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1 di 22 Domande

Quale complicanza clinica NON si riscontra nell'IRC terminale?














La risposta corretta è la B

Nell’IRC terminale non si riscontra come complicanza l’artrite. La malattia renale cronica è classificata in 5 stadi: Stadio 1: velocità di filtrazione glomerulare normale (?90 mL/min/1,73 m²) con albuminuria persistente o malattia renale strutturale o ereditaria; Stadio 2: 60-89 mL/min/1,73 m²; Stadio 3a: 45-59 mL/min/1,73 m²; Stadio 3b: 30-44 mL/min/1,73 m²; Stadio 4: 15-29 mL/min/1,73 m²; Stadio 5: <15 mL/min/1,73 m². La velocità di filtrazione glomerulare può essere stimata tramite l’equazione CKD-EPI: 141 × (creatinina sierica)^-1,209 × 0,993^età, moltiplicata per 1,018 se donna e 1,159 se afroamericano (1,1799 per donne afroamericane). Questo calcolo è poco accurato negli anziani sedentari, obesi o molto magri. In alternativa, si può usare l’equazione di Cockcroft-Gault per stimare la clearance della creatinina, che tende a sovrastimare del 10-40%. Le complicanze comprendono quelle neurologiche (neuropatia periferica), ematologiche (anemia da ridotta produzione di eritropoietina), scheletriche (osteodistrofia, risposte C-D-E errate) e pericardite nel 20% dei pazienti con insufficienza renale (risposta A errata).


2 di 22 Domande

Nella brucellosi acuta qual e' il titolo minimo per la diagnosi:














La risposta corretta è la C.

La brucellosi (nota anche come "febbre ondulante", "febbre mediterranea" o "febbre maltese") è un’infezione zoonotica trasmessa all’uomo da animali infetti (bovini, ovini, caprini, cammelli, suini o altri) attraverso l’ingestione di prodotti alimentari non pastorizzati, in particolare lattiero-caseari, oppure per contatto diretto con tessuti o fluidi contaminati. Va sospettata in pazienti con febbre, malessere, sudorazione notturna e artralgie in presenza di esposizione epidemiologica significativa, come consumo di prodotti caseari non pastorizzati, contatto con animali in aree endemiche o esposizione professionale. Una diagnosi presuntiva può essere formulata sulla base di:

  • titolo anticorpale totale anti-Brucella ?1:160 mediante test di agglutinazione in provetta standard su siero prelevato dopo l’insorgenza dei sintomi;
  • rilevazione del DNA di Brucella in un campione clinico tramite reazione a catena della polimerasi (PCR).

3 di 22 Domande

In figura è rappresentato uno schema della sequenza genica che costituisce l’operone Lac (sequenza genica che regola la produzione delle lattasi) dei procarioti. Si tratta di una sequenza regolatrice che determina la produzione di lattasi, quando?

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La risposta corretta è la B

La domanda chiede quando l’operone lac, sequenza regolatrice della produzione di lattasi, induce l’espressione: la risposta corretta è “Quando è presente lattosio nel mezzo di coltura”. Nel sistema lac dei procarioti, in assenza di lattosio il repressore LacI si lega all’operatore e impedisce all’RNA polimerasi di trascrivere i geni lacZYA; quando è presente lattosio, una parte viene isomerizzata in allolattosio che funge da induttore legandosi a LacI, causandone il distacco dall’operatore e consentendo l’avvio della trascrizione, inclusa la sintesi di ?-galattosidasi (lattasi). L’espressione è massima se il glucosio è basso perché il complesso cAMP-CAP facilita il reclutamento dell’RNA polimerasi, ma la condizione chiave che rimuove la repressione è la presenza di lattosio. In sintesi, il lattosio segnala alla cellula di esprimere gli enzimi necessari al suo metabolismo attivando l’operone lac.


4 di 22 Domande

Un bambino di 2 anni di origine africana si presenta con tumefazioni dolorose della mani e piedi. Dati di laboratorio mettono in evidenza una emoglobina di 9g/dl, una conta dei globuli bianchi di 11500/mm3 ed una conta delle piastrine di 250000/mm3. Quale dei seguenti esami di laboratorio dara' supporto alla tua diagnosi?














La risposta corretta è la B

Il quadro clinico descritto è compatibile con anemia falciforme o drepanocitosi, un’emoglobinopatia caratterizzata dalla produzione di catene globiniche quantitativamente normali ma qualitativamente alterate. La causa della deformazione dei globuli rossi è una sostituzione amminoacidica (Glu ? Val) che favorisce l’aggregazione delle molecole di Hb con formazione di polimeri simili a pali nel citoplasma eritrocitario. La polimerizzazione, che avviene soprattutto nello stato deossigenato, determina deformazione e la caratteristica forma a falce dei globuli rossi. Questa condizione provoca squilibri che riducono elasticità e vitalità cellulare. I globuli rossi danneggiati rappresentano il principale trigger delle crisi vaso-occlusive, responsabili di fenomeni infartuali a livello del microcircolo, che spesso si manifestano con tumefazioni dolorose di mani e piedi. La prima manifestazione clinica è l’emolisi cronica con pallore, subittero o ittero, astenia, litiasi della colecisti e segni della deplezione di ossido nitrico. A livello arterioso si osserva diatesi trombotica per disfunzione endoteliale. L’emolisi cronica rappresenta uno stato di equilibrio, interrotto più o meno frequentemente da crisi vaso-occlusive. Tra le manifestazioni vaso-occlusive, tipica è l’ostruzione dei vasi retinici, che porta a cecità parziale o totale e determina cicatrici corio-retiniche, una delle manifestazioni retiniche più comuni e patognomoniche dell’anemia falciforme. Dal punto di vista laboratoristico, si osserva riduzione dell’Hb; la diagnosi è confermata da striscio periferico, test di solubilità ed elettroforesi dell’emoglobina, che evidenzia le anomalie strutturali.


5 di 22 Domande

Il Sig. Versici, un uomo di circa 70 anni, si reca presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, Il Dott. Mancini, per un fastidio al polso destro. Anamnesi patologica prossima: lamenta dolore al polso destro da circa due giorni.

Anamnesi patologica prossima: positiva per due interventi di chirurgia sostitutiva dell'anca, due precedenti episodi di gotta in entrambe le prime articolazioni metatarso-falangee ed ipertensione. Esame obiettivo: il Dott. Mancini visitandolo riscontra la presenza di rossore e gonfiore sul versante dorsale del polso. La sintomatologia dolorosa viene esacerbata da movimenti di flesso-estensione completi. Gli vengono prescritti 80 mg di aspirina al giorno. Due giorni dopo il gonfiore però è aumentato sul versante dorsale del polso ed a livello della mano. La flessione del polso risulta limitata dell' 80% con dolore severo, pertanto il Sig. Versici si reca nuovamente presso l’ ambulatorio del Dott. Mancini, che rivisitandolo nota che evoca un dolore sordo alla palpazione dello scafoide e pertanto nel sospetto di frattura gli prescrive un esame radiografico del polso/mano. Esami strumentali-laboratoristici: evidenza di alterazioni riconducibili ad un quadro di artrite gottosa. Quale tipo di citochine sono coinvolte in questo processo?

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La risposta corretta è la C.

La flogosi è un meccanismo di difesa di tipo aspecifico: risponde all’agente lesivo di tipo fisico-meccanico, radiazioni, batteri o sostanze chimiche. È quindi la risposta al danno tissutale ed è un processo reattivo (diverso dalla necrosi che è regressiva), aspecifico (contro tutto ciò che causa danno), stereotipato (stessi meccanismi principali a prescindere dalla causa, con vie diverse secondo lo stimolo), e procede indipendentemente dalla causa (una volta innescato, continua anche se lo stimolo è rimosso). Nella fase acuta si ha aumento del flusso ematico e della permeabilità vascolare, con accumulo di fluidi, leucociti e mediatori come le citochine. Vari fattori solubili favoriscono il reclutamento dei leucociti aumentando l’espressione di molecole di adesione e di fattori chemiotattici. Le citochine chiave sono IL-1, TNF-?, IL-6, IL-8 e altre chemochine; IL-1 e TNF-? sono particolarmente potenti, inducono febbre promuovendo la sintesi di PGE2 nell’endotelio ipotalamico. L’IL-1 è prodotta da macrofagi, neutrofili, cellule endoteliali ed epiteliali: a basse concentrazioni induce adesione leucocitaria, ad alte induce febbre e proteine di fase acuta. Diversamente dal TNF-?, non causa da sola shock settico. Inoltre stimola i mastociti al rilascio di istamina, con vasodilatazione precoce e aumento della permeabilità.

Durante l’infiammazione avvengono: (1) modificazioni di flusso e calibro vascolare con aumento del flusso sanguigno, (2) modificazioni del microcircolo e formazione dell’essudato, (3) richiamo chemiotattico dei leucociti, (4) fagocitosi. Dopo lo stimolo lesivo si ha vasocostrizione transitoria seguita da vasodilatazione intensa (iperemia attiva, responsabile di rubor e calor). Successivamente si verifica rallentamento della circolazione (iperemia passiva o stasi), dovuto ad aumentata permeabilità capillare con essudazione proteica e aumento della viscosità ematica. Il modello tipico dell’infiammazione acuta comprende: alterazioni di flusso e calibro, iperemia attiva e passiva, permeabilizzazione endoteliale con essudato, migrazione leucocitaria e chemiotassi, fagocitosi.

La chemiotassi è movimento orientato lungo un gradiente chimico; gli stimoli possono essere esogeni (prodotti batterici) o endogeni (complemento, leucotrieni, citochine). Durante la stasi i neutrofili si dispongono lungo l’endotelio (marginazione). Segue l’adesione: i leucociti rotolano con legami labili, poi aderiscono stabilmente formando la “pavimentazione”. Successivamente attraversano l’endotelio (diapedesi) e migrano verso lo stimolo. L’endotelio normalmente è continuo e liscio, ma nell’infiammazione aumenta la permeabilità ed esprime molecole di adesione preformate (es. P-selectina dai corpi di Weibel-Palade).

Le principali molecole di adesione sono: selectine (E sull’endotelio, P sull’endotelio in infiammazione, L sui leucociti, legano zuccheri); immunoglobuline (ICAM-1 e VCAM-1, interagiscono con integrine leucocitarie, le ICAM-1 si legano alle integrine ?2); VCAM-2 proprie dell’endotelio; integrine (già presenti sui leucociti, ma con bassa affinità: aumentano l’avidità a seguito di stimoli chemiokinici e dell’induzione di ICAM/VCAM-1). Le citochine IL-1 e TNF inducono fortemente la sintesi di ICAM-1 e VCAM-2, molecole implicate nei legami forti, la cui espressione richiede più tempo.


6 di 22 Domande

Il Sig. Mariani, un uomo di 78 anni si reca presso il PS del Policlinico Torvergata di Roma, a causa di un episodio di dispnea acuta. Anamnesi patologica prossima: lamenta comparsa di episodi di tosse produttiva, gonfiore degli arti inferiori e dei piedi, astenia, che perdurano da 3 settimane. Inoltre, da due mesi a questa parte, si sono presentate crisi di dispnea da sforzo ingravescente. Anamnesi patologica remota: una decina di anni prima è stato sottoposto ad un intervento di chirurgia sostitutiva per impianto di protesi valvolare di suino, a causa di un rigurgito della valvola mitrale di grado severo. Il paziente è affetto da coronaropatia, diabete mellito di tipo 2 ed ipertensione. Anamnesi fisiologica: ha fumato per 55 anni un pacchetto di sigarette al giorno e abitualmente beve una birra al giorno. Anamnesi farmacologica Attualmente prende diversi farmaci tra cui cardioaspirina, simvastatina, ramipril, metoprololo, metformina e idroclorotiazide. Esame obiettivo: si presenta dall’ aspetto pallido. L’ uomo è alto 181 cm e pesa 128 kg, con una BMI di circa 41 kg/m2. Ha una temperatura corporea di 37.3 °C , frequenza respiratoria di 23 atti/min, frequenza cardiaca di 97 bpm, e pressione arteriosa di 148/95 mm Hg. All’ auscultazione del torace si riscontra la presenza di rantoli alle basi polmonari bilateralmente. L’ esame obiettivo del cuore rivela la presenza di un battito apicale dislocato lateralmente e la presenza, a livello dell’ apice, di un soffio diastolico 3/6 di intensità decrescente. Inoltre si osserva la presenza di edemi improntabili bilateralmente a livello dei piedi e delle caviglie. Il resto dell’ esame obiettivo non mostra altre anomalie. Quale tra le seguenti è la causa più probabile dei sintomi di questo paziente?

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La risposta D è corretta.

Il paziente circa 10 anni fa si era sottoposto a un intervento di sostituzione protesica con impianto di protesi valvolare suina per severo rigurgito mitralico. Il trattamento di una valvulopatia, a meno che non sia di grado medio-elevato e clinicamente significativa, richiede solo un controllo periodico, mentre l’intervento chirurgico è indicato in presenza di una lesione moderata o grave responsabile di sintomi e/o disfunzione cardiaca. Le opzioni vanno dalla valvuloplastica alla riparazione fino alla sostituzione, che può essere effettuata con protesi meccaniche (preferite nei pazienti <65 anni o con lunga aspettativa di vita, ma richiedono anticoagulazione cronica con warfarin per prevenire tromboembolismo) o biologiche (suine o bovine, più soggette a deterioramento sclero-fibrotico, con durata media 10-15 anni). Una complicanza possibile delle protesi biologiche è l’ostruzione/stenosi o il rigurgito, entrambi responsabili di scompenso cardiaco.

L’endocardite infettiva insorge in presenza di una predisposizione endocardica (patologie congenite, reumatiche, valvole bicuspidi calcifiche, prolasso mitralico, cardiomiopatia ipertrofica, precedente endocardite). Fattori predisponenti sono protesi valvolari, tossicodipendenza, diabete, uso cronico di anticoagulanti o steroidi, età avanzata. Agenti più comuni sono streptococchi e stafilococchi (80-90%), seguiti da enterococchi e microrganismi HACEK. Clinicamente si manifesta con febbre, nuovo soffio o modifica di un soffio preesistente, può causare scompenso cardiaco e, all’ecocardiogramma, vegetazioni. Segni caratteristici: petecchie congiuntivali, macchie di Roth, lesioni di Janeway, nodi di Osler, emorragie subungueali a scheggia. La diagnosi si basa sui criteri di Duke (diagnosi rigettata, possibile o certa). In assenza di emocolture disponibili, e senza rischio per MRSA, la terapia empirica si effettua con un ?-lattamico + amminoglicoside. Sebbene questo paziente presenti soffio e segni di scompenso, non ha febbre né criteri di Duke: l’endocardite è improbabile (risposta A errata).

La BPCO è una malattia polmonare cronica non reversibile, con ostruzione bronchiale persistente (VEMS/CVF <0,7), spesso correlata a fumo e caratterizzata da progressione, riacutizzazioni infettive, dispnea, tosse produttiva cronica, tachipnea, cianosi e ipertensione polmonare nelle fasi avanzate. All’auscultazione: respiro sibilante e fase espiratoria prolungata. Nonostante il paziente sia fumatore con tosse, i sintomi durano solo da 3 settimane e non vi sono segni obiettivi di ostruzione: la diagnosi di BPCO è errata (risposta B errata).

La polmonite è un’infiammazione acuta polmonare (batterica, virale, fungina, parassitaria) diagnosticata con RX torace e reperti clinici. Può essere comunitaria (più spesso da Streptococcus pneumoniae, Mycoplasma pneumoniae) o nosocomiale. Clinicamente: febbre, tosse, dispnea, astenia, ipossia; nella forma tipica: esordio acuto con febbre, tosse produttiva, crepitii e rumori bronchiali; nella forma atipica: esordio graduale con tosse secca, dispnea e pochi segni obiettivi. È indicato esame colturale di sangue/escreato. Questo paziente presenta tosse produttiva ma non febbre, e all’auscultazione rantoli basali bilaterali: più compatibili con scompenso cardiaco che con polmonite (risposta C errata).

L’embolia polmonare è occlusione di arterie polmonari da trombi (arti inferiori/pelvi). Presentazione acuta con sintomi aspecifici: dolore toracico pleuritico, tosse, sincope, dispnea, arresto cardiorespiratorio nei casi gravi; segni: tachipnea, tachicardia, ipotensione. Fattori di rischio: immobilizzazione, trombofilie, gravidanza, chirurgia recente. In questo paziente tosse e dispnea possono mimarla, ma anamnesi negativa per immobilizzazione e presenza di stenosi mitralica con edemi declivi bilaterali fanno propendere per scompenso cardiaco congestizio piuttosto che embolia polmonare (risposta E errata).


7 di 22 Domande

Il Sig. Verci, un uomo di circa 60 anni si reca, presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, il Dott. Briga, per dispnea. Anamnesi patologica prossima: lamenta una dispnea ingravescente da circa un mese. Inizialmente era in grado di salire 3 rampe di scale fino al suo appartamento, ma ora necessita di effettuare numerose pause per recuperare il fiato. Non lamenta dolore al petto. Anamnesi patologica remota: l'uomo è affetto da cardiopatia reumatica e diabete mellito di tipo 2. Anamnesi fisiologica: è emigrato dall'India circa 20 anni prima. Anamnesi farmacologica: assume carvedilolo, torasemide e insulina. Esame obiettivo: il Dott. Briga visita il Sig. Verci riscontrando una temperatura corporea di 37.2 °C, una frequenza cardiaca di 74 bpm, una frequenza respiratoria di 19 atti/min ed una pressione arteriosa di 135/80 mm Hg. La pulsossimetria mostra una saturazione d'ossigeno del 96% in aria ambiente. L'auscultazione del torace rivela la presenza di crepitii alle basi polmonari bilateralmente. All’ auscultazione cardiaca si riscontra la presenza di un soffio d'apertura seguito da un soffio diastolico di bassa tonalità , a livello del quanto spazio intercostale di sinistra in corrispondenza della linea medio-claveare. Esami strumentali-laboratoristici: il Dott. Briga decide di far eseguire una radiografia del torace al Sig. Verci, che mostra una dilatazione dell'atrio di sinistra, con stiramento del margine cardiaco di sinistra, ed un’ aumentata trama vascolare. Quale tra i seguenti rappresenta l'intervento di prima scelta per migliorare la sintomatologia del paziente?

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La risposta corretta è la D.

La malattia reumatica è la causa più frequente di stenosi mitralica non complicata. È caratterizzata da fibrosi, calcificazione dei lembi valvolari e parziale fusione delle commissure, con conseguente riduzione dell’ostio valvolare (normalmente 4-6 cm²) fino a valori <1 cm². A causa di questo restringimento, l’unico modo per garantire il passaggio di sangue dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro durante la diastole è aumentare le pressioni atriali. Questo incremento si trasmette a monte, con aumento della pressione nelle vene e nei capillari polmonari: ecco la causa della dispnea. Se le pressioni aumentano ulteriormente, soprattutto acutamente, può verificarsi la trasudazione di liquido negli alveoli con conseguente edema polmonare. Il nostro paziente all’auscultazione presenta anche crepitii basali bilaterali. Il gradiente diastolico transvalvolare è proporzionale al grado di stenosi ed è sensibile ad aumenti di portata e frequenza cardiaca: maggiore la portata/frequenza, maggiore il gradiente. Per questo un soggetto asintomatico a riposo può diventare sintomatico anche per sforzi lievi. L’evoluzione della stenosi mitralica è rappresentata dallo sviluppo di ipertensione polmonare arteriosa, secondaria a quella venosa, che provoca vasocostrizione arteriolare inizialmente funzionale e reversibile, successivamente irreversibile per ipertrofia della tonaca media e fibrosi dell’intima. Le elevate resistenze arteriolari del circolo polmonare causano sovraccarico pressorio del ventricolo destro con dilatazione, ipertrofia, disfunzione contrattile e segni di scompenso destro e bassa gittata. Nell’insufficienza mitralica, invece, la pressione atriale sinistra, molto più bassa di quella aortica, fa sì che il sangue refluisca in atrio già durante la contrazione isometrica ventricolare. Nell’insufficienza mitralica cronica l’atrio sinistro si adatta dilatandosi, per cui la pressione a monte non aumenta significativamente; nell’insufficienza acuta, invece, l’atrio non ha tempo di adattarsi e subisce un brusco aumento pressorio con ripercussioni sulla pressione venosa polmonare. Il ventricolo sinistro, sottoposto a sovraccarico di volume, si dilata: inizialmente la frazione di eiezione rimane conservata, poi si riduce progressivamente perché il rigurgito in atrio riduce il volume sistolico effettivo. Una frazione di eiezione <60% è indicativa di compromissione ventricolare sinistra. Nel nostro paziente, per segni, sintomi e reperti auscultatori, è probabile un coinvolgimento valvolare mitralico, in particolare stenosi o steno-insufficienza. L’intervento di scelta, nella stenosi mitralica clinicamente significativa (area ?1,5 cm²) o sintomatica, e nei pazienti con controindicazioni alla chirurgia, è la valvuloplastica percutanea con palloncino: una “dilatazione controllata” eseguita con un palloncino ad alta resistenza gonfiato in prossimità della valvola, introdotto tramite catetere da vena femorale destra. È una tecnica mini-invasiva che riduce morbilità e mortalità perioperatorie, con buona efficacia a lungo termine (sopravvivenza libera da eventi nel 30-70% dei casi), sebbene non siano rare le restenosi. Non può essere eseguita in presenza di calcificazioni valvolari, per cui è indicata la sostituzione valvolare.


8 di 22 Domande

Il signor La Rosa è un uomo di mezz’ età , impiegato al Comune, che si reca presso la clinica dermatologica del Policlinico “ Abano Terme” per un controllo annuale. Anamnesi patologica prossima: presenta numerosi nevi displastici,. Afferma che uno dei suoi nevi sulla spalla sinistra sembra più grande del solito ed ha iniziato a dargli prurito. Nega anoressia, cambiamenti di peso o malessere, anche se ammette di essersi sentito un po’ stanco negli ultimi due mesi. Esame obiettivo: appare in forma e non ha linfoadenopatie. Il nevo è marrone scuro, di 7 mm di diametro, nodulare e presenta una forma irregolare. Non ci sono segni di ulcerazione, né di sanguinamento. Cosa dovrebbe fare il dermatologo?

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La risposta B è corretta.

Quando ci troviamo davanti ad un nevo, soprattutto davanti ad un nevo displastico, dobbiamo valutarne alcune caratteristiche. Le principali caratteristiche di sospetto sono riassunte nell’acronimo ABCDE: (A) Asimmetria: dividendo idealmente a metà la lesione, le due metà appaiono tra loro differenti; (B) Bordi irregolari: il contorno può presentare frastagliature, introflessioni ed estroflessioni; (C ) Colore irregolare: le diverse zone della lesione possono avere colori diversi (marrone, nero, rosso, rosa); (D) Diametro superiore a 6 mm: i melanomi tendono ad avere dimensioni maggiori dei semplici nevi; (E) Evoluzione: la tendenza della lesione a modificarsi in tempi brevi, con comparsa di prurito, alone eritematoso, desquamazione o sanguinamento spontaneo. I nevi non si trasformano in melanomi, ma i melanomi nascono come tali e possono sembrare nevi.

Il melanoma maligno ha origine da melanociti presenti in una zona pigmentata: possiamo ritrovarlo, dunque a livello della pelle, delle mucose, degli occhi o del SNC.

Il melanoma rappresenta il 4-5% di tutti i tumori maligni, ha una incidenza di 13:100.000, in evidente aumento, soprattutto nella razza caucasica.  Ha un picco di incidenza compreso tra i 35 ed i 50 anni, ma è relativamente frequente anche in età giovanile (non rari sono i pazienti con età inferiore a 20 anni). La genesi del melanoma è multifattoriale e sono stati identificati una serie di fattori di rischio. Il principale risulta essere senza dubbio l’esposizione solare, cioè l’ esposizione ai raggi ultravioletti di media intensità (UVB), con lunghezze d’ onda subito inferiori a 320 nm. Poi vi è la suscettibilità genetica.  Esistono condizioni genetiche predisponenti che comportano un maggiore rischio di sviluppare melanomi, quali lo xeroderma pigmentoso e la sindrome del nevo displastico. Esistono anche condizioni in cui si realizza una vera e propria ereditarietà del melanoma come nel caso dei melanomi familiari e della cosiddetta sindrome del melanoma multiplo. Altri fattori sono la scarsa pigmentazione cutanea, il fenotipo con pelle chiara, occhi chiari e capelli rossi o biondi, le scottature in età infantile, la presenza di nevi numerosi e/o displastici,  l’assunzione di ormoni steroidei.

Esistono 4 tipi principali di melanoma: melanoma a diffusione superficiale (rappresenta circa il 70% dei melanomi, essendo il più comune), melanoma nodulare (il più aggressivo, rappresenta il 10-15% dei melanomi), lentigo maligna, melanoma acrale-lentigginoso.

La storia naturale del melanoma parte dal melanocita normale, che acquisisce poi mutazioni tali da determinare la formazione di una lesione simile a un nevo.

Questa tende ad estendersi progressivamente, dapprima mediante una crescita radiale (o tangenziale) sul piano della superficie cutanea e successivamente mediante una crescita verticale (correlata all’ invasività del nevo). Successivamente, è possibile che si verifichi una diffusione delle cellule tumorali per via linfatica, con eventuale coinvolgimento dei linfonodi locoregionali, oppure tramite la formazione di microsatelliti e/o metastasi in transito (per via intraepiteliale).

La diagnosi di natura si esegue con l’ esame clinico e la valutazione dell’ aspetto macroscopico e con l’ esame ad epiluminescenza. Per la diagnosi di estensione e, quindi, per la stadiazione del tumore si ricorre invece ad esami di primo livello, comprendenti innanzitutto la valutazione dell’estensione del melanoma e la valutazione dello stato linfonodale e in particolare del linfonodo sentinella; la radiografia del torace; l’ecografia epatica; la TAC dell’ encefalo e completa; la scintigrafia ossea. Per la stadiazione della lesione primitiva i due sistemi su cui si fa tradizionalmente affidamento sono il sistema di Breslow e quello di Clark.

Lo spessore tumorale (o spessore di Breslow) è correlato alla prognosi della malattia; è il fattore prognostico più significativo e solitamente viene misurato dallo strato granuloso (tuttavia, se la lesione fosse ulcerata, dal fondo dell’ ulcerazione fino al punto di infiltrazione massima).

Anche il livello di Clark esprime l’ entità della crescita verticale del melanoma, ma lo fa in funzione delle strutture anatomiche interessate (epidermide, derma papillare, interfaccia tra derma papillare e derma reticolare, derma reticolare, sottocute).

La terapia chirurgica è l’ approccio terapeutico principale e consiste nella escissione della lesione. E’ fondamentale che venga stabilito un margine di escissione adeguatamente ampio. Per evitare complicanze è necessario poi eseguire una revisione della cicatrice dopo l’ esame istologico.

Oltre all’ intervento sul tumore primario, bisogna eseguire anche l’ asportazione delle metastasi, qualora ve ne siano e siano asportabili chirurgicamente.

La radioterapia è di scarse utilità ed efficacia e vi si ricorre praticamente solo per il trattamento delle metastasi e come terapia adiuvante.

I principali fattori prognostici dipendono da spessore della lesione (la profondità di infiltrazione del melanoma è il parametro più importante e può essere espresso facendo riferimento all’ indice di Breslow o al livello di Clark), ulcerazione (la presenza di ulcerazione comporta sempre un peggioramento della prognosi, a qualunque stadio sia il melanoma), interessamento dei linfonodi regionali (altro fattore negativo di grande importanza); infiltrazione linfocitaria peritumorale, invasione angiolinfatica; indice mitotico, localizzazione, microsatellitosi e metastasi in transito, neoangiogenesi.

 

La risposta A è errata.

Il nevo displastico del nostro paziente presenta alcune caratteristiche di malignità ; non impostare il corretto percorso diagnostico-terapeutico potrebbe portare ad un grave ritardo nel trattamento che influenzerebbe in maniera importante la prognosi e di conseguenza anche la sopravvivenza del paziente stesso.

 

La risposta C è errata.

La radioterapia è di scarse utilità ed efficacia e vi si ricorre praticamente in due sole occasioni: la prima è il trattamento ad alte dosi delle metastasi, soprattutto quelle ossee e talvolta quelle cerebrali; la seconda è la terapia adiuvante nei soggetti con melanomi di stadio T4 in cui, nonostante l’ asportazione radicale del tumore, esiste comunque un elevato rischio di recidiva.

 

La risposta D è errata.

La somministrazione di antistaminici potrebbe risolvere il problema del prurito e ma sarebbe solo una terapia sintomatica. Il melanoma va diagnosticato precocemente e trattato in maniera adeguata e radicale. La somministrazione di antistaminici non è assolutamente la terapia più adatta.

 

La risposta E è errata.

Per i motivi sopra spiegati.


9 di 22 Domande

Un ragazzo di 20 anni presenta il seguente ECG. Cosa si nota all'ECG?

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La risposta esatta è la A.

Le derivazioni da V1 a V6, chiamate derivazioni precordiali, esprimono l’attività elettrica del cuore sul piano orizzontale: V1-V2 esplorano il setto interventricolare, V3-V4 la parete anteriore del ventricolo sinistro, V5-V6 la parete laterale del ventricolo sinistro. L’onda P indica la depolarizzazione atriale, il complesso QRS e l’onda T indicano rispettivamente la depolarizzazione e la ripolarizzazione ventricolare, mentre la ripolarizzazione atriale non è visibile poiché avviene durante la depolarizzazione ventricolare. In età giovanile, dopo la pubertà, il vettore di ripolarizzazione ventricolare rende le T positive in tutte le derivazioni precordiali, tranne V1 e raramente V2; in casi eccezionali, la negatività può coinvolgere anche V3 e V4 (onda T giovanile). Dopo la pubertà, la presenza di onde T invertite ?2 mm in due o più derivazioni contigue del ventricolo destro può indicare cardiopatia congenita con sovraccarico di pressione o volume (cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro) oppure, più raramente, patologie ereditarie dei canali del sodio o potassio. L’ECG descritto mostra ritmo sinusale, alterazioni diffuse della ripolarizzazione con T negativa da V1 a V5, R alta in V1 e asse spostato a destra: reperti suggestivi di ipertrofia ventricolare destra a carattere aritmogeno. La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro è spesso familiare, più frequentemente a trasmissione autosomica dominante, e coinvolge prevalentemente ma non esclusivamente il ventricolo destro. Nel 10-20% dei casi è presente una mutazione nei geni che codificano proteine del desmosoma. Istologicamente si osserva progressiva sostituzione del miocardio con tessuto fibro-adiposo, che genera aree di discinesia e dilatazione soprattutto nel tratto di afflusso, efflusso e apice del ventricolo destro (triangolo della displasia), ma può estendersi all’intera parete ventricolare destra o anche al ventricolo sinistro. Questa condizione, per le alterazioni morfologiche e funzionali, è causa frequente di aritmie ventricolari e morte improvvisa, soprattutto in età giovanile durante o subito dopo l’attività fisica. In presenza di un ECG di questo tipo è quindi indicato eseguire un ecocardiogramma per rilevare eventuali alterazioni strutturali cardiache.


10 di 22 Domande

La signora Rettori, una donna di 45 anni, si reca dal proprio medico curante, il Dott. Pressi, per malessere. Anamnesi patologica prossima: comparsa di febbre, disuria e dolore alla schiena. Il Dott. Pressi consiglia alla paziente di recarsi in ospedale per ulteriori accertamenti; qui la donna verrà successivamente ricoverata con una sospetta diagnosi di pielonefrite. La paziente viene sottoposta a terapia con antibiotici ad ampio spettro, che determinano un significativo miglioramento della sintomatologia. Tuttavia, durante il quarto giorno di ricovero, la donna presenta nuovamente febbre, con leucocitosi e profusa diarrea acquosa. Esami strumentali: viene effettuata una colonscopia, visibile nell’ immagine sottostante.

Quale è la terapia per il trattamento di questo disturbo?

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La risposta corretta è la D.

La paziente presenta una colite pseudomembranosa causata da Clostridium difficile, un batterio appartenente alla famiglia Clostridiaceae, patogeno per l’uomo, Gram+ anaerobio. Il C. difficile è virulento in quanto possiede due tossine: la tossina A, un’enterotossina che si lega alle cellule della mucosa e causa un’ipersecrezione di liquido determinando diarrea acquosa; la tossina B, una citotossina che provoca gravi danni alla mucosa determinandone l’aspetto pseudomembranoso. Il Clostridium difficile causa colite associata ad antibiotici, tipicamente in ambiente ospedaliero. Fa parte normalmente del microbiota umano; tuttavia, quando si utilizzano antibiotici per lungo tempo, questi possono distruggere anche i batteri che tengono “sotto controllo” il Clostridium. Quando il C. difficile diviene dominante, si possono avere crampi addominali, colite pseudomembranosa, diarrea (talora ematica), raramente sepsi e addome acuto. I sintomi insorgono alcuni giorni dopo l’inizio della terapia antibiotica e includono diarrea acquosa o scariche di feci non formate, crampi addominali, raramente nausea e vomito. Per la diagnosi è importante l’identificazione della tossina nelle feci. Il trattamento consiste nell’interrompere la terapia antibiotica; se la sintomatologia è grave è possibile utilizzare vancomicina o metronidazolo (nel nostro caso, non essendo la vancomicina tra le opzioni, la risposta corretta è la D).


11 di 22 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

In seguito ai valori di glicemia a digiuno riscontrati, si richiede curva da carico orale di glucosio (OGTT). In base ai risultati sopra riportati, la paziente presenta:

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La risposta corretta è la B.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza.

L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: è necessario un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si associano inoltre a modifiche del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, arti inferiori, retina) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie degli arti inferiori).

Il diabete si classifica in due tipologie principali:

– diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), che può avere cause immuno-mediate o idiopatiche;

– diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e deficienza insulinica relativa, nella maggior parte dei casi senza necessità di insulina.

Esiste poi il diabete gestazionale, che compare in gravidanza e regredisce dopo il parto.

Tra le sindromi secondarie ricordiamo:

– pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori),

– patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite),

– patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante),

– tossicità da farmaci o sostanze chimiche (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.).

Il diabete può rimanere a lungo silente. Si stima che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% resti non diagnosticato.

Per la diagnosi, le misurazioni della glicemia prevedono:

– glicemia a digiuno (da almeno 12 ore): due rilevazioni ?126 mg/dl;

– glicemia random >200 mg/dl, ma solo in paziente sintomatico (polidipsia, poliuria, nicturia, ecc.);

– curva da carico con 75 g di glucosio in 200-250 ml d’acqua: il test si esegue solo se la glicemia basale è <126 mg/dl, e la diagnosi si pone se a 2 ore la glicemia è >200 mg/dl.


12 di 22 Domande

La signora Bellini è una giovane donna ricoverata nel reparto di ginecologia ed ostetricia dopo un parto complicato da una rottura prematura delle membrane amnio-coriali ed un prolungato travaglio. Anamnesi patologica prossima: In seconda giornata sviluppa febbre con brivido associata ad ipotensione e intenso dolore addominale che fanno sospettare un’ endometrite purperale. Il Dott. Lanfranchi decide di sottoporre la paziente ad una radiografia del torace e decide di avviare la terapia antibiotica e reidratante con 4.000 ml di soluzione salina nelle successive 24 ore ma l’ ipertermia persiste e si ottiene un lieve incremento della pressione arteriosa. Improvvisamente la sig.ra Bellini presenta dispnea. Esame obiettivo: viene rilevata una SpO2 dell’ 82% che non aumenta anche con ossigenoterapia con FiO2 del 100%. Il Dott. Lanfranchi decide quindi di intubare la paziente e si eroga una FiO2 del 100%. Non si rileva turgore giugulare, all’ auscultazione polmonare si apprezzano crepitii diffusi bilateralmente. Esami di laboratorio-strumentali: viene rapidamente inviato in laboratorio un campione di sangue arterioso che evidenzia PaO2 di 62 mmHg e PaCO2 di 33 mmHg. L’ ECG mostra tachicardia sinusale. Viene effettuato un nuovo RX del torace che mostra un quadro polmonare modificato rispetto a quanto si era visto nel precedente. Sulla base dei dati forniti quale tra le seguenti è la diagnosi più probabile?

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La risposta corretta è la B.

Questo paziente molto probabilmente ha una ARDS e il rapporto PaO2/FiO2 è <200: la paziente ha un rapporto di 60 (FiO2 = 1 ovvero 100% e PaO2 di 60 mmHg: necessita di ossigeno al 100% per mantenere una pressione di PaO2 accettabile). La RX torace mostra infiltrati polmonari diffusi non riconducibili a eziologia cardiogena. L’EO evidenzia dispnea ingravescente a insorgenza improvvisa, con crepitii diffusi bilateralmente. La paziente presentata nel caso è verosimilmente affetta da ARDS in seguito a sepsi da endometrite postpartum.

La sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) è una grave malattia acuta polmonare. I fattori scatenanti sono numerosi: polmonite, shock, gravi traumi, sepsi, aspirazione di alimenti (ab ingestis), pancreatite. È caratterizzata da danno diffuso della membrana alveolo-capillare, con edema polmonare non cardiogenico (ricco di proteine) e insufficienza respiratoria acuta (ARF). Si osserva reclutamento di neutrofili nei capillari alveolari e formazione di membrane ialine. I neutrofili rilasciano chemochine (che richiamano istiociti), producono ROS, proteasi, leucotrieni, fattore di attivazione piastrinica, prostaglandine e altre molecole che danneggiano le barriere tra capillari e spazi aerei. Gli alveoli e l’interstizio si riempiono di proteine, detriti cellulari e liquido, con distruzione del surfattante, collasso alveolare e mismatch ventilazione/perfusione.

L’ARDS determina grave ipossiemia refrattaria all’ossigenoterapia. I criteri diagnostici comprendono:

– Opacità bilaterali alla RX non spiegabili da versamento, atelettasia o noduli.

– PaO2/FiO2 ?200 mmHg.

– Assenza di evidenza clinica di aumentata pressione atriale sinistra o insufficienza cardiaca (PCWP <18 mmHg). Una pressione di incuneamento capillare polmonare >18 mmHg orienta invece verso edema polmonare cardiogeno.

Secondo la “Definizione di Berlino 2012” l’ARDS si classifica in:

– Lieve: PaO2/FiO2 ?200 mmHg.

– Moderata: PaO2/FiO2 ?100 mmHg.

– Grave: PaO2/FiO2 ?100 mmHg.


13 di 22 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

Per il paziente diabetico è essenziale assumere cibi a basso indice glicemico. Qual è tra i seguenti alimenti quello che presenta il più basso indice glicemico?

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La risposta corretta è la A.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza. L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: serve un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si accompagnano anche ad alterazioni del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, retina, arti inferiori) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie periferiche). Il diabete si classifica in due tipologie principali: diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), con cause immuno-mediate o idiopatiche; diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e relativa deficienza insulinica, che nella maggior parte dei casi non richiede terapia insulinica. Esiste anche il diabete gestazionale, che si manifesta in gravidanza e regredisce dopo il parto. Tra le forme secondarie: pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori), patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite), patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante), tossicità da farmaci o sostanze (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.). Il diabete può progredire a lungo senza sintomi. Si calcola che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% rimane non diagnosticato. Per la diagnosi: glicemia a digiuno ?126 mg/dl in due misurazioni, glicemia random >200 mg/dl in presenza di sintomi (poliuria, polidipsia, nicturia), curva da carico con 75 g di glucosio (diagnosi se glicemia >200 mg/dl a 2 ore). Prima del test, la glicemia basale deve essere <126 mg/dl. Il test va eseguito in pazienti non ricoverati, in buone condizioni cliniche, dopo dieta abituale (non ridotta in carboidrati), a digiuno dalla mezzanotte, senza febbre, stress o fumo. Indicazioni alla curva da carico: glicemia alterata a digiuno (100–125 mg/dl), familiarità per diabete dai 30-40 anni, obesità, complicanze cardiovascolari (TIA, angina, claudicatio), soprattutto se obesi e fumatori, infezioni urinarie o cutanee ricorrenti con glicemia alterata. Il 90% dei casi è di tipo II, storicamente detto diabete dell’adulto (esordio >40 anni), ma oggi è sempre più precoce (anche a 18 anni), correlato all’obesità, in particolare infantile (Italia con alta prevalenza, soprattutto nel centro-sud). Nei gemelli monozigoti la concordanza è ~100% nel tipo II, mentre nel tipo I, pur avendo componente genetica, è solo del 50% per il ruolo di fattori ambientali. Anche nei monozigoti separati alla nascita la concordanza del tipo II rimane elevata, a dimostrazione della forte componente genetica, ancora non del tutto chiarita.


14 di 22 Domande

Femmina di 78 anni; sul dorso del naso da circa 6 mesi lesione desquamativa asintomatica con alone eritematoso. Qual è la diagnosi più probabile?

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Questo è un caso di cheratosi attinica. La cheratosi attinica (o cheratosi solare)è una lesione precancerosa della pelle, che si manifesta a causa dell’ effetto cronico e cumulativo dell’ esposizione solare.

Dal punto di vista epidemiologico, appare soprattutto dopo i 40 anni.

Per quanto riguarda i fattori di rischio possiamo ricordare che i pazienti più a rischi sono quelli con capelli biondi o rossi, con occhi blu e con cute di tipo I/II.

Essendo il sole un fattore di rischio, le zone più a rischio sono quelle più esposte alla luce solare: viso, cuoio capelluto, orecchie, dorso delle mani, avambracci, spalle, labbra, e collo.

Dal punto di vista clinico, la lesione si presenta come una placca eritematosa di piccole dimensioni ricoperta da squame o croste di colore bruno-rossastro. Hanno solitamente margini mal definiti.

Esse devono essere differenziate dalle cheratosi seborroiche, che con l’età aumentano di numero e di dimensioni.

È importante effettuare una diagnosi differenziale tra cheratosi attinica e seborroica (non sono precancerosi e possono apparire anche su zone non foto-esposte; solitamente si presentano ceree e possiedono margini netti; sono in genere più scure;si caratterizzano per l’ assenza di un eritema circostante).

La cheratosi attinica raramente può progredire verso un carcinoma a cellule squamose.


15 di 22 Domande

Un bambino Achille, che frequenta le scuole materne, viene accompagnato da sua madre presso l'ambulatorio del pediatra di libera scelta, il Dott. Esario, a causa di un’ eruzione cutanea. Anamnesi patologica prossima: eruzione cutanea; il bambino ha presentato ripetuti episodi di questa manifestazione cutanea, che sembrano non provocare dolore nè prurito, ma in questa occasione sono più evidenti. Esame obiettivo: le lesioni si presentano come vescicole, essudanti materiale sieroso con croste desquamanti (vedi foto allegata). È possibile rilevare una lieve linfoadenopatia del distretto del collo e non si evidenziano ulteriori eruzioni cutanee in altre aree. Qual è il trattamento più appropriato per questo paziente?


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La risposta corretta è la A.

L’impetigine è una infezione provocata da germi piogeni che colpisce soprattutto in età pediatrica gli strati superficiali della cute. Il nome deriva dal latino impetere (“assalire”): può essere diffusa alla cute di altri distretti del corpo attraverso le dita, inoltre anche gli indumenti possono essere infetti.

L’ectima è una forma ulcerativa dell’impetigine.

Fattori di rischio importanti sono: l’umidità ambientale e la scarsa igiene.

L’impetigine può essere bollosa o non bollosa. Si caratterizzata per la presenza di croste o bolle.

Colpisce, più frequentemente volto e arti.

I due patogeni più comuni sono: lo Staphylococcus aureus e lo Streptococcus beta-emolitico di gruppo A. Lo Staphylococcus aureus è la causa prevalente di impetigine non-bollosa e la causa di ogni impetigine bollosa (la causa delle bolle, va ricercata nella presenza della tossina esfoliativa prodotta dagli stafilococchi).

L’impetigine non bollosa: si caratterizza per la presenza di gruppi di vescicole o pustole che tendono ad andare incontro a rottura e danno origine a una crosta che ricopre le lesioni.

L’impetigine bollosa: è simile tranne per il fatto che le vescicole tendono a formare delle bolle, che si rompono e tendono a ricoprirsi di una patina o crosta color miele.

L’area interessata deve: essere lavata delicatamente più volte giornalmente con acqua e sapone per rimuovere incrostazioni.

Il trattamento per l’impetigine localizzata è topico con mupirocina o alla retapamulina e Acido fusidico al 2% in crema. Per casi di impetigo più diffusa o grave possono essere necessaria l’ antibioticoterapia PO (cefalexina, dicloxacillina).

Clindamicina o eritromicina possono essere utili in pazienti allergici alla penicillina

Il trattamento di S. aureus resistente alla meticillina (MRSA) deve essere conseguente al risultato degli esami colturali e di sensibilità ;

 

La risposta B non è corretta.

Airol contiene il principio attivo tretinoina, che appartiene al gruppo dei retinoidi ed è simile alla vitamina A.

Airol viene usato per il trattamento dell’ acne volgare, soprattutto in presenza di punti neri (“ comedoni” ).

Airol impiega generalmente da quattro a otto settimane a dare i primi segni di miglioramento come una riduzione del numero di punti neri.

 

La risposta C non è corretta.

L’ idrocortisone è contenuto in molte pomate ad uso farmaceutico topico.

Esso non è generalmente raccomandato per il trattamento delle infezioni batteriche.

L’ idrocortisone viene usato sulla pelle in modo topico e ha la capacità di persistere nella zona interessata distribuendosi tra i vari strati cutanei e raggiungendo solamente in piccola percentuale il derma, sede di eventuale assorbimento sistemico.

Anche se ha proprietà farmaco-cinetiche l’ idrocortisone funziona come gli altri principi a base di corticosteroidei.

Gli steroidi topici sono utilizzati per disturbi come la dermatite da contatto, dermatite seborroica o dermatite atopica.

 

La risposta D non è corretta.

I farmaci che hanno un’attività contro gli herpesvirus comprendono: l’aciclovir, il cidofovir, il fomivirsen, il foscarnet, l’idossuridina, il penciclovir, il valaciclovir, il valganciclovir e la vidarabina ed altri ancora.

L’ aciclovir è attivo nei confronti di: virus herpes simplex di tipo 1 (HSV-1), virus herpes simplex di tipo 2, virus varicella-zoster e virus di Epstein-Barr.

Ha una minima attività contro il CMV. Aciclovir agisce bloccando la sintesi del DNA del virus impedendo la replicazione cellulare senza interferire con la duplicazione del DNA umano.

Non è ovviamente efficace contro i batteri che sono coinvolti nella patogenesi del caso clinico.

 

La risposta E non è corretta.

La vancomicina è un farmaco antibiotico prodotto da Streptomyces orientalis (Amycolatopsis orientalis) che fa parte, insieme con la teicoplanina, della classe dei glicopeptidi.

La maggior parte dei cocchi e bacilli Gram-positivi, compresi quasi tutti i ceppi di Staphylococcus aureus e di stafilococco coagulasi-negativi che sono resistenti alle penicilline e cefalosporine.

La vancomicina viene eliminata immodificata per filtrazione glomerulare.Tuttavia, per quanto riguarda l’ impetigine, anche casi particolarmente severi possono essere trattati per via orale e non endovenosa.

 


16 di 22 Domande

Filomena, di mestiere casalinga, porta suo figlio di 5 anni dal pediatra, il Dott. Tesori. Anamnesi patologica prossima: da 3 giorni ha osservato, in corrispondenza della regione occipitale della testa del piccolo, una zona priva di capelli. Il reperto è mostrato nell’ immagine sottostante. Esame obiettivo: area di alopecia in corrispondenza della regione occipitale: i capelli in quest'area sembrano rotti al follicolo pilifero, apparendo come piccoli puntini neri; inoltre c'è una linfoadenopatia preauricolare e suboccipitale sul lato destro. Esami di laboratorio-strumentali: La microscopia, con una preparazione di KOH, di un capello prelevato dal bordo dell'area interessata, mostra la presenza di catene di spore all'interno del fusto del capello. Quale delle seguenti rappresenta la fase successiva più appropriata nella gestione del paziente?

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La risposta corretta è la D.

Questo paziente ha una tinea capitis, la quale è più frequentemente causata da Trichophyton tonsurans, occasionalmente da Microsporum cani e molto meno spesso da altre specie di Trichophyton e Microsporum.

La tinea capitis è un’infezione dermatofitica del cuoio capelluto.

Dal punto di vista epidemiologico, la tinea capitis colpisce principalmente i bambini, è contagiosa e può essere epidemica.

La tinea capitis causa la graduale comparsa di chiazze rotonde di desquamazione secca, alopecia, o entrambe.

Meno comunemente la tinea capitis si manifesta con una desquamazione diffusa, simile a forfora, o con un aspetto pustoloso diffuso.

Inizialmente possono esserci diverse piccole zone di alopecia, dove i peli si staccano vicino al follicolo. L’adenopatia regionale è comune. Altre presentazioni includono una diffusa ma lieve perdita di capelli, un’alopecia cronica e diffusa e una massa granulomatosa, nota come kerion.

T. tonsurans tipicamente crea un pattern chiamato “ ringworm black-dot” (letteralmente sta per punti neri a pattern anulare), come mostrato in questo caso.

Invece, l’infezione da M. audouinii determina “una tricofizia a chiazze di colore grigio”, in cui i capelli si rompono al di sopra della superficie, lasciando piccole radici.

La diagnosi di tinea capitis è suggerita dall’ aspetto clinico, dal preparato a fresco con KOH e può essere confermata dalla coltura sul terreno Sabouraud.

L’esame microscopico, con una preparazione di KOH, di un capello prelevato dal bordo dell’area interessata, mostra la presenza di minuscole spore che circondano il fusto del capello nelle infezioni da Microsporum e catene di spore all’interno del fusto del capello nelle infezioni da Trichophyton. La diagnosi definitiva può essere fatta ponendo i peli infetti rotti sul terreno di coltura Sabouraud.

Il trattamento di scelta per la tinea capitis comprende la somministrazione orale di griseofulvina per 6-12 settimane (antimicotico orale, che viene interrotto solo dopo la ripetizione di colture fungine risultate negative). Terapie aggiuntive comprendono: lo shampoo al solfuro di selenio e a volte prednisone.

 

La risposta A non è corretta.

Come già descritto precedentemente, la sola terapia topica (ad esempio, uno shampoo con una preparazione di solfuro di selenio) non è efficace.

 

Le risposte B e E non sono corrette.

La terapia di prima scelta orale è la griseofulvina per 6-12 settimane. L’itraconazolo orale o terbinafina orale sono terapie di seconda linea. Queste molecole sono utili in caso di resistenza a griseofulvina, intolleranza o allergia ad essa.

 

La risposta C non è corretta.

Per la tinea corporis si utilizza il clotrimazolo topico. Questa molecola, non è utilizzata per la tinea capitis.


17 di 22 Domande

Anna, una donna sulla quarantina d’ anni di mestiere badante, si presenta presso la clinica dermatologica dell’ Ospedale“ SS. Annunziata” di Taranto in data 8 Aprile 2017 per sottoporsi ad una visita medica. Anamnesi patologica prossima: presenza di un nevo sulla natica destra, che ha sanguinato in seguito ad un trauma di lieve entità . Anamnesi patologica remota: La donna ha avuto in passato due nevi non maligni, rimossi rispettivamente 4 e 9 anni fa. Anamnesi familiare: sua madre è affetta da diabete mellito di tipo 2 e suo padre è iperteso e iperlipidemico. Esame obiettivo: il Dott. Lerro, dermatologo di turno, visita Anna, riscontrando come tale nevo in corrispondenza della natica destra presenti una piccola regione ulcerata al centro. Il nevo in questione è mostrato nella immagine allegata.
Esami strumentali-laboratorisici: Il dermatologo, orientato verso un certo sospetto clinico, richiede degli esami di laboratorio, tra cui l’ immunoistochimica, che risulta positiva per S-100. Quale tra questi è il fattore prognostico più importante?

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La risposta corretta è la D

Come suggerito dalla foto, la signora Anna presenta un melanoma, un tumore cutaneo che ha origine dai melanociti presenti in una zona pigmentata.  Possiamo ritrovarlo, dunque a livello della pelle, delle mucose, degli occhi o del SNC.

Il melanoma cutaneo si manifesta soprattutto attorno ai 45-50 anni e la cui incidenza è in aumento nella popolazione generale. In Italia, si hanno circa 13 casi ogni 100.000 persone.

I melanomi si presentano più comunemente in corrispondenza della schiena negli uomini e sulle natiche e sulle gambe nelle donne.

Tra i diversi fattori di rischio per l’ insorgenza del melanoma ricordiamo:

– fototipi con occhi e capelli chiari,

– anamnesi familiare e personale positiva per melanoma,

– anamnesi positiva per tumore cutaneo diverso da melanoma,

– presenza di numerosi nevi melanocitici (>100),

– presenza di nevi melanocitici clinicamente atipici,

– presenza di un nevo melanocitico congenito gigante,

– sindrome del nevo displastico,

– storia di prolungata esposizione nel corso del tempo al sole con scottature,

– abbronzatura secondaria all’esposizione ai raggi ultravioletti A (UVA) o a trattamenti con psoraleni più UVA (PUVA),

– immunodepressione.

E’ stato visto che un terzo dei melanomi si sviluppa a partire da nevi pigmentati, mentre nei restanti due terzi dei casi il tumore trae origine dai melanociti della cute sana.

I segni di trasformazione maligna comprendono:

– modificazioni nella dimensione,

– mutamenti nel colore, sia a livello intra che peri lesionale,

– trasformazione delle caratteristiche di superficie o della consistenza della lesione,

– alterazioni nella forma, con presenza di bordi irregolari o sfumati,

– comparsa di segni di flogosi nella cute circostante, con eventuale emorragia lesionale, ulcerazione, dolore o prurito.

Per il riconoscimento del melanoma possiamo utilizzare il criterio ABCDE (questo sistema non è utile però per determinare la prognosi):

– Asimmetria nella forma,

– Bordi irregolari e indistinti,

– Colore variabile (ovvero con sfumature diverse all’ interno del neo stesso),

– Dimensioni (in passato venivano considerati a rischio i nevi sopra i 6 mm di diametro)

– Evoluzione (quando, nell’ arco di poche settimane o mesi si verificano modificazioni nella forma, nel colore, nelle dimensioni del nevo, quando la lesione cutanea diviene rilevata e palpabile)

Esistono 4 tipi principali di melanoma: melanoma a diffusione superficiale (rappresenta circa il 70% dei melanomi, essendo il più comune), melanoma nodulare (il più aggressivo, rappresenta il 10-15% dei melanomi), lentigo maligna, melanoma acrale-lentigginoso.

La diagnosi è eseguita mediante biopsia escissionale per la maggior parte delle lesioni.

I marker tumorali non vanno usati come metodica primaria per la diagnosi, ma come conferma diagnostica, oppure per monitorare una possibile recidiva tumorale e verificare la risposta alla terapia. Il dermatologo, nel nostro caso, ha richiesto l’ immunoistochimica per S-100: si tratta di un marker tumorale, usato nella diagnosi dei melanomi, tumori neuronali e astrocitomi.

Una volta stabilita la severità del comportamento biologico di un melanoma, verranno presi in considerazione tutti i fattori presenti nella lista di risposte; tuttavia, il fattore prognostico più importante rimane lo “ spessore di Breslow” , correlato alla prognosi della malattia: è il fattore prognostico più significativo e misura la profondità dell’ invasione melanocitica a partire dalla zona più superficiale, ovvero dallo strato granuloso (tuttavia, se la lesione fosse ulcerata, dal fondo dell’ ulcerazione fino al punto di infiltrazione massima).

I melanomi in situ o i melanomi con una profondità di invasione inferiore ad 1 mm, infatti, hanno una prognosi eccellente in seguito a rimozione chirurgica, con un rischio di metastasi linfonodali e a distanza che aumenta all’ aumentare della profondità di invasione: se il melanoma infatti invade il derma può dare metastasi e in questo caso la prognosi è infausta (la prognosi pertanto dipende dalla profondità dell’ invasione dermica).

 

La risposta A non è corretta

Il più importante fattore prognostico è rappresentato dallo spessore del tumore.

La presenza o meno di ulcerazione è un parametro usato per cambiare la classificazione di un melanoma di una data profondità . Nonostante questo cambiamento incida sulla prognosi, non è così importante come la profondità dell’ invasione del melanoma.

 

Le risposte B ed E non sono corrette.

Il grado di atipia melanocitica e la presenza di infiltrato infiammatorio associate ad un melanoma non vengono comunemente usati nella stadiazione di un melanoma. Si tratta sicuramente di caratteristiche negative e, se presenti allo stadio I di malattia, possono essere degli elementi per richiedere esami ulteriori utili ai fini della stadiazione, come la biopsia dei linfonodi sentinella o l’ esecuzione di una PET-TC.

 

La risposta C non è corretta.

La biopsia del linfonodo sentinella è tipicamente usata per melanomi con una profondità di invasione >1mm. Questa procedura può dare alcune informazioni prognostiche aggiuntive, quando correlata alla profondità di invasione, ma di per se non impatta così significativamente sulla prognosi come la profondità dell’ invasione neoplastica.


18 di 22 Domande

Un uomo di 45 anni in buone condizioni generali si rivolge al centro oncologico per la comparsa di una lesione cutanea a carico del dorso (si veda la foto). La superficie è di poco rilevata dal piano cutaneo, margini irregolari per la presenza di indentature (aspetto a "carta geografica") di colore marrone pallido con delle aree di iperpigmentazione.
Quale potrebbe essere il procedimento diagnostico-terapeutico più opportuno da realizzare in questo caso?

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Benchè la diagnosi di certezza delle lesioni cutanee necessita di responso anatomo-patologico dopo esecuzione di esame bioptico, dalle caratteristiche cliniche, possiamo avere un buon grado di confidenza nel sospettare che la lesione illustrata nella foto sia un melanoma maligno.

Il melanoma maligno ha origine da melanociti presenti in una zona pigmentata.

Possiamo ritrovarlo, dunque a livello della pelle, delle mucose, degli occhi o del SNC.

Se il melanoma, invade il derma può dare metastasi e in questo caso la prognosi è infausta (la prognosi dipende dalla profondità dell’ invasione dermica).

Esistono 4 tipi principali di melanoma: melanoma a diffusione superficiale (rappresenta circa il 70% dei melanomi, essendo il più comune), melanoma nodulare (il più aggressivo, rappresenta il 10-15% dei melanomi), lentigo maligna, melanoma acrale-lentigginoso.

Il melanoma cutaneo si manifesta soprattutto attorno ai 45-50 anni.

In Italia, si hanno circa 13 casi ogni 100.000 persone.

Per il riconoscimento del melanoma possiamo utilizzare il criterio ABCDE (questo sistema non è utile però per determinare la prognosi):

– Asimmetria nella forma,

– Bordi irregolari e indistinti,

– Colore variabile (ovvero con sfumature diverse all’ interno del neo stesso),

– Dimensioni (in passato venivano considerati a rischio i nevi sopra i 6 mm di diametro),

– Evoluzione (quando, nell’ arco di poche settimane o mesi si verificano modificazioni nella forma, nel colore, nelle dimensioni del nevo, quando la lesione cutanea diviene rilevata e palpabile).

Lo spessore tumorale (o spessore di Breslow) è correlato alla prognosi della malattia; è il fattore prognostico più significativo e solitamente viene misurato dallo strato granuloso (tuttavia, se la lesione fosse ulcerata, dal fondo dell’ ulcerazione fino al punto di infiltrazione massima).

Quindi come detto, benchè le caratteristiche facciano pensare ad un probabile melanoma, per diagnosi di certezza delle lesioni cutanee si necessita di responso anatomo-patologico (risposta C corretta).

Visto pertanto il sospetto clinico tutte le altre opzioni non trovano giustificazione.


19 di 22 Domande

Un paziente di razza caucasica di 70 anni è portatore di 6 piccoli basaliomi al volto. Si decide di asportarli chirurgicamente e, prima di procedere ad eseguire l'anestesia locale, il chirurgo disegna l'orientamento delle incisioni cutanee losangiformi, come nella figura. Come si chiamano le linee di tensione della cute secondo cui si orienta una incisione cutanea?

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Il carcinoma basocellulare (basalioma, BCC) è la più diffusa neoplasia maligna cutanea. I carcinomi basocellulari derivano da cheratinociti vicini allo strato basale che possono essere definiti come cheratinociti basaloidi.

Circa il 95% delle diagnosi di BCC vengono effettuate in individui di età compresa tra i 40 e i 79 anni di età . L’incidenza è circa del 30% più elevata negli uomini rispetto alle donne. Quasi il 90% dei BCC si sviluppa a livello della testa o del collo. Il tasso di incidenza per 100.000 abitanti varia da paese a paese (115 BCC in Gran Bretagna, 70-80 BCC in Germania, Svizzera e Italia, 170 BCC in USA e > 800 BCC in Australia).

La metastasi è rara, ma la crescita locale può essere molto distruttiva: generalmente rimane circoscritto al distretto anatomico, in cui ha avuto origine senza generare metastasi, ma può invadere le strutture circostanti interessando nervi e ossa.

Le zone maggiormente colpite sono il viso e il collo (70% dei casi), soprattutto il naso, la fronte e la regione periorbitaria, e la regione temporale; rari sono i casi a livello del tronco. Il principale fattore di rischio è l’esposizione prolungata ai raggi UV.

La diagnosi viene formulata mediante biopsia.

Da un punto di visto istopatologico esistono 4 tipi di CB:

– Il tipo superficiale,

– l’ istotipo nodulare,

– l’ istotipo infiltrante,

– l’ istotipo piano-cicatriziale o sclerodermiforme.

Il trattamento del carcinoma basocellulare varia in base alle dimensioni, agli strati cutanei interessati e alla localizzazione.

Per questo paziente sarebbe opportuna la chirurgia micrografica di Mohs. Essa è una tecnica chirurgica escissionale con controllo completo (100%) dei margini e ricostruzione grafica tridimensionale della massa tumorale.

La Chirurgia di Mohs (CM) rappresenta una tecnica chirurgica di indiscussa efficacia terapeutica, utile per ottenere la radicalità nell’asportazione delle neoplasie cutanee. La CM nasce da una brillante intuizione di un chirurgo americano del Wisconsin, che quasi alle soglie della laurea, ancora studente, la concepì nel lontano 1930.

Per quanto riguarda questa tecnica: si procede a progressiva rimozione sequenziale di sottili strati istologici con ispezione microscopica per verificare che i margini rimossi siano scevri da cellule tumorali(attraverso il controllo microscopico dei margini in estemporanea).

Altre tecniche di rimozione della neoplasia comprendono: l’elettrodissecazione e il curettage (non sono raccomandate però per le lesioni del viso a causa dell’ esito cicatriziale conseguente o per quelle ad alto rischio).

La localizzazione di tale patologia in zone particolarmente delicate ed esposte come il viso e il collo potrebbe portare, in seguito agli interventi di asportazione della lesione, a non poco rilevanti deturpazioni estetiche. L’asportazione chirurgica è attualmente la tecnica maggiormente utilizzata. In zone particolarmente delicate come il viso, la conoscenza a dell’anatomia del volto è indispensabile al fine di ottenere risultati esteticamente migliori.

Le linee di Langer del volto sono linee di minore tensione meccanica della pelle o pieghe fisiologiche (se non riconoscibili sul volto, soprattutto nelle pelli giovani, sono evocabili con la contrazione dei muscoli mimici): sono date dalla disposizione, nel derma, delle fibre collagene ed elastiche orientate nella stessa direzione. Se seguite per l’incisione chirurgica, permettono una migliore cicatrizzazione (risposta A esatta).


20 di 22 Domande

Quale delle seguenti affermazioni sulla formazione di cicatrici ipertrofiche è FALSA?

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Il carcinoma basocellulare è la più diffusa neoplasia maligna cutanea. Il basalioma, o carcinoma basocellulare, è la forma più diffusa di neoplasia cutanea, forse addirittura la neoplasia più frequente della razza caucasica.

I carcinomi basocellulari derivano da cheratinociti vicini allo strato basale che possono essere definiti come cheratinociti basaloidi.

Circa il 95% delle diagnosi di BCC vengono effettuate in individui di età compresa tra i 40 e i 79 anni di età . L’incidenza è circa del 30% più elevata negli uomini rispetto alle donne. Quasi il 90% dei BCC si sviluppa a livello della testa o del collo. Il tasso di incidenza per 100.000 abitanti varia da paese a paese (115 BCC in Gran Bretagna,

70-80 BCC in Germania, Svizzera e Italia, 170 BCC in USA e > 800 BCC in Australia).

Nonostante la sua alta prevalenza, generalmente è dotato di scarsa aggressività tuttavia ha una modesta invasività locale e tende, anche se in maniera lentissima, ad estendersi superficialmente ed in profondità . Le zone maggiormente colpite sono il viso e il collo (70% dei casi), soprattutto il naso, la fronte e la regione periorbitaria, e la regione temporale; rari sono i casi a livello del tronco. La sua localizzazione in zone particolarmente delicate ed esposte come il viso e il collo potrebbe portare, in seguito agli interventi di asportazione della lesione, a non poco rilevanti deturpazioni estetiche.

La metastasi è rara, ma la crescita locale può essere molto distruttiva:generalmente rimane circoscritto al distretto anatomico, in cui ha avuto origine senza generare metastasi, ma può invadere le strutture circostanti interessando nervi e ossa.

La diagnosi viene formulata mediante biopsia.

Da un punto di visto istopatologico esistono 4 tipi di CB:

– Il tipo superficiale

– l’ istotipo nodulare

– l’ istotipo infiltrante

– l’ istotipo piano-cicatriziale o sclerodermiforme.

Il trattamento del carcinoma basocellulare varia in base alle dimensioni, agli strati cutanei interessati e alla localizzazione.

L’asportazione chirurgica è attualmente la tecnica maggiormente utilizzata. In zone particolarmente delicate come il viso, la conoscenza a dell’anatomia del volto è indispensabile al fine di ottenere risultati esteticamente migliori. Le linee di Langer del volto, se seguite per l’incisione chirurgica, permettono una migliore cicatrizzazione. Le cicatrici sono lo step finale del processo di guarigione di una ferita cutanea. Sono la risposta della cute ad un insulto di qualsiasi natura. Le caratteristiche quali lunghezza, larghezza, colore, spessore e consistenza, dipendono da molteplici fattori: anzitutto dalla natura della lesione (tagli accidentali, interventi chirurgici o trattamenti con laser, ustioni (risposta C errata), infezioni, insulti chimici), dal tipo di pelle (le pelli scure, afroamericane, sono maggiormente predisposte al contrario della razza causasica (risposta D esatta)), dalla zona del corpo interessata (la regione dorsale, presternale, cervicale soprattutto (risposta A errata), da fattori e predisposizioni ormonali (risposta B errata) e dalla costanza nella terapia. Esistono cicatrici piane, rilevate o depresse (in rapporto al livello della cute circostante), dal colore omogeneo o discromiche, morbide o dure al tatto, di forma lineare o irregolare, retraenti, ipertrofiche o cheloidee. Una cicatrice si definisce ipertrofica quando è rilevata rispetto alla cute circostante ma il tessuto in eccesso non fuoriesce dai margini della cicatrice stessa e questo la differenzia dal cheloide, in cui il tessuto neoformato, invece, fuoriesce da tali bordi.

In linea generale il miglior approccio terapeutico consiste nella chirurgia micrografica di Mohs. Essa è una tecnica chirurgica escissionale con controllo completo (100%) dei margini e ricostruzione grafica tridimensionale della massa tumorale. La Chirurgia di Mohs (CM) rappresenta una tecnica chirurgica di indiscussa efficacia terapeutica, utile per ottenere la radicalità nell’asportazione delle neoplasie cutanee. La CM nasce da una brillante intuizione di un chirurgo americano del Wisconsin, che quasi alle soglie della laurea, ancora studente, la concepì nel lontano 1930.

Per quanto riguarda questa tecnica: si procede a progressiva rimozione sequenziale di sottili strati istologici con ispezione microscopica per verificare che i margini rimossi siano scevri da cellule tumorali(attraverso il controllo microscopico dei margini in estemporanea).

Altre tecniche di rimozione della neoplasia comprendono: l’elettrodissecazione e il curettage (non sono raccomandate però per le lesioni del viso a causa dell’ esito cicatriziale conseguente o per quelle ad alto rischio).


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Maschio di 30 anni. Da alcune settimane lamenta bruciore in sede inguinale bilaterale con comparsa di lesioni eritemato-desquamative a estensione centrifuga. Quale farmaco è il più indicato?

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La risposta corretta è la D.

L’epidermofizia inguinale o tinea cruris o tigna inguinale è una infezione micotica localizzata a livello della regione inguinale e del terzo superiore della coscia. Viene definita in maniera più precisa come una infezione dermatofitica inguinale. Generalmente si estende a livello del perineo, meno frequentemente a livello del pube. I miceti all’origine di questa patologia possono essere l’Epidermophyton floccosum, il Trichophyton rubrum e il Trichopyton mentagrophytes.

La Tinea si manifesta con la comparsa sulla cute di chiazze lenticolari rilevate, di colore rosso vivo, squamose, e con disposizione centrifuga ma confluenti fra di loro. L’insieme di queste lesioni, e la loro confluenza, tende a dare origine ad un’unica chiazza dai contorni irregolari e con estensione mono o bilaterale. Talora possono evidenziarsi vescicole puntiformi, abrasioni o crosticine. Nella maggior parte dei casi, la zona centrale della lesione appare liscia e con una pigmentazione caratteristica bruno-giallastra. Sintomo classico è il prurito, associato eventualmente anche a dolore o bruciore conseguenti alle lesioni da grattamento o alle sovrainfezioni.

L’epidermofizia inguinale è una infezione micotica il cui contagio può avvenire in maniera diretta (contatto interumano) o indiretta (attraverso indumenti o accessori), ed è favorita dalla presenza di lesioni cutanee, irritazione, sudore o macerazione, variazioni del pH.

E’ particolarmente frequente in età puberale, sebbene il contagio possa avvenire in qualsiasi momento della vita. Gli uomini sono più colpiti rispetto alle donne, e questo è dovuto alla diversa conformazione anatomica dei genitali esterni che creano un microambiente caldo-umido maggiormente predisponente alla crescita fungina.

La diagnosi viene fatta mediante esame obiettivo; la terapia è solitamente empirica ma, nei casi dubbi o non responsivi, è necessaria l’esecuzione di esami specifici come quello micologico diretto e l’analisi colturale.

La diagnosi differenziale va fatta con l’eritrasma, la psoriasi invertita, le intertrigini batteriche e l’intertrigine candidosica.

La terapia classica prevede l’applicazione topica di una pomata antimicotica (azoli, allilamine, morfoline, polienici) e ha una durata di 14-21 giorni; nel caso in cui le lesioni siano particolarmente estese, è consigliata la somministrazione di una terapia sistemica con triazolici o terbinafina.

Non sono rare le recidive, soprattutto nei soggetti predisposti per condizioni anatomiche come nel caso di pazienti obesi, per condizioni patologiche come diabete o stati di immunodeficienza, oppure per la presenza di dermatofitosi concomitanti. I farmaci antifungini più frequentemente utilizzati sono i farmaci azolici. Questi comprendono due classi di derivati feniletilici: gli imidazoli e i triazoli, classificati in base al numero di atomi di azoto nell’ anello azolico: a) 2: imidazoli (ketoconazolo); b) 3: triazoli.  I triazoli possono essere inoltre distinti in una prima generazione, come fluconazolo o itraconazolo, e una seconda generazione, come posaconazolo o  voriconazolo. Sebbene la loro struttura sia diversa, imidazoli e triazoli possiedono lo stesso meccanismo d’azione. Entrambi inibiscono infatti l’ azione di un enzima coinvolto nella biosintesi dell’ ergosterolo (lanosterolo 14-demetilasi), componente strutturale della membrana fungina, la cui assenza genera instabilità .

Possono verificarsi meccanismi di resistenza verso questa classe di farmaci; i più comuni sono legati a mutazioni o aumento di espressione dell’ enzima target.

 

La risposta A non è corretta.

I cortisonici appartengono alla classe dei corticosteroidi, farmaci con importante attività antinfiammatoria ed immunomodulatrice. Hanno inoltre attività vasocostrittrice e antipruruginosa.

Per queste proprietà , possono essere utilizzati nella terapia delle dermatofizie ma la loro applicazione, in forma topica e localizzata alla sede dell’infezione, deve essere fatta in associazione ad un farmaco fungicida. La loro somministrazione isolata, senza antimicotico, tuttavia è sconsigliata per il rischio di facilitare la proliferazione del fungo.

 

La risposta B non è corretta.

I chinolonici sono farmaci battericidi ad origine sintetica, derivati dall’acido nalidixico. Inibiscono la topoisomerasi II (DNA girasi) nei Gram-, e la topoisomerasi IV (separa i filamenti figli dal filamento progenitore) nei Gram+. Il nostro paziente ha una infezione micotica, per questo motivo è indicata la somministrazione di farmaci antifungini e non di farmaci antibatterici.

La somministrazione di antibiotici può essere contemplata in caso di sovrainfezione batterica delle lesioni.

 

La risposta C non è corretta.

Gli antistaminici sono dei farmaci che vanno ad agire come antagonisti del recettore H1 dell’istamina, una ammina biogena, mediatore chimico dell’infiammazione. I principali effetti della liberazione di istamina sono l’aumento della permeabilità capillare, vasodilatazione, prurito, contrazione della muscolatura liscia bronchiale e della muscolatura liscia intestinale, e altri effetti sistemici. Uno dei sintomi tipici delle micosi cutanee è il prurito.

Gli antistaminici possono essere somministrati in associazione alla terapia antimicotica poiché capaci di alleviare il prurito causato dall’infezione. Il loro utilizzo è puramente mirato al controllo della sintomatologia e non alla cura dell’infezione.


22 di 22 Domande

Giorgia e' una giovane ragazza di 18 anni, che in seguito alla ripresentazione di un rash cutaneo, si reca presso il proprio medico curante, la Dott.ssa Garnucci. Anamnesi patologica prossima: rash localizzato a livello dei gomiti, del tronco e del cuoio capelluto. La ragazza afferma che ha usato una crema antimicotica, senza alcun successo; con l’ applicazione di una crema a base di cortisone ha invece notato un lieve miglioramento, ma le lesioni cutanee non sono mai del tutto scomparse. Inoltre dice di aver assistito ad un netto peggioramento della sua condizione, quando per un periodo ha usato la crema a base di cortisone in modo discontinuo. Anamnesi familiare: la ragazza dice che un parente di primo grado presenta manifestazioni cutanee simili alle sue. Quale dei seguenti rappresenta il trattamento iniziale maggiormente indicato?

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La risposta D è corretta.

La psoriasi è una patologia infiammatoria che nella maggior parte dei casi si manifesta con papule e placche di color salmone ben circoscritte, eritematose e ricoperte da squame argentee.

Colpisce circa l’1-5% della popolazione mondiale. Inoltre, colpisce di più le persone con una carnagione chiara, le persone con una carnagione più scura o i neri sono meno a rischio.

L’eziologia è multifattoriale e include la predisposizione genetica. È una patologia infiammatoria che insorge in seguito a traumi, uso di farmaci, infezioni in soggetti predisposti.

Per quanto riguarda la psoriasi, vi sono 5 maggiori varianti cliniche:

– Psoriasi a placche: più del 80% dei casi

– Psoriasi guttata: circa il 10% dei casi

– Psoriasi inversa: si manifesta in concomitanza alla psoriasi a placche, o in maniera isolata

– Psoriasi eritrodermica: meno del 3% dei casi

– Psoriasi pustolosa: meno del 3% dei casi

Solitamente, per quanto riguarda i sintomi essi sono minimi: si presenta con placche e papule che tendono alla desquamazione in aree eritematose circoscritte pruriginose.

Una manifestazione particolare della psoriasi è l’ artrite psoriasica.

La diagnosi si basa sull’aspetto e sulla distribuzione delle lesioni: le lesioni di solito si manifestano sulle superfici estensorie (gomiti e ginocchia), come in questo caso ai gomiti.

La diagnosi è prevalentemente clinica e si basa sull’anamnesi e sull’esame obiettivo. Non esistono analisi di laboratorio per la diagnosi della psoriasi.

La biopsia cutanea, anche se non patognomonica, presenta caratteristiche coerenti con la psoriasi e aiuta a escludere altre condizioni simili.

Il trattamento può comprendere l’utilizzo di emollienti, farmaci topici, fototerapia e, nelle forme gravi, di farmaci sistemici.

I trattamenti iniziali, specialmente per le forme limitate, consistono nell’applicazione di steroidi topici, retinoidi topici e/o analoghi della vitamina D topica, mentre se il coinvolgimento è più grave, possono essere utilizzate altre opzioni, come la terapia alla luce ultravioletta e gli immunosoppressori sistemici. L’ uso di steroidi sistemici non è raccomandato, in quanto la sospensione da essi può portare ad un riattivarsi o aggravarsi della condizione. Tuttavia, alcuni specialisti possono scegliere questa opzione, con un attento follow-up, se altre strade hanno fallito.


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