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1 di 21 Domande

Quale complicanza clinica NON si riscontra nell'IRC terminale?














La risposta corretta è la B

Nell’IRC terminale non si riscontra come complicanza l’artrite. La malattia renale cronica è classificata in 5 stadi: Stadio 1: velocità di filtrazione glomerulare normale (?90 mL/min/1,73 m²) con albuminuria persistente o malattia renale strutturale o ereditaria; Stadio 2: 60-89 mL/min/1,73 m²; Stadio 3a: 45-59 mL/min/1,73 m²; Stadio 3b: 30-44 mL/min/1,73 m²; Stadio 4: 15-29 mL/min/1,73 m²; Stadio 5: <15 mL/min/1,73 m². La velocità di filtrazione glomerulare può essere stimata tramite l’equazione CKD-EPI: 141 × (creatinina sierica)^-1,209 × 0,993^età, moltiplicata per 1,018 se donna e 1,159 se afroamericano (1,1799 per donne afroamericane). Questo calcolo è poco accurato negli anziani sedentari, obesi o molto magri. In alternativa, si può usare l’equazione di Cockcroft-Gault per stimare la clearance della creatinina, che tende a sovrastimare del 10-40%. Le complicanze comprendono quelle neurologiche (neuropatia periferica), ematologiche (anemia da ridotta produzione di eritropoietina), scheletriche (osteodistrofia, risposte C-D-E errate) e pericardite nel 20% dei pazienti con insufficienza renale (risposta A errata).


2 di 21 Domande

Nella brucellosi acuta qual e' il titolo minimo per la diagnosi:














La risposta corretta è la C.

La brucellosi (nota anche come "febbre ondulante", "febbre mediterranea" o "febbre maltese") è un’infezione zoonotica trasmessa all’uomo da animali infetti (bovini, ovini, caprini, cammelli, suini o altri) attraverso l’ingestione di prodotti alimentari non pastorizzati, in particolare lattiero-caseari, oppure per contatto diretto con tessuti o fluidi contaminati. Va sospettata in pazienti con febbre, malessere, sudorazione notturna e artralgie in presenza di esposizione epidemiologica significativa, come consumo di prodotti caseari non pastorizzati, contatto con animali in aree endemiche o esposizione professionale. Una diagnosi presuntiva può essere formulata sulla base di:

  • titolo anticorpale totale anti-Brucella ?1:160 mediante test di agglutinazione in provetta standard su siero prelevato dopo l’insorgenza dei sintomi;
  • rilevazione del DNA di Brucella in un campione clinico tramite reazione a catena della polimerasi (PCR).

3 di 21 Domande

Un bambino di 2 anni di origine africana si presenta con tumefazioni dolorose della mani e piedi. Dati di laboratorio mettono in evidenza una emoglobina di 9g/dl, una conta dei globuli bianchi di 11500/mm3 ed una conta delle piastrine di 250000/mm3. Quale dei seguenti esami di laboratorio dara' supporto alla tua diagnosi?














La risposta corretta è la B

Il quadro clinico descritto è compatibile con anemia falciforme o drepanocitosi, un’emoglobinopatia caratterizzata dalla produzione di catene globiniche quantitativamente normali ma qualitativamente alterate. La causa della deformazione dei globuli rossi è una sostituzione amminoacidica (Glu ? Val) che favorisce l’aggregazione delle molecole di Hb con formazione di polimeri simili a pali nel citoplasma eritrocitario. La polimerizzazione, che avviene soprattutto nello stato deossigenato, determina deformazione e la caratteristica forma a falce dei globuli rossi. Questa condizione provoca squilibri che riducono elasticità e vitalità cellulare. I globuli rossi danneggiati rappresentano il principale trigger delle crisi vaso-occlusive, responsabili di fenomeni infartuali a livello del microcircolo, che spesso si manifestano con tumefazioni dolorose di mani e piedi. La prima manifestazione clinica è l’emolisi cronica con pallore, subittero o ittero, astenia, litiasi della colecisti e segni della deplezione di ossido nitrico. A livello arterioso si osserva diatesi trombotica per disfunzione endoteliale. L’emolisi cronica rappresenta uno stato di equilibrio, interrotto più o meno frequentemente da crisi vaso-occlusive. Tra le manifestazioni vaso-occlusive, tipica è l’ostruzione dei vasi retinici, che porta a cecità parziale o totale e determina cicatrici corio-retiniche, una delle manifestazioni retiniche più comuni e patognomoniche dell’anemia falciforme. Dal punto di vista laboratoristico, si osserva riduzione dell’Hb; la diagnosi è confermata da striscio periferico, test di solubilità ed elettroforesi dell’emoglobina, che evidenzia le anomalie strutturali.


4 di 21 Domande

Il Sig. Versici, un uomo di circa 70 anni, si reca presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, Il Dott. Mancini, per un fastidio al polso destro. Anamnesi patologica prossima: lamenta dolore al polso destro da circa due giorni.

Anamnesi patologica prossima: positiva per due interventi di chirurgia sostitutiva dell'anca, due precedenti episodi di gotta in entrambe le prime articolazioni metatarso-falangee ed ipertensione. Esame obiettivo: il Dott. Mancini visitandolo riscontra la presenza di rossore e gonfiore sul versante dorsale del polso. La sintomatologia dolorosa viene esacerbata da movimenti di flesso-estensione completi. Gli vengono prescritti 80 mg di aspirina al giorno. Due giorni dopo il gonfiore però è aumentato sul versante dorsale del polso ed a livello della mano. La flessione del polso risulta limitata dell' 80% con dolore severo, pertanto il Sig. Versici si reca nuovamente presso l’ ambulatorio del Dott. Mancini, che rivisitandolo nota che evoca un dolore sordo alla palpazione dello scafoide e pertanto nel sospetto di frattura gli prescrive un esame radiografico del polso/mano. Esami strumentali-laboratoristici: evidenza di alterazioni riconducibili ad un quadro di artrite gottosa. Quale tipo di citochine sono coinvolte in questo processo?

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La risposta corretta è la C.

La flogosi è un meccanismo di difesa di tipo aspecifico: risponde all’agente lesivo di tipo fisico-meccanico, radiazioni, batteri o sostanze chimiche. È quindi la risposta al danno tissutale ed è un processo reattivo (diverso dalla necrosi che è regressiva), aspecifico (contro tutto ciò che causa danno), stereotipato (stessi meccanismi principali a prescindere dalla causa, con vie diverse secondo lo stimolo), e procede indipendentemente dalla causa (una volta innescato, continua anche se lo stimolo è rimosso). Nella fase acuta si ha aumento del flusso ematico e della permeabilità vascolare, con accumulo di fluidi, leucociti e mediatori come le citochine. Vari fattori solubili favoriscono il reclutamento dei leucociti aumentando l’espressione di molecole di adesione e di fattori chemiotattici. Le citochine chiave sono IL-1, TNF-?, IL-6, IL-8 e altre chemochine; IL-1 e TNF-? sono particolarmente potenti, inducono febbre promuovendo la sintesi di PGE2 nell’endotelio ipotalamico. L’IL-1 è prodotta da macrofagi, neutrofili, cellule endoteliali ed epiteliali: a basse concentrazioni induce adesione leucocitaria, ad alte induce febbre e proteine di fase acuta. Diversamente dal TNF-?, non causa da sola shock settico. Inoltre stimola i mastociti al rilascio di istamina, con vasodilatazione precoce e aumento della permeabilità.

Durante l’infiammazione avvengono: (1) modificazioni di flusso e calibro vascolare con aumento del flusso sanguigno, (2) modificazioni del microcircolo e formazione dell’essudato, (3) richiamo chemiotattico dei leucociti, (4) fagocitosi. Dopo lo stimolo lesivo si ha vasocostrizione transitoria seguita da vasodilatazione intensa (iperemia attiva, responsabile di rubor e calor). Successivamente si verifica rallentamento della circolazione (iperemia passiva o stasi), dovuto ad aumentata permeabilità capillare con essudazione proteica e aumento della viscosità ematica. Il modello tipico dell’infiammazione acuta comprende: alterazioni di flusso e calibro, iperemia attiva e passiva, permeabilizzazione endoteliale con essudato, migrazione leucocitaria e chemiotassi, fagocitosi.

La chemiotassi è movimento orientato lungo un gradiente chimico; gli stimoli possono essere esogeni (prodotti batterici) o endogeni (complemento, leucotrieni, citochine). Durante la stasi i neutrofili si dispongono lungo l’endotelio (marginazione). Segue l’adesione: i leucociti rotolano con legami labili, poi aderiscono stabilmente formando la “pavimentazione”. Successivamente attraversano l’endotelio (diapedesi) e migrano verso lo stimolo. L’endotelio normalmente è continuo e liscio, ma nell’infiammazione aumenta la permeabilità ed esprime molecole di adesione preformate (es. P-selectina dai corpi di Weibel-Palade).

Le principali molecole di adesione sono: selectine (E sull’endotelio, P sull’endotelio in infiammazione, L sui leucociti, legano zuccheri); immunoglobuline (ICAM-1 e VCAM-1, interagiscono con integrine leucocitarie, le ICAM-1 si legano alle integrine ?2); VCAM-2 proprie dell’endotelio; integrine (già presenti sui leucociti, ma con bassa affinità: aumentano l’avidità a seguito di stimoli chemiokinici e dell’induzione di ICAM/VCAM-1). Le citochine IL-1 e TNF inducono fortemente la sintesi di ICAM-1 e VCAM-2, molecole implicate nei legami forti, la cui espressione richiede più tempo.


5 di 21 Domande

Il Sig. Mariani, un uomo di 78 anni si reca presso il PS del Policlinico Torvergata di Roma, a causa di un episodio di dispnea acuta. Anamnesi patologica prossima: lamenta comparsa di episodi di tosse produttiva, gonfiore degli arti inferiori e dei piedi, astenia, che perdurano da 3 settimane. Inoltre, da due mesi a questa parte, si sono presentate crisi di dispnea da sforzo ingravescente. Anamnesi patologica remota: una decina di anni prima è stato sottoposto ad un intervento di chirurgia sostitutiva per impianto di protesi valvolare di suino, a causa di un rigurgito della valvola mitrale di grado severo. Il paziente è affetto da coronaropatia, diabete mellito di tipo 2 ed ipertensione. Anamnesi fisiologica: ha fumato per 55 anni un pacchetto di sigarette al giorno e abitualmente beve una birra al giorno. Anamnesi farmacologica Attualmente prende diversi farmaci tra cui cardioaspirina, simvastatina, ramipril, metoprololo, metformina e idroclorotiazide. Esame obiettivo: si presenta dall’ aspetto pallido. L’ uomo è alto 181 cm e pesa 128 kg, con una BMI di circa 41 kg/m2. Ha una temperatura corporea di 37.3 °C , frequenza respiratoria di 23 atti/min, frequenza cardiaca di 97 bpm, e pressione arteriosa di 148/95 mm Hg. All’ auscultazione del torace si riscontra la presenza di rantoli alle basi polmonari bilateralmente. L’ esame obiettivo del cuore rivela la presenza di un battito apicale dislocato lateralmente e la presenza, a livello dell’ apice, di un soffio diastolico 3/6 di intensità decrescente. Inoltre si osserva la presenza di edemi improntabili bilateralmente a livello dei piedi e delle caviglie. Il resto dell’ esame obiettivo non mostra altre anomalie. Quale tra le seguenti è la causa più probabile dei sintomi di questo paziente?

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La risposta D è corretta.

Il paziente circa 10 anni fa si era sottoposto a un intervento di sostituzione protesica con impianto di protesi valvolare suina per severo rigurgito mitralico. Il trattamento di una valvulopatia, a meno che non sia di grado medio-elevato e clinicamente significativa, richiede solo un controllo periodico, mentre l’intervento chirurgico è indicato in presenza di una lesione moderata o grave responsabile di sintomi e/o disfunzione cardiaca. Le opzioni vanno dalla valvuloplastica alla riparazione fino alla sostituzione, che può essere effettuata con protesi meccaniche (preferite nei pazienti <65 anni o con lunga aspettativa di vita, ma richiedono anticoagulazione cronica con warfarin per prevenire tromboembolismo) o biologiche (suine o bovine, più soggette a deterioramento sclero-fibrotico, con durata media 10-15 anni). Una complicanza possibile delle protesi biologiche è l’ostruzione/stenosi o il rigurgito, entrambi responsabili di scompenso cardiaco.

L’endocardite infettiva insorge in presenza di una predisposizione endocardica (patologie congenite, reumatiche, valvole bicuspidi calcifiche, prolasso mitralico, cardiomiopatia ipertrofica, precedente endocardite). Fattori predisponenti sono protesi valvolari, tossicodipendenza, diabete, uso cronico di anticoagulanti o steroidi, età avanzata. Agenti più comuni sono streptococchi e stafilococchi (80-90%), seguiti da enterococchi e microrganismi HACEK. Clinicamente si manifesta con febbre, nuovo soffio o modifica di un soffio preesistente, può causare scompenso cardiaco e, all’ecocardiogramma, vegetazioni. Segni caratteristici: petecchie congiuntivali, macchie di Roth, lesioni di Janeway, nodi di Osler, emorragie subungueali a scheggia. La diagnosi si basa sui criteri di Duke (diagnosi rigettata, possibile o certa). In assenza di emocolture disponibili, e senza rischio per MRSA, la terapia empirica si effettua con un ?-lattamico + amminoglicoside. Sebbene questo paziente presenti soffio e segni di scompenso, non ha febbre né criteri di Duke: l’endocardite è improbabile (risposta A errata).

La BPCO è una malattia polmonare cronica non reversibile, con ostruzione bronchiale persistente (VEMS/CVF <0,7), spesso correlata a fumo e caratterizzata da progressione, riacutizzazioni infettive, dispnea, tosse produttiva cronica, tachipnea, cianosi e ipertensione polmonare nelle fasi avanzate. All’auscultazione: respiro sibilante e fase espiratoria prolungata. Nonostante il paziente sia fumatore con tosse, i sintomi durano solo da 3 settimane e non vi sono segni obiettivi di ostruzione: la diagnosi di BPCO è errata (risposta B errata).

La polmonite è un’infiammazione acuta polmonare (batterica, virale, fungina, parassitaria) diagnosticata con RX torace e reperti clinici. Può essere comunitaria (più spesso da Streptococcus pneumoniae, Mycoplasma pneumoniae) o nosocomiale. Clinicamente: febbre, tosse, dispnea, astenia, ipossia; nella forma tipica: esordio acuto con febbre, tosse produttiva, crepitii e rumori bronchiali; nella forma atipica: esordio graduale con tosse secca, dispnea e pochi segni obiettivi. È indicato esame colturale di sangue/escreato. Questo paziente presenta tosse produttiva ma non febbre, e all’auscultazione rantoli basali bilaterali: più compatibili con scompenso cardiaco che con polmonite (risposta C errata).

L’embolia polmonare è occlusione di arterie polmonari da trombi (arti inferiori/pelvi). Presentazione acuta con sintomi aspecifici: dolore toracico pleuritico, tosse, sincope, dispnea, arresto cardiorespiratorio nei casi gravi; segni: tachipnea, tachicardia, ipotensione. Fattori di rischio: immobilizzazione, trombofilie, gravidanza, chirurgia recente. In questo paziente tosse e dispnea possono mimarla, ma anamnesi negativa per immobilizzazione e presenza di stenosi mitralica con edemi declivi bilaterali fanno propendere per scompenso cardiaco congestizio piuttosto che embolia polmonare (risposta E errata).


6 di 21 Domande

Il Sig. Verci, un uomo di circa 60 anni si reca, presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, il Dott. Briga, per dispnea. Anamnesi patologica prossima: lamenta una dispnea ingravescente da circa un mese. Inizialmente era in grado di salire 3 rampe di scale fino al suo appartamento, ma ora necessita di effettuare numerose pause per recuperare il fiato. Non lamenta dolore al petto. Anamnesi patologica remota: l'uomo è affetto da cardiopatia reumatica e diabete mellito di tipo 2. Anamnesi fisiologica: è emigrato dall'India circa 20 anni prima. Anamnesi farmacologica: assume carvedilolo, torasemide e insulina. Esame obiettivo: il Dott. Briga visita il Sig. Verci riscontrando una temperatura corporea di 37.2 °C, una frequenza cardiaca di 74 bpm, una frequenza respiratoria di 19 atti/min ed una pressione arteriosa di 135/80 mm Hg. La pulsossimetria mostra una saturazione d'ossigeno del 96% in aria ambiente. L'auscultazione del torace rivela la presenza di crepitii alle basi polmonari bilateralmente. All’ auscultazione cardiaca si riscontra la presenza di un soffio d'apertura seguito da un soffio diastolico di bassa tonalità , a livello del quanto spazio intercostale di sinistra in corrispondenza della linea medio-claveare. Esami strumentali-laboratoristici: il Dott. Briga decide di far eseguire una radiografia del torace al Sig. Verci, che mostra una dilatazione dell'atrio di sinistra, con stiramento del margine cardiaco di sinistra, ed un’ aumentata trama vascolare. Quale tra i seguenti rappresenta l'intervento di prima scelta per migliorare la sintomatologia del paziente?

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La risposta corretta è la D.

La malattia reumatica è la causa più frequente di stenosi mitralica non complicata. È caratterizzata da fibrosi, calcificazione dei lembi valvolari e parziale fusione delle commissure, con conseguente riduzione dell’ostio valvolare (normalmente 4-6 cm²) fino a valori <1 cm². A causa di questo restringimento, l’unico modo per garantire il passaggio di sangue dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro durante la diastole è aumentare le pressioni atriali. Questo incremento si trasmette a monte, con aumento della pressione nelle vene e nei capillari polmonari: ecco la causa della dispnea. Se le pressioni aumentano ulteriormente, soprattutto acutamente, può verificarsi la trasudazione di liquido negli alveoli con conseguente edema polmonare. Il nostro paziente all’auscultazione presenta anche crepitii basali bilaterali. Il gradiente diastolico transvalvolare è proporzionale al grado di stenosi ed è sensibile ad aumenti di portata e frequenza cardiaca: maggiore la portata/frequenza, maggiore il gradiente. Per questo un soggetto asintomatico a riposo può diventare sintomatico anche per sforzi lievi. L’evoluzione della stenosi mitralica è rappresentata dallo sviluppo di ipertensione polmonare arteriosa, secondaria a quella venosa, che provoca vasocostrizione arteriolare inizialmente funzionale e reversibile, successivamente irreversibile per ipertrofia della tonaca media e fibrosi dell’intima. Le elevate resistenze arteriolari del circolo polmonare causano sovraccarico pressorio del ventricolo destro con dilatazione, ipertrofia, disfunzione contrattile e segni di scompenso destro e bassa gittata. Nell’insufficienza mitralica, invece, la pressione atriale sinistra, molto più bassa di quella aortica, fa sì che il sangue refluisca in atrio già durante la contrazione isometrica ventricolare. Nell’insufficienza mitralica cronica l’atrio sinistro si adatta dilatandosi, per cui la pressione a monte non aumenta significativamente; nell’insufficienza acuta, invece, l’atrio non ha tempo di adattarsi e subisce un brusco aumento pressorio con ripercussioni sulla pressione venosa polmonare. Il ventricolo sinistro, sottoposto a sovraccarico di volume, si dilata: inizialmente la frazione di eiezione rimane conservata, poi si riduce progressivamente perché il rigurgito in atrio riduce il volume sistolico effettivo. Una frazione di eiezione <60% è indicativa di compromissione ventricolare sinistra. Nel nostro paziente, per segni, sintomi e reperti auscultatori, è probabile un coinvolgimento valvolare mitralico, in particolare stenosi o steno-insufficienza. L’intervento di scelta, nella stenosi mitralica clinicamente significativa (area ?1,5 cm²) o sintomatica, e nei pazienti con controindicazioni alla chirurgia, è la valvuloplastica percutanea con palloncino: una “dilatazione controllata” eseguita con un palloncino ad alta resistenza gonfiato in prossimità della valvola, introdotto tramite catetere da vena femorale destra. È una tecnica mini-invasiva che riduce morbilità e mortalità perioperatorie, con buona efficacia a lungo termine (sopravvivenza libera da eventi nel 30-70% dei casi), sebbene non siano rare le restenosi. Non può essere eseguita in presenza di calcificazioni valvolari, per cui è indicata la sostituzione valvolare.


7 di 21 Domande

Un ragazzo di 20 anni presenta il seguente ECG. Cosa si nota all'ECG?

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La risposta esatta è la A.

Le derivazioni da V1 a V6, chiamate derivazioni precordiali, esprimono l’attività elettrica del cuore sul piano orizzontale: V1-V2 esplorano il setto interventricolare, V3-V4 la parete anteriore del ventricolo sinistro, V5-V6 la parete laterale del ventricolo sinistro. L’onda P indica la depolarizzazione atriale, il complesso QRS e l’onda T indicano rispettivamente la depolarizzazione e la ripolarizzazione ventricolare, mentre la ripolarizzazione atriale non è visibile poiché avviene durante la depolarizzazione ventricolare. In età giovanile, dopo la pubertà, il vettore di ripolarizzazione ventricolare rende le T positive in tutte le derivazioni precordiali, tranne V1 e raramente V2; in casi eccezionali, la negatività può coinvolgere anche V3 e V4 (onda T giovanile). Dopo la pubertà, la presenza di onde T invertite ?2 mm in due o più derivazioni contigue del ventricolo destro può indicare cardiopatia congenita con sovraccarico di pressione o volume (cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro) oppure, più raramente, patologie ereditarie dei canali del sodio o potassio. L’ECG descritto mostra ritmo sinusale, alterazioni diffuse della ripolarizzazione con T negativa da V1 a V5, R alta in V1 e asse spostato a destra: reperti suggestivi di ipertrofia ventricolare destra a carattere aritmogeno. La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro è spesso familiare, più frequentemente a trasmissione autosomica dominante, e coinvolge prevalentemente ma non esclusivamente il ventricolo destro. Nel 10-20% dei casi è presente una mutazione nei geni che codificano proteine del desmosoma. Istologicamente si osserva progressiva sostituzione del miocardio con tessuto fibro-adiposo, che genera aree di discinesia e dilatazione soprattutto nel tratto di afflusso, efflusso e apice del ventricolo destro (triangolo della displasia), ma può estendersi all’intera parete ventricolare destra o anche al ventricolo sinistro. Questa condizione, per le alterazioni morfologiche e funzionali, è causa frequente di aritmie ventricolari e morte improvvisa, soprattutto in età giovanile durante o subito dopo l’attività fisica. In presenza di un ECG di questo tipo è quindi indicato eseguire un ecocardiogramma per rilevare eventuali alterazioni strutturali cardiache.


8 di 21 Domande

La signora Rettori, una donna di 45 anni, si reca dal proprio medico curante, il Dott. Pressi, per malessere. Anamnesi patologica prossima: comparsa di febbre, disuria e dolore alla schiena. Il Dott. Pressi consiglia alla paziente di recarsi in ospedale per ulteriori accertamenti; qui la donna verrà successivamente ricoverata con una sospetta diagnosi di pielonefrite. La paziente viene sottoposta a terapia con antibiotici ad ampio spettro, che determinano un significativo miglioramento della sintomatologia. Tuttavia, durante il quarto giorno di ricovero, la donna presenta nuovamente febbre, con leucocitosi e profusa diarrea acquosa. Esami strumentali: viene effettuata una colonscopia, visibile nell’ immagine sottostante.

Quale è la terapia per il trattamento di questo disturbo?

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La risposta corretta è la D.

La paziente presenta una colite pseudomembranosa causata da Clostridium difficile, un batterio appartenente alla famiglia Clostridiaceae, patogeno per l’uomo, Gram+ anaerobio. Il C. difficile è virulento in quanto possiede due tossine: la tossina A, un’enterotossina che si lega alle cellule della mucosa e causa un’ipersecrezione di liquido determinando diarrea acquosa; la tossina B, una citotossina che provoca gravi danni alla mucosa determinandone l’aspetto pseudomembranoso. Il Clostridium difficile causa colite associata ad antibiotici, tipicamente in ambiente ospedaliero. Fa parte normalmente del microbiota umano; tuttavia, quando si utilizzano antibiotici per lungo tempo, questi possono distruggere anche i batteri che tengono “sotto controllo” il Clostridium. Quando il C. difficile diviene dominante, si possono avere crampi addominali, colite pseudomembranosa, diarrea (talora ematica), raramente sepsi e addome acuto. I sintomi insorgono alcuni giorni dopo l’inizio della terapia antibiotica e includono diarrea acquosa o scariche di feci non formate, crampi addominali, raramente nausea e vomito. Per la diagnosi è importante l’identificazione della tossina nelle feci. Il trattamento consiste nell’interrompere la terapia antibiotica; se la sintomatologia è grave è possibile utilizzare vancomicina o metronidazolo (nel nostro caso, non essendo la vancomicina tra le opzioni, la risposta corretta è la D).


9 di 21 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

In seguito ai valori di glicemia a digiuno riscontrati, si richiede curva da carico orale di glucosio (OGTT). In base ai risultati sopra riportati, la paziente presenta:

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La risposta corretta è la B.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza.

L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: è necessario un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si associano inoltre a modifiche del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, arti inferiori, retina) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie degli arti inferiori).

Il diabete si classifica in due tipologie principali:

– diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), che può avere cause immuno-mediate o idiopatiche;

– diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e deficienza insulinica relativa, nella maggior parte dei casi senza necessità di insulina.

Esiste poi il diabete gestazionale, che compare in gravidanza e regredisce dopo il parto.

Tra le sindromi secondarie ricordiamo:

– pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori),

– patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite),

– patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante),

– tossicità da farmaci o sostanze chimiche (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.).

Il diabete può rimanere a lungo silente. Si stima che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% resti non diagnosticato.

Per la diagnosi, le misurazioni della glicemia prevedono:

– glicemia a digiuno (da almeno 12 ore): due rilevazioni ?126 mg/dl;

– glicemia random >200 mg/dl, ma solo in paziente sintomatico (polidipsia, poliuria, nicturia, ecc.);

– curva da carico con 75 g di glucosio in 200-250 ml d’acqua: il test si esegue solo se la glicemia basale è <126 mg/dl, e la diagnosi si pone se a 2 ore la glicemia è >200 mg/dl.


10 di 21 Domande

La signora Bellini è una giovane donna ricoverata nel reparto di ginecologia ed ostetricia dopo un parto complicato da una rottura prematura delle membrane amnio-coriali ed un prolungato travaglio. Anamnesi patologica prossima: In seconda giornata sviluppa febbre con brivido associata ad ipotensione e intenso dolore addominale che fanno sospettare un’ endometrite purperale. Il Dott. Lanfranchi decide di sottoporre la paziente ad una radiografia del torace e decide di avviare la terapia antibiotica e reidratante con 4.000 ml di soluzione salina nelle successive 24 ore ma l’ ipertermia persiste e si ottiene un lieve incremento della pressione arteriosa. Improvvisamente la sig.ra Bellini presenta dispnea. Esame obiettivo: viene rilevata una SpO2 dell’ 82% che non aumenta anche con ossigenoterapia con FiO2 del 100%. Il Dott. Lanfranchi decide quindi di intubare la paziente e si eroga una FiO2 del 100%. Non si rileva turgore giugulare, all’ auscultazione polmonare si apprezzano crepitii diffusi bilateralmente. Esami di laboratorio-strumentali: viene rapidamente inviato in laboratorio un campione di sangue arterioso che evidenzia PaO2 di 62 mmHg e PaCO2 di 33 mmHg. L’ ECG mostra tachicardia sinusale. Viene effettuato un nuovo RX del torace che mostra un quadro polmonare modificato rispetto a quanto si era visto nel precedente. Sulla base dei dati forniti quale tra le seguenti è la diagnosi più probabile?

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La risposta corretta è la B.

Questo paziente molto probabilmente ha una ARDS e il rapporto PaO2/FiO2 è <200: la paziente ha un rapporto di 60 (FiO2 = 1 ovvero 100% e PaO2 di 60 mmHg: necessita di ossigeno al 100% per mantenere una pressione di PaO2 accettabile). La RX torace mostra infiltrati polmonari diffusi non riconducibili a eziologia cardiogena. L’EO evidenzia dispnea ingravescente a insorgenza improvvisa, con crepitii diffusi bilateralmente. La paziente presentata nel caso è verosimilmente affetta da ARDS in seguito a sepsi da endometrite postpartum.

La sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) è una grave malattia acuta polmonare. I fattori scatenanti sono numerosi: polmonite, shock, gravi traumi, sepsi, aspirazione di alimenti (ab ingestis), pancreatite. È caratterizzata da danno diffuso della membrana alveolo-capillare, con edema polmonare non cardiogenico (ricco di proteine) e insufficienza respiratoria acuta (ARF). Si osserva reclutamento di neutrofili nei capillari alveolari e formazione di membrane ialine. I neutrofili rilasciano chemochine (che richiamano istiociti), producono ROS, proteasi, leucotrieni, fattore di attivazione piastrinica, prostaglandine e altre molecole che danneggiano le barriere tra capillari e spazi aerei. Gli alveoli e l’interstizio si riempiono di proteine, detriti cellulari e liquido, con distruzione del surfattante, collasso alveolare e mismatch ventilazione/perfusione.

L’ARDS determina grave ipossiemia refrattaria all’ossigenoterapia. I criteri diagnostici comprendono:

– Opacità bilaterali alla RX non spiegabili da versamento, atelettasia o noduli.

– PaO2/FiO2 ?200 mmHg.

– Assenza di evidenza clinica di aumentata pressione atriale sinistra o insufficienza cardiaca (PCWP <18 mmHg). Una pressione di incuneamento capillare polmonare >18 mmHg orienta invece verso edema polmonare cardiogeno.

Secondo la “Definizione di Berlino 2012” l’ARDS si classifica in:

– Lieve: PaO2/FiO2 ?200 mmHg.

– Moderata: PaO2/FiO2 ?100 mmHg.

– Grave: PaO2/FiO2 ?100 mmHg.


11 di 21 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

Per il paziente diabetico è essenziale assumere cibi a basso indice glicemico. Qual è tra i seguenti alimenti quello che presenta il più basso indice glicemico?

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La risposta corretta è la A.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza. L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: serve un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si accompagnano anche ad alterazioni del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, retina, arti inferiori) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie periferiche). Il diabete si classifica in due tipologie principali: diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), con cause immuno-mediate o idiopatiche; diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e relativa deficienza insulinica, che nella maggior parte dei casi non richiede terapia insulinica. Esiste anche il diabete gestazionale, che si manifesta in gravidanza e regredisce dopo il parto. Tra le forme secondarie: pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori), patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite), patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante), tossicità da farmaci o sostanze (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.). Il diabete può progredire a lungo senza sintomi. Si calcola che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% rimane non diagnosticato. Per la diagnosi: glicemia a digiuno ?126 mg/dl in due misurazioni, glicemia random >200 mg/dl in presenza di sintomi (poliuria, polidipsia, nicturia), curva da carico con 75 g di glucosio (diagnosi se glicemia >200 mg/dl a 2 ore). Prima del test, la glicemia basale deve essere <126 mg/dl. Il test va eseguito in pazienti non ricoverati, in buone condizioni cliniche, dopo dieta abituale (non ridotta in carboidrati), a digiuno dalla mezzanotte, senza febbre, stress o fumo. Indicazioni alla curva da carico: glicemia alterata a digiuno (100–125 mg/dl), familiarità per diabete dai 30-40 anni, obesità, complicanze cardiovascolari (TIA, angina, claudicatio), soprattutto se obesi e fumatori, infezioni urinarie o cutanee ricorrenti con glicemia alterata. Il 90% dei casi è di tipo II, storicamente detto diabete dell’adulto (esordio >40 anni), ma oggi è sempre più precoce (anche a 18 anni), correlato all’obesità, in particolare infantile (Italia con alta prevalenza, soprattutto nel centro-sud). Nei gemelli monozigoti la concordanza è ~100% nel tipo II, mentre nel tipo I, pur avendo componente genetica, è solo del 50% per il ruolo di fattori ambientali. Anche nei monozigoti separati alla nascita la concordanza del tipo II rimane elevata, a dimostrazione della forte componente genetica, ancora non del tutto chiarita.


12 di 21 Domande

Quale delle seguenti caratteristiche è tipica dell'asma bronchiale?














La risposta corretta è la D
L'asma bronchiale è caratterizzata tipicamente da iperreattività bronchiale. Questa condizione comporta una sensibilità eccessiva delle vie aeree, che si restringono più facilmente e intensamente di quanto non avvenga nelle persone non asmatice in risposta a vari stimoli, come allergeni, inquinamento, aria fredda o esercizio fisico. L'iperreattività bronchiale è un pilastro nella definizione dell'asma, una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree. In questa patologia, l'infiammazione porta a un aumento della sensibilità delle vie respiratorie e a una tendenza alla contrazione muscolare bronchiale, che sono accompagnati da sintomi quali tosse, respiro sibilante, dispnea e oppressione toracica, specialmente di notte o al mattino presto. Questi eventi sono spesso la risposta all'esposizione a specifici trigger. Il contesto infiammatorio nell'asma coinvolge molteplici cellule come eosinofili, mastociti e linfociti T, oltre alla produzione di citochine, chemochine e mediatori dell'infiammazione. Questi fattori contribuiscono all'iperreattività delle vie aeree e alla loro ostruzione reversibile, caratteristica distintiva dell'asma rispetto ad altre malattie respiratorie croniche come la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), in cui l'ostruzione è tipicamente meno reversibile. Inoltre, l'asma è associata a cambiamenti strutturali nelle vie aeree, noti come rimodellamento, che includono l'ispessimento della parete bronchiale e la produzione di muco. Questi cambiamenti possono aggravare l'ostruzione delle vie aeree e contribuire ulteriormente all'iperreattività . La gestione dell'asma mira a controllare i sintomi e a prevenire esacerbazioni attraverso l'uso di farmaci anti-infiammatori (come i corticosteroidi inalatori) e broncodilatatori, oltre alla evitazione dei fattori scatenanti. In conclusione, l'iperreattività bronchiale nell'asma rappresenta una risposta esagerata delle vie aeree a una varietà di stimoli, sottolineando l'importanza dell'infiammazione e del rimodellamento delle vie aeree nella patogenesi dell'asma. Questi aspetti sottolineano l'importanza di un approccio di trattamento che mira a ridurre l'infiammazione e a prevenire le esacerbazioni, al fine di migliorare la qualità della vita delle persone affette da asthma.

13 di 21 Domande

Quale dei seguenti NON è un vaccino antivirale?














La risposta corretta è la A
Il vaccino anti-tetano non è un vaccino antivirale, a differenza delle altre opzioni presentate come anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite e anti-varicella, che sono tutti vaccini progettati per prevenire malattie virali. Il tetano è invece causato dal batterio Clostridium tetani, e per questo motivo il vaccino anti-tetano è classificato come vaccino antibatterico. Il tetano è una malattia grave, caratterizzata dall'attivazione delle tossine prodotte dal Clostridium tetani, batterio che si trova comunemente nel suolo, polvere e nel letame. Queste tossine interferiscono con i nostri nervi, causando rigidezza e spasmi muscolari che possono risultare fatali se non trattati. La patologia si manifesta quando le spore di Clostridium tetani entrano nel corpo attraverso ferite o tagli nella pelle, iniziando quindi a moltiplicarsi e a produrre tossine. È particolarmente conosciuta per il suo sintomo di spasmi muscolari dolorosi e rigidità , soprattutto intorno alla mandibola, da cui il nome comune di "trisma" o "mandibola serrata". Il vaccino anti-tetano funziona stimolando il sistema immunitario a produrre anticorpi contro la tossina tetanica, offrendo protezione contro la malattia. È di cruciale importanza nelle pratiche preventive in medicina poiché il tetano, una volta insorto, richiede un trattamento medico immediato e intensivo. La vaccinazione è raccomandata in tutte le fasce d'età , con richiami periodici per mantenere l'immunità . In conclusione, mentre i vaccini antivirali mirano a proteggere contro malattie causate da virus, il vaccino anti-tetano è mirato contro una tossina prodotta da un batterio, evidenziando l'importanza e la diversità delle strategie vaccinali nella prevenzione delle malattie infettive. La comprensione delle differenze tra patogeni come virus e batteri è fondamentale per lo sviluppo di interventi preventivi efficaci, come i vaccini, che rimangono uno degli strumenti più potenti per controllare la diffusione delle malattie infettive.

14 di 21 Domande

La terapia dell'asma bronchiale:














La risposta corretta è la C
La terapia dell'asma bronchiale si avvale effettivamente di beta2-agonisti long-acting e glucocorticoidi inalatori, anche in combinazione tra loro. Questo approccio terapeutico è particolarmente indicato per il trattamento a lungo termine dell'asma, allo scopo di mantenere il controllo dei sintomi e prevenire le riacutizzazioni. L'asma bronchiale è una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree caratterizzata da episodi ricorrenti di ostruzione al flusso aereo, che si manifestano con sintomi quali dispnea, sibilanza, tosse e oppressione toracica. Le esacerbazioni possono essere innescate da vari fattori, inclusi allergeni, infezioni respiratorie, esercizio fisico, aria fredda e inquinamento. I beta2-agonisti long-acting, come il salmeterolo e il formoterolo, rilassano la muscolatura liscia delle vie aeree, prevenendo e controllando i sintomi asmatici. Non sono, tuttavia, indicati per il trattamento dell'attacco acuto di asma, poiché il loro effetto si manifesta più lentamente rispetto ai beta2-agonisti a breve durata d'azione. I glucocorticoidi inalatori, d'altro canto, sono considerati la terapia di base per l'asma bronchiale poiché riducono l'infiammazione cronica delle vie aeree, che è la causa sottostante dell'ostruzione del flusso aereo e dell'iperreattività bronchiale. L'uso regolare di glucocorticoidi inalatori migliora il controllo dei sintomi asmatici, la funzione polmonare e la qualità della vita, riducendo al contempo la frequenza e la gravità delle esacerbazioni e la necessità di farmaci beta2-agonisti a breve durata d'azione. La combinazione di beta2-agonisti long-acting e glucocorticoidi inalatori offre un duplice beneficio: controllare i sintomi asmatici agendo sia sul rilassamento della muscolatura liscia bronchiale sia sulla riduzione dell'infiammazione. Questo approccio combinato è dimostrato essere superiore nella gestione dell'asma rispetto all'uso di uno solo di questi farmaci, contribuendo significativamente a migliorare la funzione polmonare, ridurre i sintomi e prevenire le esacerbazioni. In sintesi, l'approccio terapeutico che prevede l'utilizzo di beta2-agonisti long-acting insieme ai glucocorticoidi inalatori, singolarmente o in combinazione, è fondamentale nel trattamento a lungo termine dell'asma bronchiale. Questa strategia migliora efficacemente il controllo della malattia, riducendo l'infiammazione cronica e la reattività bronchiale e migliorando così la qualità di vita dei pazienti asmatici.

15 di 21 Domande

Lo scompenso cardiaco a frazione di eiezione moderatamente ridotta (HFmrEF) indica una frazione di eiezione:














La risposta corretta è la E
Lo scompenso cardiaco a frazione di eiezione moderatamente ridotta (HFmrEF) indica una frazione di eiezione del 41-49%. Questa categoria specifica di scompenso cardiaco è stata riconosciuta per miglior comprendere e trattare i pazienti che non si inquadrano nelle categorie classiche dello scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata (HFpEF) o ridotta (HFrEF). Lo scompenso cardiaco è una condizione in cui il cuore non riesce a pompare sangue in modo efficiente per soddisfare le esigenze metaboliche del corpo. Si manifesta con sintomi come affaticamento, difficoltà respiratorie e ritenzione di fluidi. La frazione di eiezione (FE), una misura percentuale del volume di sangue espulso dal ventricolo sinistro ad ogni battito rispetto al suo volume massimo, serve come indicatore fondamentale per classificare lo scompenso cardiaco. Una FE normale varia tra il 50% e il 70%, riflettendo un efficace pompaggio del cuore. La specifica categoria HFmrEF è importante poiché colma il divario tra HFrEF, definito da una frazione di eiezione inferiore al 40%, e HFpEF, dove la frazione di eiezione è superiore o uguale al 50%. I pazienti con HFmrEF hanno una frazione di eiezione che si situa in una fascia intermedia, precisamente tra il 41% e il 49%. Questa distinzione è cruciale per riconoscere le differenze nel trattamento e nell'approccio clinico. Anche se in passato questa popolazione di pazienti è stata meno studiata, recentemente vi è crescente interesse nel comprendere le caratteristiche uniche di questa sottopopolazione dello scompenso cardiaco, data la loro risposta ai trattamenti che può differire significativamente dai gruppi con FE maggiormente ridotta o preservata. Lo scompenso cardiaco con frazione di eiezione moderatamente ridotta comporta, quindi, una sfida diagnostica e terapeutica. Studi e ricerche in corso mirano a definire meglio il quadro clinico di questi pazienti, le migliori strategie di gestione e trattamento, oltre a sottolineare l'importanza di una diagnosi accurata basata sulla frazione di eiezione per garantire che i pazienti ricevano le cure più adeguate alla loro specifica condizione. La comprensione di questa categoria evidenzia anche la necessità di continui avanzamenti nel campo della cardiologia, per assicurare che tutte le forme di scompenso cardiaco siano attentamente valutate e gestite.

16 di 21 Domande

Quale di questi quadri clinici deve far pensare ad uno scompenso cardiaco cronico?














La risposta corretta è la A
Il quadro clinico di dispnea da sforzo, ortopnea, edemi declivi, e turgore delle giugulari deve far pensare a uno scompenso cardiaco cronico. Questi sintomi sono indicativi di un malfunzionamento del cuore nel suo compito di pompare il sangue in modo efficiente attraverso il corpo, portando ad un accumulo di liquido nei tessuti e nelle cavità del corpo. Lo scompenso cardiaco cronico è una condizione progressiva che peggiora nel tempo, dovuta all'incapacità del cuore di mantenere un adeguato flusso sanguigno per soddisfare le esigenze metaboliche del corpo. Ciò può accadere a causa di patologie che danneggiano il cuore o lo rendono meno efficiente, come la cardiopatia ischemica, l'ipertensione non controllata, le cardiomiopatie o le lesioni alle valvole cardiache. I sintomi dello scompenso cardiaco cronico si evolvono gradualmente e includono dispnea (difficoltà di respirazione) inizialmente durante l'esercizio fisico e poi anche a riposo, ortopnea (difficoltà respiratoria quando si è sdraiati in posizione supina), e edemi (gonfiori) soprattutto nelle parti più basse del corpo a causa della forza di gravità che agisce sul sangue e sui fluidi che tendono ad accumularsi nelle aree declivi. Il turgore delle giugulari indica un aumento della pressione nelle vene del collo, segno di un peggioramento dello scompenso e di sovraccarico di liquidi. Questa condizione è strettamente collegata all'inefficienza del cuore che lavora sotto stress per lunghi periodi, portando ad un aumento delle pressioni nel sistema venoso polmonare e sistematico, il che provoca sintomi come la dispnea. Altre complicanze includono l'insufficienza renale e il deterioramento delle condizioni generali della persona. È importante notare come la comprensione e l'identificazione precoce dei sintomi possano aiutare nella diagnosi e nella gestione del paziente con scompenso cardiaco, permettendo interventi terapeutici mirati a ridurre la progressione della malattia e migliorare la qualità della vita del paziente. La gestione dello scompenso cardiaco comporta spesso una combinazione di modifiche allo stile di vita, farmacoterapia e, in alcuni casi, procedure chirurgiche o dispositivi impiantabili per assistere o ripristinare la funzione cardiaca.

17 di 21 Domande

La nefrosclerosi arteriolare ipertensiva è una malattia renale progressiva causata da:














La risposta corretta è la B
La nefrosclerosi arteriolare ipertensiva è una malattia renale progressiva causata da ipertensione arteriosa scarsamente controllata di vecchia data. Questa condizione si sviluppa quando l'ipertensione, non opportunamente gestita nel tempo, porta a danni significativi nelle arteriole renali. La pressione sanguigna elevata costante fa sì che le piccole arterie nei reni subiscano un ispessimento e una perdita di elasticità delle loro pareti. Questo processo altera il normale flusso sanguigno ai reni, compromettendo la loro funzione e portando alla sclerosi, ovvero un indurimento del tessuto renale. La nefrosclerosi arteriolare ipertensiva è associata al danno progressivo dei piccoli vasi sanguigni nei reni. L'ipertensione arteriosa prolungata e mal gestita esercita una pressione eccessiva sulle pareti delle arterie renalie, rendendole spesse, rigide e strette. Con il tempo, queste modifiche compromettono la capacità dei reni di filtrare e pulire il sangue efficacemente. La ridotta funzionalità renale può portare ad un accumulo di scorie metaboliche nell'organismo, influenzando negativamente altri sistemi corporei. Il danno ai vasi sanguigni viene aggravato da fattori quali il fumo, il diabete e l'iperlipidemia, che possono accelerare il processo di sclerosi renale. Inoltre, gli individui con una storia di ipertensione non controllata sono a rischio maggiorato per lo sviluppo di questa condizione, soprattutto se non aderiscono a un trattamento efficace per gestire la pressione sanguigna. Il progressivo deterioramento della funzione renale caratteristico della nefrosclerosi può culminare in insufficienza renale, una condizione grave che può richiedere il ricorso alla dialisi o al trapianto di rene. Per prevenire questo esito, è cruciale una gestione attenta della pressione sanguigna attraverso farmaci, modifiche dello stile di vita e un monitoraggio regolare da parte di un professionista sanitario. Segni e sintomi possono includere ipertensione, proteinuria e una progressiva perdita della funzione renale. La diagnosi è tipicamente basata su esami del sangue, urinalisi e talvolta tecniche di imaging o biopsie renali. La gestione clinica punta a controllare la pressione arteriosa e a mitigare ulteriori danni renali, evidenziando l'importanza di interventi tempestivi e di una gestione a lungo termine dell'ipertensione.

18 di 21 Domande

In quale condizione clinica possono essere presenti le macchie di Janeway palmari o plantari?














La risposta corretta è la E
Le macchie di Janeway palmari o plantari si presentano in condizioni associate all'endocardite batterica. L'endocardite batterica è un'infezione grave delle valvole del cuore che può portare a gravi complicazioni se non trattata. Questa malattia può manifestarsi dopo che i batteri dall'altra parte del corpo, come la bocca, entrano in circolo nel sangue e si attaccano alle valvole del cuore danneggiate, artificiale (protesi) o a un endocardio precedentemente sano. I soggetti con precedenti problemi cardiaci, utilizzatori di droghe per via intravenosa e coloro che hanno impiantato dispositivi cardiaci sono ad aumentato rischio di sviluppare questa condizione. Le macchie di Janeway sono lesioni cutanee emorragiche, indolori, di colore rosso-bruno, che si trovano sulle palme delle mani o sulle piante dei piedi e sono uno dei vari segni clinici che possono suggerire l'endocardite batterica. La presenza di queste macchie indica l'esistenza di emboli settici (coaguli di sangue infetti) che viaggiano dal cuore alle estremità del corpo, causando queste lesioni caratteristiche. L'endocardite batterica è caratterizzata dalla formazione di vegetazioni, che sono accumuli di batteri, cellule immunitarie e detriti cellulari, che si attaccano alle valvole cardiache o all'endocardio. Queste vegetazioni possono erodere le strutture cardiache o distaccarsi, formando emboli settici che possono viaggiare in altri organi, tra cui polmoni, reni, cervello e la pelle, causando in quest'ultima le vedove macchie di Janeway. La patologia può portare a complicazioni serie, come insufficienza cardiaca a causa del danneggiamento delle valvole cardiache, ictus da emboli che raggiungono il cervello, o danni ad altri organi per embolizzazione. Il trattamento richiede l'uso di antibiotici per un lungo periodo per eradicare completamente l'infezione batterica e, nei casi più gravi, può essere necessario un intervento chirurgico per riparare o sostituire le valvole cardiache danneggiate. La diagnosi tempestiva e il trattamento sono critici per ridurre il rischio di complicazioni fatali. Ricapitolando, le macchie di Janeway sono significative nell'ambito clinico poiché possono indicare la presenza di endocardite batterica, una condizione che richiede attenzione medica immediata per prevenire risultati potenzialmente letali. Questa manifestazione cutanea è solo uno degli aspetti dell'ampio spettro dei sintomi e dei segni clinici associati a questa infezione cardiaca, sottolineando l'importanza della valutazione medica completa in presenza di tali segni.

19 di 21 Domande

L'agente patogeno della difterite è:














La risposta corretta è la E
L'agente patogeno della difterite è il Bacillo Gram-positivo. La difterite è una malattia infettiva provocata da un batterio noto come Corynebacterium diphtheriae. La caratteristica distintiva di questo agente patogeno è che si tratta di un bacillo, ovvero di una forma batterica allungata, che si colora di blu-viola quando sottoposto alla colorazione di Gram, indicando che è un batterio Gram-positivo. Questo batterio produce una tossina che è responsabile dei gravi danni ai tessuti e degli effetti sistemici della malattia. Corynebacterium diphtheriae infetta tipicamente le mucose dell'orofaringe o, più raramente, la pelle, producendo un esudato denso che può formare una falsa membrana sul sito d’ infezione. Questa caratteristica pseudo-membrana è una delle manifestazioni cliniche chiave della difterite. Se non trattata adeguatamente, la tossina prodotta dal batterio può diffondersi attraverso la circolazione sanguigna ad altri organi, portando a complicazioni potenzialmente letali come miocardite e neuropatie. La trasmissione dell'agente patogeno avviene principalmente attraverso goccioline respiratorie espulse da individui infetti o portatori asintomatici. Meno frequentemente, può diffondersi attraverso il contatto con oggetti contaminati o le lesioni cutanee in caso di difterite cutanea. Uno degli aspetti critici nella prevenzione della difterite è la vaccinazione, che fornisce protezione sia ai singoli individui sia alla comunità attraverso l'immunità di gregge. I paesi con alta copertura vaccinale hanno significativamente ridotto l'incidenza della difterite. Il trattamento della difterite si basa sulla somministrazione di antitossina difterica per neutralizzare la tossina circolante e antibiotici come l'erytromicina o la penicillina per eradicare l'infezione batterica. È essenziale iniziare il trattamento precocemente per ridurre il rischio di complicazioni. La difterite rappresenta uno degli esempi storici del successo ottenuto dal controllo delle malattie infettive grazie alla vaccinazione. Tuttavia, la persistenza di focolai in diverse parti del mondo rimarca la necessità di mantenere elevate coperture vaccinali e di monitorare attentamente la presenza dell'agente patogeno per prevenire la sua diffusione.

20 di 21 Domande

Quale delle seguenti NON è una citochina pro-infiammatoria?














La risposta corretta è la C
La Ferritina NON è una citochina pro-infiammatoria. Le citochine pro-infiammatorie, come l'Interferone, l'Interleuchina 2, il Fattore di crescita granulocitario e il Fattore di necrosi tumorale alfa, svolgono un ruolo cruciale nel mediare e regolare le risposte infiammatorie del corpo. La ferritina, al contrario, è una proteina che svolge una funzione completamente diversa; essa serve principalmente come magazzino intracellulare per il ferro, un elemento cruciale per vari processi biologici. La ferritina si lega al ferro in modo molto efficiente, depositandolo in una forma utilizzabile e non tossica. Questo processo è fondamentale perché permette di mantenere l'equilibrio del ferro nell'organismo, prevenendo sia la carenza sia l'eccesso di questo elemento. Un eccesso di ferro libero, infatti, può generare radicali liberi e causare danni ossidativi alle cellule e ai tessuti, mentre una carenza può portare ad anemia e ridotta capacità di trasporto dell'ossigeno. Inoltre, la ferritina ha un ruolo nel sistema immunitario. Se da un lato non agisce come una citochina pro-infiammatoria, dall'altro è considerata un indicatore di processi infiammatori in corso. Livelli elevati di ferritina nel sangue possono indicare la presenza di infiammazione, ma anche di infezioni, malattie autoimmuni, e alcuni tipi di cancro. La misurazione dei livelli di ferritina può quindi essere utilizzata in ambito clinico per valutare lo stato di salute del ferro e come marcatori di infiammazione. Nel contesto delle patologie, la gestione dei livelli di ferritina assume particolare rilevanza in condizioni come l'ematocromatosi, dove c'è un accumulo eccessivo di ferro nell'organismo, e l'anemia da malattia cronica, dove il ferro si accumula all'interno delle cellule, rendendolo scarsamente disponibile per la produzione di nuovi globuli rossi nonostante le riserve totali siano adeguate o elevate. In sintesi, la ferritina si distingue per il suo ruolo fondamentale nella regolazione del ferro, essenziale per la salute delle cellule e del corpo nel suo insieme, nonché per la sua capacità di funzionare come un indicatore di sottostanti processi infiammatori, contrariamente alle funzioni svolte dalle citochine pro-infiammatorie che sono attivamente coinvolte nella mediazione delle risposte immunitarie e infiammatorie.

21 di 21 Domande

In un paziente affetto da fibrillazione atriale non valvolare in trattamento con apixaban, la formula di riferimento per stimare la funzionalità renale è data da:














La risposta corretta è la D
Nel caso di un paziente affetto da fibrillazione atriale non valvolare in trattamento con apixaban, la formula di riferimento per stimare la funzionalità renale è la Clearance della creatinina calcolata mediante la formula di Cockroft-Gault. Questo metodo di calcolo viene utilizzato per valutare la funzionalità renale per adeguare la dose di farmaci, come l'apixaban, i cui livelli ematici e l'efficacia possono essere influenzati dal grado di funzione renale del paziente. La formula di Cockroft-Gault stima la clearance della creatinina (CrCl) in millilitri al minuto e considera il peso del paziente, l'età , il sesso e i livelli di creatinina sierica. Tale valutazione è particolarmente rilevante per farmaci eliminati attraverso i reni. Una corretta stima della clearance della creatinina è fondamentale nella pratica clinica per adeguare le dosi di vari farmaci, incluso l'apixaban che è utilizzato per prevenire gli eventi tromboembolici in pazienti con fibrillazione atriale. L'apixaban è metabolizzato attraverso vari meccanismi, inclusa l'escrezione renale. Di conseguenza, una ridotta funzionalità renale può portare ad un aumento dei livelli sierici di apixaban, aumentando il rischio di sanguinamenti. Viceversa, una funzionalità renale sovrastimata potrebbe portare a dosi non efficaci del farmaco, con un conseguente rischio di trombosi. La clearance della creatinina, per come calcolata dalla formula di Cockroft-Gault, riflette la capacità dei reni di eliminare la creatinina dal sangue e, per estensione, altre sostanze. È importante sottolineare che questa stima si basa sull'assunto che i livelli di creatinina sierica siano stabili, presumendo quindi una funzione renale costante nel tempo. La formula per il calcolo della clearance della creatinina attraverso il metodo Cockroft-Gault prende in considerazione i fattori che influenzano la funzione renale, come l'età , che è inversamente proporzionale alla clearance della creatinina, indicando come la funzionalità renale tenda a diminuire con l'invecchiamento. Anche il sesso e il peso corporeo sono importanti, poiché gli uomini tendono ad avere una maggiore massa muscolare rispetto alle donne, il che si riflette in una produzione più elevata di creatinina e la necessità di aggiustamenti nel calcolo della clearance della creatinina. In sintesi, la valutazione accurata della funzione renale tramite la formula di Cockroft-Gault è essenziale nella gestione farmacologica di pazienti con fibrillazione atriale trattati con apixaban, fornendo una guida per l'aggiustamento della dose in modo da minimizzare il rischio di effetti avversi, come sanguinamento o trombosi, garantendo al tempo stesso l'efficacia del trattamento.

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