risonanza magnetica non si riesce ad individuare l’ adenoma ipofisario, ma c’ è il forte sospetto che questo sia presente, si fa il cateterismo venoso selettivo dei seni cavernosi in quanto il sangue refluo dal seno cavernoso è direttamente discendente dall’ ipofisi e in particolar modo da un emilato dell’ ipofisi per cui, il seno cavernoso destro raccoglierà il sangue refluo dall’ ipofisi destra mentre il seno cavernoso sinistro, il sangue refluo dall’ ipofisi sinistra.

Se c’ è una discordanza di livelli tra il destro e il sinistro, soprattutto evidente dopo stimolazione con CRH, io farò diagnosi di lateralizzazione e di adenoma ipofisario.

Nel caso ci sia la possibilità che trattasi di ACTH ectopico rispondente alla somatostatina si fa l’ Octreoscan ossia si fa la scintigrafia con l’ octreotide che è una somatostatina che ha una durata d’ azione di circa 7 ore, anziché dare la somatostatina nativa che ha una durata d’ azione di due ore.


10 di 15 Domande

La signora Rettori, una donna di 45 anni, si reca dal proprio medico curante, il Dott. Pressi, per malessere. Anamnesi patologica prossima: comparsa di febbre, disuria e dolore alla schiena. Il Dott. Pressi consiglia alla paziente di recarsi in ospedale per ulteriori accertamenti; qui la donna verrà successivamente ricoverata con una sospetta diagnosi di pielonefrite. La paziente viene sottoposta a terapia con antibiotici ad ampio spettro, che determinano un significativo miglioramento della sintomatologia. Tuttavia, durante il quarto giorno di ricovero, la donna presenta nuovamente febbre, con leucocitosi e profusa diarrea acquosa. Esami strumentali: viene effettuata una colonscopia, visibile nell’ immagine sottostante.

Quale è la terapia per il trattamento di questo disturbo?

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La risposta corretta è la D.

La paziente presenta una colite pseudomembranosa causata da Clostridium difficile, un batterio appartenente alla famiglia Clostridiaceae, patogeno per l’uomo, Gram+ anaerobio. Il C. difficile è virulento in quanto possiede due tossine: la tossina A, un’enterotossina che si lega alle cellule della mucosa e causa un’ipersecrezione di liquido determinando diarrea acquosa; la tossina B, una citotossina che provoca gravi danni alla mucosa determinandone l’aspetto pseudomembranoso. Il Clostridium difficile causa colite associata ad antibiotici, tipicamente in ambiente ospedaliero. Fa parte normalmente del microbiota umano; tuttavia, quando si utilizzano antibiotici per lungo tempo, questi possono distruggere anche i batteri che tengono “sotto controllo” il Clostridium. Quando il C. difficile diviene dominante, si possono avere crampi addominali, colite pseudomembranosa, diarrea (talora ematica), raramente sepsi e addome acuto. I sintomi insorgono alcuni giorni dopo l’inizio della terapia antibiotica e includono diarrea acquosa o scariche di feci non formate, crampi addominali, raramente nausea e vomito. Per la diagnosi è importante l’identificazione della tossina nelle feci. Il trattamento consiste nell’interrompere la terapia antibiotica; se la sintomatologia è grave è possibile utilizzare vancomicina o metronidazolo (nel nostro caso, non essendo la vancomicina tra le opzioni, la risposta corretta è la D).


11 di 15 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

In seguito ai valori di glicemia a digiuno riscontrati, si richiede curva da carico orale di glucosio (OGTT). In base ai risultati sopra riportati, la paziente presenta:

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La risposta corretta è la B.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza.

L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: è necessario un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si associano inoltre a modifiche del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, arti inferiori, retina) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie degli arti inferiori).

Il diabete si classifica in due tipologie principali:

– diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), che può avere cause immuno-mediate o idiopatiche;

– diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e deficienza insulinica relativa, nella maggior parte dei casi senza necessità di insulina.

Esiste poi il diabete gestazionale, che compare in gravidanza e regredisce dopo il parto.

Tra le sindromi secondarie ricordiamo:

– pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori),

– patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite),

– patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante),

– tossicità da farmaci o sostanze chimiche (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.).

Il diabete può rimanere a lungo silente. Si stima che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% resti non diagnosticato.

Per la diagnosi, le misurazioni della glicemia prevedono:

– glicemia a digiuno (da almeno 12 ore): due rilevazioni ?126 mg/dl;

– glicemia random >200 mg/dl, ma solo in paziente sintomatico (polidipsia, poliuria, nicturia, ecc.);

– curva da carico con 75 g di glucosio in 200-250 ml d’acqua: il test si esegue solo se la glicemia basale è <126 mg/dl, e la diagnosi si pone se a 2 ore la glicemia è >200 mg/dl.


12 di 15 Domande

La signora Bellini è una giovane donna ricoverata nel reparto di ginecologia ed ostetricia dopo un parto complicato da una rottura prematura delle membrane amnio-coriali ed un prolungato travaglio. Anamnesi patologica prossima: In seconda giornata sviluppa febbre con brivido associata ad ipotensione e intenso dolore addominale che fanno sospettare un’ endometrite purperale. Il Dott. Lanfranchi decide di sottoporre la paziente ad una radiografia del torace e decide di avviare la terapia antibiotica e reidratante con 4.000 ml di soluzione salina nelle successive 24 ore ma l’ ipertermia persiste e si ottiene un lieve incremento della pressione arteriosa. Improvvisamente la sig.ra Bellini presenta dispnea. Esame obiettivo: viene rilevata una SpO2 dell’ 82% che non aumenta anche con ossigenoterapia con FiO2 del 100%. Il Dott. Lanfranchi decide quindi di intubare la paziente e si eroga una FiO2 del 100%. Non si rileva turgore giugulare, all’ auscultazione polmonare si apprezzano crepitii diffusi bilateralmente. Esami di laboratorio-strumentali: viene rapidamente inviato in laboratorio un campione di sangue arterioso che evidenzia PaO2 di 62 mmHg e PaCO2 di 33 mmHg. L’ ECG mostra tachicardia sinusale. Viene effettuato un nuovo RX del torace che mostra un quadro polmonare modificato rispetto a quanto si era visto nel precedente. Sulla base dei dati forniti quale tra le seguenti è la diagnosi più probabile?

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La risposta corretta è la B.

Questo paziente molto probabilmente ha una ARDS e il rapporto PaO2/FiO2 è <200: la paziente ha un rapporto di 60 (FiO2 = 1 ovvero 100% e PaO2 di 60 mmHg: necessita di ossigeno al 100% per mantenere una pressione di PaO2 accettabile). La RX torace mostra infiltrati polmonari diffusi non riconducibili a eziologia cardiogena. L’EO evidenzia dispnea ingravescente a insorgenza improvvisa, con crepitii diffusi bilateralmente. La paziente presentata nel caso è verosimilmente affetta da ARDS in seguito a sepsi da endometrite postpartum.

La sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) è una grave malattia acuta polmonare. I fattori scatenanti sono numerosi: polmonite, shock, gravi traumi, sepsi, aspirazione di alimenti (ab ingestis), pancreatite. È caratterizzata da danno diffuso della membrana alveolo-capillare, con edema polmonare non cardiogenico (ricco di proteine) e insufficienza respiratoria acuta (ARF). Si osserva reclutamento di neutrofili nei capillari alveolari e formazione di membrane ialine. I neutrofili rilasciano chemochine (che richiamano istiociti), producono ROS, proteasi, leucotrieni, fattore di attivazione piastrinica, prostaglandine e altre molecole che danneggiano le barriere tra capillari e spazi aerei. Gli alveoli e l’interstizio si riempiono di proteine, detriti cellulari e liquido, con distruzione del surfattante, collasso alveolare e mismatch ventilazione/perfusione.

L’ARDS determina grave ipossiemia refrattaria all’ossigenoterapia. I criteri diagnostici comprendono:

– Opacità bilaterali alla RX non spiegabili da versamento, atelettasia o noduli.

– PaO2/FiO2 ?200 mmHg.

– Assenza di evidenza clinica di aumentata pressione atriale sinistra o insufficienza cardiaca (PCWP <18 mmHg). Una pressione di incuneamento capillare polmonare >18 mmHg orienta invece verso edema polmonare cardiogeno.

Secondo la “Definizione di Berlino 2012” l’ARDS si classifica in:

– Lieve: PaO2/FiO2 ?200 mmHg.

– Moderata: PaO2/FiO2 ?100 mmHg.

– Grave: PaO2/FiO2 ?100 mmHg.


13 di 15 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

Per il paziente diabetico è essenziale assumere cibi a basso indice glicemico. Qual è tra i seguenti alimenti quello che presenta il più basso indice glicemico?

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La risposta corretta è la A.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza. L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: serve un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si accompagnano anche ad alterazioni del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, retina, arti inferiori) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie periferiche). Il diabete si classifica in due tipologie principali: diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), con cause immuno-mediate o idiopatiche; diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e relativa deficienza insulinica, che nella maggior parte dei casi non richiede terapia insulinica. Esiste anche il diabete gestazionale, che si manifesta in gravidanza e regredisce dopo il parto. Tra le forme secondarie: pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori), patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite), patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante), tossicità da farmaci o sostanze (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.). Il diabete può progredire a lungo senza sintomi. Si calcola che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% rimane non diagnosticato. Per la diagnosi: glicemia a digiuno ?126 mg/dl in due misurazioni, glicemia random >200 mg/dl in presenza di sintomi (poliuria, polidipsia, nicturia), curva da carico con 75 g di glucosio (diagnosi se glicemia >200 mg/dl a 2 ore). Prima del test, la glicemia basale deve essere <126 mg/dl. Il test va eseguito in pazienti non ricoverati, in buone condizioni cliniche, dopo dieta abituale (non ridotta in carboidrati), a digiuno dalla mezzanotte, senza febbre, stress o fumo. Indicazioni alla curva da carico: glicemia alterata a digiuno (100–125 mg/dl), familiarità per diabete dai 30-40 anni, obesità, complicanze cardiovascolari (TIA, angina, claudicatio), soprattutto se obesi e fumatori, infezioni urinarie o cutanee ricorrenti con glicemia alterata. Il 90% dei casi è di tipo II, storicamente detto diabete dell’adulto (esordio >40 anni), ma oggi è sempre più precoce (anche a 18 anni), correlato all’obesità, in particolare infantile (Italia con alta prevalenza, soprattutto nel centro-sud). Nei gemelli monozigoti la concordanza è ~100% nel tipo II, mentre nel tipo I, pur avendo componente genetica, è solo del 50% per il ruolo di fattori ambientali. Anche nei monozigoti separati alla nascita la concordanza del tipo II rimane elevata, a dimostrazione della forte componente genetica, ancora non del tutto chiarita.


14 di 15 Domande

Una donna di 25 anni affetta da celiachia presenta gli esami ematici riportati in tabella. A quale malattia è più probabile si riferisca il quadro biochimico?

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La risposta corretta è la D.

In base ai reperti clinico-anamnestici e agli esami ematochimici, la paziente del caso clinico presenta verosimilmente la tiroidite di Hashimoto in fase subclinica, una affezione cronica autoimmune da una infiltrazione linfocitaria, che distrugge e sostituisce il parenchima tiroideo, associata a gozzo con o senza ipotiroidismo. Tale patologia si caratterizza per un elevato livello di anticorpi anti-tireoglobulina e anti-perossidasi. Tale patologia può associarsi ad altre malattie autoimmuni come: gastrite atrofica, celiachia, anemia perniciosa, morbo di Addison, diabete mellito 1, vitiligine, anemie emolitiche, epatite biliare. Gli esami consistono nel dosaggio di T4, dell’ormone stimolante la tiroide (TSH) e degli auto-Ac tiroidei. Nella tiroidite di Hashimoto si possono riscontrare diverse situazioni funzionali:

1) normale funzione tiroidea;

2) ipotiroidismo subclinico;

3) ipotiroidismo clinico;

4) ipertiroidismo/tireotossicosi transitoria.

La storia naturale della tiroidite cronica è , solitamente, caratterizzata da una lenta progressione verso l’ ipotiroidismo clinico. Al contrario, la disormonogenesi tiroidea familiare è una forma di ipotiroidismo primitivo congenito, un deficit permanente dell’ormone tiroideo presente alla nascita, dovuto ai difetti genetici della sintesi dell’ormone tiroideo. Nei paesi nei quali sono stati attuati programmi di screening neonatale, la diagnosi viene posta nei neonati in presenza di livelli sierici elevati di TSH e bassi di T4 o T4 libera (risposta A errata). Così , la disgenesia tiroidea è un tipo di ipotiroidismo primitivo congenito, un deficit permanente dell’ormone tiroideo presente alla nascita con livelli sierici elevati di TSH e livelli bassi di T4 o di T4 libera (risposta B errata).


15 di 15 Domande

La signora Melfi porta il figlio Giovanni di 5 anni, presso l’ ambulatorio del Dott. Grassia, pediatra di famiglia.
Anamnesi patologica prossima: la donna riferisce che il bambino lamenta da circa 6 mesi prurito nella zona dei gomiti, dove la pelle si presenta piuttosto desquamata. L’ area interessata a volte diventa rossa e le manifestazioni cutanee tendono a migliorare con l’ utilizzo di steroidi topici. Il bambino non presenta febbre, brividi, sudorazioni notturne, o striature rosse lungo il braccio. Anamnesi fisiologica-personale: la famiglia vive in un appartamento pulito e possiede un gatto. Tutte le seguenti affermazioni riguardo questo bambino sono vere, TRANNE:

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La risposta corretta è la A.

La dermatite atopica è una patologia infiammatoria autoimmune ad eziologia attribuita a componenti genetiche (immunologiche e di proprietà barriera della cute e di solito entrambi i genitori sono affetti o sono stati affetti da dermatite atopica) ed esposizione ambientale, diagnosticabile sulla base delle informazioni anamnestiche e sull’ esame obiettivo.

Essa si associa a livelli elevati di IgE e molti bambini svilupperanno successivamente rinite allergica e/o asma. La malattia atopica viene frequentemente osservata fra gli altri membri della stessa famiglia. Una piccola percentuale di pazienti ha una forma non-atopica (senza sensibilizzazione IgE).

Si manifesta di solito prima dei 7 anni. Il prurito è il sintomo primario e si palesa con prurito desquamazione, placche eritematose, cute secca ed escoriazioni; le lesioni cutanee vanno dall’eritema lieve alla lichenificazione grave. Nei bambini più grandi e negli adulti le zone flessorie (ma non l’inguine) sono più frequentemente coinvolte, mentre nei neonati e nei bambini più piccoli, le superfici estensorie, la regione posteriore del cuoio capelluto e la faccia sono tipicamente coinvolte, mentre la regione del pannolino è risparmiata.

La dermatite atopica cronica si manifesta con pelle ispessita ed escoriata e con la presenza di papule diffuse. Quando compare in età pediatrica spesso tende a regredire parzialmente in età adulta: I bambini con dermatite atopica possono andare incontro ad una risoluzione spontanea, ma circa il 40% dei bambini sintomatici continueranno a presentare tale disturbo da adulti.

La terapia si basa sulla prevenzione all’ esposizione nei confronti di fattori allergogenici, cortisonici applicati localmente, immunomodulanti (è  probabile che le lesioni risponderanno positivamente al tacrolimus topico) e con il mantenimento dell’ idratazione.


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