L’arterite di Takayasu è una vasculite rara, cronica, spesso granulomatosa, che colpisce principalmente l’aorta ed i suoi rami principali, nonché le arterie coronarie e quelle polmonari. È più comune nelle donne che negli uomini e di solito si presenta prima dei 50 anni. Le possibili complicazioni cardiovascolari possono includere: l’ischemia cardiaca, l’Insufficienza Aortica o mitralica, la dissezione aortica e la stenosi dell’arteria renale. La diagnosi di arterite di Takayasu viene formulata sulla base dei risultati clinici e degli studi di immagistica. Per questo motivo si dovrebbe sospettare l’arterite di Takayasu in pazienti sotto i 40 anni con:
claudicatio (peggioramento o de novo);
perdita di peso > 2 kg, febbre leggera, stanchezza, sudorazione notturna, mialgia, artralgia, artrite, dolori addominali, infarto miocardico o angina, condizioni neurologiche come ictus, convulsioni (non ipertensive), sincope, vertigini, amaurosi fugace o diplopia.
Dal punto di vista clinico è possibile ritrovare:
ampiezza differente tra 2 polsi arteriosi simmetrici, assenza di polso e/o soffio vascolare (segni comuni);
ipertensione (>140/90 mm Hg);
differenza (> 10 mm Hg) nella pressione sanguigna tra gli arti superiori;
carotidodinia (si verifica nel 10%-30% alla presentazione).
Per i pazienti con sospetto clinico di arterite di Takayasu, si raccomandano ulteriori accertamenti quali:
l’angiografia a risonanza magnetica (Angio-RMN) come prima scelta per la valutazione dell’infiammazione murale e/o del lumen per confermare la diagnosi;
l’angiografia tomografica computerizzata (CTA), la tomografia ad emissione di positroni (PET) e/o ultrasuoni in alternativa;
l’angiografia convenzionale non è raccomandata per la diagnosi iniziale.
Aumentati livelli di VES e proteina C reattiva sono comuni, ma livelli normali non escludono la malattia.
L’arterite di Takayasu è una vasculite cronica, spesso granulomatosa, che colpisce principalmente l’aorta e le sue principali ramificazioni, le arterie coronarie e polmonari. Prende anche il nome di:
sindrome da aorite;
malattia senza polso;
sindrome dell’arco aortico;
coartazione atipica dell’aorta.
Epidemiologia
Più comune nelle donne che negli uomini, di solito si presenta sotto i 50 anni, con un’età media di 36 anni. Secondo uno studio danese, la fascia d’età varia dai 19 ai 66 anni.
Eziologia e patogenesi
Nonostante le cause rimangano sconosciute, secondo alcuni studi, il sierotipo HLA-B52 sembra essere responsabile della comparsa dell’arterite di Takayasu. Sono stati descritti, in letteratura, anche un caso di Tubercolosi attiva in una ragazza di 16 anni ed un’infezione da Epatite B in un uomo di 50 anni al momento della diagnosi. Al contrario, il sierotipo HLA-B511 non sembra essere associato ad una maggiore incidenza.
Attraverso i vasa vasorum, l’intima, la media e l’avventizia sono infiltrati da cellule infiammatorie (spesso di infiltrato granulomatoso) costituito da cellule killer naturali, cellule T CD4- e CD8-positive, cellule T gamma e delta, macrofagi e neutrofili. L’iperplasia dell’intima, la fibrosi e l’ispessimento della parete arteriosa provocano la perdita progressiva del diametro del lumen arteriale. Stenosi ed occlusione possono provocare ulteriori sintomi e complicazioni.
Anamnesi ed esame obiettivo
La presentazione clinica dell’arterite di Takayasu è eterogenea. Sotto i 50 anni è possibile riscontrare: claudicatio degli arti (peggioramento o de novo, perdita di peso > 2 kg, febbre leggera, stanchezza, sudorazione notturna, mialgia, artralgia, artrite, forte dolore addominale, infarto miocardico o angina e condizioni neurologiche come ictus, convulsioni (non ipertensive), sincope, vertigini, vertigini, amaurosi fugax o diplopia. Clinicamente è possibile evidenziare ampiezza differente tra 2 polsi arteriosi simmetrici, assenza di polso e/o soffio vascolare, ipertensione (>140/90 mm Hg), differenza (> 10 mm Hg) nella pressione sanguigna tra gli arti superiori e carotidodinia (nel 10%-30% al debutto). Inoltre, al momento della diagnosi, i sintomi più comuni riscontrati in 126 pazienti in uno studio statunitense sono stati:
stanchezza nel 54% dei casi;
stordimento nel 49%;
mal di testa al 45%;
claudicatio degli arti superiori nel 40%;
dolore al petto nel 39%;
artralgia o artrite nel 35%;
perdita di peso > 5 kg nel 36%;
mialgia al 19%;
sudorazioni notturne nel 19%;
claudicatio degli arti inferiori nel 18%;
dolore addominale nel 16%.
Il 30%-50% dei pazienti era asintomatico al debutto. Ulteriori sintomi possono includere difetti visivi (cecità, amaurosi, diplopia) così come la perdita visiva di un occhio nel 18% dei pazienti. Anche la dispnea correlata al coinvolgimento dell’arteria polmonare può essere un sintomo iniziale.
Poiché l’arterite può avere un impatto significativo sulla vita quotidiana, è opportuno chiedere se si riscontrano limitazioni nella capacità di lavorare, di far fronte alle responsabilità familiari o di godersi il tempo libero. Il 74% dei pazienti infatti, riferisce difficoltà nelle attività quotidiane, mentre il 23% non è in grado di lavorare.
Sorprendentemente, le manifestazioni cutanee variano a seconda della collocazione geografica del paziente. Con una frequenza riportata intorno al 2,8%-28% infatti, noduli infiammatori e lesioni simili all’eritema nodoso risultano più comuni in Europa ed in Nord America. Altre manifestazioni includono il fenomeno di Raynaud, la piodermite gangrenosa, i noduli necrotici o ulcerati, la livedo reticularis e la porpora. A livello della carotide o della succlavia si riscontrano a volte soffi vascolari. La carotidodinia è presente nel 10%-30% dei pazienti al momento della diagnosi e viene considerata elemento chiave nei pazienti sotto i 40 anni.
A livello cardiaco è presente il soffio tipico dell’Insufficienza Aortica o mitralica. Anche soffi addominali posso essere auscultati.
A livello delle estremità i polsi periferici possono essere deboli o assenti oppure asimmetricamente ridotti. L’insufficienza vascolare può palesarsi con estremità fredde ed un gradente pressorio > 10 mm Hg tra i due arti superiori, a volte accompagnato da soffio arterioso.
Diagnosi
La diagnosi di arterite di Takayasu è formulata sulla base di risultati clinici e paraclinici. La Lega Europea contro il reumatismo (EULAR) raccomanda di indirizzare tutti i pazienti con sospetta arterite ad un team di specialisti per un work-up diagnostico multidisciplinare. Il sospetto di arterite di Takayasu appare in pazienti con:
condizioni neurologiche come ictus, convulsioni (non ipertensive), sincope, vertigini, amaurosi fugace o diplopia.
I risultati clinici indicativi includono:
disuguaglianza tra i polsi periferici o perdita totale e/o soffi arteriosi (segni di presentazione più comuni);
ipertensione (>140/90 mm Hg);
differenza (> 10 mm Hg) nella pressione sanguigna tra gli arti superiori;
carotidodinia (nel 10%-30% al debutto).
Per i pazienti con sospetta arterite di Takayasu, la Lega Europea contro il reumatismo (EULAR) raccomanda il seguente approccio alla diagnostica per immagini:
utilizzare l’angiografia a risonanza magnetica (MRA) come prima scelta per la valutazione dell’infiammazione murale e/o del lumen per effettuare la diagnosi;
considerare l’uso dell’angiografia tomografica computerizzata (CTA), della tomografia ad emissione di positroni (PET) e/o degli ultrasuoni in via alternativa;
l’angiografia convenzionale non è raccomandata per la diagnosi.
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Immagine 01.Arterite di Takayasu con stenosi dell’arteria renale in paziente di 65 anni
Sono stati sviluppati vari criteri per definire l’arterite di Takayasu ai fini della ricerca, ma nella pratica clinica la diagnosi può essere fatta senza utilizzare criteri formali.
La Chapel Hill Consensus Conference del 2012 stabilisce l’arterite di Takayasu come un’arterite granulomatosa dell’aorta e dei suoi principali rami di insorgenza sotto i 50 anni. L’American College of Rheumatology l’ha definita invece come una patologia con insorgenza sotto i 40 anni, che si presenta con:
claudicatio delle estremità, in particolare di quelle superiori;
diminuzione del polso brachiale in una o in entrambe le arterie;
differenza di pressione sanguigna sistolica > 10 mm Hg tra le braccia;
soffio delle arterie succlavie o dell’aorta addominale;
arteriogramma anomalo (restringimento o occlusione dell’intera aorta, dei suoi rami primari o di grandi arterie nelle estremità superiori o inferiori prossimali, non dovuto ad arteriosclerosi, displasia fibromuscolare o cause simili; lesioni focali o segmentali).
La Lega Europea contro il reumatismo/reumatologia pediatrica, l’Organizzazione Internazionale di Sperimentazioni e la Società Europea di Reumatologia Pediatrica (EULAR/PRINTO/PRES), stabiliscono i criteri per la diagnosi dell’arterite di Takayasu infantile con:
anomalie angiografiche dell’aorta o delle sue principali ramificazioni;
aneurisma o dilatazione delle arterie polmonari;
mancanza di polso o claudicatio;
differenze di pressione sanguigna tra i 4 arti;
ipertensione;
soffi cardiaci;
esami ematici alterati nella fase acuta.
Gli Istituti nazionali per la salute (NIH) stabiliscono i criteri per quantificare l’attività della malattia nell’arterite di Takayasu. Si definisce dunque malattia attiva in presenza di ≥ 2 dei seguenti criteri tra:
presenza di sintomi sistemici come febbre e disturbi muscoloscheletali (senza nessun’altra causa identificata);
VES elevata;
caratteristiche di ischemia vascolare o infiammazione, come claudicatio, polso diminuito o assente, soffi cardiaci, carotidodinia, pressione sanguigna asimmetrica negli arti superiori o inferiori (o entrambi);
caratteristiche angiografiche tipiche;
Il monitoraggio non invasivo della malattia utilizzando il Birmingham Vasculitis Activity Score (BVAS) può essere utile nei pazienti con vasculite antineutrofila, citoplasmatica, anticorpo-associata, ma può essere meno sensibile nei pazienti con vasculiti di vasi di grandi dimensioni (come l’arterite di Takayasu).
Per quanto riguarda gli esami paraclinici, la risonanza magnetica per immagini (MRA) viene raccomandata come prima scelta. Altre opzioni alternative includono: l’angiografia tomografica computerizzata (CTA), l’ecografia e la tomografia ad emissione di positroni (PET). L’istologia non è solitamente parte dei criteri diagnostici a causa dei grandi vasi coinvolti, ma può rivelare:
ispessimento accidentale;
lesioni infiammatorie della vasa vasorum di media ed avventizia;
infiltrazione leucocitaria di tunica media e avventitia;
iperplasia dell’intima;
fibrosi di media ed intima.
L’angiografia è considerata il gold standard per la diagnosi, anche se è stata sostituita da altre tecniche ai fini della diagnosi iniziale.
I valori ematici nella fase acuta possono essere elevati, anche se la VES ed i livelli di proteina C reattiva (CRP) possono essere normali nonostante l’infiammazione delle pareti vascolari, per cui non è possibile escludere l’arterite di Takayasu.
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Immagine 02. Occlusione totale dell’aorta addominale nell’arterite di Takayasu
Terapia
L’approccio iniziale consiste in corticosteroidi ad alte dosi, spesso in combinazione con DMARDs (farmaci antireumatici) non biologici; per casi refrattari o recidivanti nonostante la terapia convenzionale DMARDs, può essere utilizzato il Tocilizumab o gli inibitori del fattore di necrosi tumorale (TNF). Come prima induzione alla remissione si dovrebbe considerare l’inizio immediato della terapia glucocorticoide ad alto dosaggio raccomandata con l’aggiunta di immunosoppressori al regime terapeutico. La dose iniziale è di 40-60 mg/giorno di prednisone o equivalenti. E’ possibile poi diminuire il dosaggio una volta ottenuto il controllo della malattia, mirando alla dose target di 15-20 mg/giorno entro 2-3 mesi o ≤ 10 mg/giorno dopo 1 anno. I corticosteroidi vengono indicati come efficaci per il trattamento dell’arterite di Takayasu, ma come terapia di mantenimento può essere necessario l’uso di un agente immunosoppressore. La Lega Europea contro il reumatismo (EULAR) raccomanda di somministrare DMARDs non biologici in combinazione con glucocorticoidi a tutti i pazienti.
Come prevenzione degli effetti negativi della terapia tutti i pazienti trattati con farmaci glucocorticoidi dovrebbero ricevere una protezione ossea per prevenire l’osteoporosi. Nei pazienti sottoposti a corticosteroidi od altre terapie immunosoppressive, è possibile considerare il vaccino contro lo pneumococco e l’influenza stagionale, così come quello anti-tubercolare. Inoltre si può considerare di fare una profilassi per la polmonite da Pneumocisti in ogni paziente con ≥ 20 mg/giorno di prednisone per > 1 mese o chiunque faccia una terapia immunosoppressiva.
Per il trattamento dei casi refrattari nonostante la terapia convenzionale DMARD, l’EULAR raccomanda di considerare l’uso del Tocilizumab o degli inibitori TNF. Per le recidive minori, si raccomanda di aumentare la dose di corticosteroidi almeno fino all’ultima dose efficace. In caso di recidiva maggiore invece, con segni o sintomi di ischemia, o di infiammazione vascolare progressiva, si consiglia di dosare la terapia glucocorticoide come se si trattasse di una nuova insorgenza della malattia. L’EULAR raccomanda anche di considerare l’uso del Tocilizumab o degli inibitori del TNF in pazienti con risposta inadeguata alla terapia convenzionale DMARDs. Gli antiaggreganti piastrinici possono essere considerati su base individuale, ma non sono consigliati di routine.
A volte la chirurgia vascolare ricostruttiva si rivela una metodica utile, sebbene gli interventi elettivi endovasculari debbano essere eseguiti durante un periodo di remissione stabile. Al contrario, una dissezione dei vasi arteriosi o l’ischemia vascolare critica rappresenta un’indicazione di immediato intervento operatorio. Un alto tasso di recidiva di stenosi è riportato sia dopo bypass vascolare che con angioplastica.
La Lega Europea contro il reumatismo (EULAR) raccoglie le inee guida del 2018 per la gestione della vasculite dei grandi vasi sanguigni. In generale dunque:
ai pazienti dovrebbe essere offerta un’assistenza ottimale, basata su una decisione condivisa tra paziente e reumatologo, considerando l’efficacia, la sicurezza e i costi del trattamento;
fornire ai pazienti l’accesso all’educazione sull’impatto della malattia, sui sintomi di avvertimento, sul trattamento e sulle complicazioni;
sottoporre a screening i pazienti alla ricerca di comorbidità correlate al trattamento e cardiovascolari; fornire profilassi e consigli sullo stile di vita per ridurre il rischio cardiovascolare e le complicanze correlate alla terapia;
iniziare la terapia glucocorticoide ad alto dosaggio (40-60 mg/giorno) per l’induzione della remissione nei pazienti con arterite di Takayasu attiva;
continuare con la stessa dose una volta che la malattia è controllata, fino ad un target di 15-20 mg/giorno entro 2-3 mesi e ≤ 10 mg/giorno dopo 1 anno;
somministrare DMARDs non biologici in combinazione con glucocorticoidi a tutti i pazienti;
considerare l’uso di inibitori del Tocilizumab o del fattore di necrosi tumorale (TNF) nei pazienti con malattia recidivante o refrattaria nonostante la terapia convenzionale DMARDs;
per le recidive minori, aumentare la dose di corticosteroidi almeno fino all’ultima dose efficace;
in caso di recidiva maggiore (con segni o sintomi di ischemia, o di infiammazione vascolare progressiva), trattare come se si fosse di fronte ad una nuova insorgenza di malattia;
prendere in considerazione l’avvio o la modifica di una terapia aggiuntiva, soprattutto dopo recidive di ricorrenti;
non utilizzare abitualmente la terapia antipiastrinica o anticoagulante se non indicato per altri motivi (come le cardiopatie coronariche); considerare l’uso in situazioni particolari, come nel caso di complicazioni ischemiche vascolari o di alto rischio di malattie cardiovascolari;
fare ricorso alla chirurgia per la dissezione dei vasi arteriosi o per l’ischemia vascolare critica; in alternativa è possibile eseguire interventi endovascolari elettivi o chirurgia ricostruttiva durante un periodo di remissione stabile;
seguire e monitorare regolarmente l’attività della malattia, sulla base dei sintomi, dei risultati clinici e dei livelli di VES e PCR.
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Immagine 03. In sezione ispessimento concentrico della carotide comune sinistra in paziente di 25 anni.