La patologia coronarica è spesso denominata CAD (coronary artery disease), l’acronimo infatti definisce il processo patologico che si realizza con l’accrescersi delle placche aterosclerotiche nelle coronarie sia in maniera ostruttiva che non ostruttiva. Tale patologia deve ricevere trattamento preventivo o terapeutico per impedire il più possibile il realizzarsi di condizioni acute, le quali possono insorgere in qualsiasi momento nei periodi stabili più o meno lunghi della patologia per via delle complicazioni della placca (erosione/rottura).
Il disturbo è cronico, ma molto spesso progressivo, e, per via della dinamicità del quadro (dalla sindrome coronarica acuta a quella cronica), bisogna prestarvi attenzione anche nei periodi silenti.
Il termine per definire questi quadri, appunto “cronici”, caratterizzati da una cronica riduzione del flusso di sangue in una zona cardiaca con conseguente ischemia cronica, è dal 2019 “sindrome coronarica cronica” (SCC), che corrisponde e sostituisce i precedenti termini di angina stabile e cardiopatia ischemica cronica, poiché riesce a definire meglio la dinamicità della condiziome.
I quadri clinici della sindrome coronarica cronica sono:
Pazienti con CAD sospetta e sintomi anginosi stabili e/o dispnea.
Pazienti con scompenso cardiaco/disfunzione ventricolare sx di nuova insorgenza e sospetta CAD
Pazienti asintomatici and sintomatici con sintomi stabili da meno di un anno dopo sindrome coronarica acuta, o pazienti con recente vascolarizzazione
Pazienti asintomici e sintomatici da più di un anno con diagnosi iniziale o rivascolarizzazione
Pazienti con angina e sospetto vasospasmo e sindrome del microcircolo
Pazienti asintomatici in cui è stata scoperta una CAD nello screening
Qualunque di questi scenari può essere complicato dall’insorgere di una sindrome coronarica acuta, il cui rischio aumenta come conseguenza di un insufficiente controllo dei fattori di rischio (stile di vita sbagliato, terapia medica non ottimale o non seguita, rivascolarizzazione incompleta).
Fisiopatologia
L’angina stabile è quella che caratterizza la sindrome coronarica cronica, riferendosi al dolore toracico o al disagio causato da un insufficiente apporto di sangue al muscolo cardiaco che è tipicamente prevedibile e provocato dallo sforzo e alleviato con il riposo.
Poiché la richiesta di ossigeno del miocardio è direttamente correlata alla frequenza cardiaca e alla pressione arteriosa sistolica, l’attività fisica aumenta la richiesta di ossigeno del miocardio.
Se il flusso sanguigno dell’arteria coronaria è ridotto a causa della stenosi dell’arteria coronaria, non è possibile soddisfare la maggiore richiesta di ossigeno del miocardio e si verifica l’angina dovuta all’ischemia.
Per i sintomi vedere “GESTIONE: VALUTAZIONE DI BASE E DEL RISCHIO DEL PAZIENTE”
GESTIONE: VALUTAZIONE DI BASE E DEL RISCHIO DEL PAZIENTE
Per quanto riguarda la gestione del paziente con SCC:
1.Valutare sintomi e segni per identificare e/o escludere i pazienti con angina instabile o altre forme di sindrome coronarica acuta.
Nel caso ci siano i segni di queste ultime, bisogna valutare e trattarle come tali, e non come sindromi coronariche croniche.
E’ essenziale una raccolta attenta della storia clinica, che potrebbe bastare anche senza esame obiettivo ed ulteriori test. Inoltre è importante anche escludere diagnosi alternative e valutare la severità delle patologie/a sottostanti.
La storia dovrebbe includere alcune manifestazioni cardiovascolari e fattori di rischio (storia familiare, dislipidemia, diabete, ipertensione, fumo, ecc..).
Valutare bene i segni di ischemia miocardica (angina pectoris) e le sue caratteristiche, suddivisibili in 4 categorie: localizzazione, caratteristiche, durata e relazione con l’esercizio ed altri fattori scatenanti sospetti.
Per la variabilità della presentazione del dolore, è maggiormente giusto chiedere al paziente se sente un “fastidio” o un “senso di oppressione”. Infatti i sintomi dell’angina sono vari ed includono sensazioni di spremitura, pressione, pesantezza, senso di oppressione o dolore al petto, che possono essere accompagnati da radiazioni al collo, alla schiena, alla metà addome (epigastralgia), alla gola o alle braccia (tipicamente il braccio sinistro).
Altri segni presenti, anche da soli ed in assenza di dolore, possono essere dispnea, astenia, nausea o senso di morte imminente.
L’angina è definita tipica, quando incontra le 3 seguenti caratteristiche:
fastidio costrittivo al torace o al collo, spalle o braccio;
peggiora con l’esercizio/sforzo fisico;
regredisce col riposo o l’uso dei nitrati entro 5 minuti.
L’angina è definita atipica, quando ha 2 o solo uno delle seguenti carattistiche.
La durata dei sintomi è di solito breve, cioè meno di 10 minuti, se invece dura meno di secondi è difficile che sia un dolore da CAD.
I sintomi si riesacerbano con il ridursi della temperatura, lo sforzo fisico e dopo un’abbuffata o una passeggiata al mattino. L’angina può paradossalmente essere ridotta con ulteriore esercizio (walk-through angina) o un secondo sforzo (warm-up angina).
I sintomi sono con più alta probabilità di tipo ischemici, quando i nitrati subliguali riescono ad alleviarli rapidamente.
La soglia di angina ed i sintomi possono variare giorno per giorno, e durante lo stesso giorno.
Il grado di severità dell’angina è stadiato secondo la Società Cardiovascolare Canadese in:
grado I –> angina solo con sforzo intenso (o anche dopo sforzo rapido o prolungato, es. camminare o salire le scale);
grado II–> angina con sforzo moderato, cioè limitazione delle attività ordinarie quando si attuano rapidamente, dopo i pasti, col freddo, dopo stress emotivo o dopo poche ore dal risveglio, ma anche una semplice passeggiata in salita, aver salito un paio di scale e così via;
grado III–> angina dopo esercizio leggero con difficoltà ad effettuare pochi passi o salire un solo scalino;
Grado IV–> a riposo, in assenza di esercizio che agisca da trigger.
E’ importante valutare se ci siano ipertensione arteriosa, anemia, valvulopatie, cardiomiopatia ipertrofica o aritmie, nefropatia, tireopatie o diabete.
Inoltre bisogna considerare il BMI e valutare i polsi periferici, così come l’auscultazione femorale e carotidea, per il sospetto e la valutazione di una malattia vascolare anche asintomatica (da valutare anche l’indice caviglia-braccio).
L’angina instabile può presentarsi sia come angina a riposo che occorre per lungo tempo (> 20 minuti); sia come angina di nuova insorgenza o di recente peggioramento da moderato a severo (2 mesi); sia come angina crescente con progressivo aumento di severità ed intensità, oltre che per una soglia minore. In tutti questi casi si tratta come una sindrome coronarica acuta. Nonostante l’angina a nuova insorgenza sia considerata instabile, nel caso accorra per la prima volta dopo sforzo eccessivo e passi a riposo rapidamente il sospetto è forte per una CCS. Nei pazienti con angina instabile a basso rischio (angina non ricorrente, senza segni di scompenso o anomalie del tracciato, e soprattutto senza aumento delle troponine) è importante applicare gli accorgimenti della sindrome coronarica cronica, dopo che sia passato il periodo di instabilità. In questi pazienti è raccomandata una strategia non invasiva prima.
Quindi i criteri per angina instabile e stabile possono spesso sovrapporsi.
Una cosa importante nella valutazione del paziente è la distinzione tra sintomi da stenosi e quelli da vasospasmo o interessamento del microcircolo. Per escludere una CAD ostruttiva è spesso necessario un test di provocazione per ischemia e la valutazione dell’anatomia coronarica.
2.Valutazione delle comorbidità e altre cause dei sintomi.
Prima di qualsiasi test, è importante valutare la salute del paziente a 360 gradi e le sue comorbidità. E’ importante valutare i fattori di rischio presenti e la loro modifica, basata sullo SCORE (Systematic COronary Risk Evaluation).
Lo SCORE considera ipertensione arteriosa sistemica e valori di colesterolo sierico totale, inoltre è differente tra fumatori e non fumatori, e tra uomini e donne. Le tabelle inoltre variano a seconda del rischio cardiovascolare del paese in considerazione (l’Italia è considerata un paese a basso rischio cardiovascolare).
Nel caso la possibilità rivascolarizzazione sia poco probabile, bisogna evitare altri test e considerare la minima terapia efficacie, provando un farmaco con effetto anti-anginoso, anche se la diagnosi di CAD non c’è stata.
I test di imaging non invasivi per la ricerca di ischemia sono utili se c’è bisogno di verificare la diagnosi.
Se il dolore non è anginoso, bisogna indagare le altre possibili cause.
3.Valutazione della funzione del ventricolo sx e degli esami di base:
Le valutazioni di I livello che si effettuano nel paziente con sospetta CAD sono in genere misure che si possono attuare sul territorio.
Esami ematochimici di routine
Utili per identificare possibili cause di ischemia e valutare i fattori di rischio cardiovascolari associati, oltre che determinare la prognosi. Valutare la presenza di anemia, tireopatia, diabete (glicemia a digiuno ed emoglobina glicata) e dislipidemie (valutare un profilo lipidico completo, anche per considerare una giusta terapia e considerare il profilo di rischio).
E’ importante la valutazione di patologia arteriosa periferica e dell’insufficienza renale, le quali aumentano la probabilità di una CAD e la prognosi peggiore. Quindi bisogna considerare gli esami atti a valutare la EGFR (velocità di filtrazione glomerulare. Inoltre è da non dimenticare l’iperuricemia, che è una frequente comorbidità e può influenzare negativamente la funzione renale.
Nel caso di sospetto di una CAD instabile, bisogna considerare i marker di danno miocardico, come troponina T o troponina I, usando preferibilmente saggi ad alta sensibilità.
Nei pazienti con angina stabile molto spesso i livelli di troponine sono molto bassi. Invece nell’instabilità è importante ripetere la misurazione. Molti marker possono avere un ruolo nella prognosi, più che nella diagnosi di CAD ostruttiva.
ECG a riposo e/o monitoraggio ECG ambulatoriale
Esame fondamentale volto a valutare le anomalie della ripolarizzazione e il sottoslivellamento del tratto ST.
Ci sono due scenari da considerare:
paziente senza sintomi di angina o disturbi (più frequente e spesso con ECG normale);
paziente che sta avendo sintomi anginosi.
Bisogna stare attenti anche ai segni di un precedente infarto, per es. onde Q, o anomalie della conduzione come blocchi di branca sx e alterata conduzione atrioventricolare.
La Fibrillazione atriale è frequente come reperto occasionale in pazienti con dolore toracico.
Bisogna inoltre considerare che il sottoslivellamento del tratto ST non è indicativo di ischemia in pazienti con tachiaritmie sopraventricolari.
L’ECG Holter nelle 24 h ed il monitoraggio ECG ambulatoriale non possono sostituire il test da sforzo.
Infatti un monitoraggio ECGgrafico può rilevare una ischemia silente, ma raramente offre informazioni aggiuntive riguardo diagnosi e prognosi.
Le variazioni dell’ECG indicanti ischemia nel monitoraggio ambulatoriale sono molto frequenti in donne, ma non necessariamente correlano con alterazioni al test da sforzo.
Il rilevamento precoce dell’ischemia silent, inoltre, non ha dimostrato influenzare nettamente la prognosi.
Ecocardiografia e/o RMN a riposo
Importanti per la valutazione della contrattilità e dell’anatomia cardiaca.
La funzione sistolica è spesso preservata nei pazienti con CCS, ma, nel caso non lo sia o ci siano anomalie regionali, bisogna considerare che ci sia un danno ischemico (amenoché non fosse già presente in precedenza).
L’osservazione delle anomalie della cinesi segmentaria può essere effettuata visivamente,
L’osservazione di un precoce allungamento sistolico, un ridotto accorciamento sistolico, o post-sistolico può essere visualizzato con la tecnica “strain”, la quale può quindi aiutare in pazienti con funzione sistolica del ventricolo sx apparentemente normale.
La riduzione della funzione ventricolare sinistra è stata riportata come un precoce segno di ischemia e può essere anche indicativa di disfunzione microvascolare. Inoltre è essenziale per la stratificazione del rischio dei pazienti.
Attenzione!!! Ci sono cardiomiopatie e valvulopatie che possono mimare l’angina ischemica, purtroppo però non è detto che queste situazioni non possano coesistere con una CAD ostruttiva.
L’uso del contrasto ecocardiografico può essere utile per i pazienti con una finestra non ottimale.
La RMN cardiaca può essere considerata nei pazienti con sospetta CAD quando l’ecocardiogramma con contrasto non è conclusivo.
Una valutazione ecografica carotidea è importante per i pazienti con sindrome coronarica cronica, in cui patologia aterosclerotica non è conosciuta (IIa).
Radiografia del torace
Usata frequentemente nei pazienti con dolore toracico. Non offre nelle sindromi coronariche croniche informazioni sulla stratificazione del rischio, anche se può essere utile nei pazienti con scompenso.
Importantissima per escludere patologie polmonari o valutarle meglio se già presenti per l’ipotesi di eventuali relazioni con un’angina atipica.
4.Valutazione della probabilità clinica della CAD ostruttiva
La capacità dei test disponibili di diagnosticare la CAD ostruttiva (per esempio la probabilità che il paziente abbia davvero la patologia se il test non è normale, o la probabilità che il paziente non abbia la patologia se il test è normale) dipende dalla prevalenza della patologia e la probabilità che un dato paziente possa averla.
Il test diagnostico non invasivo è più utile quando la probabilità è intermedia.
Nel caso infatti la probabilità sia alta, un paziente dev’essere studiato in modo tale da escludere i pochi pazienti che non hanno la patologia (il test negativo può raramente escludere la patologia visto il valore predittivo negativo).
Quando invece la probabilità per il test è bassa, un test negativo può escludere la patologia.
Più è bassa la probabilità, più è alta la possibilità di test falsi positivi, e viceversa. Non a caso nei pazienti con le probabilità estreme è razionale astenersi dai test diagnostici, e considerare in base alla probabilità che possano o non possano avere una CAD ostruttiva, solo sull’evidenza clinico-anamnestica.
Si può considerare, in base alla popolazione studiata, un modello esemplificativo per valutare una certa probabilità pre-test (PTP) di CAD ostruttiva basata su età, sesso e la natura dei sintomi. Questo nuovo modello aiuta a impedire la sovrastima del PTP (come avveniva in precedenza) e quindi un eccessivo uso di test diagnostici invasivi e non.
Le tabelle, anche precedentemente, si sono basate su pazienti da paesi a basso rischio cardiovascolare e potrebbero variare tra le varie regioni e paesi.
Quando il PTP è >15%, è più utile effettuare un test non invasivo.
Le nuove tabelle rendono più complesso arrivare sopra il 15% con un minor ricorso ai test.
Secondo i dati dello studio PROMISE (Prospective Multicenter Imaging Study for Evaluation of Chest Pain), il 50% dei pazienti precedentemente classificati come rischio intermedio sono stati riclassificati con un PTP<15%. Inoltre altri studi hanno dimostrato che molti pazienti con una nuova probabilità pre-test ridotta a sotto il 15% avevano una buona prognosi a 1 anno (tasso di eventi cardiovascolari solo sotto l’1%). Alcuni studi recenti hanno dimostrato che quando eseguivano un test una percentuale sotto il 5% era interessata da una vera CAD ostruttiva.
Comunque la preferenza del paziente, le risorse locali, la disponibilità dei test, il giudizio clinico e l’informazione al paziente rimangono importanti per effettuare una decisione clinica ed effettuare il test quando il PTP è nel 5-15% e c’è un’alta percentuale di FP. Se PTP ≤5%, la probabilità è così bassa che non si dovrebbe effettuare affatto test.
Alcuni modelli clinici che includevano anche fattori di rischio cardiovascolari (storia familiare di CAD, dislipidemia, diabete, ipertensione, fumo, ecc..), ECG a riposo o calcificazioni coronariche hanno dato una miglior identificazione delle CAD ostruttive. In particolare l’assenza di Calcio coronarico (Agatston score = 0) è associato con una bassa prevalenza di CAD ostruttiva (<5%), e basso rischio di infarto mortale e non (<1% rischio annuale).
Bisogna però considerare che la presenza di Calcio coronarico non esclude che la stenosi sia causata da lesione aterosclerotica non calcifica.
Nonostante l’ottimo uso di questi fattori nel migliorare la PTP non è stato confermato, bisogna considerare la loro presenza da addizionare agli altri, soprattutto quando il PTP è tra il 5-15%.
Immagine 01. Tabella con le probabilità pre-test di avere una coronaropatia ostruttiva in pazienti sintomatici in base ad età, sesso e tipologia di sintomi.
Immagine 02. Elementi aggiuntivi alla tabella precedente per valutare la probabilità di CAD ostruttiva pre-test.
5.Selezione dei test diagnostici giusti per pazienti selezionati per valutazione della CAD.
Nel caso la rivascolarizzazione sia inutile o controindicata, è inutile procedere con altri test, ma piuttosto limitarsi alla terapia medica. Nel caso la diagnosi di CAD è incerta, può essere utile il ricorso ai test diagnostici di provocazione per valutazione dell’ischemia.
Per poter vascolarizzare o meno il paziente c’è bisogno sia di informazioni sull’anatomia che sull’ischemia.
Ognuno dei test non invasivi ha un particolare range di probabilità clinica di CAD ostruttiva dove l’utilità della sua applicazione d’uso è massimale.
Data una probabilità clinica di CAD e il rapporto di verosimiglianza di un determinato test, si può valutare la probabilità post-test di CAD ostruttiva dopo aver effettuato un test. Attraverso questo approccio, si possono stimare i range ottimali di probabilità clinica per ogni test, laddove possono riclassificare i pazienti da intermedio a basso o alto rischio.
A seconda della probabilità del paziente di avere una CAD, abbiamo:
Paziente a rischio elevato
Sintomi non responsivi a terapia/ angina tipica a basso livello di sforzo/ valutazione cardiologica con evidenzia di alto rischio ed indicazione a procedura angiografica coronarica invasiva senza altri test precedenti.
Infatti è importante indagare con test quando la CAD non può essere esclusa dalla valutazione clinico-anamnestica da sola (paziente non a rischio elevato).
Paziente a rischio intermedio
E’ quello che in genere necessita di esami diagnostici non invasivi, per lo più di provocazione,per valutare la presenza o meno di ischemia.
I test non invasivi valutano la diagnosi di CAD ostruttiva, valutando l’ischemia attraverso variazioni all’ECG, anomalie della cinesi di parete con esami di imaging da stress, o variazioni della perfusione con un CT ad emissione di singolo fotone (SPECT), tomografia ad emissione di positroni (PET), ecocardiografia e RMN con contrasto.
L’ischemia può essere provocata da stressor fisici e farmacologici, anche dall’aumentata richiesta di ossigeno, o dalla variabilità della perfusione miocardica per la vasodilatazione.
I test non invasivi hanno un’alta sensibilità nella valutazione della limitazione del flusso sanguigno coronarico. Infatti piccole placche aterosclerotiche difficilmente saranno collegate a positività di tali test, e nel caso tali test siano negativi si daranno semplici raccomandazioni al paziente.
Una menzione va fatta per l’ECG da sforzo, il quale è stato il precursore dei test di valutazione funzionale. Esso ha perso piede nella valutazione del paziente con sospetta CAD in quanto non è diagnostico quanto gli altri test di imaging. Per tutte queste considerazioni la diagnostica per immagini è preferibile come primo approccio nel paziente che deve essere indagato per CAD ostruttiva.
L’ECG di sforzo può essere un’alternativa quando non sono disponibile nel centro altri test di imaging da provocazione (classe di evidenza IIB), considerando però la possibilità di falsi positivi e falsi negativi.
Non ha valore diagnostico quando ci sono anomalie ECGgrafiche di base che non permettono una corretta interpretazione delle anomalie del tratto ST (es. BBsx, ritmo stimolato da pacemaker, Wolff Parkinson White (WPW), depressione del tratto ST> 0.1 mV, trattamento con digitale).
L’ECG da sforzo può essere considerato in pazienti selezionati per una valutazione complementare a quella clinica per verificare se ci sono variazioni nei sintomi, alterazioni del tratto ST, tolleranza all’esercizio fisico, aritmie, risposta pressoria arteriosa ed altri eventi rischiosi.
I test funzionali non invasivi per ischemia hanno un gran potere di includere pazienti. E’ importante la valutazione funzionale nei pazienti che devono andare incontro a strategie rivascolarizzative, quindi dovrebbero essere eseguiti in pazienti al limite del range della probabilità alta o nel paziente in cui la CAD già è stata diagnosticata precedentemente.
Quando è sospettata una CAD, ma che non c’è una PTP maggiore del 5%, è più probabile che siano presenti altre cause di dolore toracico da escludere eventualmente, oltre che correggere i fattori di rischio cardiovascolari presenti. L’angina vasospastica dev’essere sospettata nei pazienti con attacchi ripetuti e non provocati a riposo.
Paziente a rischio basso
In questo tipo di pazienti è preferita la coro-TC, quando non c’è nessuna precedente diagnosi di CAD e c’è probabilità di ottenere delle buone immagini.
La coro-TC rileva aterosclerosi coronarica subclinica, ma può escludere accuratamente sia una CAD anatomica e funzionale. La sua accuratezza è molto più alta in popolazioni con basse probabilità.
La coro-TC effettua una valutazione accurata anatomica non invasiva tramite l’iniezione del contrasto nel lume arterioso con visualizzazione accurata di stenosi ostruttive.
Bisogna però considerare che le stenosi tra il 50-90% che si possono ritrovare alla coro-TC non necessariamente sono davvero significative, quindi non necessariamente inducono ischemia. Infatti non a caso spesso servono ulteriori test invasivi e non per valutare le stenosi ritrovate, amenoché non ci sia una stenosi delle arterie epicardiche maggiore del 90%.
Sono in fase di studio nuove tecnologie che possano combinare la valutazione anatomica della coro-TC con una valutazione funzionale delle stenosi ritrovate. In alcuni studi nei pazienti con CAD diffusa infatti la coro-CT insieme a FFR si è dimostrata simile alla coronarografia con FFR per decidere gli obiettivi della rivascolarizzazione.
La selezione del test non invasivo deve tenere conto anche del parere degli esperti e della disponibilità dei test, oltre al fatto che alcuni test potrebbero funzionare meglio in alcuni pazienti piuttosto che in altri (per es. estese calcificazioni coronariche e/o un ritmo irregolare potrebbero di molto peggiorare la qualità delle immagini di una coro-Tc).
L’associazione del test di esercizio dinamico può essere utile nella SPECT e nell’ecocardiografia da sforzo per avere informazioni sulla capacità da sforzo, tolleranza all’esercizio o risposta cronotropa allo sforzo.
Per fini diagnostici la coronarografia è necessaria solo nei pazienti con sospetta CAD in caso di test non invasivi inconclusivi o, eccezionalmente, nei pazienti con particolari professioni per impegni regolari. Inoltre può essere indicata se la valutazione non invasiva suggerisce un alto rischio di eventi. In pazienti con alta probabilità clinica di CAD e sintomi non responsivi a terapia medica, o angina tipica a bassa soglia, e con un alto rischio di eventi alla valutazione iniziale senza una precedente stratificazione del rischio non invasiva à utile identificare lesioni potenzialmente suscettibili di rivascolarizzazione.
Nelle stenosi intermedie, 50-90%, dovrebbero essere effettuati test funzionali invasivi nella coronarografia o in caso di malattia multivasale, dato il frequente mismatch tra la severità angiografica ed emodinamica delle stenosi coronariche.
L’integrazione col FFR ha permesso il cambiamento delle strategie nel 30-50% dei pazienti che si sono sottoposti all’angiografia.
Immagine 03.Range di probabilità dei test di includere o escludere la CAD.
6.Determinazione del rischio di eventi del paziente dopo la diagnosi di CAD ostruttiva.
Importante per la determinazione delle terapie appropriate.
Infatti la stratificazione del rischio è importante per valutare se la rivascolarizzazione riesce ad avere un beneficio futuro rispetto al mero miglioramento dei sintomi.
Questa stratificazione è da attuarsi con una valutazione per la CAD, con la valutazione della funzione del ventricolo sx, e nella maggior parte dei casi con una valutazione sia dell’ischemia che dell’anatomia coronarica in maniera non invasiva.
N.B. l’ECG da sforzo non ha molta validità, però se incorre una depressione dell’ST a basso sforzo combinato con l’insorgenza di nuovi sintomi, bassa capacità di esercizio, ectopie ventricolari o aritmie e alterata risposta pressoria sono indici di un forte rischio di morte cardiovascolare.
La coronarografia per la stratificazione del rischio è consigliata solo per pazienti selezionati.
Un alto rischio di eventi è definito come il rischio di mortalità annuale> 3% all’anno (basso se la mortalità è sotto l’1%).
Definizione di evento ad alto rischio per differenti modalità di test nei pazienti con sindrome coronarica cronica
ECG da sforzo
Mortalità cardiovascolare >3% per anno secondo la Duke Treadmill Score
SPECT or PET perfusion imaging
Area di ischemia ≥10% del miocardio ventricolare sx
Eco-stress
≥3 dei 16 segmenti con ipocinesia o acinesia indotta da stress
RMN cardiaca
≥2 dei 16 segmenti con difetti di perfusione allo stress o ≥3 segementi disfunzionanti dopo l’uso di dobutamina
Coro-TC o coronarografia
Patologia di 3 vasi con stenosi prossimali. Patologia del tronco comune o della discendente anteriore prossimale.
Test funzionali invasivi
FFR ≤0.8, iwFR ≤0.89
Il livello di rischio è differente dalla valutazione del rischio basata sullo SCORE in individui asintomatici senza diabete che sono apparentemente sani. SCORE infatti definisce la mortalità a 10 anni nei pazienti asintomatici.
Trattamento
Stile di vita
E’ importante comunicare e dare informazioni al paziente riguardo tutto ciò che riguarda la gestione ottimale delle proprie abitudini e stile di vita, le quali possono migliorare sintomi, prognosi e rischio di eventi cardiovascolari del paziente. I benefici sono evidenti nei primi 6 mesi.
Le misure comportamentali in grado di influenzare positivamente il rischio cardiovascolare del paziente sono:
Interruzione del fumo di sigaretta
Evitare sia fumo attivo che passivo.
Smettere di fumare sia attraverso farmaci ( sostituzione con nicotina, bupropione e vareniclina che non aumentano il rischio cardiovascolare, anzi talvolta lo riducono) che senza.
Questa semplice attenzione può ridurre del 36% la possibilità di morte.
Le sigarette elettroniche non hanno ancora dimostrato danni specifici, ma si pensa che possano essere pericolose per l’aspirazione di carbonili e particolato aspirato (anche se il loro uso dà una maggior intervallo libero da sigarette rispetto alla sostituzione con analoghi della nicotina).
Dieta salutare
Dieta ricca in vegetali, frutta e cereali integrali.
Limitare i grassi saturi sotto il 10% e l’alcool sotto i 100 g a settimana o a 15 g al giorno.
Attività fisica
30 − 60 min di attività fisica di intensità moderata la maggior parte dei giorni della settimana (> 5 giorni a settimana) con un aumento delle attività quotidiane dello stile di vita (es. giardinaggio, camminare per andare a lavoro, ecc..).
L’esercizio migliora l’angina attraverso un miglior trasporto di O2 al miocardio ed una maggior capacità di esercizio.
Ogni aumento di 1 ml/kg/min nel picco di consumo di O2 riduce del 14-17% il rischio cardiovascolare.
Gli esercizi di resistenza mantengono la massa, la forza e la funzione muscolare e, con l’attività aereobica offre benefici riguardo la sensibilità all’insulina, il controllo della pressione e dei lipidi.
Controllo del peso
Arrivare a raggiungere e mantenere un BMI <25 kg/m2, o ridurre il peso attraverso un adeguato introito calorico e attività fisica, riducendo la mortalità cardiaca e totale ad 1 anno.
L’obesità è associata ad una minor durata della vita, ma allo stesso tempo il sovrappeso predispone ad un rischio cardiovascolare in un’età minore.
La circonferenza addominale è fortemente associata con diabete e rischio cardiovascolare
obesità centrale è valutata attraverso la misurazione della circonferenza addominale: ≤94 cm per uomini (<90 cm per asiatici) and ≤80 cm per donne.
Riabilitazione cardiaca
Quando basata sull’esercizio ha in maniera consistente dimostrato la sua efficacia nel ridurre il rischio cardiovascolare.
Vaccino per l’influenza
Da eseguire annualmente, potendo prevenire l’MI acuto in pazienti con CCS, cambiare la prognosi dello scompenso, e ridurre la mortalità in pazienti sopra i 65 anni.
Altro
L’attività sessuale è a basso rischio per i pazienti stabili non sintomici con grado di attività basso-moderata. In generale l’attività sessuale con un partner stabile e senza stress è un fattore protettivo. Infatti, nonostante ci sia un aumento transitorio del rischio di MI, il rischio di eventi durante attività sessuale è sotto l’1%. L’energia spesa durante l’attività sessuale è lieve-moderata e confrontata a salire due rampe di scale come equivalente energetico.
Nei pazienti con CCS c’è spesso disfunzione sessuale e un’alta prevalenza di disfunzione erettile e ridotta libido. Il tutto può essere dovuto sia a fattori vascolari, farmaci (tiazidici e beta-bloccanti, eccetto nebivololo).
E’ sicuro l’uso di inibitori di fosfodiesterasi 5, amenoché il paziente non assuma nitrati.
Naturalmente è essenziale nei pazienti diabetici e non il controllo dei valori glicemici e di colesterolo.
Terapia farmacologica
La terapia farmacologica è utile nel ridurre i sintomi dell’angina e l’ischemia indotta dall’esercizio, e prevenire gli eventi cardiovascolari.
Il trattamento per la sindrome coronarica cronica per raggiungere questi obiettivi consta di varie opzioni terapeutiche:
Farmaci anti-ischemici
Utili per controllare i sintomi ed allo stesso tempo prevenire gli eventi associati alla sindrome coronarica, da scegliere in modo tale da avere un numero minore di effetti collaterali e massima aderenza alla terapia.
Non c’è un ordine assoluto di scelta, ma è tutto cucito (“tailored”) sul paziente e le sue caratteristiche e preferenze.
Iniziare con 1-2 farmaci antianginosi + farmaci per prevenzione secondaria della CAD. Rimane non chiaro se la combinazione di due antianginosi al posto di uno solo rappresentino sicuramente un vantaggio maggiore.
I beta-bloccanti ed i Calcio antagonisti sono di prima scelta. Poi ci sono i nitrati a lunga durata d’azione, ranolazina, trimetazidina, e ivabradina; mentre per quanto riguarda il nicorandil non c’è un sicuro e comprovato beneficio. La risposta e quindi l’efficacia della terapia anti-anginosa dev’essere valutata dopo 2-4 settimane.
Farmaci disponibili:
1. Nitrati
Short-acting per affrontare l’angina acuta da sforzo.
Le formulazioni sublinguali e spray (spray + rapido) di nitroglicerina offrono un immediato sollievo dall’ angina da sforzo ( ACCF / AHA Classe I, Livello B)
All’inizio dei sintomi, il paziente dovrebbe riposare in una posizione seduta (dato che lo stare in piedi provoca la sincope, mentre lo stare sdraiati aumenta il ritorno venoso ed il precarico), in seguito assumere nitroglicerina ( compressa sublinguale di 0.3–0.6 mg e non inghiottita, o 0.4 mg spray sulla lingua) ogni 5 minuti finché il dolore non scompare, o un max di 1.2 mg nei 15 min (appunto massimo 3 dosi).
Se ciò non funziona in questo lasso di tempo, serve seria attenzione medica.
La nitroglicerina può essere somministrata anche come profilassi prima dell’ attività fisica.
Isosorbide dinitrato (5 mg sublinguali) ha insorgenza dell’effetto + lenta per la conversione epatica a mononitrato. L’effetto dell’ isosorbide dinitrato è ≤1 h se il farmaco è assunto per via sublinguale o persiste per più ore se assunto oralmente.
Long-acting per profilassi di angina
Le formulazioni long-acting (e.g. nitroglicerina, isosorbide dinitrato, and isosorbide mononitrato) dovrebbero essere considerate come terapia di seconda linea per il sollievo dell’angina quando la terapia iniziale con un beta-bloccante o un Calcio antagonista non-diidropiridinico (non-DHP) è controindicata, poco tollerata o insufficiente a controllare i sintomi.
Il problema dei nitrati long-acting è che provocano tolleranza con perdita di efficacia nel lungo periodo, in tali situazioni sono necessari intervalli senza nitrati o con basse dosi per ∼10–14 h.
Le formulazioni possono essere orale o transdermica o a lento rilascio con vari sistemi di patch.
Biodisponibilità dell’ isosorbide dinitrato dipende dalla variabilità interindividuale della conversione epatica e , non a caso, ha biodisponibilità generalmente + bassa rispetto alla mononitrata (suo attivo metabolita).
La titolazione della dose è sempre essenziale per aver il massimo controllo dei sintomi alla dose tollerabile.
L’interruzione della terapia dovrebbe essere a step e non improvvisa, in modo tale da evitare l’effetto rebound di aumento di angina.
Gli eventi avversi + comuni sono: ipotensione, mal di testa, e vampate di calore.
Contraindicazioni: CMI, Stenosi Aortica severa, e co-amministrazione di inibitori della fosfodiesterasi(e.g. sildenafil, tadalafil, or vardenafil) o riociguat
.Farmaci usati nella CCS che potrebbero ridurre la tolleranza ai nitrati includono atorvastatina, carvedilolo, idralazina, ACE inibitori, vitamina C e acido folico.
Sono raccomandati come terapia iniziale per alleviare i sintomi in pazienti con cardiopatia ischemica stabile ( ACCF / AHA Classe I, Livello B )
La dose dovrebbe essere corretta fino al raggiungimento di 55–60 bpm a riposo, mentre l’interruzione non dovrebbe essere improvvisa.
I beta-bloccanti riducono la tachicardia riflessa dei calcio-antagonisti non diidropiridonici e dei nitrati.
Attenzione all’utilizzo combinato con verapamil o diltiazem per il peggioramento dello scompenso cardiaco, eccessiva bradicardia, e/o blocco atrioventricolare. Attenzione anche a stanchezza, broncospasmo, vasocostrizione periferica, ipotensione posturale, impotenza, ed al mascheramento dei sintomi di ipoglicemia.
C’è un’altissima riduzione della mortalità nei pazienti con recente MI e quelli con scompenso cronico a ridotta FE, ma tale beneficio è meno chiaro nei pazienti con CAD senza questi due elementi nella loro storia. In uno studio retrospettivo dall’analisi dei pazienti del REACH (REduction of Atherothrombosis for Continued Health) non era dimostrata la riduzione della mortalità cardiovascolare con beta-bloccanti nei pazienti con CAD e fattori di rischio solamente. In altri studi si è visto che in pazienti con o senza precedente infarto del miocardio sottopostisi a CABG, i beta-bloccanti erano associati ad un minor rischio di mortalità a lungo termine ed eventi cardiovascolari avversi.
3. Calcio-antagonisti
Migliorano i sintomi e l’ischemia in sé, ma non hanno dimostrato la riduzione delle morbilità e mortalità nei pazienti con sindrome coronarica cronica. Inoltre hanno più eventi avversi rispetto ai beta-bloccanti.
In alcuni pazienti ci può essere l’associazione con i beta-bloccanti con stretto monitoraggio dei pazienti (non deve essere usata in caso di disfunzione ventricolare sistolica).
In genere si usano calcio-antagonisti e nitrati a lunga durata d’azione per alleviare i sintomi, se i beta-bloccanti sono controindicati o causano eventi avversi non sostenibili ( ACCF / AHA Classe I, Livello B ).
Nitrati e Ca antagonisti possono essere aggiunti ai beta-bloccanti quando questi da soli non hanno successo ( ACCF / AHA Classe I, Livello B ).
Considerare il calcio-antagonista non diidropiridinico a lunga durata d’azione (verapamil o diltiazem) invece del beta-bloccante come terapia iniziale per alleviare i sintomi ( ACCF / AHA Classe IIa, Livello B ).
Il calcio-antagonista è in genere preferito al nitrato a lunga durata d’azione.
Essi si suddividono in:
Non diidropiridinici:
Verapamil ha una gran varietà di indicazioni, tra cui tutte le varietà di angina, tachicardie sopraventricolari, ed ipertensione. L’attività anti-anginosa è simile a quella del metoprololo.
Diltiazem ha un basso profilo di eventi avversi con vantaggi maggiori rispetto al verapamil. Così come il verapamil, agisce con vasodilazione periferica, riduzione della costrizione coronarica post-esercizio , modesto effetto negativo inotropo, ed riduzione dell’attività del nodo del seno. Non ci sono studi che mettono a confronto i due farmaci.
Didropiridinici:
Nifedipina a lunga durata d’azione è un potente vasodilatore arteriolare con pochi eventi avversi, testato in pazienti con angina ipertensiva, in associazione con beta-blocco. Non ha mostrato però effetto sul migliorare la sopravvivenza da eventi cardiovascolari quando aggiunto alla restante terapia anti-ischemica. Contraindicazioni alla nifedipina sono: cardiomiopatia ipertrofica, Stenosi Aortica severa o scompenso cardiaco.
Amlodipina. Lunga emivita e buona tollerabilità lo rendono un efficace antianginoso ed anti-ipertensivo. Tra gli eventi avversi: l’edema pre-tibiale. Il suo uso si è dimostrato ridurre le ospedalizzazioni e ridurre soprattutto l’angina da sforzo molto meglio del solo atenololo
4. Ivabradina
E’ stata valutata essere non inferiore ad atenololo ed amlodipina nei pazienti con angina e sindrome coronarica cronica, non a caso ivabradina 7.5 mg b.i.d. [bis in die] aggiunto ad atenololo dà un miglior controllo dei sintomi anginosi.In numerosi studi l’ivrabradina non è sembrata migliorare l’outcome di sopravvivenza dei pazienti.
L’ivabradina è un farmaco di seconda linea nei pazienti con sindrome coronarica cronica
5. Nicorandil
Nicorandil è un derivato nitrato della nicotinamide, con effetto antianginoso simile a quello dei nitrati o beta-bloccanti. Tra gli eventi avversi ci sono: nausea, vomito, ed ulcerazioni orali ed intestinali. intestinali.
Nel trial placebo-controllato IONA (Impact Of Nicorandil in Angina) (n = 5126), nicorandil riduceva significativamente il composito di morte coronarica, MI non-fatale, o ospedalizzazione, ma senza effetto sulla mortalità ischemica.
Questi resultati supportano l’uso del nicorandil come farmaco di seconda linea nella CCS.
6. Ranolazina
E’ un inibitore selettivo delle correnti di ingresso tardive del sodio.
Bisogna prenderla in considerazione al posto dei beta bloccanti se gli effetti avversi inaccettabili, o se c’è la mancanza di effetto o la loro controindicazione ( ACCF / AHA Classe IIa, Livello B) , oppure l’uso in combinazione con i beta bloccanti quando il trattamento iniziale con i beta bloccanti non ha successo ( ACCF / AHA Classe IIa, Livello B)
Eventi avversi includono vertigini, nausea, e constipazione. Inoltre aumenta il QTc, e per tale motivo bisogna stare attenti alla valutazione del QTc di base e alle interazioni con gli altri farmaci con eventi avversi simili.
Il farmaco non si è dimostrato ridurre la mortalità, ma riduce l’ischemia ed il peggioramento dell’angina e della sua ricorrenza.
Il suo uso è da seconda linea nei pazienti con CCS ed angina refrattaria nonostante l’uso di altri antianginosi come beta-bloccanti, Calcio antagonisti e/o nitrati a lunga durata d’azione.
C’è però mancanza di evidenza per quanto riguarda il suo utilizzo in pazienti con CCS, successiva a PCI con incompleta rivascolarizzazione.
7.Trimetazidina
Ha un buon profilo di sicurezza.
Inibisce la beta-ossidazione degli acidi grassi bloccando la 3-chetoacil-CoA-tiolasi a catena lunga e aumentando l’ossidazione del glucosio. In una cellula ischemica, l’energia ottenuta durante l’ossidazione del glucosio richiede un minor consumo di ossigeno rispetto al processo di beta-ossidazione, ottimizzando così i processi energetici cellulari durante l’ischemia. Conservando il metabolismo energetico in cellule esposte all’ipossia o all’ischemia, la trimetazidina previene una diminuzione dei livelli intracellulari di ATP, garantendo in tal modo il corretto funzionamento delle pompe ioniche e del flusso di sodio-Potassio transmembrana mantenendo l’omeostasi cellulare.
Trimetazidina (35 mg b.i.d.) insieme al beta-blocco (atenololo) migliorava ischaemia da sforzo in vari studi.
E’ controindicata però nel morbo di Parkinson e nei disturbi del movimento (anche la sindrome della gambe senza riposo). In una metanalisi del 2014 il trattamento con trimetazidina insieme al resto della terapia antianginosa era associa con un numero minore di attacchi anginosi, minor uso settimanale di nitroglicerina, maggior tempo con depressione del tratto ST a 1 mm, + lungo tempo di esercizio.
8. Altri farmaci testati, ma con prove + limitate:
Allopurinolo
Nel 2010, uno studio crossover randomizzato su 65 pazienti con CAD mostrava che 600 mg/die aumentava il tempo per la depressione del tratto ST e per il sopraggiungimento di angina .Un grosso studio osservazionale vide come l’allopurinolo si associava ad una riduzione dell’infarto del miocardio in pazienti anziani, soprattutto se usato da più di due anni.
Il ruolo certo dell’allopurinolo nella riduzione del rischio cardiovascolare rimane non chiaro.
Atorvastatina
può ridurre la frequenza dell’angina e dell’uso di nitroglicerina ma può essere meno efficace dell’amlodipina.
Supplementazione di magnesio
Raccomandazioni della Società Europea di Cardiologia (ESC) sui farmaci per alleviare l’angina / ischemia per i pazienti con malattia coronarica stabile (CAD)
nitrati a breve durata d’azione consigliati ( ESC Classe I, Livello B )
beta-bloccanti e / o calcio-antagonisti raccomandati come terapia di prima linea per controllare la frequenza cardiaca e i sintomi ( ESC Classe I, Livello A )
le terapie di seconda linea (in base alla frequenza cardiaca, alla pressione sanguigna e alla tolleranza) includono l’aggiunta di 1 di
nitrati ad azione prolungata ( ESC Classe IIa, Livello B )
ivabradina ( ESC Classe IIa, Livello B )
nicorandil ( ESC Class IIa, Level B ) (non disponibile negli Stati Uniti dal 5 gennaio 2017)
ranolazina ( ESC Classe IIa, Livello B ) (non disponibile negli Stati Uniti dal 5 gennaio 2017)
trimetazidina ( ESC Classe IIb, Livello B )
le terapie di seconda linea possono essere utilizzate come trattamento di prima linea in pazienti selezionati ( ESC Classe I, Livello C )
in pazienti asintomatici con ampie aree di ischemia (> 10%), considerare i beta-bloccanti ( ESC Classe IIa, Livello C )
nei pazienti con angina vasospastica, considerare i calcio-antagonisti ei nitrati ed evitare i beta-bloccanti ( ESC Classe IIa, Livello B )
Si può cercare anche di seguire una strategia in base alle caratteristiche ed alle risposte del paziente.
Pazienti con bassa pressione hanno bisogno di iniziare farmaci antianginosi a basse dosi (BB e CA NDP). In seconda linea invece trimetazidina, ranolazina ed ivabradina (in pazienti con ritmo sinusale).
Pazienti con bassa frequenza. L’aumento della frequenza cardiaca è correlata all’aumento degli eventi cardiovascolari, ma nei pazienti con bradicardia i farmaci bradicardizzanti (BB, ivabradina, e CA NDP) dovrebbero essere evitati o utilizzati con cautela.
Immagine 04. Trattamento per la sindrome coronarica cronica.
Farmaci per la prevenzione del rischio cardiovascolare
1.Antiaggreganti
L’attivazione piastrinica e l’aggregazione sono alla base della trombosi coronarica, per tale motivo l’utilizzo di questi farmaci nei pazienti con CCS può prevenire gli eventi ischemici. La DAPT (doppia antiaggregazione) è alla base della terapia nel post-infarto e/o PCI. Tra i farmaci utilizzati ricordiamo:
ASA a basse dosi, supportata dalle evidenze nella prevenzione degli eventi ischemici nei pazienti con CAD con o senza storia di infarto del miocardio.
Inibitori orali del P2Y12 sono altri importanti farmaci antiaggreganti, in particolare il clopidogrel ed il prasugrel sono profarmaci che vanno a bloccare irreversibilmente il P2Y12 grazie ad i metaboliti attivi. Il ticagrelor invece è un inibitore reversibile che non richiede ulteriore attivazione metabolica.
Il trial CAPRIE (Clopidogrel vs. Aspirin in Patients at Risk of Ischaemic Events) mostrava un beneficio del clopidogrel rispetto all’aspirina con un buon profilo di sicurezza , nel prevenire gli eventi cardiovascolari nei pazienti con precedente infarto, stroke o PAD (patologia arteriosa periferica). L’analisi per sottogruppi suggeriva un maggior beneficio del clopidogrel nei pazienti con PAD, ed in questi si mostrava ancora più efficacie rispetto anche al ticagrelor.
Il clopidogrel è limitato dalla variabilità dell’efficacia per la variabilità del grado di conversione verso il suo metabolita attivo, soprattutto in caso delle varianti ipofunzionanti del gene CYP2C19.
I farmaci che inibiscono il CYP2C19, come l’ omeprazolo, possono ridurre la risposta al clopidogrel.
Il prasugrel ha un effetto antipiastrinico maggiore, più rapido e più prevedibile, senza possibilità di interazione con altri farmaci o con condizioni genetiche.
Il prasugrel ha una maggiore efficacia rispetto al clopidogrel nei pazienti con sindrome coronarica acuta trattati con aspirina, sottoposti a PCI, ma non in pazienti con sindrome coronarica acuta trattati solo medicalmente.
C’è un rischio di sanguinamento di questo farmaco molto maggiore, portando ad un apparente divieto in quei pazienti con storia di stroke ischemico, ed una mancanza apparente di beneficio nei pazienti >75 anni o con <60 kg.
Il ticagrelor ha il più prevedibile e alto livello di inibizione del P2Y12 durante la terapia di mantenimento, ed ha insorgenza ed interruzione dell’effetto più rapida (rispetto al clopidogrel).
Il ticagrelor in monoterapia sembra avere simile efficacia e sicurezza rispetto all’aspirina in monoterapia in pazienti con precedente PCI.
Ticagrelor, con una dose di carico di 180 mg seguiti da 90 mg b.i.d., permette una grossa riduzione degli eventi ischemici rispetto al clopidogrel nei pazienti già trattati con aspirina, indipendentemente dalla strategia riperfusiva.
La riduzione degli eventi avviene anche a dosaggi di 60 mg bid. L’efficacia e le sicurezze simili delle due dosi di ticagrelor erano spiegate dai livelli simili di antiaggregazione nello studio PEGASUS-TIMI.
Il ticagrelor può causare dispnea, transitoria e moderatamente tollerabile, ma occasionalmente necessita di conversione ad un’altra tienopiridina.
Ticagrelor è metabolizzato via CYP3A.
Dopo una PCI per angina stabile, 6 mesi di DAPT sono un ottimo compromesso di efficacia e sicurezza nella maggior parte dei pazienti. Un’interruzione prematura della terapia può essere associata a trombosi di stent, comunque un più breve periodo può essere considerato nei pazienti con sanguinamenti a rischio di sopravvivenza in vista della possibilità di una trombosi di stent molto bassa dopo 1–3 mesi.
In caso di sindrome coronarica acuta è raccomandata di default per 12 mesi con la considerazione di una più bassa durata nei pazienti ad alto rischio emorragico.
Uno studio sullo DAPT in pazienti che si devono sottoporre a PCI mostrava che la terapia oltre i 12 mesi con clopidogrel o prasugrel riduceva gli eventi ischemici e le trombosi di stent, ma senza benefici sulla mortalità con aumento dei sanguinamenti.
Il PEGASUS-TIMI 54 trial dimonstrava che la terapia a lungo termine con ticagrelor 60 mg o 90 mg b.i.d., cominciata in pazienti stabili da oltre 1 anno post-infarto, riduceva nei 36 mesi successivi gli eventi ischemici a discapito di sanguinamenti non fatali.In particolare la dose da 60 mg è di solito meglio tollerata con una uguale efficacia di quella di 90 mg, soprattutto in pazienti post-MI ad alto rischio, diabete, PAD, or multivasale CAD.
2.Anticoagulanti in ritmo sinusale
Gli anticoagulanti inibiscono l’azione e la formazione della trombina con conseguente riduzione degli eventi trombotici arteriosi.
La DAPT si è sempre dimostrata migliore, rispetto ad aspirina + anticoagulante, nel prevenire la trombosi di stent.
Il Rivaroxaban è stato però studiato nell’ambito della cardiopatia ischemica cronica.
In particolare è un inibitore del fattore Xa, studiato a basse dosi di 2.5 mg b.i.d. (1/4 della dose usata per l’anticoagulazione) in molte popolazioni in ritmo sinusale nel trial COMPASS.
In questo trial il rivaroxaban in combinazione con aspirina si era dimostrato rispetto alla sola semplice aspirina essere più efficace per ridurre il composito di MI, stroke, o morte cardiovascolare. Grosse riduzioni del rischio assoluto si sono avute in pazienti ad alto rischio con diabete, PAD, o insufficienza renale moderata (CKD), così come nei fumatori.
3. Anticoagulanti nella fibrillazione atriale
Gli anticoagulanti nei pazienti con FA hanno dimostrato superiorità rispetto all’ aspirina in monoterapia o della DAPT con clopidogrel per la prevenzione dello stroke.
Un NOAC è sempre preferito al Warfarin (VKA).
Per la gestione peri-procedurale è raccomandata che l’interruzione dei VKA sia evitata, se fattibile, laddove invece l’uso dei NOAC è interrotto per 12–48 h prima di una PCI elettiva, a seconda del regime terapeutico e della funzione renale.
L’accesso arterioso radiale è preferito con utilizzo di eparina non frazionale intraprocedurale a dosi standard (70–100 U/kg) o, in quelli con VKA non interrotto, a basse dosi di 30–50 U/kg.
Il pre-trattamento con aspirina 75–100 mg al giorno è raccomandato, ed il clopidogrel (300–600 mg di dose di carico se non in terapia cronica) al posto di prasugrel o ticagrelor.
I pazienti trattati con VKA, riceventi la terapia con aspirina e clopidogrel post-PCI, dovrebbero avere come target INR 2.0–2.5, per almeno il 70% del tempo.
L’utilizzo di antiaggreganti ed anticoagulanti in triplice terapia aumenta di molto il rischio di sanguinamenti, pertanto si è fissata ad una settimana il tempo minimo prima della sua interruzione e quando il rischio trombotico prevale sul rischio emorragico si richiede più di un mese.
La monoterapia anticoagulante orale è generalmente raccomandata 6-12 mesi dopo la PCI in pazienti con FA, dato che c’è mancanza di dati che supportano la duplice (anticoagulante e singolo antiaggregante) per lungo termine, anche se in pazienti selezionati con elevato rischio ischemico la duplice può essere considerata.
4. Inibitori di pompa protonica
Sono importanti per ridurre il rischio gastrointestinale di sanguinamenti in pazienti trattati con antiaggreganti.
Il loro uso dopo lungo tempo è associato con ipomagnesemia.
Gli inibitori di pompa che inibiscono il CYP2C19, particolarmente omeprazolo and esomeprazolo, possono ridurre la la risposta al clopidogrel.
Chirurgia ed uso di antiaggreganti
L’aspirina dovrebbe essere continuata normalmente nei pazienti con sindrome coronarica cronica che si devono sottoporre ad interventi di cardiochirurgia elettiva, e tutti gli altri antiaggreganti stoppati (prasugrel stoppato a più di 7 giorni prima; clopidogrel a più di 5 giorni prima; ticagrelor a più di 3 giorni prima; mentre rivaroxaban, apixaban, edoxaban, e dabigatran 1–2 giorni prima a seconda della dose e della funzione renale).
Ricarico di aspirina dopo bypass può migliorare la pervietà del graft.
Il ruolo della DAPT o della duplice terapia con aspirina e rivaroxaban dopo CABG è incerta, anche se i RCT hanno suggerito che la pervietà del graft è maggiore nei casi con DAPT rispetto alla semplice monoterapia con aspirina.
Tutte le chirurgie, anche le non cardiache, sono associate con un aumentato rischio di infarto. Dopo la PCI è raccomandato posporre la chirurgia elettiva fino a quando il corso della DAPT è stato completato, di solito dopo 6 mesi dalla PCI (anche se un team multidisciplinare con un cardiologo interventista può decidere a 3–6 mesi).
In molti tipi di chirurgia, l’aspirina dovrebbe essere continuata perché il beneficio supera il rischio di sanguinamento, ma questo può essere non appropriato nelle procedure con rischio di sanguinamento estremamente alto (procedure intracraniche, prostatectomia transuretrale, procedure intraoculari, etc.).
In tali casi è utile il bridge programmato con piccole molecole (es. Tirofiban).
Alto rischio per eventi ischemici–>CAD multivasale con almeno due delle seguenti:
storia di emorragia intracerebrale o stroke ischemico;
storia di patologia intracranica;
recente sanguinamento gastrointestinale;
anemia dovuta a sanguinamento;
patologia gastrointestinale associata al rischio di sanguinamento;
insufficienza epatica;
diatesi emorragica o caogulapatia;
età molto avanzato o fragilità;
insufficienza renale necessitante di dialisi o con eGFR <15 mL/min/1.73 m2.
Statine ed altri ipolipidemizzanti
I pazienti con CAD certa sono considerati ad altissimo rischio e quindi dovrebbe essere considerato l’uso delle statine, indipendentemente dalle LDL.
L’obiettivo è abbassare le LDL <1.3 mmol/L (<50 mg/dL) o almeno ridurre del 50% se il livello base è di 1.8–3.5 mmol/L (70–135 mg/dL).
Se questo livello non può essere raggiunto, si aggiunge l’ezetimibe.
Trials dal 2015 hanno dimostrato che gli inibitori della proproteina convertasi subtilisina-kexina tipo 9 (PCSK9) (evolocumabe alirocumab) sono molto efficaci nel ridurre LDL, anche al di sotto di 1.3 mmol/L (50 mg/dL). Nei trial emergenti questi agenti hanno dimostrato la riduzione degli eventi cardiovascolari ed ischemici.
L’aferesi delle lipoproteine a bassa densità e le nuove terapie con mipomersen e lomitapide hanno bisogno di ulteriori ricerche.
Per i pazienti che si devono sottoporre alla PCI, alte dosi di atorvastatina si sono state dimostrate utili nel ridurre la frequenza degli eventi peri-procedurali, sia in pazienti con terapia statinica cronica sia naive.
Bloccanti del sistema renina-angiotensina-aldosterone
ACE inibitori possono ridurre mortalità, MI, stroke, e HF nei pazienti con disfunzione ventricolare sx,precedente patologia vascolare, e diabetici ad alto rischio.
E’ raccomandato il loro uso nei pazienti con CCS con coesistente ipertensione, LVEF ≤40%, diabete, o IRC, finché controindicato (e.s. severa disfunzione renale, iperkalaemia, etc.).
Però non tutti i trial hanno dimostrato che gli ACE inibitori riducano la mortalità da tutte le cause e cardiovascolare.
La neprilisina è un enzima endogeno che degrada peptidi vasoattivi come la bradikinina ed i peptidi natriuretici. La sua inibizione aumenta il livello di questi peptidi con aumento della natriuresi, diuresi, rilassamento miocardico e rimodellamento negativo miocardico, riducendo anche la secrezione di angiotensina ed aldosterone.
Il sacubitril/valsartan, farmaco di combinazione che comprende tale inibitore, è raccomandato al posto dell’Ace inibitore o sartano per ridurre ulteriormente il rischio di ospedalizzazione e morte nei pazienti con scompenso cardiaco.
Gli antialdosteronici (MRA), come spironolattone o eplerenone, sono raccomandati nei pazienti post-MI, che stanno già ricevendo dosi terapeutiche di ACE inibitori e beta-bloccanti, con una LVEF ≤35%, ed anche diabete o segni di scompenso.
Attenzione quando gli MRAs sono usati in pazienti con disfunzione renale [eGFR <45 mL/min/1.73 m2] ed in quelli con Potassio sierico ≥5.0 mmol/L.
TRATTAMENTO INVASIVO
Rivascolarizzazione
Nei pazienti con CCS, la terapia medica ottimale è alla base della riduzione dei sintomi, della progressione dell’aterosclerosi e della prevenzione degli aventi aterotrombotici.
La rivascolarizzazione miocardica gioca un ruolo fondamentale nella gestione dei pazienti con CCS in aggiunta alla terapia medica ottimale (sempre un’aggiunta a questa), quando i pazienti continuano ad essere sintomatici e/o quando può migliorare la prognosi.
L’angina infatti è associata a scarsa qualità di vita, ridotta tolleranza allo sforzo, depressione e ricorrenti ospedalizzazioni. Quindi la sua eliminazione, soprattutto quando insopportabile, è un motivo valido per ulteriori trattamenti.
La rivascolarizzazione con PCI o CABG può effettivamente ridurre l’angina e l’uso di farmaci antianginosi.
Numerose meta-analisi confrontanti una strategia di PCI con iniziale terapia medica tra i pazienti con CCS non hanno trovato beneficio o uno modesto in termini di sopravvivenza o di MI per quanto riguarda una strategia invasiva.
Infatti la PCI:
riduce il rischio di rivascolarizzazione aggiuntiva e angina ma non riduce la mortalità o la morbilità nei pazienti con malattia coronarica stabile;
si associa ad un maggior sollievo dall’angina rispetto alla sola terapia medica;
Non è però dimostrata aumentare la capacità di esercizio a 6 settimane.
CABG e PCI possono avere una riduzione simile dei tassi di angina a 1 anno nei pazienti con malattia multivaso sintomatica ma CABG ha tassi più bassi di angina alla dimissione ospedaliera e un rischio più elevato di infarto correlato alla procedura.
E’ ragionevole scegliere CABG rispetto a PCI per migliorare i sintomi nei pazienti con CAD con interessamento di almeno 3 vasi (ad esempio, punteggio SINTAX> 22), con o senza coinvolgimento dell’arteria discendente anteriore sinistra prossimale (LAD) che sono buoni candidati per CABG ( ACCF / AHA Classe IIa, Livello B ).
I dati del FAME2 e di altre metanalisi hanno supportato delle indicazioni alla rivascolarizzazione meno ristrette nei pazienti con CCS:
specifica anatomia [e.s. interessamento della discendente anteriore] o la presenza di una stenosi coronarica significativa (>70%);
ischemia estesa (>10%), quando la PCI è limitata a stenosi angiograficamente significative, causanti un significativo aumento del gradiente pressorio intracoronarico.
Nei pazienti con precedente CABG:
PCI per migliorare i sintomi nei pazienti con precedente CABG, stenosi coronarica significativa (≥ 70% di diametro) associata a ischemia e angina inaccettabile nonostante la terapia medica diretta( ACCF / AHA Classe IIa, Livello C );
un ulteriore CABG per migliorare i sintomi potrebbe essere ragionevole se ≥ 1 stenosi coronarica significativa (≥ 70% di diametro) non suscettibile di PCI e angina inaccettabile nonostante la terapia medica( ACCF / AHA Classe IIb, Livello C ).
Non eseguire CABG o PCI per migliorare i sintomi nei pazienti che non soddisfano i criteri anatomici (diametro diametro della stenosi principale > 70%) o fisiologici (come la riserva di flusso frazionario anormale) per la rivascolarizzazione ( classe ACCF / AHA III danno, livello C ).
Non eseguire PCI con stent coronarico se è improbabile che il paziente sia in grado di tollerare e rispettare la doppia terapia antipiastrinica per la durata appropriata del trattamento in base al tipo di stent impiantato ( ACCF / AHA Classe III Danno, Livello B ).
Nei pazienti con arteria mammaria interna sinistra (LIMA) pervia all’arteria discendente anteriore e ischemia nella distribuzione delle arterie coronarie circonflesse destra o sinistra, CABG per il trattamento dell’angina ragionevole se la terapia medica diretta e le stenosi coronariche non sono suscettibili di PCI ( ACCF / AHA Classe IIa, Livello B ).
Metodiche alternative
Rivascolarizzazione transmiocardica (TMR)
Considerare tale rivascolarizzazione per alleviare l’angina invalidante e reprattaria dal punto di vista medico se non vi sono altre alternative terapeutiche praticabili in pazienti con cardiopatia ischemica stabile (ACCF/AHA Classe IIb, Livello B).
Essendo una manovra cardiochirurgica, essa può aumentare la mortalità.
La rivascolarizzazione laser transmiocardica (TMR) eseguita in aggiunta al CABG per migliorare i sintomi può essere ragionevole in pazienti con miocardio ischemico vitale perfuso da arterie non suscettibili di innesto ( ACCF / AHA Classe IIb, Livello B )
La rivascolarizzazione laser transmiocardica è una procedura chirurgica, realizzata con una piccola incisione sul lato sinistro o al centro del torace. Spesso eseguito insieme a un intervento chirurgico di bypass coronarico.
Il muscolo cardiaco viene esposto. Un laser viene quindi posizionato sopra l’area del cuore da trattare e l’elevata energia migliora il flusso sanguigno.
La procedura può promuovere l’angiogenesi o la crescita di nuovi capillari che aiutano a fornire sangue al muscolo cardiaco.
Essa non è raccomandata secondo le ultime linee guida europee.
Stimolazione del midollo spinale
Considerare questo tipo di stimolazione per alleviare l’angina refrattaria alla terapia medica e alla rivascolarizzazione coronarica nei pazienti con cardiopatia ischemica stabile (ACCF/AHA Classe IIb, Livello C; ESC Classe IIb, Livello B).
Potrebbe migliorare la capacità di esercizio e la qualità della vita nei pazienti con angina refrattaria (livello 2 di evidenza).
Dispositivo di riduzione del seno coronarico (sinus reducer)
Migliora i sintomi negli adulti con angina refrattaria non candidabile per la rivascolarizzazione, aumentando la pressione intracoronarica (ESC Classe IIb, Livello B).
Contropulsazione esterna migliorata (EECP)
Allevia l’angina refrattaria nei pazienti con cardiopatia ischemica stabile (ACC/AHA/ESC Classe IIb, Livello B)
Pazienti con nuova insorgenza di scompenso cardiaco o ridotta funzione ventricolare sx
La CAD è la più comune causa di scompenso cardiaco in Europa.
Alla base vi è un danno miocardico e l ischemia, e la maggior parte dei pazienti con scompenso sintomatico hanno una frazione d’eiezione ridotta (<40%), nonostante possano anche avere una frazione d’eiezione preservata.
L’anamnesi dovrebbe includere:
sintomi suggestivi di scompenso cardiaco, tra cui intolleranza all’esercizio e dispnea da sforzo;
tutti gli eventi correlati ad una CAD, per es. infarto del miocardio e procedure di rivascolarizzazione;
tutte le maggiori comorbidità cardiovascolari che richiedono un trattamento (FA, ipertensione, o valvulopatie), e comorbidità non-cardiovascolare come la IRC, diabete, anemia, or cancro.
L’esame obiettivo dovrebbe valutare:
lo stato nutrizionale dei pazienti, l’età biologica e l’abilità cognitiva;
la Fc cardiaca, il ritmo, la pressione arteriosa sistemica da supini, soffi da Stenosi Aortica o da insufficienza mitralica, segni di congestione polmonare con rantoli basali o versamento pleurico, segni di congestione sistemica con edema, epatomegalia, ed elevata pressione venosa giugulare.
ECG di routine valuta frequenza e ritmo, nonché extrasistoli, segni di ischemia, onde Q patologiche segni di ipertrofia, anomalie di conduzione e blocchi di branca.
L’Imaging dovrebbe includere la valutazione della frazione di eiezione e valutarne una sua eventuale riduzione, oltre a valutare se la disfunzione sistolica è sinistra o dx, oltre a comprendere se è globale o focale; inoltre bisogna considerare se c’è ipertrofia, il volume delle camere, la funzione valvolare e se c’è evidenza di ipertensione polmonare.
La radiografia può solo valutare l’eventuale presenza di segni di congestione polmonare, edema interstiziale, infiltrazione, o versamento pleurico.
Se non è stato eseguito è importante valutare con una coronarografia o una coro TC l’eventuale presenza di una CAD.
E’ importante sempre valutare i peptidi natriuretici per escludere lo scompenso, oltre che la valutazione della funzione renale, degli elettroliti, dell’iponatremia, dell’iperkalemia (importanti per la valutazione terapeutica).
La rivascolarizzazione miocardica dovrebbe essere considerata in elezione in questi pazienti sulla base dei loro sintomi, dell’anatomia coronarica e del profilo di rischio.
Nei pazienti ischemici la riperfusione può migliorare la funzione ventricolare sx e quindi la prognosi
Pazienti con una diagnosi remota di CCS
Il decorso dei pazienti può essere benigno a lungo termine, anche se possono sviluppare una gran varietà di complicanze o sviluppare patologie/andare incontro a procedure che possono interagire con la patologia sottostante.
Pazienti con sintomi stabili <1 anno dopo una sindrome coronarica acuta o in pazienti con recente rivascolarizzazione
Dovrebbero essere monitorati più attentamente per il loro grosso rischio di complicanze e per la necessità di cambiamenti terapeutici.
Sono necessari almeno 2 visite l’anno il primo anno di follow-up.
In caso di disfunzione ventricolare sistolica sx prima della rivascolarizzazione e della sindrome coronarica acuta, bisognerebbe riconsiderare la funzione ventricolare sx a 8-12 settimane dopo la procedura. Il miglioramento può essere dovuto alla ripresa dallo stordimento miocardico o dall’ibernazione.
La funzione cardiaca però potrebbe talvolta peggiorare sulla base di ulteriori fattori di rischio cardiovascolari (patologia valvolare, infezione o infiammazione, aritmie, etc.), che per questo dovrebbero essere valutati e trattati adeguatamente.
Allo stesso modo, una valutazione non-invasiva dell’ischemia miocardica dovrebbe essere considerata dopo la rivascolarizzazione per escludere un’eventuale ischemia residua.
Pazienti dopo 1 anno dalla diagnosi o da rivascolarizzazione
Dovrebbero ricevere una valutazione annuale per lo stato clinico e la valutazione dell’aderenza terapeutica, così come il profilo di rischio.
E’ importante anche una valutazione laboratoristica, includente profilo lipidico, funzione renale, emocromo, e biomarcatori, ogni 2 anni.
E’ sempre importante un ECG annuale per valutare variazioni e segni di nuova ischemia
L’ecocardiogramma, tranne per fattori di rischio, dev’essere eseguito almeno ogni 3-5 anni, e nei casi di riduzione inspiegata della funzione sistolica, specialmente se regionale, è importante la valutazione dell’anatomia coronarica.
Nella valutazione non invasiva dell’ischemia silente è importante l’imaging da sforzo, preferibilmente ogni 3-5 anni.
La Coro-TAC non dovrebbe essere usata per il follow-up perché ha un’importante efficacia nella valutazione morfologica, ma manca di valutazione funzionale correlata all’ischemia (al massimo per la valutazione della pervietà dei graft coronarici).
Da considerare che l’aumento degli indici infiammatori, in particolar modo la PCR, sono stati associati ad un’aumentata frequenza di eventi in pazienti con o senza CAD. In più il fattore di von Willebrand, interleuchina-6, e NT-proBNP sono anch’essi buoni predittori prognostici.
Nei pazienti con più sintomi equivoci, l’imaging con sforzo è raccommandato (in caso non disponibilr, può essere usato un ECG da sforzo come alternativa).
Nel caso di evidenti segni di ischemia o alta probabilità, si passa alla coronarografia.
Immagine 05.Flow-chart per capire quando è cosigliabile effettuare la rivascolarizzazione
Angina senza ostruzione delle arterie coronariche epicardiche
Frequentemente c’è una discrepanza tra il riscontro anatomico coronarico e la presenza di sintomi.
In tali casi è importante un’attenta valutazione in quanto c’è un possibile forte rischio di eventi avversi.
Questo può essere possibile per vari motivi:
stenosi con media o moderata severità angiografica, o diffuso restringimento coronarico con sottostima alla coronarografia;
alterazioni del microcircolo che sfuggono all’angiografia;
stenosi dinamiche causate da vasospasmo o bridge intramiocardici, i quali non sono evidenti durante la TAC o l’angiografia. In questi casi è utile la misurazione della pressione intracoronarica.
La presenza di chiari sintomi anginosi e di test non invasivi postivi per ischemia in pazienti con vasi epicardici non ostrutiti sono forti indicatori di una causa ischemica non ostruttiva.
In tali casi la diagnosi è difficilmente effettuata, data la difficoltà di indagare le ostruzioni dinamiche ed il microcircolo.
Tuttavia un trial randomizzato del 2018 ha riportato come nelle CAD non ostruttive il trattamento cucito (“tailored”) su paziente guidato dai risultati dei test intracoronarici [la riserva di flusso coronarico (CFR), resistenza del microcircolo e test con acetilcolina] è stato in grado di ridurre i sintomi meglio rispetto alla terapia medica non guidata.
In genere è una condizione sospettata nei pazienti con sintomi anginosi a riposo e mantenuta tolleranza allo sforzo, spesso intercorrenti secondo un ritmo circadiano con più episodi di notte e nelle prime ore del mattino.
Questi pazienti sono frequentemente più giovani ed hanno meno fattori di rischio cardiovascolare, eccetto il fumo di sigaretta che è un fattore predisponente.
Il vasospasmo coronarico dovrebbe anche essere sospettato nei pazienti con stent coronarici pervi ed angina persistente.
All’ECG vi sono variazioni ischemiche del tratto ST-T transitorie durante l’attacco angino a riposo.
In particolare il sottotipo di Prinzmetal è accompagnato dal sopraslivellamnto transitorio del tratto ST.
Questi cambiamenti correlano con occlusione vasale prossimale e diffusa, oltre che restringimento subocclusivo distale delle coronarie epicardiche.
Difficile documentare questi cambiamenti, data la rapidità con cui si risolve l’attacco, pertanto il monitoraggio ECG di 12 ore almeno può essere utile, soprattutto se rileva il sopraslivellamento del tratto ST ad una FC base nella norma (ESC classe IIb, livello B).
Talora è richiesto un monitoraggio Holter per più di una settimana.
Nei pazienti con angina vasospastica sospetta e variazioni ECGgrafiche documentate, è spesso indicata la TC coronarica e/o l’angiografia per escludere stenosi coronariche fisse.
Il test provocativo durante la coronarografia per determinare e registrare il vasospasmo è la somministrazione di acetilcolina o ergonevina (ESC classe IIb, livello B).
La procedura è sicura per la possibilità di somministrazione di nitrati intracoronarici.
C’è la possibilità di sviluppare tachicardia ventricolare/ fibrillazione o bradiaritmie durante il test provocativo (3.2 and 2.7%, rispettivamente), simile a quella riportata durante lo spasmo coronarico (7%).
Attenzione all’ergonevina perché può causare il vasospasmo in più vasi!!!
Un test provocativo per vasospasmo coronarico può essere considerato positivo se porta a:
sintomi anginosi;
cambiamenti ECG ischemici;
severa vasocostrizione del vaso epicardico
In genere è difficile provocare tutte e tre le componenti.
Se c’è angina post-acetilcolina ma senza variazioni dell’ST o evidente vasospasmo all’angiografia, si parla di spasmo microvascolare (raggruppato quindi nel gruppo dell’angina microvascolare).
Per i disturbi vasomotori sono indicati i Calcio antagonisti (nifedipina capace di ridurre il vasospasmo in una coronaria stentata) e nitrati a lunga durata d’azione.
Screening nei soggetti asintomatici
In genere è raccomandato l’uso dello SCORE.
Nel caso ci sia familiarità per CAD precoce, utile lo screening per l’ipercolesterolemia familiare.
Il Coronary calcium score, ankle−brachial index, e l’eco TSA possono essere utili per valutare il rischio aterosclerotico in pazienti selezionati.
In genere non è raccomandato l’uso dei biomarker o dei test di imaging per CAD nella routine.
Amenoché non ci siano soggetti ad alto rischio di eventi,non è indicato nei soggetti asintomatici eseguire test di induzione per ischemia e nel caso di test positivo non ci sono ancora linee guida sul miglioramento della prognosi col trattamento.
I pazienti con cancro o malattie infiammatorie che vanno incontro a terapie specifiche meritano uno screening, un counselling ed un management molto più intensivo. Così come le persone che hanno un’occupazione che coinvolge pubblica sicurezza (piloti di aerei, autisti di autobus, ecc..), o che sono atleti d’alto profilo,in cui c’è la necessità di visite periodiche per la valutazione della capacità d’esercizio e soprattutto per la valutazione di una possibile patologia cardiaca. Quindi con soglia per valutazione a performare i test molto minore rispetto a quella di soggetti normali.
Circostanze specifiche
Comorbidità cardiovascolari:
L’ipertensione è il più comune dei fattori di rischio cardiovascolari ed è fortemente associato alla sindrome coronarica cronica.
In particolare la riduzione della pressione può abbassare fortemente questo rischio. Le metanalisi suggeriscono che per ogni 10 mmHg, la CAD può essere ridotta del 17%.
Nei pazienti con angina sono preferiti beta-bloccanti e calcio-antagonisti.
Per quanto riguarda valvulopatie, la coronarografia è indicata prima delle procedure di impianto di valvole per via chirurgica o anche per via percutanea per valutare se anche la rivascolarizzazione è richiesta.
Se il soggetto è a basso rischio per CAD, è richiesta una coro-TC, oltre che quando la coronarografia non può essere effettuata o ad alto rischio.
L’uso del test da stress per rilevare una CAD associata a severa valvulopatia sintomatica non è raccomandata per il basso valore diagnostico ed il rischio elevato. Al massimo si può effettuare uno stress test basato solo sui sintomi per smascherare sintomi nei pazienti asintomatici.
Nel cuore trapiantato ci può essere CAD immuno-mediata ed è ancora una causa significativa di morbidità and mortalità.
La coronarografia è indicata per valutazione della CAD nel trapianto, annualmente per 5 anni dopo il trapianto. Se non ci sono anomalie, la coronarografia può essere effettuata ogni 2 anni.
L’eco intravascolare può essere utile per la vasculopatia da allograft e valutazione della stabilità di placca.
La PCI nel cuore trapiantato è divenuta una terapia affermata.
Comorbidità non cardiovascolari:
Il cancro sta divenendo una problematica emergente, anche perché molti pazienti con questa patologia vanno incontro anche a CAD, come effetto colleterale della terapia (es. radioterapia al torace/mediastino, chemioterapia cardiotossica, o immunoterapie) o come riscontro in pazienti sempre più anziani.
Per il trattamento bisogna considerare l’aspettativa di vita e le comorbidità, come per es. thrombocitopenia, diatesi emorragica e coagulativa, e potenziali interazioni tra farmaci per CCS ed antineoplastici.
Nei pazienti con alta fragilità è indicata la rivascolarizzazione meno invasiva possibile.
Diabete mellito.
Aumenta di due volte il rischio di CAD e per questo è necessaria in questa popolazione controllare i fattori di rischio cardiovascolari.
La pressione arteriosa sistemica consigliata dovrebbe essere nei diabetici ≤130 mmHg, se tollerata, ma non <120 mmHg, ed una diastolica a <80 mmHg, ma non <70 mmHg.
Gli studi sui nuovi ipoglicemizzanti orali come gli inibitore del cotrasportatore 2 sodio-glucosio e gli analoghi del GLP1, hanno dimostrato di ridurre gli eventi cardiovascolari.
L’alta prevalenza di CAD e l’alto rischio di mortalità cardiovascolare in questa popolazione può suggerire l’utilità di un test di screening per CAD (con test di imaging funzionale o coro-Tc) in pazienti diabetici sintomatici, ma non ci sono dati dimostrati sul miglioramento dell’outcome, non a caso lo screening di imaging routinario non è raccomandato.
Insufficienza renale cronica colpisce molti pazienti che avranno un’altissima percentuale di CAD, oltre che viceversa soprattutto post-PCI.
C’è un aumento della mortalità cardiovascolare in maniera lineare con la riduzione del GFR.
In questa popolazione l’angina è molto meno comune, essendoci molti meno sintomatici.
Anzianità.
Sopra i 75 anni vi è una più elevata mortalità e morbidità per sindrome coronarica cronica, anche perché ci sono in questa fascia di età tutte le comorbidità maggiori che predispongono a CAD.
Questa popolazione è a volte molto trascurata e l’atipicità del manifestarsi dei sintomi può spesso ritardare ancora di più la decisione.
L’approccio invasivo standard è dato da PCI con approccio radiale ed uso di DES.
Sesso.
Le donne sono molto spesso sottorappresentate negli studi cardiovascolari.
Le differenze tra la presentazione dei sintomi, l’accuratezza dei test diagnostici per CAD, ed altri fattori che possono portare ad un triage differente rispetto agli uomini può contribuire ai peggiori aoutcome.
Le differenze di mortalità correlate nel sesso sono significative nelle donne più giovani (<60 anni), oltre al fatto che di solito le donne sono trattate meno aggressivamente rispetto agli uomini e spesso hanno sintomi più atipici.
L’accuratezza diagnostica dell’ECG da sforzo è molto più bassa nelle donne rispetto agli uomini, anche per una ridotta capacità funzionale che spesso impedisce alle donne di raggiungere un adeguato carico.
Una buona alternativa sarebbe l’ecostress.
Le donne hanno una sopravvivenza simile agli uomini post-PCI, ma una mortalità più elevata post- CABG.
La terapia ormonale sostitutiva in menopausa non riduce il rischio ischemico e per questo non è raccomandata a tale scopo né in prevenzione primaria che in secondaria.
Pazienti con angina refrattaria
Sono pazienti che hanno sintomi per almeno 3 mesi per un’ ischemia stabile reversibile in presenza di una CAD ostruttiva che non può essere controllata con la terapia antianginosa di II e III scelta, bypass, o stenting (inclusa PCI di un’occlusione totale cronica di una coronaria).
L’incidenza aumenta con CAD + avanzata, comorbidità multiple, ed invecchiamento della popolazione.
La qualità di vita di questi pazienti è sicuramente ridotta con frequenti ospedalizzazioni.
Nuove terapie hanno lo scopo di: promuovere la crescita di collaterali, ridistruzione di flusso sanguigno transmurale, e neuromodulazione del dolore (vedere “metodiche alternative” in “Trattamenti invasivi”)
Azioni supplementari
Valutare prontamente i pazienti con cardiopatia ischemica stabile che hanno una capacità funzionale decrescente o hanno sintomi in peggioramento.
Se un paziente con sindrome coronarica cronica sviluppa una sindrome coronarica acuta, bisogna trattarla secondo le linee guida di quest’ultima.
Nei pazienti trattati per IMA o angina instabile nei 6 mesi precedenti che sviluppano dolore toracico entro 30 giorni secondo le indicazioni della sindrome coronarica acuta.
Bisogna valutare nei pazienti con sindrome coronarica cronica almeno una volta l’anno:
adeguatezza ed aderenza della terapia medica ed i cambiamenti dello stile di vita raccomandati.
Bisogna inoltre valutare la frazione d’eiezione ventricolare sx e la cinesi segmentaria, soprattutto se ci sono nuovi sintomi o peggioramento dei pre-esistenti.
Effetuare uno screening periodico delle comorbidità (diabete, depressione, IRC).
Valutazione annuale con ECG a 12 derivazioni ed in seguito dilazionare nei pazienti con cintomi + stabili.