L’Acute Respiratory Distress Syndrome (ARDS) è un processo infiammatorio severo di entrambi i polmoni, caratterizzato da focolai multipli e disomogenei, tendenti alla confluenza, nel cui sviluppo un ruolo determinante è svolto da una risposta ipertrofica del sistema immunitario.
In risposta a patologie polmonari o extrapolmonari si determina una lesione flogistica anatomo-funzionale della membrana alveolo-capillare, caratterizzata da aumentata permeabilità capillare, cui consegue edema dell’interstizio e degli alveoli.
Quest’ultimo, ostacolando la normale dinamica degli scambi gassosi, è responsabile di una grave Insufficienza Respiratoria acuta, in assenza di insufficienza cardiaca sinistra. Il processo infiammatorio tende a evolvere verso la fibrosi polmonare.
L’ARDS è la forma più grave di danno polmonare acuto (acute lung injury, ALI). Al fine di stabilire un punteggio di gravità del danno polmonare che consenta, al contempo, la definizione di ARDS, la Consensus Conference Americana-Europea nel 1994 ha fissato i seguenti parametri (Tabella 01):
il rapporto PaO2/FiO2, indipendentemente dal livello di PEEP (Positive End-Expiratory Pressure). Si intende per PaO2 la pressione parziale di ossigeno nel sangue arterioso, per FiO2 la concentrazione di 02 nella miscela inspirata e per PEEP la pressione positiva di fine espirazione. L’impiego di una PEEP, contrariamente a quanto previsto dai parametri classificativi antecedenti al 1994 (score di Murray), non è tra i criteri considerati dalla Consensus Conference, così pure la modalità di ventilazione, in quanto tali parametri possono condizionare l’ossigenazione in modo poco prevedibile data l’ampia variabilità. In riferimento ai parametri fissati dalla Consensus Conference, si parla di ALI per valori di PaO2/FiO2 compresi tra 201 e 300 mmHg, mentre l’ARDS è definita da PaO2/FiO2 ≤ 200 mmHg;
il riscontro di opacità alveolo-interstiziali bilaterali diffuse, disomogenee e confluenti alla radiografia del torace;
normale funzionalità del ventricolo sinistro, con frazione di eiezione nella norma e pressione di incuneamento capillare polmonare (Pulmonary Capillary Wedge Pressure, PCWP) ≤18 mmHg.
In realtà, l’utilità di quest’ultimo parametro potrebbe essere inficiata da numerose condizioni: il paziente, prima ancora di essere colpito da ARDS, potrebbe essere cardiopatico con frazione di eiezione già compromessa; così pure, la funzionalità cardiaca potrebbe essere alterata in corso di sepsi, acidosi e ipossia. Non si dimentichi, infine, che il riempimento del circolo in caso di shock o la ventilazione meccanica potrebbero di per sé alterare la pressione di incuneamento capillare polmonare.
Critiche sono state mosse da più parti anche ad altri parametri presi in considerazione: la specificità non elevata nella definizione dei pazienti, il criterio radiografico osservatore-dipendente e, infine, i livelli di ipossia considerati che possono essere fortemente influenzati dal settaggio della ventilazione artificiale, specialmente quello della pressione positiva di fine espirazione (PEEP).
Pertanto, un panel internazionale di esperti riunitosi a Berlino nel 2011 sotto l’egida dell’European Society of Intensive Care Medicine, American Thoracic Society e Society of Critica[ Care Medicine ha prodotto una revisione della definizione di ARDS (pubblicata nel 2012) che non utilizza più il termine e il concetto di ALI e prevede l’inquadramento in quadri clinici di crescente gravità (lieve, moderata e severa) in base al valore del rapporto PaO2/FiO2 (Tabella 02), misurato in condizioni di CPAP (Continuous Positive Airway Pressure): pressione positiva continua delle vie aeree) o PEEP di almeno 5 cm H2O.
Viene meglio definito l’inizio del quadro clinico di ARDS facendo anche riferimento a fattori di rischio conosciuti o nuovi (Tabella 03).
La nuova definizione è stata empiricamente testata su oltre 3.000 pazienti per valutarne la predittività di morte, che è risultata essere pari a 27% per le forme lievi, 32% per le moderate e 45% per quelle gravi.
Tuttavia, anche se la definizione di Berlino dell’ARDS non è esente da critiche, alcuni autori (Villar e Kacmarek, 2012) ritengono la precedente versione di più facile impiego clinico e non dipendente dalla valutazione dell’ipossiemia sotto supporto ventilatorio, che può essere influenzata della variabilità individuale del paziente e degli standard di settaggio della macchina, con conseguente inadeguata stratificazione dei pazienti e mancato riconoscimento di soggetti con ARDS. Pertanto, sono state proposte integrazioni e alternative alla definizione di Berlino: Costa e Amato (2013) ritengono migliorabile la classificazione facendo ricorso a una ulteriore valutazione del rapporto PaO2/FiO2 dopo 24 ore di stabilizzazione del paziente, con standard prefissati di regolazione del respiratore; Villar e colleghi (2013) propongono una definizione “universale” di ARDS riferendosi al solo rapporto PaO2/FiO2 misurato sotto settaggio standard del ventilatore. Questo ultimo tipo di inquadramento è stato validato da uno studio prospettico multicentrico su 452 pazienti che ha dimostrato l’efficacia di tale approccio nello stratificare i soggetti secondo classi di rischio (lieve, moderato e grave).
Hernu R, Wallet F. et al. (2013) hanno tentato di validare la nuova definizione di Berlino con uno studio prospettico osservazionale multicentrico condotto su 240 pazienti con ARDS ricoverati in 10 Centri di Rianimazione con esito negativo: né la suddivisione in classi di rischio, né il rapporto PaO2/ FiO2 iniziale sono infatti risultati indipendentemente associati con la mortalità.
Altri (Sjoding MW, Hofer TP, Co I et al., 2018), infine, dopo revisione di una casistica di 205 pazienti, avendo individuato nel criterio radiografico la principale difficoltà per la definizione dell’ARDS secondo i criteri di Berlino, hanno raccomandato la messa in atto di accorgimenti per il miglioramento nell’interpretazione dell’imaging toracico.
Tabella 01
Tabella 01. Valutazione della gravità del danno polmonare ai fini della definizione di ARDS (ConsensusConference Americana-Europea, 1994).
Tabella 02
Tabella 02. ARDS: definizione di Berlino (2012).
Tabella 03
Tabella 03. Fattori di rischio più comuni per ARDS.
Eziopatogenesi
L’ARDS può essere determinata da numerose patologie, alcune delle quali esercitano la propria azione lesiva direttamente sul polmone, mentre altre producono il danno polmonare con meccanismo indiretto, senza cioè esercitare la propria azione vulnerante sul parenchima polmonare (Tabella 04).
Tra le cause di ARDS responsabili di lesione polmonare diretta ricordiamo i traumi e le ustioni respiratorie, l’inalazione di gas tossici e di fumi, l’inalazione di succo gastrico, l’embolia da trombosi venosa profonda, l’embolia adiposa, l’annegamento, le infezioni polmonari batteriche, virali, micotiche, parassitarie e altre ancora.
L’ARDS da lesione polmonare indiretta può essere scatenata da numerose patologie apparentemente prive di connessioni tra loro, pur se verosimilmente capaci di attivare meccanismi patogenetici comuni: politraumi, ustioni estese, sindrome settica, stati di shock di diversa natura (settico, anafilattico, emorragico), trasfusioni massive, pancreatite acuta necrotico-emorragica, coagulazione intravasale disseminata e numerose altre patologie.
È opportuno ricordare che l’ARDS indiretta si manifesta in oltre il 40% dei pazienti con sindrome settica, in circa il 40% di quelli sottoposti a trasfusioni massive e in un paziente su quattro affetto da politrauma.
Nell’ARDS da lesione polmonare diretta la noxa patogena attiva inizialmente pneumociti, macrofagi alveolari e interstiziali e cellule endoteliali. Queste ultime, allorquando attivate dall’agente lesivo, esprimono in superficie recettori di adesione che richiamano e attivano polimorfonucleati e piastrine, amplificando a dismisura i soggetti cellulari coinvolti nel meccanismo patogenetico. I recettori di adesione, oltre che dall’endotelio leso, sono espressi in superficie anche dai polimorfonucleati attivati e regolano l’interazione tra cellule endoteliali e cellule ematiche.
I soggetti cellulari coinvolti, mediante la produzione di mediatori dell’infiammazione, di radicali liberi dell’ossigeno e di proteasi, concorrono all’estensione della lesione della membrana alveolo-capillare e a diffondere il processo infiammatorio in entrambi i polmoni. Endotelio leso e pneumociti, infatti, attivano la cascata della coagulazione e quella del complemento e danno luogo a produzione di mediatori dell’infiammazione: l’endotelio con meccanismo diretto, gli pneumociti come prodotti intermedi dell’attivazione delle cascate.
Polimorfonucleati e piastrine, richiamati nel sito polmonare e attivati dall’endotelio leso, rilasciano anch’essi mediatori dell’infiammazione, proteasi e radicali liberi dell’ossigeno, concorrendo a rendere ipertrofica, e pertanto nociva, la risposta infiammatoria all’insulto lesivo.
I macrofagi alveolari e interstiziali, oltre a liberare radicali liberi dell’ossigeno, rilasciano citochine proinfiammatorie quali il fattore di necrosi tumorale (TNF) e le interleuchine 1, 6 e 8 (IL-1, 6, 8); tali citochine concorrono tutte all’attivazione dei polimorfonucleati e il TNF anche all’attivazione delle piastrine.
Nell’ARDS da lesione polmonare indiretta trovano conferma i meccanismi patogenetici fin qui descritti per l’ARDS da lesione diretta. Tuttavia, il coinvolgimento polmonare origina da un processo flogistico che coinvolge l’intero organismo, noto come sindrome da risposta infiammatoria sistemica (Systemic Inflammatory Response Syndrome, SIRS) che, se di origine microbica, prende il nome di sepsi.
Nell’ARDS da lesione polmonare indiretta, pertanto, il polmone è perfuso massivamente da mediatori dell’infiammazione, radicali liberi dell’ossigeno e proteasi prodotti in altro sito e giunti in sede polmonare attraverso il meccanismo esuberante e nocivo della disseminazione sistemica, come pure da cellule ematiche attivate altrove quali polimorfonucleati, piastrine e monociti, anch’esse capaci di esercitare un’azione devastante.
Poiché tali prodotti della SIRS giungono al polmone per via ematica, è presumibile che in sede polmonare le cellule primariamente attivate siano quelle endoteliali e, soltanto successivamente, pneumociti e macrofagi interstiziali e alveolari.
Nell’ARDS da lesione polmonare indiretta è suggestiva l’ipotesi dell’attivazione dell’asse intestino-fegato-polmone (gut-liver-lung axis), secondo la quale la SIRS, attraverso la instabilità emodinamica sistemica e splancnica che la caratterizza, trasforma l’intestino nel motore e amplificatore di una diffusione, attraverso il circolo entero-epatico, di mediatori proinfiammatori, radicali liberi dell’ossigeno, batteri e prodotti batterici che partendo dall’intestino, permeano massivamente il fegato, fino a vincerne la capacità di contrapporre un effetto barriera.
In tal modo, saltato il filtro epatico, i prodotti nocivi raggiungono il polmone determinando una lesione ARDS evolutiva.
Tabella 04
Tabella 04. Fattori causali più comuni per ARDS.
FATTORI GENETICI
Esiste consenso unanime sul ruolo che variazioni genetiche hanno nell’influenzare i meccanismi di risposta infiammatoria che sono alla base dell’ARDS; tuttavia ancora poco si conosce circa i geni che sono responsabili della suscettibilità del paziente alla malattia e del suo esito (Tabella 05).
Oltre 80 geni sono stati indagati come possibili codificatori di fattori (proteine) correlati alla genesi e all’evoluzione dell’ARDS. Per alcuni di essi è stato proposto il ruolo di biomarker, sostanze dal cui dosaggio è possibile trarre informazioni circa l’insorgenza e/o la progressione dell’ARDS:
Serpina 1: inibitore della serpina peptidasi, inibitore di proteasi implicato in molte funzioni biologiche e nei processi di controllo dell’omeostasi cellulare;
SFTPD: proteina D del surfattante, fattore protettivo dal danno polmonare da iperossia.
IL-6, IL-10 e IL-18: interleukine 6, 10 e 18, citochine con varia funzione. IL-6 possiede attività antinfiammatoria se rilasciata a dosi moderate, pro-infiammatoria a dosi massive. IL-10 inibisce la sintesi di citochine pro-infiammatorie quali IFN-y, IL-2, IL-3, TNF-α e GM-CSF (granulocyte-macrophage colony-stimulating factor), stimola la proliferazione dei linfociti B e la produzione di anticorpi da parte delle plasmacellule; ha inoltre un ruolo importante nella soppressione della capacità di presentazione dell’antigene da parte delle cellule APC (Antigen Presenting Cells). IL-18 promuove la differenziazione dei linfociti T CD4+ in linfociti TH1, inibisce la produzione di IL-4 (interleuchina pro-infiammatoria) e di IgG1, mentre stimola quella di IgG2 (immunoglobuline che favoriscono i meccanismi di difesa antibatterici e attivano la via del complemento);
PI3: inibitore della peptidasi 3, attivo come antimicrobico contro batteri Gram-positivi e Gram-negativi;
FAS receptor (apoptosis-stimulating fragment receptor): membro della superfamiglia dei recettori del fattore di necrosi tumorale (TNF), media segnali cellulari di apoptosi; avrebbe effetto protettivo contro le neoplasie;
ANGPT2: angiopoietina 2, fattore di crescita vascolare, stimola l’angiogenesi sia arteriosa che venosa. Un recente studio ha dimostrato che livelli plasmatici di angiopoietina 2 più elevati sono predittivi di danno acuto polmonare in pazienti critici.
Ulteriori studi sono necessari per approfondire e validare le conoscenze acquisite e permetterne l’impiego clinico, portando alla messa a punto di nuove terapie e all’individuazione di fattori prognostici predittivi della suscettibilità a sviluppare la malattia e del suo esito.
Tabella 05
Tabella 05.Fattori genetici che influenzano i meccanismi di risposta infiammatoria alla base dell’ARDS.
Quadro clinico
Il quadro clinico dell’ARDS insorge dopo 24-72 ore dalla causa scatenante ed evolve in tre fasi successive, di pari passo con i meccanismi fisiopatologici e con le lesioni anatomo-patologiche (Tabella 06).
La prima fase, detta essudativa, è caratterizzata dalla comparsa di essudato dapprima in sede interstiziale e, successivamente, in sede alveolare, conseguente all’aumentata permeabilità capillare che concomita alle lesioni anatomo-funzionali della membrana alveolo-capillare indotte dal processo flogistico. Trattasi di essudato formato da acqua e sostanze ad alto peso molecolare, con una concentrazione proteica che, in caso di ARDS, è maggiore di 30 g/l.
La fase essudativa, abitualmente della durata di una settimana, è la fase più acuta, pur se suscettibile di risposta favorevole alla terapia di massima intensità.
Il quadro clinico è caratterizzato da tachipnea, tachicardia e ipotensione, evolvendo ben presto più drammaticamente verso la polipnea con cianosi e stato di agitazione.
È presente severa instabilità emodinamica che richiede un congruo riempimento vascolare finalizzato al miglioramento della perfusione tissutale, senza però peggiorare l’edema alveolo-interstiziale.
Sono inoltre necessari farmaci inotropi e vasoattivi.
Si comprende in tal modo quanto sia opportuno il monitoraggio emodinamico invasivo previo cateterismo destro effettuato con catetere di Swan-Ganz, efficace nella valutazione della ipertensione polmonare la cui entità è commisurata alle lesioni parenchimali e il cui incremento compromette la funzionalità del ventricolo destro.
All’esame obiettivo si rilevano rantoli diffusi a medie e grosse bolle. L’emogasanalisi tradisce la condizione di ipossigenazione, evidenziata dall’ipossia e dall’ipercapnia.
La radiografia del torace, inizialmente caratterizzata semplicemente da rinforzo della trama broncovascolare, mostra dopo qualche giorno opacità multiple e bilaterali.
La seconda fase, detta proliferativa, è caratterizzata prevalentemente da tre processi:
proliferazione dei fibroblasti e miofibroblasti nell’interstizio, peraltro infiltrato da cellule infiammatorie, cui consegue ispessimento del setto alveolare;
organizzazione dell’essudato interstiziale e alveolare con formazione di membrane ialine adese alle pareti degli alveoli;
alterazioni a carico dei vasi interstiziali che conducono all’ipertensione polmonare, sia per il rigonfiamento delle cellule endoteliali, sia per la compressione esercitata dall’interstizio ispessito.
In questa fase, inoltre, nelle aree di sfaldamento dei pneumociti di tipo I la membrana basale esposta è rivestita dalla proliferazione di pneumociti di tipo II, quale espressione di un tentativo di riparazione.
In questa seconda fase, pur instaurandosi una condizione di ipertensione polmonare, il paziente sembra versare in condizioni meno severe: l’ipossiemia si riduce e la radiografia del torace evidenzia un miglioramento della componente alveolare dell’edema, pur persistendo interessamento dell’interstizio.
In questa fase il paziente può ancora guarire, pur se lentamente, o evolvere in 15-20 giorni verso la terza fase.
La terza fase, denominata fase fibrotica finale, è dominata da due processi:
fibroproliferazione anarchica ed esuberante che conduce a fibrosi dell’interstizio, potendo talvolta ingenerare persino obliterazione alveolare;
alterazioni vascolari consistenti in neoangiogenesi all’interno degli alveoli e iperplasia delle miocellule arteriolari.
Risultato finale di questi processi è per un verso l’instaurarsi di una condizione di ipertensione polmonare permanente e, per altro verso, la difficoltà degli scambi gassosi conseguentemente all’ispessimento e alla fibrosi dell’interstizio.
Dal punto di vista clinico l’Insufficienza Respiratoria di grado severo è tradita dalla polipnea e dalla cianosi; il paziente è emodinamicamente instabile e agitato.
La radiografia del torace evidenzia una diffusa fibrosi interstiziale.
Tabella 06
Tabella 06. ARDS: fisiopatologia e clinica.
Diagnosi
La diagnosi di ARDS si basa su molteplici elementi (Tabella 07):
insorgenza cli edema polmonare con Insufficienza Respiratoria grave, a distanza di 24-72 ore dall’evento lesivo iniziale, costituito frequentemente dallo stato settico, da trasfusioni massive o da politrauma. È presente ipossiemia severa; alla iniziale ipocapnia subentra successivamente una condizione di ipercapnia;
riscontro radiologico di opacità interstiziali e alveolari bilaterali, diffuse, disomogenee, confluenti, fino a realizzare il quadro di “polmoni bianchi”;
ridotta capacità funzionale residua (CRF), conseguentemente all’edema che riduce il volume alveolare deputato agli scambi gassosi. Diminuisce al contempo la compliance torneo-polmonare. La perfusione degli alveoli non ventilati determina decremento del rapporto ventilazione-perfusione (VIP) con conseguente aumento dello shunt intrapolmonare destro-sinistro;
normale funzionalità del ventricolo sinistro, con frazione di eiezione nella norma e pressione di incuneamento capillare polmonare ≤ 18 mmHg;
diminuita performance del ventricolo destro conseguentemente alla condizione di sovraccarico secondaria all’ipertensione polmonare;
concentrazione di proteine >30 g/l nel liquido dell’edema polmonare.
All’induzione e allo sviluppo dell’ARDS concorrono numerosi mediatori cellulari e umorali (Tabella 08), molti dei quali noti, pur se nessuno di essi tuttavia, dosato nel siero o nel liquido di lavaggio broncoalveolare, può essere considerato marker specifico, e pertanto patognomonico, dell’ARDS stessa.
L’innalzamento dei livelli sierici degli acidi grassi liberi insaturi C18 può essere considerato indice predittivo di ARDS nei pazienti a rischio, quali vittime di politrauma oppure affetti da sepsi.
Così pure le concentrazioni plasmatiche di lipofuscina, costituendo un parametro facilmente valutabile di stress ossidante, sono da considerare valide in senso predittivo e prognostico di evoluzione in ARDS e/o MOFS (Multiple Organ Failure Syndrome) in pazienti esposti al rischio di queste sindromi.
La concentrazione di leucotrieni e di TNF alfa nel liquido di lavaggio broncoalveolare è ovviamente correlata alla fase infiammatoria acuta dell’ARDS ed è espressione dell’aumento numerico dei leucociti nel liquido recuperato, ma non sembra essere tuttavia un indice predittivo della sindrome.
La diagnosi radiologica si avvale della radiografia standard del torace e, ancor più, della TC del torace (Tabella 09,10). Quest’ultima ha inequivocabilmente evidenziato che la sede e la distribuzione delle aree di addensamento bilaterali, diffuse, disomogenee e confluenti tipiche dell’ARDS ubbidiscono alla legge di gravità, nel senso che si dispongono nelle zone declivi del parenchima polmonare e, più esattamente, nelle regioni postero-basali dei lobi inferiori a paziente supino e in quelle anteriori in posizione prona. In sintesi, pertanto, coesistono aree di parenchima addensato, dette dipendenti in quanto gravità-correlate, e aree di parenchima areato, dette non dipendenti.
In verità queste ultime, per la vasta estensione degli addensati e la loro tendenza alla confluenza, sono poco rappresentate, tanto da farle assimilare al volume del polmone di un bambino (baby lung), con le implicazioni funzionali facilmente intuibili.
Pertanto, distinguiamo nell’ARDS tre diverse condizioni del parenchima polmonare:
aree non dipendenti e ben areate, che corrispondono al parenchima definito baby lung;
aree dipendenti ma reclutabili, corrispondenti a quelle in cui, aumentando adeguatamente la pressione nelle vie aeree, si determina la riapertura degli alveoli collassati e, pertanto, il loro recupero funzionale ai fini dell’attività respiratoria;
aree dipendenti e consolidate, che non possono essere reclutate pur con l’incremento delle pressioni inspiratorie.
L’impiego di una PEEP, pertanto, se per un verso consente di riattivare gli alveoli reclutabili, nulla può nei confronti delle aree consolidate e, ancor più, sovradistendendo gli alveoli delle aree non dipendenti, può determinare lesioni da barotrauma o anche atelettasia da compressione nelle zone contigue agli alveoli sovradistesi.
La tomografia assiale computerizzata, inoltre, consente il riscontro di lesioni non evidenziate dalla radiografia standard del torace quali formazioni bollose o cistiche nel contesto di parenchima consolidato, ascessi, empiema pleurico saccato, piccole falde di pneumotorace. Ma soprattutto, la tomografia assiale computerizzata consente una più idonea valutazione della entità della fibrosi, esito finale della malattia nei superstiti, molto più di quanto non possa fare la sola radiografia del torace, permettendo il riscontro di un danno anatomico in grado di giustificare il deficit funzionale in pazienti che, al controllo radiologico standard, non sembrano affetti, talvolta, da esiti fibrotici di entità correlabile alla severità del quadro clinico.
Tabella 07
Tabella 07.Diagnosi di ARDS.
Tabella 08
Tabella 08. Mediatori cellulari e umorali che concorrono all’induzione e allo sviluppo dell’ARDS.
Tabella 09
Tabella 09. Diagnosi radiologica di ARDS: Radiografia standard del torace.
Tabella 10
Tabella 10. Diagnosi radiologica di ARDS: TC del torace.
Prognosi
L’ARDS è una patologia caratterizzata da una condizione di insufficienzà respiratoria acuta causata dalla più grave tra le diverse forme di danno polmonare.
La prognosi, pertanto, è severa e la mortalità risulta ancora oggi elevata, essendo attestata su valori del 50-60% in casistiche recenti. La sepsi e la sindrome da insufficienza multiorgano causano il 90% dei decessi nelle prime tre settimane dalla insorgenza dell’ARDS.
Sono stati ricercati indici predittivi di sopravvivenza e di mortalità: i pazienti più anziani (età ≥ 60 anni) che sviluppano sepsi batterica e MOFS sono ad alto rischio di mortalità; i soggetti più giovani che manifestano ARDS da trauma o da altre cause non infettive sono a prognosi più benevola. L’acidosi metabolica persistente nel primo giorno di ARDS costituisce segno prognostico particolarmente sfavorevole.
Terapia
I pazienti a più alto rischio di ARDS, come già detto, sono quelli con sindrome settica, i politrasfusi e i politraumatizzati. Questi pazienti, pertanto, debbono essere sottoposti ad attenta vigilanza, mettendo in atto al contempo tutte le misure idonee alla prevenzione dell’ARDS (Tabella 11). In tal senso particolare cura sarà riposta nella prevenzione e nella terapia dell’infezione e della sepsi.
L’ARDS, allorquando insorga come lesione polmonare indiretta, è da interpretare quale componente della sindrome da insufficienza multiorgano. Ne consegue che la sua prevenzione si identifica con quella della MOFS.
Inoltre, poiché la più frequente causa di morte dei pazienti con ARDS non è l’Insufficienza Respiratoria ma la MOFS, è necessario ottimizzare il trasporto di ossigeno ai tessuti periferici attraverso la stabilizzazione della gittata cardiaca (normalizzazione del pre-carico, dell’inotropismo e del post-carico), il miglioramento dei valori dell’emoglobina e della quantità di ossigeno da essa trasportato.
Le modalità della ventilazione nell’ARDS (Tabella 12) sono a tutt’oggi controverse, pur se va affermandosi sempre più, in contrapposizione alla ventilazione tradizionale, una ventilazione definita protettiva.
La ventilazione tradizionale, finalizzata alla normalizzazione dei valori emogasanalitici su sangue arterioso, si avvale di elevate pressioni inspiratorie responsabili di severe lesioni:
eccessivo aumento della pressione (barotrauma) e del volume (volutrauma) all’interno degli alveoli ventilati, che favoriscono tra l’altro l’atelettasia degli alveoli contigui;
biotrauma derivante dal danno vascolare diretto, con lesione del dispositivo alveolo-capillare, incremento dell’edema lesionale, amplificazione della risposta immuno-infiammatoria locale e sistemica.
In altri termini, la ventilazione tradizionale si rende responsabile nell’ARDS di un significativo danno polmonare (ventilator-associated lung injury, VALI).
Pertanto, si è affermata più recentemente la ventilazione protettiva che prevede l’impiego di ridotti volumi correnti (6 ml/kg) e basse pressioni inspiratorie di plateau ( <30 cm H2O).
La ventilazione protettiva, se per un verso ha come obiettivo il ripristino di valori emogasanalitici su sangue arterioso quanto più possibile vicini alla normalità, per altro verso persegue il contenimento del danno associato alla ventilazione. A tal fine, nel tentativo di conseguire congiuntamente i due obiettivi, la ventilazione protettiva considera permissivi nel paziente con ARDS valori di ipossiemia (SaO2 ≥ 85%), di ipercapnia (PaCO2 <65 mmHg) e di acidosi respiratoria (pH >7,25) pur se non ottimali.
Sia la ventilazione tradizionale sia quella protettiva si avvalgono di una PEEP, con la finalità di migliorare gli scambi respiratori mediante l’apertura degli alveoli reclutabili. Nella ventilazione protettiva, però, pur non senza qualche rischio, si utilizza una PEEP più elevata che nella ventilazione tradizionale, con l’intento di incrementare il rapporto ventilazione-perfusione.
Una recente meta analisi (Briel M et al., 2010), condotta su tre studi per un totale di 2229 pazienti, ha confrontato i risultati in termini di mortalità nei soggetti sottoposti ad alti vs. bassi livelli di PEEP e non ha evidenziato differenze significative tra i due tipi di trattamento nei pazienti con ARDS di lieve entità; quelli con forma severa (PaO2/FiO2<200) hanno invece tratto beneficio da livelli più elevati di PEEP.
Sempre al fine di migliorare gli scambi gassosi, in alternativa alla PEEP si può optare per l’allungamento progressivo del tempo di inspirazione, invertendo il fisiologico rapporto di 1 a 2 tra inspirazione ed espirazione. Questo permette una migliore distribuzione alveolare del volume inspirato, pur se la ridotta espirazione espone al rischio di intrappolamento dell’aria negli alveoli.
Altra metodica sperimentata per migliorare l’ossigenazione e combattere l’ARDS è la ventilazione ad alta frequenza oscillatoria (High Frequency Oscillatory Ventilation, HFOV) che mette in atto i principali meccanismi di protezione del polmone: volumi correnti estremamente ridotti, pressione media nelle vie respiratorie relativamente alta e frequenza respiratoria elevata, nel tentativo di evitare l’iperdistensione e il ciclico collasso alveolare. Tuttavia, nonostante le positive premesse fisiopatologiche, i risultati non sono stati all’altezza delle aspettative: nel confronto con la ventilazione protettiva la HFOV non ha mostrato nessun miglioramento della sopravvivenza e anzi sono sorti dubbi sulla sicurezza della metodica per l’eccessiva mortalità rilevata in uno studio che per tale motivo è stato interrotto. Pertanto, la ventilazione ad alta frequenza non trova ancora impiego nella pratica clinica.
Nei pazienti con ipossia grave e/o Insufficienza Respiratoria ipercapnica sono state proposte come trattamento d’emergenza terapie di supporto polmonare extracorporeo (Extracorporea[ Lung Support, ECLS) mirate a contrastare l’ipossiemia e l’acidosi respiratoria mantenendo il polmone completamente a riposo (Tabella 13). La metodica più utilizzata è l’ECMO o extra-corporeal membrane oxygenation (ossigenazione extracorporea a membrana) che consiste nel creare una circolazione extracorporea che porti il sangue in un apposito macchinario per rimuovere l’anidride carbonica e ossigenarlo prima di restituirlo al circolo corporeo. Studi sull’applicazione di tale tecnica nell’ARDS hanno dato risultati contrastanti; sono necessarie, pertanto, ulteriori conferme per precisarne il ruolo terapeutico.
Al fine di migliorare l’ossigenazione nei pazienti con ARDS di grado severo è stata sperimentata la somministrazione per 48 ore di cisatracurium besilato (Tabella 14), un agente bloccante neuromuscolare non depolarizzante, che si è dimostrato in grado di migliorare l’ossigenazione e la sopravvivenza a 90 giorni e ha fatto registrare – senza accrescere la debolezza muscolare – una diminuzione della durata di intubazione, del barotrauma e di mediatori pro-infiammatori a livello polmonare e sistemico. Tuttavia il suo impiego è raccomandato per breve tempo e soltanto per ARDS severa per il rischio di neuromiopatia del paziente critico, una polineuropatia acuta che insorge come complicanza di una sepsi e di una MOFS in pazienti critici degenti in terapia intensiva. Causa, inoltre, gravi effetti collaterali sul sistema nervoso, il più precoce dei quali è l’encefalopatia.
Oltre le modalità di ventilazione, anche la postura, più esattamente la posizione prona, ha un ruolo importante ma non sempre è realizzabile (Tabella 12). Il decubito ventrale, infatti, finalizzato a ridurre il VALI e a consentire una migliore distribuzione negli alveoli del volume inspirato, si associa a una riduzione della mortalità complessiva, ma non è scevro da complicanze respiratorie maggiori ed è gravato da una maggior incidenza di lesioni da decubito che, oltre a rendere più complessa la gestione del paziente, aumentano il rischio di sepsi.
Altro importante pilastro terapeutico nell’ARDS è il controllo dell’ipertensione polmonare. A tal fine, l’impiego per via endovenosa dei vasodilatatori (Tabella 14) ha evidenziato effetti sfavorevoli a livello sistemico (ipotensione, ipoperfusione) e polmonare (accentuazione dell’effetto shunt). L’attuale indisponibilità di farmaci che, somministrati per via endovenosa, risultino selettivamente efficaci sui vasi polmonari, ha indotto a valutare gli effetti di alcuni farmaci per via inalatoria.
Efficacia vasoattiva e benefica sull’ipertensione polmonare, in assenza di effetti sistemici, ha mostrato l’ossido nitrico allorquando somministrato per via inalatoria, pur se in trattamenti di lunga durata non è esclusa la sua tossicità a livello renale. Da comprovare, inoltre, la sua reale capacità di contenere la mortalità e la morbilità, visti i risultati sconfortanti di una recente revisione sistematica e con metanalisi che non ha rilevato significativa riduzione della mortalità nei pazienti affetti da ARDS trattati con ossido nitrico inalato, indipendentemente dal grado di ipossiemia.
Inibitori selettivi delle fosfodiesterasi, quali il sildenafil, hanno mostrato effetto potenziante sulla vasodilatazione e riduzione dell’ipertensione polmonare indotte dall’ossido nitrico (Tabella 14). Ma si tratta di dati provenienti da segnalazione di sporadici casi clinici e dalla sperimentazione animale.
La prostaciclina (PGI2) e la prostaglandina PGE1 impiegate per via inalatoria hanno mostrato anch’esse, come l’ossido nitrico, attività vasodilatante selettiva a livello polmonare, in assenza di effetti sistemici (Tabella 14).
A loro vantaggio vi è l’assoluta mancanza di tossicità locale e generale, anche allorquando somministrate a dosi elevate e per tempi lunghi; tuttavia non sono stati dimostrati significativi incrementi di sopravvivenza correlabili all’impiego di tali sostanze.
Altro fattore che partecipa alla genesi e al mantenimento della condizione di ipertensione polmonare nella ARDS è la carenza del surfattante o la sua inattivazione da parte di enzimi litici che vengono prodotti in alte concentrazioni negli alveoli e nell’interstizio. Per ovviare a tale deficit è stata proposta la somministrazione di surfattante esogeno, che risulta essere più efficace quando vengono impiegati preparati di origine animale (calfactant) o – meglio ancora – molecole sintetiche progettate per avere caratteristiche avanzate come la resistenza agli enzimi litici (Tabella 14). Maggiore efficacia, infine, ha mostrato la sua somministrazione per instillazione endotracheale rispetto alla aerosol-terapia.
La rimozione di liquidi dagli alveoli è fondamentale per la risoluzione dell’ARDS e dell’Insufficienza Respiratoria a essa associata. In tale direzione operano farmaci broncodilatatori (Tabella 14) quali il salbutamolo e i β-2 agonisti. Il primo è risultato efficace nell’evacuazione dei liquidi extravascolari del polmone grazie al controllo operato sul trasporto del Sodio nelle cellule alveolari, ma un recente studio multicentrico ha messo in luce effetti pericolosamente negativi della sua somministrazione endovenosa: incremento della mortalità e minor numero di giorni liberi da ventilazione artificiale e da insufficienza d’organo, correlabili verosimilmente agli effetti collaterali (tachicardia, aritmie e acidosi lattica). I secondi – che hanno anche attività vasodilatatrice utile per ridurre la pressione idrostatica e forzare il trasporto dei fluidi attraverso i capillari – sono ancora in via di sperimentazione nell’uomo.
I meccanismi infiammatori locali e sistemici hanno un ruolo centrale nella patogenesi dell’ARDS.
Pertanto è stato ipotizzato che l’effetto immunomodulatore dei corticosteroidi (Tabella 14) possa essere efficace nella prevenzione dell’insorgenza della sindrome in pazienti a rischio (sepsi, politraumi, polmoniti, inalazione di contenuto gastrico e ustioni gravi). Invece, contrariamente alle premesse teoriche, la loro somministrazione non ha alcuna efficacia profilattica in tali pazienti e anzi, inducendo immunodepressione, favorisce l’insorgenza di ARDS e di complicanze infettive che portano a incremento della mortalità .
Una volta instauratasi l’ARDS, invece, la terapia corticosteroidea – anche per via inalatoria – se iniziata in fase precoce, quando prevalgono i processi essudativi, produce benefici apprezzabili in termini di ridotta mortalità, aumentato numero di giorni liberi da ventilazione artificiale, ridotta degenza in terapia intensiva, ridotta gravità di malattia ai sistemi a punteggio per MOFS e danno polmonare (MOFS Score e Lung Injury Score) e miglioramento dell’ossigenazione.
L’impiego di corticosteroidi nella fase tardiva, che vede invece prevalere fenomeni di fibrosi, è stato ipotizzato che possa produrre benefici per l’azione inibitoria sull’attività proliferativa dei fibroblasti; tuttavia recenti studi non hanno segnalato significativi vantaggi in termini di sopravvivenza e hanno indotto a sospettare che la somministrazione soltanto tardiva possa avere effetto negativo sull’esito finale.
Tuttavia, dal momento che i risultati degli studi fin qui condotti non appaiono sufficientemente uniformi, servono ulteriori conferme prima di poter proporre il trattamento steroideo come efficace strumento terapeutico da impiegare nelle fasi precoci di malattia.
Sempre per contrastare il substrato infiammatorio dell’ARDS è stata sperimentata in modelli animali murini la proteina C attivata (APC) che sembra ridurre probabilità e gravità del danno polmonare (Tabella 14). La sua somministrazione per via inalatoria evita l’insorgenza delle complicanze emorragiche manifestatesi dopo infusione parenterale. Sono, tuttavia, ancora insufficienti le evidenze a sostegno dell’impiego nell’uomo come dimostrato da un recente studio prospettico (Cornet AD, Groeneveld AB et al., 2014) in pazienti in terapia intensiva che, dopo somministrazione endovenosa di APC ricombinante umana, non hanno mostrato miglioramento della permeabilità alveolo-capillare né del decorso della ARDS.
Il ruolo tutt’altro che marginale svolto dallo stress ossidante nella patogenesi dell’ARDS ha promosso numerosi studi incentrati sulla valutazione dell’efficacia di terapie antiossidanti in modelli animali di ARDS (Tabella 14). Sono state pertanto testate, con risultati controversi, molecole spazzine di metaboliti attivi dell’ossigeno (Reactive Oxygen Metabolites scavengers o ROM scavengers), quali N-acetilcisteina e dimetiltiourea. Sempre in modelli animali di ARDS sono stati studiati gli effetti della somministrazione di diversi enzimi, soprattutto superossido-dismutasi (SOD) e catalasi (CAT), nel tentativo di trasformare i ROM in metaboliti inattivi.
Più recentemente, in un modello porcino di danno polmonare acuto provocato dall’endotossina, è stata testata l’efficacia terapeutica antiossidante di un farmaco sintetico, l’EUK-8, composto di salen-manganese (salicylaldehyde-ethylenediamine-manganese) a basso peso molecolare, che mostra di possedere in vitro un’attività uguale sia alla SOD, sia alla CAT (Tabella 14). L’EUK- 8 ha mostrato di ridurre in modo significativo molteplici manifestazioni della lesione polmonare acuta prodotta dall’endotossina come l’ipossiemia arteriosa, l’ipertensione polmonare, la riduzione della compliance polmonare e l’edema polmonare, incoraggiando i ricercatori a intraprendere ulteriori studi finalizzati a saggiare nell’uomo l’efficacia dei composti di salen-manganese nella prevenzione e nella terapia dell’ARDS correlata alla sepsi.
Molte aspettative sono attualmente riposte nelle terapie con anticorpi anti-citochine, anticorpi antirecettori per citochine, anticorpi antirecettori di adesione e anticorpi antiendotossine, la cui finalità è quella di bloccare la progressione della cascata immuno-infiammatoria, pur se la loro efficacia in tal senso è ancora in fase di definizione. Tra gli anticorpi oggetto di studio sono di maggior interesse:
anticorpi anti-TNFα: contrastano il tumor necrosis factor alfa, precoce mediatore pro-infiammatorio attivo nel danno polmonare acuto;
anticorpi anti-IL-8: avversano l’attività della interleuchina 8, che ha potente effetto di chemoattrazione e apoptosi sui neutrofili;
anticorpi anti-CD40L: interrompono il legame tra il recettore CD40 dei fibroblasti polmonari e il suo ligando CD40L, la cui interazione attiva la sintesi di citochine pro-infiammatorie.
Non si dimentichino, infine, i numerosi provvedimenti di supporto al paziente con ARDS (Tabella 15) quali la nutrizione artificiale, la gastroprotezione, la profilassi della trombosi venosa profonda, la prevenzione e il trattamento della insufficienza renale acuta e, infine, la sedazione nei pazienti ventilati meccanicamente.
La nutrizione enterale precoce e personalizzata, contenente acido eicosapentaenoico (acido grasso omega-3), acido gamma-linolenico (acido grasso polinsaturo omega-6) e agenti antiossidanti (vitamina C ed E) – definita immunonutrizione -, riduce i giorni di ventilazione meccanica, la richiesta di cure intensive e l’incidenza di insufficienza d’organo extra-polmonare nei pazienti con ARDS, ma non la mortalità.
Una particolare attenzione deve essere posta nella somministrazione di liquidi che – in assenza di shock e insufficienza renale – converrà sempre contenere, dal momento che nel paziente con ARDS l’edema alveolare causato dall’aumentata permeabilità può essere aggravato dall’incremento di pressione idrostatica correlato a un eccessivo carico di liquidi. Sebbene i pazienti sottoposti a restrizione di liquidi non abbiano mostrato sopravvivenza significativamente maggiore, hanno tuttavia fatto registrare minor numero di giorni di ventilazione meccanica e minor degenza in terapia intensiva.
Ai fini della prevenzione e del trattamento della sindrome, lo stesse tipo di strategia riduttiva va applicato alle trasfusioni che, oltre a essere un riconosciuto fattore predisponente alla ARDS, espongono al rischio di sovraccarico volemico e a quello di danno alveolare su base immunitaria e non, correlato alla presenza di leucociti neutrofili e/o prodotti di degradazione del sangue negli emoderivati. Oltre al contenimento dell’impiego di questi ultimi potrebbe essere utile associare altri provvedimenti: riduzione del tempo di conservazione e leucoriduzione degli emoderivati.
Nonostante l’aumentata comprensione dei meccanismi patogenetici della ARDS la ricerca non è ancora riuscita a tradurre tali conoscenze in terapie efficaci, capaci di migliorare la prognosi dei pazienti che ne sono affetti.
Nuove possibilità di trattamento sembrano poter venire dalla terapia genica e dall’impiego di cellule staminali mesenchimali, che per il momento trovano tuttavia applicazione soltanto in modelli animali.
Terapia genica
La terapia genica (Tabella 16), attraverso il meccanismo del trasferimento genico (trasferimento di materiale genetico da un organismo a un altro) è stata impiegata a livello sperimentale per migliorare la clearance dei fluidi alveolari e cercare di modulare la risposta pro-infiammatoria al danno polmonare che induce permeabilità vascolare e infiltrazione di neutrofili, cui conseguono edema alveolare e danno della barriera alveolare.
In un modello sperimentale murino con danno polmonare acuto indotto da iperossia e acido oleico il trasferimento liposomiale del gene che codifica il fattore di crescita cheratinocitico ha indotto attenuazione del danno polmonare, probabilmente attraverso meccanismi di crescita delle cellule epiteliali alveolari e di aumentata capacità di smaltimento del carico alveolare di liquidi.
Al trasferimento intra-tracheale, mediante vettore adenovirale, del gene che codifica l’interleuchina 10 in un modello ex-vivo di polmone (organi per trapianto non utilizzati per incompatibilità) sono conseguite riduzione del rilascio di citochine infiammatorie, incremento di quelle antinfiammatorie, miglioramento di ossigenazione e resistenze vascolari polmonari. La metodica trasferita nel modello animale ha prodotto effetti antinfiammatori notevoli: riduzione negli spazi aerei di IL-Iβ, TNFα e della proteina inibente i macrofagi (MIP)-1α, oltre che riduzione dell’infiltrazione neutrofila del polmone.
Effetti simili hanno fatto seguito al trasferimento di geni che codificano citochine antinfiammatorie quali la proteina 10 inducibile dall’interferone gamma (IP-10), IL-12 e il Transforming Growth Factor beta-1 (TGF-β1).
Le eme ossigenasi (HO) sono enzimi che degradano il gruppo eme in monossido di carbonio, biliverdina e ferro libero. HO-1, un loro isoforma inducibile – che può essere cioè attivato da particolari stimoli, come ad esempio la flogosi – espleta funzioni antinfiammatorie, anti-apoptosi e antivirali ed è stato impiegato in diversi approcci genici per mitigare il danno polmonare acuto. Il trasferimento del gene HO-1 ha garantito protezione contro iperossia, polmonite virale e danno polmonare endotossina-mediato.
Terapia cellulare
Le cellule stromali multipotenti, che possono essere isolate da midollo osseo, grasso, sangue del cordone ombelicale, placenta, muscolo scheletrico e tendini, hanno peculiari proprietà che possono renderle promettenti per la terapia dell’ARDS.
Le cellule staminali mesenchimali (Mesenchimal Stem Cells, MSC), possono differenziarsi in diversi tipi cellulari, con capacità rigenerativa che può riparare danni tessutali. Inoltre esse espletano effetti immuno-modulatori e antinfiammatori attraverso il rilascio di molecole che agiscono come mediatori umorali locali e/o sistemici (Tabella 17). In questo senso depone la dimostrazione che monociti e macrofagi trattati con cellule staminali mesenchimali producono grandi quantità di interleuchina 10, mentre diminuisce la produzione di TNFα e di IL-6.
Si tratta di una riprogrammazione temporanea che sembra mediata dalla produzione di prostaglandina E2 (PGE2) da parte delle MSC.
Queste ultime, infine, possono essere utilizzate come trasportatori (carriers) per la terapia genica.
L’efficacia del trattamento cellulare è stata dimostrata in modelli animali sperimentali di ARDS e sepsi.
Nonostante il limitato attecchimento e la scarsa differenziazione verso cellule epiteliali alveolari, le cellule staminali mesenchimali hanno mostrato la capacità di attenuare la risposta infiammatoria locale e sistemica in diversi modelli murini di sepsi, per effetto paracrino immuno-modulatorio (effetto paracrino: un messaggero chimico prodotto da una cellula modifica la fisiologia delle cellule circostanti). La somministrazione sistemica di MSC in topi con danno polmonare acuto ha prodotto nel liquido di lavaggio bronco-alveolare riduzione dei leucociti totali e dei neutrofili e diminuzione di citochine proinfiammatorie nello stesso e nel parenchima polmonare.
In diversi studi, topi trattati con MSC transfettate con angiopoietina 1 (ANGPT1, fattore protettivo vascolare) hanno mostrato ripristino completo della permeabilità vascolare polmonare, attenuazione della risposta infiammatoria sistemica e della disfunzione d’organo, migliorata clearance batterica e maggiore sopravvivenza (attribuibili a potenziamento dell’attività fagocitaria).
Infine, vale la pena di ricordare una iniziativa che, sebbene non inquadrabile come atto medico, può comunque favorire la conoscenza e l’approccio diagnostico-terapeutico della ARDS.
ARDS Net (ARDS Clinica[ Network) rappresenta una lodevole iniziativa del National Heart, Lung, and Blood Institute e dei National Institutes of Health negli USA. Si tratta di una rete clinica, istituita come contratto di programma nel 1994 a seguito di un concorso nazionale, finalizzata al sostegno e alla realizzazione di studi multicentrici sul trattamento dell’ARDS. Essa si propone di “testare in modo efficace agenti promettenti, dispositivi o strategie di gestione per migliorare la cura dei pazienti con ARDS” e di informare i cittadini, i medici e i ricercatori sui progressi di tali studi, diffondendone i risultati su ARDS Net attraverso il proprio sito web (http:// www.ardsnet.org/).