Dettagli
- Generalità
- Lussazioni e instabilità della spalla
- Lussazioni acromio-claveari
- Lussazioni del gomito
- Lussazioni del polso
- Lussazione dell’anca
- Lussazione della rotula
- Distorsioni e lesioni legamentose del ginocchio. Lesioni meniscali
- Distorsioni della tibio-tarsica
Lesioni traumatiche delle articolazioni
Generalità
- Le articolazioni sono le strutture di congiunzione delle ossa: oltre a permettere il movimento reciproco tra i diversi segmenti scheletrici, sono un elemento essenziale per garantire la stabilità del corpo in condizioni statiche e dinamiche (Box 01).
- Lesioni traumatiche a loro carico si possono tradurre in quadri di compromissione clinico-funzionale invalidanti, non solo in ambito sportivo, ma anche per la normale vita di relazione. Sollecitazioni traumatiche di diversa entità possono produrre un danno sulle strutture articolari così come modificare i rapporti spaziali tra i capi articolari. Le caratteristiche anatomo-funzionali delle singole articolazioni condizionano gli effetti prodotti dal trauma, predi-sponendo alcune sedi a una maggiore incidenza di lesioni.
- I quadri traumatici articolari includono le distorsioni e le lussazioni.
Distorsioni
- La distorsione è un trauma che sollecita l’articolazione oltre il limite normale o secondo piani diversi da quelli del movimento fisiologico, con possibile perdita temporanea e parziale dei rapporti articolari.
- Gli effetti di una distorsione sono assai variabili e, in base al danno prodotto sulle strutture capsulo-legamentose, si possono distinguere quattro gradi di gravità.
- Grado 0: consiste nella “distorsione” propriamente detta, in cui non si osserva alcun danno anatomico.
- Grado 1: si osserva una distrazione delle strutture capsulo-legamentose, senza interruzione della loro continuità.
- Grado 2: la rottura capsulo-legamentosa è parziale e si assiste a una reazione articolare per interessa-mento della membrana sinoviale.
- Grado 3: è caratterizzato da una lacerazione completa della struttura capsulo-legamentosa, che può essere interrotta nella sua porzione intermedia o disinserita a livello prossimale o distale; si associa a emartro.
- Un trauma distorsivo può produrre lesioni di altro tipo rispetto a quelle capsulo-legamentose: per esempio nei bambini è più facilmente causa di Distacchi epifisari o fratture, e nel ginocchio può determinare una rottura meniscale in assenza di un danno legamentoso significativo. Si comprende pertanto come la distorsione debba essere considerata un meccanismo traumatico piuttosto che un quadro patologico, quest’ultimo più propriamente definito in base a criteri anatomici.
Lussazioni
- La lussazione è la perdita completa e permanente dei rapporti tra due capi articolari. Si differenzia dalla sublussazione, in cui è conservato un contatto parziale tra le superfici articolari. La direzione della lussazione è determinata dallo spostamento del capo articolare distale: così, per esempio, nella lussazione anteriore del ginocchio è la tibia a dislocarsi anteriormente (Immagine 01).
- Le lussazioni traumatiche possono verificarsi se la forza lesiva vince la resistenza offerta dalle strutture di contenzione (capsula, legamenti, cercini articolari, superfici articolari ecc.), producendo un danno su di esse così come avviene nelle distorsioni gravi.
- In alcuni casi il traumatismo causa una concomitante frattura a carico di uno o entrambi i capi articolari, dando origine a una frattura-lussazione.
- I principi che guidano la terapia delle lussazioni in fase acuta sono semplici: è necessario eseguire la riduzione, ovvero ristabilire i normali rapporti articolari, nel più breve tempo possibile e immobilizzare l’articolazione in una posizione di stabilità.
- Il trattamento successivo sarà influenzato dal quadro anatomo-patologico e dalle caratteristiche del singolo paziente.
Immagine 01

Immagine 01. Quadro radiografico di una rara lussazione antero-mediale di ginocchio (destro): la direzione della lussazione è determinata dallo spostamento del capo articolare distale, in questo caso la tibia. Proiezione antero-posteriore (a); proiezione laterale (b).
Box 01
Classificazione delle articolazioni
- Le articolazioni possono essere ricondotte a due tipi fondamentali: le sinartrosi (o articolazioni per continuità) e le diartrosi (o articolazioni per contiguità).
- Sinartrosi: includono la sutura, la gonfosi, la sincondrosi, la sinostosi e l’anfiartrosi. Non permettono alcun movimento, a eccezione dell’anfiartrosi (per esempio, articolazioni intersomatiche vertebrali, sinfisi pubica) che consente spostamenti limitati.
- Diartrosi: sono le articolazioni che, per la loro costituzione, garantiscono una certa indipendenza alle ossa che le costituiscono. In base alla conformazione dei capi articolari si distinguono i seguenti tipi:
- artrodia, con superfici articolari piane (per esempio, l’articolazione acromio-claveare): permette movimenti di scivolamento;
- articolazione trocoide (o ginglimo laterale), con un segmento di cilindro che si adatta a una superficie concava (per esempio, le articolazioni radio-ulnari): permette il solo movimento di rotazione;
- articolazione trocleare (o ginglimo angolare), con un segmento di cilindro a forma di puleggia e una superficie concava percorsa da una cresta (per esempio, l’articolazione omero-ulnare): permette il movimento in flesso-estensione;
- articolazione condiloidea, con una superficie convessa ellissoide (condilo) e l’altra concava in modo corrispondente (per esempio, l’articolazione radio-carpica): permette movimenti in flesso-estensione, abduzione-adduzione, circumduzione;
- articolazione a sella, in cui ciascuna delle superfici articolari è convessa in un senso e concava nell’altro, con un incastro reciproco (per esempio articolazione trapezio-metacarpale): permette gli stessi movimenti dell’articolazione condiloidea;
- enartrosi, con un segmento di sfera che si adatta a una superficie più o meno concava (per esempio, spalla, anca): permette movimenti in tutte le direzioni.
Caratteristiche cliniche
- Un’articolazione che ha subìto una distorsione moderata o grave dà origine a un quadro sintomatologico caratterizzato da:
- dolore, evocabile con la palpazione nella sede di lesione capsulo-legamentosa;
- tumefazione, per versamento intrarticolare (idrartro o emartro, quest’ultimo a comparsa più precoce) o stravaso emorragico extrarticolare;
- eventuale lassità articolare, in caso di lacerazione completa di un uno o più compartimenti legamentosi; questo segno può essere di difficile valutazione in fase acuta a causa del dolore.
- I segni clinici di una lussazione sono più evidenti:
- il dolore è accompagnato da un atteggiamento di difesa con impossibilità pressoché completa a eseguire movimenti attivi e passivi;
- in caso di articolazioni a localizzazione superficiale, è apprezzabile l’alterazione del normale profilo anatomico (Immagine 02).
- L’esame radiografico deve sempre essere eseguito per escludere concomitanti lesioni scheletriche e, nel caso delle lussazioni, per verificare il ripristino dei normali rapporti articolari dopo la manovra di riduzione.
Immagine 02

Immagine 02. La tipica alterazione del profilo anatomico che si osserva nel soggetto magro con lussazione anteriore della spalla: l’acromion appare prominente per appiattimento della regione deltoidea (linea continua), normalmente arrotondata. La testa omerale è palpabile nella sede di dislocazione (linea tratteggiata).
Box 02
Articolazione scapolo-omerale
- L’articolazione scapolo-omerale (o gleno-omerale) è un’enartrosi caratterizzata da una marcata sproporzione tra le dimensioni dei capi articolari. La testa omerale ha infatti un’area circa 3 volte superiore a quella della cavità glenoidea, la cui superficie è peraltro quasi piatta. Tale configurazione condiziona un’instabilità “intrinseca” della spalla, necessaria a garantirne la più ampia mobilità nei diversi piani dello spazio.
- Il mantenimento dei normali rapporti scapolo-omerali dipende da diversi meccanismi, che entrano in gioco a stadi successivi.
- Sollecitazioni minime, come quelle prodotte dal peso dell’arto superiore per effetto della gravità, sono contrastate da meccanismi passivi quali la pressione intrarticolare negativa e il fenomeno di adesione-coesione tra i capi articolari.
- A forze dislocanti di maggiore intensità, esercitate dall’azione di potenti gruppi muscolari che agiscono sulla spalla (deltoide, grande pettorale, grande dorsale), viene invece a opporsi l’azione dinamica dei muscoli della cuffia dei rotatori, che mantengono depressa la testa omerale sulla glenoide.
- Infine, la resistenza agli stress massimali, come la violenta sollecitazione in abduzione-extrarotazione-estensione a cui la spalla può essere sottoposta in occasione di una caduta, è affidata all’apparato capsulo-legamentoso e non può prescindere da una normale configurazione dei capi ossei.
Principi di terapia
- Le distorsioni non devono essere sottovalutate, come avviene di frequente. Lo scopo della terapia è quello di favorire la guarigione delle strutture capsulo- legamentose lesionate in modo da recuperarne l’efficienza funzionale. Questo può essere conseguito con l’immobilizzazione in tutori o apparecchi gessati per un periodo variabile tra le 2 e le 4 settimane a seconda della sede. In alcuni casi il danno anatomo-patologico è tale da richiedere la terapia chirurgica, con interventi riparativi o ricostruttivi da eseguire in fase acuta o una volta recuperata la funzione articolare.
Complicanze
- Complicanze immediate includono le lesioni vascolo-nervose e miotendinee osservabili in associazione ad alcune lussazioni (per esempio la lesione del nervo sciatico nelle lussazioni posteriori dell’anca e la rottura della cuffia dei rotatori nelle lussazioni della spalla in età non giovanile).
- Le più frequenti complicanze tardive sono:
- la rigidità articolare, conseguente a periodi di immobilizzazione troppo prolungati;
- l’instabilità, ovvero la tendenza cronica alla perdita dei rapporti articolari, per un danno capsulo- legamentoso permanente.
Lussazioni e instabilità della spalla
- La spalla è l’articolazione in cui la perdita dei rapporti articolari si verifica con maggiore frequenza (Box 02). La lussazione (o la sublussazione) scapolo-omerale può rappresentare un evento isolato, ma in genere tende a riprodursi nel tempo, configurando un quadro di instabilità. L’instabilità della spalla è una condizione che comprende quadri anatomo-clinici diversi, tutti caratterizzati da un’insufficiente contenzione della testa omerale nella cavità glenoidea della scapola.
Lussazioni
- La lussazione della spalla può essere causata da traumi a bassa energia (per esempio le cadute accidentali) e ad alta energia (per esempio gli incidenti motociclistici). Si tratta comunque di sollecitazioni che agiscono con un meccanismo indiretto sull’articolazione, essendo trasmesse da impatti su porzioni più distali dell’arto superiore. La testa omerale è forzata all’esterno per effetto di un’azione di leva o per il superamento delle resistenze capsulo-legamentose ai massimi gradi del movimento.
Classificazione e quadri anatomo-clinici
- In base alla direzione della fuoriuscita della testa omerale dalla cavità glenoidea, la lussazione della spalla può essere anteriore, inferiore o posteriore.
- LUSSAZIONE ANTERIORE È il tipo di gran lunga più frequente, nella quale la testa omerale si disloca di regola al di sotto della coracoide (Immagine 03) a seguito di una sollecitazione in abduzione, rotazione esterna e estensione di grado variabile (Immagine 07). Oltre al dolore e all’impotenza funzionale dell’arto, il quadro clinico è caratterizzato dall’alterazione del profilo anatomico, con appiattimento della regione deltoidea e prominenza dell’acromion (segno della spallina) (Immagine 02).
- Alla palpazione, l’estremità prossimale dell’omero può essere apprezzata in sede mediale, soprattutto eseguendo una cauta mobilizzazione. L’esame radiografico, oltre a dirimere i dubbi diagnostici, consente di identificare eventuali fratture associate: nelle lussazioni anteriori queste includono il distacco del trochite, la frattura da compressione postero-laterale della testa omerale, la cosiddetta lesione di Hill-Sachs (Immagine 04), e la frattura di una porzione più o meno estesa del margine anteriore della glena scapolare. Per una migliore definizione delle lesioni scheletriche è preferibile eseguire anche una TC della spalla.
- LUSSAZIONE INFERIORE (SOTTOGLENOIDEA) Il meccanismo patogenetico è analogo a quello della lussazione anteriore, con una maggiore spinta della testa omerale in senso inferiore. Può caratterizzarsi per un atteggiamento in abduzione irriducibile della spalla, e in questo caso è anche definita erecta (Immagine 05).
- LUSSAZIONE POSTERIORE Soprattutto se conseguente a traumi di una certa intensità, è più spesso associata a fratture da compressione della porzione antero-mediale della testa omerale (lesione di Hill-Sachs inversa). La testa omerale viene forzata in direzione posteriore a spalla atteggiata in flessione e adduzione. Un segno clinico patognomonico è rappresentato dal blocco della rotazione esterna della spalla, un reperto che non si associa ad altre lussazioni o fratture, e che deve essere sempre ricercato. Lo studio radiografico richiede particolare attenzione: infatti la lussazione posteriore è spesso misconosciuta con una singola proiezione antero-posteriore, mentre è di facile identificazione con una visione ascellare e/o laterale della scapola (Immagine 06).
Immagine 03

Immagine 03. Lussazione gleno-omerale anteriore: la testa omerale è dislocata al di sotto della coracoide (a). Lussazione gleno-omerale antero-inferiore: in questo caso l’epifisi prossimale dell’omero entra in contatto con il margine glenoideo antero-inferiore; non è presente un atteggiamento coatto in abduzione della spalla come avviene nella lussazione erecta (si veda Immagine 05) (b).
Immagine 04

Immagine 04. Meccanismo patogenetico della lesione di Hill-Sachs nella lussazione anteriore di spalla. Il margine glenoideo anteriore determina un’infossatura del versante postero-laterale della testa omerale (a). La lussazione anteriore prosegue: aumenta l’ampiezza del difetto della testa omerale (b). La persistenza dell’infossatura dopo la riduzione è causa di instabilità e predispone alla recidiva della lussazione (c).
Immagine 05

Immagine 05. Lussazione inferiore della spalla destra con blocco in abduzione del braccio (lussazione erecta): la testa omerale (*) appare dislocata al di sotto della glenoide (>).
Immagine 06

Immagine 06. Lussazione posteriore della spalla destra. Rx in proiezione antero-posteriore: la perdita dei rapporti articolari è di difficile riconoscimento a causa della sovrapposizione dei capi articolari (a). Rx in proiezione ascellare; la testa omerale appare incastrata al margine glenoideo posteriore. Questa situazione rende impossibile il movimento in rotazione esterna della spalla (b). * = testa omerale; < = glenoide; -> = processo coracoideo.
Immagine 07

Immagine 07. Test dell’apprensione per l’instabilità anteriore: la spalla è forzata in abduzione (A), rotazione esterna (B) ed estensione (C).
Tabella 01
T = Traumatic: lussazione o sublussazione traumatica in anamnesi
U = Unilateral: la testa omerale si disloca in un’unica direzione
B = Bankart: presenza di una lesione di Bankart
S = Surgery: necessità di terapia chirurgica
Tabella 02
A = Atraumatic: insorta senza alcun epiSodio traumatico
M = Multidirectional: la testa omerale si disloca in più direzioni
B = Bilateral: tende a manifestarsi in entrambe le spalle
R = Rehabilitation: la terapia iniziale consiste nella fisio-kinesiterapia
I = Inferior capsule: in caso di terapia chirurgica è necessario intervenire sulla porzione inferiore della capsula
Immagine 08

Immagine 08. Segni di lassità legamentosa generalizzata. Iperestensione dell’indice (a). Iperabduzione del pollice a polso flesso (b).
Complicanze
- Le complicanze delle lussazioni di spalla includono le lesioni neuro-vascolari e la rottura della cuffia dei rotatori.
- LESIONI NEURO-VASCOLARI Il nervo ascellare (o circonflesso) è la struttura più frequentemente interessata. Un possibile danno a suo carico deve essere ricercato in maniera sistematica mediante la valutazione dell’attività contrattile del muscolo deltoide e della sensibilità cutanea nella zona sovrastante. La paralisi post-traumatica del nervo ascellare è fortunatamente transitoria nella massima parte dei casi e la ripresa di una normale attività neuro-muscolare deve essere verificata mediante l’esecuzione di ripetuti esami elettromiografici.
- Il nervo radiale e quello muscolo-cutaneo vengono lesionati con minore frequenza rispetto al nervo ascellare. La lesione dell’arteria circonflessa anteriore si verifica per strappamento dalla sua origine dall’arteria ascellare. In alcuni casi può essere richiesto un trattamento chirurgico d’urgenza per tamponare la conseguente emorragia.
- ROTTURA DELLA CUFFIA DEI ROTATORI Questa complicanza interessa i soggetti oltre i 40 anni d’età, poiché l’indebolimento su base degenerativa di questi tendini agisce come fattore predisponente. La lussazione rappresenta spesso il fattore responsabile dell’aggravamento di una rottura preesistente della cuffia. Il danno tendineo deve essere ricercato con l’esame clinico e confermato con un’ecografia o, preferibilmente, con una RM della spalla eseguita in tempi brevi.
Terapia
- La riduzione di una lussazione gleno-omerale può verificarsi in modo spontaneo subito dopo il trauma ma, se questo non si verifica, deve essere eseguita nel più breve tempo possibile. Le manovre necessarie per ripristinare i normali rapporti articolari possono essere tentate a paziente sveglio, ma sono praticate in modo più agevole e meno traumatico dopo sedazione. La riduzione può essere realizzata con la trazione dell’arto, la rotazione della spalla e la spinta diretta sulla testa omerale, praticate e combinate in modo diverso a seconda dei casi. Una volta ridotta, la spalla deve essere immobilizzata per un periodo di tempo variabile in relazione al numero di lussazioni pregresse e all’età del paziente. Nel caso di primo epiSodio traumatico in un soggetto giovane, è preferibile protrarre la tutela dell’arto superiore per 3 settimane al fine di favorire la guarigione delle strutture capsulo-legamentose lesionate. Il periodo di immobilizzazione può essere ridotto in caso di lussazioni recidivanti e deve essere comunque ridotto nei pazienti oltre i 50 anni, per evitare l’insorgenza di rigidità articolari di difficile risoluzione.
- È necessario un programma di riabilitazione in due fasi (mobilizzazione e potenziamento muscolare) per il recupero di una normale funzionalità della spalla.
Instabilità
- L’instabilità di spalla è un’affezione cronica, caratterizzata dalla tendenza alla perdita dei rapporti articolari scapolo-omerali.
Classificazione e quadri anatomo-clinici
- Tra le varie classificazioni proposte, quella che meglio si adatta alla pratica clinica si basa sulla patogenesi della condizione e prevede una distinzione in forme post-traumatiche e forme atraumatiche. Questa dicotomia è in realtà una semplificazione, poiché la patologia da instabilità è rappresentata da uno spettro di quadri morbosi, in cui un fattore acquisito (trauma o microtraumi ripetuti) può agire su un fattore costituzionale (lassità capsulo-legamentosa) nel causare l’insorgenza della sintomatologia. Per riassumere il quadro anatomo-clinico delle principali forme di instabilità, sono stati proposti dagli autori di lingua anglosassone due acronimi, TUBS e AMBRI (Tabelle 18.1 e 18.2).
- INSTABILITÀ TUBS È anteriore nel 95% dei casi. La diagnosi viene di regola posta con facilità, anche in base alla semplice raccolta anamnestica. La valutazione del primo epiSodio di lussazione riveste particolare importanza per identificare la natura traumatica della condizione: una sollecitazione violenta, la difficoltà nella riduzione e un dolore persistente per qualche giorno sono tutti elementi che aiutano a individuare la patogenesi della condizione.
- Con il ripetersi degli episodi di dislocazione scapolo-omerale, la perdita dei rapporti articolari tende a verificarsi con maggiore facilità e frequenza. I pazienti sono più spesso asintomatici nei periodi compresi tra una lussazione e l’altra, ma alcuni possono lamentare dolore ogni volta che pongono il braccio in una posizione “a rischio”.
- Nell’instabilità anteriore, questa è rappresentata da una combinazione di abduzione, rotazione esterna ed estensione (Immagine 07); in quella posteriore dall’adduzione a spalla flessa con una spinta in senso antero-posteriore. Anche la contrazione di alcuni gruppi muscolari, primi tra tutti gli adduttori (grande pettorale e grande dorsale), possono favorire la fuoriuscita della testa omerale dalla cavità glenoidea.
- INSTABILITÀ AMBRI In questo tipo di instabilità un ruolo patogenetico di primaria importanza è svolto da un fattore costituzionale: l’eccessiva lassità capsulo-legamentosa, che può essere localizzata alla sola spalla oppure generalizzata.
- Su questa condizione predisponente possono agire traumi di diversa entità o microtraumi ripetuti (per esempio in atleti con reiterate sollecitazioni alle spalle, come nel nuoto, nella pallavolo ecc.) che possono scatenare o aggravare la sintomatologia. La spalla tende a dislocarsi in una direzione prevalente, ma mostra un’eccessiva mobilità in tutte le direzioni.
- Alcuni pazienti sono in grado di lussare o sublussare la spalla in modo volontario, rendendo vano qualsiasi intervento terapeutico in assenza di una rieducazione comportamentale.
Esame clinico
- Oltre a una valutazione globale della funzionalità articolare, l’esame clinico della spalla instabile include manovre semeiologiche che possono essere distinte in due gruppi principali.
- Test provocativi o di apprensione, volti a riprodurre il meccanismo di dislocazione provocando una reazione di difesa o disagio da parte del paziente. La manovra più tipica è rappresentata dalla sollecitazione combinata in abduzione/extrarotazione/estensione per l’instabilità anteriore (si veda Immagine 07).
- Test di valutazione della lassità capsulo-legamentosa, volti a evidenziare un’eventuale condizione di instabilità multidirezionale. Tra queste sono da ricordare:
- segno del solco: comparsa di una depressione in sede subacromiale a seguito della trazione esercitata verso il basso su braccio addotto;
- cassetto anteriore/posteriore: eccessiva traslazione della testa omerale sotto la spinta diretta in avanti e indietro da parte dell’esaminatore;
- valutazione dei quattro parametri indicativi di lassità legamentosa generalizzata: iperestensione dell’indice, iperabduzione del pollice a polso flesso, recurvato (iperestensione) del gomito e del ginocchio (Immagine 08).
Diagnosi per immagini
- Nella diagnostica per immagini dell’instabilità, lo studio radiografico tradizionale è indispensabile per l’inquadramento iniziale del problema. Alcune proiezioni permettono di evidenziare alterazioni scheletriche indicative per una patogenesi traumatica della condizione:
- proiezione antero-posteriore con la spalla in intrarotazione per la lesione di Hill-Sachs (Immagine 09);
- proiezione ascellare o proiezione di West-Point per la frattura del margine glenoideo anteriore e inferiore.
- Mentre l’ecografia non trova alcuna indicazione nell’instabilità, l’artro-TC e/o l’artro-RM sono indispensabili per definire le lesioni a carico dei tessuti molli articolari (apparato capsulo-legamentoso, cercine glenoideo) e impostare di conseguenza il programma terapeutico (Immagine10 e 11).
Terapia
- La terapia dell’instabilità di spalla è fortemente influenzata dal quadro anatomo-clinico che si deve trattare. In termini generali si può dire che l’instabilità TUBS necessita di trattamento chirurgico, mentre l’instabilità AMBRI, almeno in fase iniziale, necessita di un approccio riabilitativo.
- Gli interventi chirurgici descritti per la stabilizzazione della spalla sono moltissimi, ma possono essere distinti in due grandi gruppi in considerazione della modalità con cui si corregge la condizione:
- procedure che prevedono la riparazione o la correzione delle alterazioni anatomiche alla base del quadro morboso (approccio “eziologico”); di questa categoria fa parte l’intervento di Bankart, in cui si esegue la riparazione del cercine glenoideo a cielo aperto o in artroscopia (Box 03);
- procedure volte alla creazione di meccanismi stabilizzatori che sostituiscono quelli normalmente preposti al controllo dei rapporti articolari (approccio “sintomatico”); di questo gruppo fa parte l’intervento di Bristow-Latarjet, in cui il processo coracoideo della scapola viene sezionato e trasposto sul margine glenoideo anteriore.
- Il trattamento riabilitativo prevede invece il potenziamento di alcuni gruppi muscolari (cuffia dei rotatori) e il miglioramento della biomeccanica del cingolo scapolare per compensare l’insufficiente stabilizzazione della spalla offerta dall’apparato capsulo-legamentoso. Questo tipo di approccio è preferibile nei casi in cui non sia possibile riconoscere alterazioni di natura traumatica alla base dell’instabilità.
Immagine 09

Immagine 09. Lesione di Hill-Sachs (->): è la frattura da compressione della porzione postero-laterale della testa omerale, che si verifica a seguito di una lussazione anteriore della spalla.
Immagine 10

Immagine 10. Quadri artro-TC nell’instabilità anteriore di spalla. Lesione di Bankart: il cercine glenoideo non è più riconoscibile al margine glenoideo anteriore (->), mentre invece è ancora ben definito in sede posteriore (>). Il mezzo di contrasto liquido che si spande sul collo della scapola testimonia la disinserzione della capsula dall’osso (<<) (a). Frattura parcellare del margine anteriore della glenoide, mcosiddetta lesione di Bankart ossea (bony Bankart). Il piccolo frammento libero è dislocato di pochi millimetri (->) con alterazione del normale profilo della glena (b). Quadro di lassità capsulo-legamentosa senza evidenti lesioni traumatiche. Il cercine è ancora ben definito in sede anteriore (->) e la capsula articolare, seppure distesa per lassità, non appare disinserita dal collo della scapola (<<) (c).
Immagine 11

Immagine 11. Instabilità anteriore post-traumatica della spalla destra. Artro-RM che mostra la disinserzione del legamento gleno-omerale medio (->) e della capsula dal margine glenoideo e dal collo scapolare (*) (a). Quadro intraoperatorio dello stesso paziente durante l’intervento chirurgico di stabilizzazione: la superficie ossea del collo scapolare (*) non appare ricoperta dall’apparato capsulo-legamentoso che è divaricato medialmente (->). La superficie articolare della glena presenta un aspetto normale (>), mentre la testa omerale non è visibile perché ricoperta dal divaricatore all’esterno (§) (b).
Lussazioni acromio-claveari
- Le lesioni traumatiche dell’articolazione acromio-claveare sono frequenti; interessano in modo prevalente i giovani adulti (seconda-quarta decade di vita) con una predilezione per il sesso maschile.
- Il meccanismo di lesione è diretto: per caduta sulla spalla atteggiata in adduzione, l’impatto produce una sollecitazione che tende a dislocare l’acromion verso il basso.
Classificazione
- La classificazione delle lesioni acromio-claveari si basa sul grado di dislocazione dei capi articolari e sul danno legamentoso (Box 04) (Immagine 12).
- Tipo I: i rapporti articolari sono normali, con semplice distrazione dei legamenti acromio-claveari.
- Tipo II: sublussazione acromio-claveare, con rottura dei legamenti acromio-claveari e integrità (o rottura parziale) di quelli coraco-claveari.
- Tipo III: lussazione franca, con interruzione completa sia dei legamenti articolari sia di quelli extra-articolari.
Quadro clinico
- Il quadro clinico delle lussazioni è di facile identificazione, per la deformità del profilo anatomico causato dalla prominenza sottocutanea dell’estremità laterale della clavicola. La pressione su quest’ultima (segno del tasto di pianoforte) e la spinta dal gomito verso l’alto possono ridurre la lussazione, che tuttavia tende a ripresentarsi non appena si lascia l’arto libero.
- Le lesioni di tipo I e II sono meno evidenti e possono essere sospettate per la presenza di dolore in sede acromio-claveare, esacerbato dalla palpazione.
Diagnostica per immagini
- L’esame radiografico permette di differenziare queste lesioni dalle fratture dell’estremità laterale della clavicola. L’esecuzione di una proiezione ascellare è necessaria per valutare l’entità dello spostamento della clavicola sul piano orizzontale.
- L’integrità dei legamenti coraco-claveari, nei casi dubbi, può essere valutata con una radiografia antero-posteriore comparativa sotto stress: applicando dei pesi (5-10 kg) ai polsi del paziente, si valuta lo spostamento tra coracoide e clavicola a livello del lato leso e di quello controlaterale, registrandone la differenza.
Terapia
- La terapia delle lesioni acromio-claveari è per lo più conservativa, con tutela dell’arto in tasca reggibraccio fino alla risoluzione del dolore (2-3 settimane). Le lussazioni più gravi, soprattutto in soggetti con elevate richieste funzionali, richiedono il trattamento chirurgico (Immagine 13).
- Indipendentemente dalla terapia praticata, la formazione di ossificazioni eterotopiche nello spazio coraco-claveare è frequente, ma non comporta alcuna conseguenza clinico-funzionale.
Immagine 12

Immagine 12. Classificazione delle lesioni acromio-claveari: la violenza del trauma condiziona l’entità dello spostamento dei capi articolari e del danno legamentoso. Lesione di tipo I: distrazione dei legamenti acromio-claveari (a). Lesione di tipo II: sublussazione con rottura dei legamenti acromio-claveari e integrità, totale o parziale, dei legamenti coraco-claveari (b). Lesione di tipo III: lussazione con rottura di tutte le strutture legamentose stabilizzanti (c).
Immagine 13

Immagine 13. Trattamento chirurgico di lussazione acromio-claveare. Quadro radiografico della lesione (a). Radiografia postoperatoria: la riduzione me la stabilizzazione dell’articolazione acromio-claveare msono ottenute con l’impiantom di una vite coracoclaveare (b).
Box 03
Lesione di Bankart
- Il labbro o cercine glenoideo è un anello fibro-cartilagineo che si inserisce sul bordo della glena lungo tutta la sua circonferenza. Oltre ad aumentare la profondità e l’area della superficie articolare, questa struttura rappresenta il punto di ancoraggio per la capsula e i legamenti gleno-omerali sulla scapola.
- La lesione di Bankart consiste nello strappamento del labbro glenoideo dalla sua inserzione a seguito di una lussazione traumatica della spalla. La perdita di ancoraggio del cercine, in sede anteriore e inferiore, compromette la normale funzionalità dell’apparato capsulo-legamentoso, dando origine a un quadro di instabilità. Lo strappamento del labbro può associarsi a una frattura del margine glenoideo: in questo caso si parla dilesione di Bankart ossea (bony Bankart).
- La lesione di Bankart deve essere studiata con esami contrastografici (artro-TC o artro-RM), tecniche di imaging che prevedono l’iniezione in articolazione di liquidi e/o di aria per meglio delineare il profilo delle strutture articolari (si vedano Immagine 10 e 11).
Box 04
Legamenti dell’articolazione acromio-claveare
- L’articolazione acromio-claveare è un’artrodia, la cui stabilità dipende dall’integrità di due gruppi di legamenti:
- legamenti articolari o acromio-claveari (superiore e inferiore): rinforzano la capsula e stabilizzano i capi articolari sul piano orizzontale;
- legamenti extrarticolari o coraco-claveari (trapezoide e conoide): originano dalla coracoide e si inseriscono sulla superficie inferiore del quarto laterale della clavicola, stabilizzando l’articolazione sul piano frontale.
Lussazioni del gomito
- Sebbene il gomito sia dotato di un’elevata stabilità intrinseca, le lussazioni di questa articolazione sono frequenti. Queste lesioni hanno la loro massima incidenza in età giovanile per traumi sportivi, ma possono anche essere osservate nella popolazione anziana a seguito di cadute. L’associazione con fratture dei capi articolari è frequente.
Lussazioni posteriori
- Sono le più frequenti e si verificano per caduta sulla mano a gomito esteso (analogamente a quanto avviene nelle fratture sovracondiloidee di omero), con generazione di spinte e leve che forzano l’olecrano al di fuori della troclea. Di regola si osserva la lussazione combinata di ulna e radio, ma non è eccezionale la lussazione isolata dell’ulna. In associazione si possono riscontrare:
- lesioni del legamento collaterale ulnare (o frattura dell’epitroclea nei bambini), che testimoniano una concomitante sollecitazione traumatica in valgo del gomito;
- fratture della coronoide e del capitello radiale, che possono rendere la lussazione particolarmente instabile, con spiccata tendenza alla perdita dei rapporti articolari nell’estensione del gomito (Immagine 14). In caso di associazione della lussazione con entrambe queste fratture si parla anche di triade terribile del gomito.
- Il dolore, la deformità, la tumefazione e l’impotenza funzionale caratterizzano il quadro clinico, ma la conferma diagnostica si ha con l’esame radiografico, mediante il quale è anche possibile evidenziare o sospettare lesioni scheletriche associate.
- Per quanto riguarda il trattamento, prima di procedere alla riduzione della lussazione è di primaria importanza valutare lo stato vascolo-nervoso dell’arto. Le strutture più vulnerabili sono rappresentate dall’arteria brachiale (bisogna valutare i polsi radiale e ulnare, oltre che la perfusione della mano), dai nervi mediano e ulnare. Il grado di facilità della riduzione, oltre che dal quadro anatomo-patologico, è influenzato dal tempo intercorso dal trauma. Una volta ridotto, il gomito viene immobilizzato in flessione per un periodo breve, in genere non superiore alle 2 settimane, per evitare una rigidità post-traumatica. Lesioni instabili e/o associate a fratture possono richiedere il trattamento chirurgico, previo approfondimento diagnostico con TC.
- La formazione di calcificazioni o di ossificazioni eterotopiche in sede anteriore (muscolo brachiale) e mediale (legamento collaterale ulnare) non è infrequente, ma solo in pochi pazienti assume rilevanza clinica.
Lussazioni anteriori
- Sono rare e conseguono a traumi diretti sul versante posteriore dell’avambraccio prossimale, associandosi più spesso a fratture dell’olecrano come fratture-lussazioni.
- L’esame clinico richiede un’attenta valutazione dello stato vascolo-nervoso anche in queste lesioni.
- In presenza di frattura, è necessario ricorrere all’osteo-sintesi chirurgica dell’olecrano.
Sublussazione anteriore del capitello radiale
- È una lesione tipica dei bambini piccoli (la massima incidenza è a 2-3 anni), descritta anche con il termine di pronazione dolorosa. La sublussazione si verifica a seguito di una sollecitazione in trazione longitudinale sull’arto superiore, per esempio trattenendo o sostenendo il bambino per la mano in modo vigoroso. Il trauma determina una lesione parziale del legamento anulare, che scivola verso l’alto nell’articolazione omero-radiale, dislocando anteriormente il capitello.
- Oltre all’indagine anamnestica, i segni clinici da ricercare sono: l’atteggiamento in pronazione dell’avambraccio, l’esclusione funzionale dell’arto e il dolore provocato dai tentativi di mobilizzazione in supinazione.
- L’esame radiografico spesso non offre alcun elemento utile ai fini diagnostici.
- La riduzione della sublussazione può essere eseguita mediante una manovra di supinazione e flessione del gomito, con una sensazione palpatoria di scatto al ripristino dei normali rapporti articolari.
Altre lussazioni del gomito
- LUSSAZIONI MEDIALI E LATERALI Si caratterizzano per la traslazione mediale o laterale di ulna e radio rispetto all’omero distale, senza dislocazione in senso antero-posteriore. Clinicamente il gomito presenta un aspetto slargato e all’esame radiografico la grande incisura sigmoidea dell’ulna non appare centrata sulla troclea omerale, con spostamento consensuale del capitello radiale.
- LUSSAZIONE DIVERGENTE In questa rara lesione, il radio e l’ulna si dislocano in direzioni opposte. Sono state descritte due varianti: una antero-posteriore e una medio-laterale.
- LUSSAZIONE DEL CAPITELLO RADIALE In presenza di questa lesione deve essere sempre ricercata una concomitante frattura dell’ulna per escludere la presenza di una lesione di Monteggia, molto più frequente rispetto alla lussazione isolata del radio.
Immagine 14

Immagine 14. Frattura-lussazione posteriore del gomito. La freccia indica un voluminoso frammento della coronoide, responsabile di una marcata instabilità articolare.
Lussazioni del polso
- Le lussazioni del polso sono costituite per la quasi totalità dalle lussazioni e fratture-lussazioni perilunari del carpo. Si tratta di lesioni relativamente rare, caratterizzate dalla completa perdita di contatto tra la testa del capitato e la superficie articolare distale del semilunare.
- Si possono distinguere tre gruppi di lesioni:
- lussazioni perilunari dorsali;
- fratture-lussazioni perilunari dorsali;
- lussazioni perilunari volari.
- Rappresentano nel complesso circa il 5% delle lesioni traumatiche del carpo e consistono nella maggioranza dei casi in fratture-lussazioni. In più della metà dei casi è presente una frattura scomposta dello scafoide localizzata al terzo medio dell’osso con decorso trasversale. Le lussazioni perilunari volari sono lesioni molto rare e costituiscono meno del 3% del totale delle lussazioni del polso.
- Le lussazioni perilunari colpiscono in prevalenza adulti giovani di sesso maschile; sono causate da traumi ad alta energia, quali incidenti motociclistici o precipitazioni dall’alto. Riconoscono un meccanismo di lesione indiretto, che consiste per le lussazioni dorsali in un’iperestensione del polso associata a una contemporanea sollecitazione in deviazione ulnare e supinazione.
- Le lussazioni perilunari sono così definite in quanto localizzate in un’area relativamente vulnerabile intorno al semilunare (Box 05), che comprende anche la porzione prossimale dello scafoide, del capitato e del piramidale.
- Le lesioni legamentose pure sono definite anche lesioni dell’arco minore, e quelle associate a fratture delle ossa carpali lesioni dell’arco maggiore (Immagine 15).
Fisiopatologia
- Le lussazioni perilunari si realizzano secondo un meccanismo comune a tutte le lesioni legamentose del polso, definito instabilità perilunare progressiva, che evolve in quattro stadi (Immagine 17).
- Stadio I: dissociazione scafo-lunata o frattura dello scafoide. La violenta iperestensione del polso è trasmessa allo scafoide dai legamenti intercarpici volari; il semilunare è invece trattenuto dai legamenti radio-lunati (lungo e breve), cosicché il legamento interosseo scafo-lunato, sottoposto a una violenta torsione, può essere lacerato o avulso a partire dalla sua porzione volare fino alla completa dissociazione scafo-lunata. Se il polso si trova in inclinazione radiale al momento del trauma, anche il polo prossimale dello scafoide risulta tenacemente trattenuto dai legamenti radio-carpici, e il meccanismo dell’instabilità perilunare progressiva può in tali casi prendere il via con la frattura dello scafoide.
- Stadio II: lussazione luno-capitata. La prosecuzione dell’azione lesiva può determinare la traslazione dorsale della filiera distale con lussazione del capitato rispetto al semilunare, per lacerazione della capsula volare in corrispondenza dello spazio di Poirier.
- Stadio III: dissociazione luno-piramidale o frattura del piramidale. La traslazione dorsale del capitato produce la violenta tensione del legamento intercarpico teso tra uncinato, piramidale e capitato (porzione ulnare del legamento arcuato) (si veda Immagine 16b), che produce la traslazione dorsale del piramidale stesso. Ciò può determinare la rottura del legamento interosseo luno-piramidale o la frattura del piramidale.
- Stadio IV: lussazione del semilunare. Non è un’entità a sé, bensì lo stadio finale di una lussazione perilunare e si verifica nel 16% dei casi. La riduzione spontanea della lussazione può provocare una traslazione volare del semilunare stesso, che ruota sul legamento radio-lunato integro ma, se anche questo si lacera, il semilunare può venire enucleato all’interno del tunnel carpale.
Classificazione
- Witvoet e Allieu hanno proposto una classificazione in tre tipi che considera lo stato dei legamenti radio-carpici che stabilizzano il semilunare e ne consentono l’irrorazione sanguigna. Ha il vantaggio di considerare le alterazioni vascolari che influenzano l’evoluzione del semilunare lussato.
- Tipo I. I legamenti dorsali e volari sono intatti e il semilunare conserva rapporti normali con il radio; l’apporto vascolare è conservato e non esiste rischio di necrosi. La maggior parte delle fratture-lussazioni rientra in questo tipo.
- Tipo II. I legamenti dorsali sono lesi e il semilunare, con fulcro sui legamenti volari intatti, può ruotare sull’asse trasversale. Il fenomeno è evidente sul piano sagittale, e fa sì che sulle radiografie in proiezione laterale le due filiere appaiano “a cavallo” sul radio. La rotazione anteriore della superficie articolare distale del semilunare può andare da pochi gradi fino a 270°; i legamenti volari sono indenni anche nei casi con maggiore scomposizione se sulle radiografie in proiezione laterale il corno anteriore dell’osso rimane adiacente al margine volare del radio. La necrosi del semilunare rimane poco frequente.
- Tipo III. Entrambi i legamenti sono lesi, il semilunare è enucleato e destinato alla necrosi.
- Herzberg ha proposto una classificazione radiografica che considera (Immagine 18):
- il decorso della lesione sulla radiografia dorso-volare, distinguendo lussazioni e fratture-lussazioni perilunari (con scafoide integro o transcafoidee);
- la dislocazione del capitato sulla radiografia laterale, distinguendo uno stadio I con semilunare in sede e capitato lussato (dorsale o volare), e uno stadio II con lussazione del semilunare (volare o dorsale).
Quadro clinico
- L’anamnesi rivela in genere una trauma violento; spesso il paziente è un politraumatizzato e l’attenzione sul polso può essere distolta dalla gravità delle condizioni generali e/o dallo stato di incoscienza. Se a ciò si aggiunge il fatto che spesso non c’è un’evidente deformità del polso, ma piuttosto una tumefazione con dolorabilità diffusa, si comprende come queste lesioni possano rimanere non di rado misconosciute. L’esame obiettivo deve comprendere, oltre alla ricerca di aree elettive di dolorabilità alla palpazione e alla misurazione dell’escursione articolare del polso, un attento esame neurologico: una sofferenza del nervo mediano o ulnare può essere dovuta a una contusione al momento del trauma o a una successiva compressione da parte di strutture ossee lussate o dell’ematoma raccolto all’interno del tunnel carpale.
Diagnostica per immagini
- L’esame radiografico in urgenza deve includere due proiezioni ortogonali del polso: dorso-volare e laterale vera. In condizioni normali, nella proiezione dorso-volare si osservano 3 linee parallele corrispondenti al margine prossimale e distale della filiera prossimale e al margine prossimale della filiera distale, definite archi di Gilula. Lo scompaginamento di tali archi, con sovrapposizione dei profili del capitato e del semilunare, esprime un’alterazione dei rapporti reciproci tra le due filiere. In caso di lussazione perilunare dorsale, il semi-lunare assume una forma triangolare con apice distale, espressione della rotazione dell’osso in flessione che proietta distalmente il suo corno dorsale. La proiezione laterale consente una pronta diagnosi, mostrando lo spostamento del capitato rispetto al semilunare e l’orizzontalizzazione dello scafoide.
- Due ulteriori proiezioni oblique costituiscono un completamento essenziale delle indagini dopo una lesione acuta del polso: sono utili per evidenziare eventuali lesioni associate delle ossa carpali.
- La TC del polso può essere utile nell’interpretare la dislocazione dei capi articolari e la scomposizione di eventuali frammenti di frattura, al fine di pianificare il trattamento chirurgico in caso di lesione complessa.
Lesioni associate
- È frequente l’associazione con fratture da avulsione della stiloide radiale o ulnare.
- Le lesioni del nervo mediano si osservano soprattutto nelle lussazioni inveterate e interessano quasi 1/3 dei casi; ne è causa il restringimento del tunnel carpale occupato dal semilunare spinto in avanti dal capitato. I sintomi di tipo irritativo o deficitario sono talora motivo della diagnosi di una lussazione inizialmente misconosciuta.
Terapia
- LUSSAZIONI PERILUNARI DORSALI Un tentativo di riduzioneincruenta con immobilizzazione in apparecchio gessato è sempre indicato in fase acuta. La manovra di riduzione deve essere preceduta da una trazione continua di circa 10 minuti; al termine di tale periodo, mantenendo la trazione longitudinale, si estende il polso con una mano mentre il pollice dell’altra mano appoggiato sulla superficie volare del polso mantiene il semi-lunare ridotto rispetto al radio; una graduale flessione del polso consente al capitato di scavalcare il margine dorsale del semilunare ottenendo così il ripristino dei normali rapporti articolari.
- Dopo tale manovra, difetti di riduzione al controllo radiografico sono quasi la regola. Se nella proiezione dorso-volare la distanza tra scafoide e semilunare supera i 3 mm, o nella proiezione laterale l’angolo scafo-lunato supera gli 80°, ciò indica la persistenza di una sublussazione rotatoria dello scafoide, la cui mancata correzione si associa a un cattivo risultato. La dimostrazione che anche gli spostamenti secondari sono molto frequenti e si associano costantemente a cattivi risultati a distanza, ha favorito il ricorso sempre più frequente al trattamento chirurgico.
- Se le condizioni generali del paziente controindicano un trattamento chirurgico entro 1 o 2 settimane dal trauma, per ottenere e mantenere la riduzione possono essere utilizzati fili di Kirschner percutanei (Immagine 19).
- Il trattamento chirurgico consente di valutare con maggiore precisione il danno anatomico, con la possibilità di diagnosticare e trattare eventuali lesioni condrali associate, di ridurre più accuratamente le ossa carpali e di eseguire la sutura diretta dei legamenti e della capsula. Dopo l’intervento è necessario un periodo di immobilizzazione variabile tra 4 e 8 settimane.
- In presenza di segni clinici di compressione del nervo mediano, nelle lesioni recenti la semplice riduzione della lussazione ne consente in genere la risoluzione immediata. L’apertura del tunnel carpale al momento dell’intervento non appare influenzare il recupero del nervo e pertanto questo gesto chirurgico non si impone in urgenza.
- LUSSAZIONI TRANS-SCAFO-PERILUNARI DORSALI L’indicazione al trattamento chirurgico è assoluta. La frattura dello scafoide è infatti altamente instabile e deve essere trattata chirurgicamente. Il trattamento incruento è gravato da un’incidenza altissima di pseudoartrosi dello scafoide. L’accesso dorsale consente l’ampia esposizione delle ossa della prima filiera e la riduzione della frattura dello scafoide, asportando eventuali tessuti molli interposti tra i frammenti. La frattura viene sintetizzata con una vite o con fili di Kirschner; la procedura è completata dalla stabilizzazione con filo di Kirschner luno-piramidale (Immagine 20). L’immobilizzazione postoperatoria è simile a quella già descritta per le lussazioni pure, ma è prolungata fino a 8-12 settimane in caso di sintesi dello scafoide con fili.
- LUSSAZIONI INVETERATE MISCONOSCIUTE Un discorso a parte merita il trattamento di queste lussazioni, il cui numero è molto elevato, rappresentando una percentuale compresa tra il 16% e il 60%. Si considerano inveterate dopo 3 settimane dal trauma, e sono diagnosticate spesso dopo circa 2 mesi dal trauma per il persistere di dolore alla mobilizzazione del polso, rigidità del polso e delle dita e sintomi di compressione del nervo mediano all’interno del tunnel carpale.
- Il punto cruciale è il limite di tempo entro il quale la riduzione cruenta della lussazione è ancora possibile: si ritiene che sia di 3 mesi. L’esperienza mostra che il ritardo nel trattamento è un fattore importante di deterioramento dei risultati. Nel caso di irriducibilità della lussazione o del riscontro intraoperatorio di alterazioni degenerative delle ossa carpali, è preferibile ricorrere a interventi palliativi, come la resezione della prima filiera o l’artrodesi del polso.
Box 05
Anatomia legamentosa del polso
- Il fatto che le lussazioni del carpo si localizzino in genere in sede perilunare dipende dall’anatomia dei legamenti del polso.
- Il legamento radio-lunato breve, che fa parte dei legamenti estrinseci radio-carpici profondi, origina dal margine antero-mediale della superficie articolare del radio e va a inserirsi sulla faccia volare del semilunare insieme al legamento ulno-lunato; stabilizza tenacemente il semilunare impedendogli di lussarsi dorsalmente nei traumi da iperestensione del polso. Al contrario, lo spazio di Poirier, compreso tra il semilunare e il capitato, rappresenta un’area di minore resistenza ed è in tale sede che si realizzano le lussazioni perilunari. Si tratta di uno spazio triangolare delimitato prossimalmente dal margine distale del legamento radio-lunato lungo che si inserisce sul semilunare, e distalmente dalla porzione terminale dei legamenti radio-capitato e ulno-capitato che convergono verso la superficie volare del grande osso, formando il cosiddetto “legamento a V” distale (Immagine 16a).
Immagine 15

Immagine 15. Arco maggiore e arco minore.
Immagine 16

Immagine 16. Legamenti volari del polso. In grigio sono evidenziati: i legamenti radio- e ulno-capitato (a); il legamento intercarpico teso tra uncinato, piramidale e capitato e i legamenti radio-lunato breve e ulno-lunato (b). * = legamento a V distale; § = radio-lunato lungo.
Immagine 17

Immagine 17. Instabilità perilunare progressiva.
Immagine 18

Immagine 18. Classificazione di Herzberg.
Immagine 19

Immagine 19. Lussazione perilunare pura: quadro radiografico preoperatorio (a); controllo intraoperatorio dopo riduzione e stabilizzazione con fili di Kirschner percutanei (b).
Lussazione dell’anca
- L’anca è un’articolazione intrinsecamente stabile; per determinarne la lussazione è necessario un trauma ad alta energia (da incidente stradale, sul lavoro o dello sport) in pazienti adulti.
- Le lussazioni dell’anca possono essere associate a fratture dell’acetabolo o, meno frequentemente, a fratture della diafisi femorale o ad altre fratture nei pazienti politraumatizzati.
- La lussazione provoca la lacerazione del legamento rotondo, della capsula e dei vasi intracapsulari, alla quale si possono associare lesioni da impatto della cartilagine articolare.
Classificazione
- La classificazione delle lussazioni dell’anca si basa sulla direzione e sulla posizione assunta dalla testa femorale. Si distinguono:
- lussazioni posteriori: iliaca e ischiatica;
- lussazioni anteriori: pubica e otturatoria.
Quadro clinico
- È dominato dal dolore e dall’impotenza funzionale, con limitazione pressoché completa dell’articolarità, anche passiva.
- L’atteggiamento assunto dall’arto traumatizzato è influenzato dalla direzione della lussazione (Immagine 21):
- nelle lussazioni posteriori l’anca si presenta più (ischiatica) o meno (iliaca) flessa, intrarotata e addotta;
- nelle lussazioni anteriori l’anca è extrarotata e abdotta.
- In entrambi i casi l’arto appare accorciato rispetto al controlaterale.
- La testa del femore può essere palpabile posteriormente o anteriormente in fossa iliaca.
Diagnostica per immagini
- Una radiografia del bacino, eventualmente associata a una proiezione assiale dell’anca, è in genere sufficiente a formulare la diagnosi. La riduzione ottenuta va documentata con un ulteriore controllo radiografico.
- In caso di sospette fratture associate (ciglio o parete acetabolare) o di riduzione incompleta (per possibile interposizione di frammenti) è indicata l’esecuzione di una TC.
Complicanze
- Possibili complicanze immediate locali sono rappresentate da lesioni e compressioni vascolo-nervose, in particolare a carico di:
- nervo sciatico nelle lussazioni posteriori;
- nervo femorale o vasi iliaci nelle lussazioni anteriori.
- La sofferenza vascolo-nervosa va ricercata durante l’esame obiettivo e descritta; nel caso si sviluppasse dopo la riduzione è da sospettare un’incarcerazione, con necessità di ricorrere alla liberazione chirurgica. Un eventuale deficit neurologico può impiegare fino a 6-12 mesi per la risoluzione spontanea.
- Una complicanza generale e precoce può essere lo shock traumatico, soprattutto in caso di politraumatismo, mentre le complicanze locali tardive includono:
- la necrosi asettica della testa del femore, che è tanto più frequente quanto maggiore è il tempo trascorso tra la lussazione e la riduzione; si manifesta in genere entro il primo anno, ma è stata riscontrata, sebbene raramente, anche a 10-20 anni di distanza dall’evento traumatico;
- la coxartrosi post-traumatica.
Terapia
- La lussazione dell’anca va ridotta d’urgenza, in quanto è dimostrato che l’incidenza della necrosi asettica della testa del femore aumenta con l’aumentare del tempo trascorso tra la lussazione e la riduzione.
- Il paziente va sottoposto ad anestesia generale e, con opportune manovre progressive e senza strappi, alla testa del femore va fatta ripercorre la stessa strada attraverso cui si è lussata fino ad avvertire lo scatto di riduzione. In virtù dell’ottima stabilità intrinseca dell’anca non sono necessarie tutele post-riduzione; l’instabilità cronica è eccezionale.
- In rari casi, l’anca appare irriducibile e richiede quindi una riduzione chirurgica.
Immagine 20

Immagine 20. Frattura-lussazione trans-scafoidea: quadro radiografico preoperatorio (a); radiografie postoperatorie dopo trattamento con fili di Kirschner e vite in compressione per l’osteosintesi dello scafoide (b).
Immagine 21

Immagine 21. Atteggiamento dell’arto inferiore nella lussazione dell’anca: nella lussazione anteriore (destra) appare abdotto ed extraruotato (a); nella lussazione posteriore (sinistra) è flesso, addotto e intraruotato (b).
Lussazione della rotula
- La femoro-rotulea, come altre articolazioni, può subire una lussazione acuta a causa di un trauma efficiente, più frequentemente diretto; la lussazione è sempre laterale e in più del 10% dei casi residua una instabilità secondaria che determina nuovi episodi di lussazione. L’instabilità primitiva della femoro-rotulea rappresenta una ben più frequente entità nosologica, sulla base di una predisposizione anatomica; ha andamento evolutivo e, nella forma conclamata, è caratterizzata da lussazioni esterne recidivanti che, dopo un primo epiSodio (determinato da un trauma, quasi sempre distorsivo e di modesta entità), si manifestano in più dell’80% dei casi.
- Di norma il primo epiSodio di lussazione si manifesta nell’adolescenza; tra gli sportivi predilige i maschi, nella popolazione generale le femmine. Sono frequenti la familiarità e, ancor di più, la bilateralità.
Eziopatogenesi
- Pur se raramente, un trauma efficiente può determinare la lussazione di una femoro-rotulea normale; più spesso è un trauma modesto a provocare la lussazione di una rotula già instabile. Nella maggior parte dei casi il meccanismo traumatico è indiretto e consiste in una distorsione in valgismo ed extrarotazione con arto in carico. Varie sono le concause di instabilità: la displasia della troclea femorale (la più frequente), la displasia della rotula, la rotula alta, il malallineamento dell’apparato estensore (per valgismo o difetti torsionali del femore), lo sbilanciamento dei legamenti alari, l’insufficienza del vasto interno e l’iperlassità generalizzata (Box 06).
Anatomia patologica
- Dopo una lussazione acuta, la capsula articolare mediale, il legamento alare interno e il legamento femoro-rotuleo interno sono lacerati; a questo si può associare la disinserzione del tendine del vasto interno dalla rotula. Nei casi cronici, i tessuti molli mediali sono allungati e allentati, mentre quelli laterali sono retratti.
- In caso di displasia, la troclea può presentare una ridotta profondità o un appiattimento fino ad assumere un profilo convesso con associata ipoplasia del condilo laterale. Anche la rotula può essere normale o, in vario grado, displasica: oltre all’ipoplasia, si evidenzia la riduzione della cresta fino alla scomparsa della stessa (Immagine 22).
- In oltre il 50% dei casi si repertano lesioni osteocondrali e condropatia; tali rilievi sono tanto meno frequenti quanto maggiore è la displasia.
Quadro clinico
- Si distinguono diversi quadri:
- l’instabilità, caratterizzata da vago dolore anteriore e da una mal definita sensazione di cedimento riferiti al ginocchio;
- la sublussazione, in cui gli stessi sintomi, accompagnati dalla sensazione di instabilità, sono più chiaramente riferiti alla rotula;
- la lussazione acuta, determinata per lo più da una distorsione in valgismo-extrarotazione, si presenta con vivo dolore anteriore, ematoma mediale e marcata limitazione funzionale;
- la lussazione recidivante, la più comune, caratterizzata da episodi di lussazione che si ripetono a distanza di mesi o settimane per sollecitazioni sempre meno intense in flessione, valgismo ed extrarotazione;
- la lussazione abituale, contraddistinta da una maggiore frequenza di episodi, fino alla costante lussazione a ogni flessione, anche fuori carico (lussazione volontaria);
- la lussazione permanente, in cui è impossibile la riduzione.
- L’esame obiettivo deve essere sempre bilaterale. Con il paziente in ortostatismo si valutano l’allineamento dell’arto, l’angolo Q (si veda Immagine 37) e il trofismo del quadricipite. A paziente supino, dopo aver saggiato il tono del quadricipite, si ricercano dinamicamente le cause di instabilità rotulea valutando:
- lo scorrimento rotuleo da 0° alla flessione completa;
- la lateralizzazione e l’inclinazione della rotula in estensione e a 30° di flessione Immagine 23);
- la presenza del segno dell’apprensione (tipica reazione di difesa alla lateralizzazione);
- la presenza di lassità legamentosa generalizzata.
Immagine 37

Immagine 37. La posizione della rotula sul piano frontale è la risultante di quattro vettori (a): i due diretti all’esterno e all’interno coincidono rispettivamente con il legamento alare esterno (LAE) e con il legamento alare interno (LAI); quello diretto alla spina iliaca anterosuperiore (SIAS), che coincide con il quadricipite, e quello diretto alla tuberosità tibiale (TT), che coincide con il tendine rotuleo, determinano l’angolo Q (b). Un aumento patologico di tale angolo si può evidenziare per aumentato valgismo del femore e/o della torsione tibiale esterna (c).
Diagnostica per immagini
- L’esame strumentale di prima istanza è costituito dalla radiografia in due proiezioni e in proiezione assiale a 45°. Il radiogramma in laterale, oltre a valutare l’altezza della rotula (si veda Immagine 38), evidenzia il fondo della troclea e il suo rapporto con il profilo anteriore dei condili (Immagine 24). La proiezione assiale, oltre a documentare fratture marginali parcellari della rotula o del condilo esterno, consente la misurazione di vari parametri: l’angolo del solco, l’angolo di congruenza, l’angolo femoro-rotuleo, la lateralizzazione della rotula (si veda Immagine 39).
- La TC, necessaria per lo studio completo della torsione femorale e tibiale, consente di valutare eventuali fratture, i parametri femoro-rotulei già descritti, l’inclinazione laterale della troclea (Immagine 25a,b), la profondità della troclea, la differenza di altezza tra i due condili (Immagine 25c,d) e la lateralizzazione della tuberosità tibiale rispetto alla troclea (valore normale: 10-15 mm).
- La RM, oltre a consentire tutte le misurazioni già dette, evidenzia le lesioni dei tessuti molli (capsula, legamento alare e legamento femoro-rotuleo interni; tendine del vasto interno) e le lesioni osteocondrali (condropatia, lesioni cartilaginee, fratture parcellari, edema midollare da impatto).
Immagine 38

Immagine 38. La posizione della rotula sul piano sagittale, valutata con il metodo di Insall-Salvati su radiografie in proiezione laterale, si esprime come rapporto tra lunghezza del tendine rotuleo e lunghezza della rotula (a). Valori superiori a 1,2 individuano una rotula alta (b).
Immagine 39

Immagine 39. La posizione della rotula sul piano coronale può essere valutata su radiografie assiali o su sezioni TC o RMN coronali: l’angolo del solco (a) si determina tra le due rette che intersecano il punto più basso della troclea (S) e i due punti più prominenti dei condili femorali mediale (M) e laterale (L); l’angolo di congruenza (b) è definito dalla bisettrice dell’angolo del solco (B-S) e dalla retta congiungente il punto più basso della rotula con il punto più basso della troclea (A-S); l’inclinazione rotulea è definita dall’angolo femoro-rotuleo (c), individuato dalla tangente alla faccetta rotulea laterale e dalla tangente ai due punti più prominenti dei condili femorali; la lateralizzazione (d) è espressa come distanza tra due rette perpendicolari alla tangente ai due punti più prominenti dei condili femorali e tangenti rispettivamente il punto più mediale della rotula e il punto più prominente del condilo femorale mediale.
Terapia
- Di norma, dopo il primo episodio, la rotula si riduce spontaneamente; il trattamento in acuto è incruento e prevede l’immobilizzazione in estensione per 4 settimane, seguita da un periodo di riabilitazione con potenziamento selettivo del vasto interno.
- Nelle forme recidivanti, abituali e permanenti la terapia è cruenta e si prefigge:
- la riparazione delle strutture lese: reinserzione del tendine del vasto interno, ritensionamento della capsula e del legamento alare interno, ricostruzione del legamento femoro-rotuleo interno;
- il trattamento eziologico delle patologie predisponenti: riallineamento rotuleo prossimale (plastica del compartimento interno e del vasto interno), distale (trasposizione mediale della tuberosità tibiale) o combinato, osteotomie femorali correttive dell’asse o del vizio di torsione, trocleoplastica.
Box 06
L’articolazione femoro-rotulea
- L’articolazione femoro-rotulea è intrinsecamente instabile nonostante la presenza di stabilizzatori passivi (morfologia ossea, capsula mediale, legamento alare interno e legamento femoro-rotuleo interno) e attivi (muscolo vasto interno, che con la sua obliquità di 50-60° esercita un’azione medializzante sulla rotula). La normale morfologia della troclea femorale (Immagine 22a) consente lo scorrimento guidato della rotula contrastando le forze lateralizzanti fisiologiche o patologiche (aumento dell’angolo Q, del valgismo o dell’antiversione del femore). La faccetta trocleare laterale è più ampia in senso prossimale e più prominente in sede anteriore; essa si confronta con la faccetta rotulea laterale, anch’essa più ampia. La porzione intermedia della troclea è la più profonda ed accoglie la cresta rotulea. Lungo l’arco di movimento 0-30°, il vasto interno e il compartimento capsulo-legamentoso interno garantiscono la stabilità della rotula che è lievemente lateralizzata (per effetto dell’angolo Q). Oltre i 30°, di flessione la rotula si impegna nella troclea che ne guida lo scorrimento: il contatto diretto con il condilo laterale mantiene la rotula centrata.
Immagine 22

Immagine 22. Rispetto alla normale morfologia (a), vengono schematicamente rappresentati vari gradi di displasia femoro-rotulea: ridotta profondità della troclea e ipoplasia della rotula (b), appiattimento della troclea e riduzione della cresta rotulea (c), troclea convessa, ipoplasia del condilo laterale e scomparsa della cresta rotulea (d). La congruenza e la stabilità dell’articolazione sono proporzionalmente inverse al grado di displasia. L = laterale, M = mediale.
Immagine 23

Immagine 23. A 30° di flessione, la rotula può di norma essere lateralizzata di uno (a) o due (b) quarti rispetto alla propria larghezza. In caso di instabilità si raggiungono i tre (c) o quattro (d) quarti evocando frequentemente il segno dell’apprensione, una vivace reazione di difesa da parte del paziente che percepisce l’imminente lussazione.
Immagine 24

Immagine 24. Disegni che riproducono radiografie del ginocchio in proiezione laterale con perfetta sovrapposizione dei condili femorali. Il fondo della troclea (->) si trova in sede posteriore rispetto al profilo anteriore dei condili (<-) (a) e appare in continuità con la corticale anteriore del femore (—), il cui prolungamento interseca il profilo dei condili (b). In caso di displasia della troclea il profilo anteriore dei condili è più arretrato e, nelle forme più gravi, si sovrappone a quello della troclea (c).
Immagine 25

Immagine 25. Disegni che riproducono scansioni assiali di TC o RM. L’inclinazione laterale della troclea si determina come angolo tra la tangente al margine posteriore dei condili e la tangente al profilo della faccetta laterale della troclea (a); un valore <11° è indicativo di displasia (b). La profondità della troclea, calcolata sottraendo l’altezza della troclea (T) alla semisomma dell’altezza dei due condili (L + M), è di norma 5 mm (c); tale valore è ridotto in caso di displasia (d). La differenza di altezza tra i due condili (L – M) normalmente è 3 mm (c); valori inferiori o negativi sono segno di displasia (d).
Immagine 26

Immagine 26. Un trauma in varismo agisce sul compartimento legamentoso esterno per trazione e su quello interno per compressione (a); un trauma in valgismo agisce in maniera opposta (b). Una componente torsionale può determinare il contemporaneo coinvolgimento del compartimento centrale (c).
Immagine 27

Immagine 27. L’iperestensione (a) o l’iperflessione (b) possono produrre lesioni del compartimento centrale. L’LCP è più frequentemente leso per traumi diretti che determinano la retroposizione della tibia (c).
Immagine 28

Immagine 28. In una sezione trasversale di un menisco si distinguono una zona più periferica (a) detta “muro meniscale” che corrisponde all’inserzione del menisco alla capsula articolare, una porzione vascolarizzata (b) rappresentata dal terzo esterno del menisco e una porzione completamente avascolare (c) che corrisponde ai due terzi centrali del menisco.
Immagine 29

Immagine 29. In sezione trasversale le lesioni meniscali possono assumere vari aspetti: disinserzione murale (a), lesione verticale nella zona periferica vascolarizzata (b), lesione verticale nella zona interna avascolare (c), lesione orizzontale (d), lesione chiusa (e), lesione complessa (f).
Immagine 30

Immagine 30. Osservando la superficie superiore di un menisco, le lesioni verticali decorrono in senso longitudinale o radiale. Le lesioni longitudinali possono localizzarsi nella zona del muro meniscale, nel terzo esterno (a) o lungo i due terzi centrali (b); è possibile la cosiddetta rottura “a manico di secchio”, che può lussarsi (c), così come la formazione di un lembo (d), anch’esso suscettibile di lussazione (e). Meno frequentemente le lesioni verticali hanno decorso radiale (f). Le lesioni complesse presentano molteplici linee di rottura con vario decorso (g). Il menisco discoide completo (h) rappresenta una rara anomalia congenita.
Box 07
L’artroscopia
- L’artroscopia è la tecnica endoscopica che, attraverso incisioni di pochi millimetri e sotto la guida di un sistema ottico collegato a una telecamera e a un monitor, permette di visualizzare, diagnosticare e trattare le patologie articolari mediante l’impiego di strumenti manuali e motorizzati dedicati.
- Si deve a Takagi il primo approccio endoscopico a un’articolazione: nel 1918 utilizzò un cistoscopio per ispezionare il ginocchio di un cadavere e nel 1933 ideò il primo artroscopio. Nel 1959 Watanabe introdusse il prototipo dei moderni artroscopi, il cui uso rimaneva ancora limitato alla diagnostica. Negli anni Settanta, grazie a Johnson che elaborò i primi strumenti a motore, nacque la chirurgia artroscopica. Da allora la tecnologia si è rapidamente evoluta e sono aumentate le indicazioni e i tipi di procedura: dal ginocchio si è passati alla spalla, alla caviglia, al gomito, all’anca e al polso.
Immagine 31

Immagine 31. Disegno che illustra le aree di inserzione dei menischi e dei legamenti crociati sul piatto tibiale. L = laterale, M = mediale.
Immagine 32

Immagine 32. Rappresentazione schematica dei tunnel ossei realizzati per la ricostruzione dell’LCA in visione anteroposteriore (a) e laterale (b).
Immagine 33

Immagine 33. Rappresentazione schematica dei tunnel ossei realizzati per la ricostruzione dell’LCP in visione anteroposteriore (a) e laterale (b).
Distorsioni e lesioni legamentose del ginocchio. Lesioni meniscali
- Traumi distorsivi del ginocchio di varia natura (in varismo, in valgismo, torsionali ecc.) possono causare lesioni legamentose, meniscali o cartilaginee: tali strutture articolari possono essere interessate in modo isolato o in varia combinazione tra loro. Poiché la lesione meniscale non ha capacità spontanea di riparazione, la porzione di menisco lesionata determina un traumatismo iterativo a carico della cartilagine articolare. Analogamente, la lesione completa di un legamento non è suscettibile di guarigione spontanea, determinando una instabilità che favorisce ulteriori distorsioni con rischio di amplificazione del danno meniscale, legamentoso e cartilagineo. Entrambi questi meccanismi possono portare all’insorgenza di un’artrosi secondaria.
Epidemiologia
- La distorsione del ginocchio è frequente, soprattutto nella pratica sportiva; nell’ambito di alcuni sPORT (sci, calcio, pallacanestro e pallavolo) rappresenta oltre un terzo dei traumi. Le lesioni capsulo-legamentose che ne conseguono hanno la massima incidenza durante la seconda e terza decade di vita con un rapporto M:F di 3:1.
- Le lesioni dei menischi, con un rapporto tra l’interno (MI) e l’esterno (ME) di 10:2, costituiscono la conseguenza più frequente di una distorsione del ginocchio. L’incidenza annua della lesioni meniscali è pari a 7 casi ogni 10.000 persone con rapporto M:F di 3,5:1; l’associazione con lesioni legamentose acute è frequente. Nel maschio, la massima incidenza delle lesioni da trauma efficiente si riscontra tra la terza e la quarta decade di vita, nella femmina tra la seconda e la terza; dopo tale fascia di età prevalgono le lesioni di tipo degenerativo.
- Le lesioni del legamento collaterale mediale (LCM) e del legamento collaterale laterale (LCL) possono presentarsi senza predilezione di sesso con due picchi di incidenza nella terza e sesta decade di vita. Sono frequentemente associate alla lesione del menisco corrispondente, più di rado di quello opposto. La lesione dell’LCM è quella di più frequente riscontro e rappresenta il 40-45% di tutte le lesioni legamentose del ginocchio, mentre l’LCL è coinvolto nel 15-20% dei casi.
- La lesione del legamento crociato anteriore (LCA) si riscontra nel 25-30% dei casi; è relativamente rara nella popolazione generale (incidenza 3:10.000) nel cui ambito interessa maggiormente il sesso maschile (rapporto M:F pari a 2:1) con incidenza massima tra la seconda e la terza decade di vita. Negli sportivi si verifica con frequenza maggiore, con interessamento prevalente del sesso femminile (rapporto F:M pari a 2:1). A una lesione acuta dell’LCA si associa con maggiore frequenza una lesione del ME mentre nei casi di instabilità cronica dell’LCA sono prevalenti le lesioni del MI.
- La lesione del legamento crociato posteriore (LCP) è meno frequente (15-20%); in due terzi dei casi è dovuta a incidenti del traffico (trauma da cruscotto).
Eziopatogenesi
- Il meccanismo traumatico è più frequentemente indiretto.
- La forza agisce per lo più sul piano frontale in varismo (sollecitando l’LCL e il ME in trazione e il MI in compressione) o in valgismo (sollecitando l’LCM e il MI in trazione e il ME in compressione) oppure sul piano torsionale in intrarotazione (spesso associata al varismo) o in extrarotazione (spesso associata al valgismo, sollecitando anche l’LCA) (Immagine 26).
- Con minore frequenza, la forza agisce sul piano sagittale in iperestensione (sollecitando l’LCA o l’LCP) o in iperflessione (sollecitando il corno posteriore dei menischi, l’LCP o l’LCA); più raramente un trauma diretto sul piano sagittale può sollecitare l’LCP, retroponendo la tibia (Immagine 27).
- A carico del menisco, le sollecitazioni di taglio inducono lesioni a decorso orizzontale, mentre le forze in compressione determinano lesioni verticali.
Anatomia patologica
- Le lesioni meniscali possono essere classificate in base a:
- topografia: nella maggior parte dei casi interessano isolatamente il corno posteriore o si estendono al 1/3 posteriore e al 1/3 medio del corpo;
- localizzazione: possono decorrere nel contesto della zona di inserzione alla capsula (“muro”) o nella zona più periferica, entrambe vascolarizzate, oppure nella porzione avascolare che corrisponde ai 2/3 interni (Immagine 28);
- decorso: si distinguono lesioni verticali, orizzontali e complesse (Immagine 29 e 30);
- sede: di norma la lesione è a tutto spessore o comunque si apre all’esterno, meno frequentemente è chiusa (si veda Immagine 29).
- Le lesioni complesse prevalgono nei soggetti in età più avanzata, nei quali la fibrocartilagine meniscale appare macroscopicamente degenerata e può essere sede di calcificazioni. In alcuni casi (più frequentemente in corrispondenza del ME) si osserva una cisti parameniscale a contenuto mucoide che, originando da una lesione che raggiunge il muro meniscale, si estrinseca verso l’esterno. La presenza di alcune anomalie congenite quali mega corno anteriore, menisco discoide incompleto, completo o perforato, favorisce la lesione del ME.
- Le lesioni legamentose possono presentarsi con differente gravità:
- grado 1: solo un minimo contingente di fibre è leso nel contesto di una struttura che conserva l’integrità anatomica per cui, dal punto di vista funzionale, non vi è instabilità;
- grado 2: la lesione della maggior parte delle fibre determina una discontinuità anatomica con conseguente moderata instabilità;
- grado 3: la lesione totale del legamento determina un’instabilità marcata.
- La lesione dell’LCA è, nella quasi totalità dei casi, di grado 3; spesso può essere confusa con una lesione parziale in quanto il moncone, disinserendosi in sede prossimale, si reinserisce all’LCP senza che ciò migliori la stabilità.
- Spesso si osservano lesioni cartilaginee associate che possono essere sia primitive (determinatesi al momento del trauma iniziale), sia secondarie a una lesione meniscale e/o a una condizione di instabilità; la loro frequenza infatti è maggiore nelle lesioni inveterate, con evolutività verso l’artrosi secondaria.
Quadro clinico
- Un’anamnesi accurata consente di ricostruire il meccanismo traumatico, indirizzando il sospetto di lesione su specifiche strutture articolari. Bisogna tuttavia considerare che l’elevata frequenza di lesioni associate (meniscali, legamentose multiple e cartilaginee) può determinare quadri sintomatologici multiformi. Segno comune e sempre presente nelle lesioni croniche è l’ipotrofia del muscolo quadricipite.
- In caso di lesione meniscale, la sintomatologia soggettiva non è di grande ausilio: il dolore infatti può essere riferito sia all’emirima corrispondente al menisco leso sia ad altre sedi. Possono essere inoltre riportati:
- tumefazione articolare;
- cedimenti articolari (in realtà si tratta di pseudocedimenti su base antalgica);
- sensazione di scatto o di blocco articolare in semi-flessione (temporanea impossibilità a muovere il ginocchio cui si accompagna vivo dolore). Entrambi i sintomi sono su base meccanica: un lembo o un manico di secchio possono mobilizzarsi bruscamente producendo uno scatto ovvero possono lussarsi e interporsi tra femore e tibia determinando un blocco articolare.
- L’esame obiettivo è caratterizzato da:
- ballottamento rotuleo, presente nel 50% dei casi, segno di un versamento endoarticolare che più probabilmente avrà le caratteristiche dell’idrartro (liquido sinoviale chiaro non contenente sangue) qualora si esegua l’artrocentesi;
- ridotta articolarità, su base antalgica o meccanica (per la presenza di un blocco o di un versamento che distende la capsula articolare);
- dolore evocato dalla palpazione dell’emirima femoro-tibiale interessata, dall’iperestensione e dall’iperflessione;
- positività del test di Apley: a paziente prono con ginocchio a 90° l’esaminatore esercita una forza assiale rispetto alla tibia e compie una intrarotazione e successivamente una extrarotazione evocando dolore in corrispondenza di una delle emirime articolari;
- positività del test di Steinman: a paziente supino con ginocchio a 90° l’esaminatore, agendo sul piede, imprime in successione un’intrarotazione e un’extrarotazione, evocando dolore a carico dell’emirima corrispondente al menisco leso;
- positività del test di Mc Murray: a paziente supino il ginocchio viene portato dalla massima flessione all’estensione completa in varo-intrarotazione e successivamente in valgo-extrarotazione evocando dolore ed eventualmente la sensazione di scatto percepita dall’altra mano dell’esaminatore, rispettivamente a carico dell’emirima interna (lesione del MI) o esterna (lesione del ME).
- Dal punto di vista clinico una lesione legamentosa può essere graduata in funzione di due aspetti:
- entità dell’escursione articolare patologica che determina: grado 1 (0-5mm), grado 2 (6-10 mm), grado 3 (11-15 mm) e grado 4 (oltre 15 mm); al fine di quantificare il fenomeno patologico in maniera più riproducibile si possono utilizzare strumenti di misura dedicati, quali gli artrometri o gli apparecchi isocinetici;
- integrità di altre strutture capsulo-legamentose: l’esaminatore avverte un arresto brusco se queste sono integre, un arresto graduale se sono lese.
- La lesione dell’LCM o dell’LCL si manifesta con dolore riferito al compartimento interessato e con la positività del test dello stress in varo-valgo. A paziente supino si sollecita l’articolazione sia in varismo sia in valgismo in estensione e in flessione di circa 30° (in questa posizione, essendo la capsula posteriore detesa, si saggiano esclusivamente i legamenti collaterali). L’abnorme escursione in valgismo o in varismo indicano una lesione rispettivamente dell’LCM o dell’LCL: la positività del test in estensione indica una lesione capsulo-legamentosa associata, mentre la negatività in estensione e la positività in flessione indicano una lesione isolata del legamento collaterale.
- La lesione dell’LCA si manifesta con dolore non localizzabile, versamento articolare (di regola emartro in fase acuta) e instabilità torsionale soggettiva (“cedimenti”).
- Nell’instabilità in fase cronica si evidenzia la positività delle seguenti manovre:
- test del cassetto anteriore, che si esegue con il ginocchio a 90° (con la tibia in posizione neutra, intrarotata ed extrarotata) e con il piede stabilizzato sul lettino; si traziona il terzo prossimale della gamba evidenziando la traslazione anteriore della tibia solo in rotazione neutra (lesione isolata dell’LCA), in rotazione neutra e in extrarotazione (lesione dell’LCA e dell’LCM) o in rotazione neutra e in intrarotazione (lesione dell’LCA e dell’LCP);
- test di Lachman, più affidabile del precedente, che prevede l’esecuzione della stessa manovra con ginocchio flesso a 30° afferrando con una mano la coscia e con l’altra la gamba: l’abnorme traslazione tibiale anteriore che si determina in caso di lesione dell’LCA può esaurirsi con un arresto brusco (lesione isolata) o graduale (lesione capsulo-legamentosa complessa);
- jerk test (ancor più affidabile in quanto riproduce dinamicamente l’instabilità antero-laterale), che si esegue partendo da una posizione di flessione intermedia; valgizzando e intrarotando si estende il ginocchio; a circa 30° l’emipiatto tibiale esterno si sublussa anteriormente riproducendo il meccanismo che si determina quando il paziente avverte il cedimento.
- La lesione dell’LCP determina una sintomatologia meno evidente, caratterizzata comunque da dolore, versamento (emartro) e instabilità. Il test del cassetto posteriore viene eseguito analogamente all’anteriore, ma nella sola posizione neutra: è positivo se si determina una retroposizione della tibia. Il movimento di ritorno alla posizione anatomica non va confuso con un falso cassetto anteriore. Test dinamico per eccellenza è il reverse pivot shift: partendo dalla flessione intermedia ed estendendo l’articolazione, sollecitandola in valgismo ed extrarotazione attorno ai 30° si determina la riduzione dell’emipiatto laterale esterno sublussato posteriormente. La positività del reverse pivot shift e la positività del jerk test possono facilmente confondersi.
Diagnostica per immagini
- La radiografia standard in due proiezioni ortogonali, pur non consentendo la diagnosi né di lesione meniscale né di lesione legamentosa, è indispensabile per escludere lesioni ossee.
- L’esame di secondo livello è rappresentato dalla RM che consente, fatto salvo un piccolo numero di casi di falsi positivi e di falsi negativi, una diagnosi accurata delle lesioni meniscali (topografia, localizzazione, sede, decorso, estensione) e di quelle legamentose. Segno patognomonico di lesione dell’LCA è rappresentato dall’aumento della curvatura dell’LCP nelle scansioni sagittali.
Terapia
- Il trattamento delle lesioni meniscali è chirurgico. La meniscectomia selettiva artroscopica (Box 07) prevede l’asportazione della sola porzione di menisco lesionata e dei margini instabili; il “muro” meniscale va rispettato. Dopo un periodo di riposo e di carico assistito (5-7 giorni), si inizia il trattamento riabilitativo che consente un recupero funzionale completo con ritorno allo sPORT dopo 3-4 settimane. Una riduzione dell’interlinea articolare (sintomatica o asintomatica) si rende evidente 10-15 anni dopo meniscectomia laterale o mediale, rispettivamente nel 40% e nel 30% dei pazienti. In tal senso la prognosi è peggiorata da concomitanti lesioni cartilaginee, dalla natura degenerativa della lesione meniscale, dalle maggiori dimensioni del frammento asportato, dalla lassità cronica.
- In casi selezionati (lesioni longitudinali periferiche traumatiche in soggetti giovani) si esegue la sutura meni-scale artroscopica.
- Per le lesioni dell’LCM isolate, il trattamento di scelta è conservativo, indipendentemente dal grado di lesione. Un tutore a 30° per 3-4 settimane consente la formazione di connettivo cicatriziale; nei mesi successivi, un ade-guato protocollo di riabilitazione favorirà il rimodellamento. L’attività sportiva può essere ripresa dopo 4-6 settimane (lesioni di grado 1-2) ovvero dopo 3 mesi (lesioni di grado 3; in questa fase si può determinare l’elongazione della cicatrice con continuità anatomica ma instabilità residua). Nelle lesioni di grado 3 associate a lesione dell’LCA si registrano risultati scadenti con la terapia incruenta: in questi casi la ricostruzione dell’LCA è indispensabile, mentre la riparazione dell’LCM non è necessaria.
- Le lesioni dell’LCL hanno prognosi peggiore rispetto a quelle dell’LCM a causa della maggiore mobilità del compartimento esterno: la residua lassità laterale (lesioni isolate) o, più frequentemente, posterolaterale (lesioni associate) è mal tollerata. Pertanto l’indicazione chirurgica è frequente.
- L’indicazione al trattamento delle lesioni dell’LCA è in relazione all’entità della lesione. Quelle di grado 1 e 2 non richiedono il trattamento chirurgico; per le lesioni di grado 3 (incapaci di guarigione spontanea a causa della presenza del liquido sinoviale che inibisce i processi riparativi) l’indicazione al trattamento è in funzione dell’età e delle richieste funzionali del soggetto, della presenza di alterazioni degenerative articolari, di lesioni associate (LCM) e di malallineamento. Il trattamento conservativo è indicato per i soggetti sedentari o per coloro che siano disponibili a ridurre l’attività praticando sPORT a basso rischio (nuoto, ciclismo) o a rischio medio (golf, tennis) utilizzando un tutore. Nei giovani che intendono praticare sPORT ad alto rischio (calcio, pallavolo, pallacanestro, sci) le inevitabili distorsioni recidivanti, oltre a inficiare la pratica sportiva, determinano una progressione delle lesioni meniscali e cartilaginee: in questi soggetti trova pertanto indicazione la ricostruzione legamentosa con tecnica artroscopica in fase subacuta o cronica.
- La procedura di ricostruzione dell’LCA prevede la preparazione di due tunnel ossei (nella tibia e nel femore, in corrispondenza delle aree di inserzione dell’LCA nativo) (Immagine 31 e 32) all’interno dei quali viene passato e fissato un innesto tendineo, più spesso costituito dal tendine rotuleo o dai tendini semitendinoso e gracile dello stesso paziente; in casi selezionati si ricorre agli innesti di banca o ai legamenti artificiali. Il programma riabilitativo prevede la mobilizzazione immediata, il precoce recupero dell’articolarità, della forza muscolare e della propriocettività mantenendo la massima protezione dell’articolazione; dopo il terzo mese viene concessa la ripresa progressiva dell’attività fisica. In questa fase, la resistenza del neolegamento non è ancora ottimale ed è possibile la lesione dell’innesto; pertanto la pratica di sPORT a rischio va procrastinata oltre il sesto mese. Una complicanza infrequente ma invalidante è rappresentata dall’artrofibrosi che determina una più o meno marcata limitazione dell’articolarità.
- Per le lesioni dell’LCP isolate, il trattamento incruento rappresenta l’indicazione prevalente. Si applica un tutore in estensione per 3 settimane; durante le 2 settimane successive il tutore viene progressivamente sbloccato per consentire il graduale recupero delle flessione e si potenzia il quadricipite; il ritorno allo sPORT può avvenire dopo 3-4 mesi. Il cassetto posteriore residuo è di norma ben tollerato anche se, determinando un sovraccarico dei compartimenti mediale e femoro-rotuleo, induce un’artrosi secondaria tardiva. L’indicazione chirurgica è riservata a soggetti giovani con elevate richieste funzionali, in caso di lesioni associate, ovvero dopo fallimento del trattamento conservativo. La tecnica di ricostruzione è analoga a quella usata per l’LCA, con tunnel posizionati in corrispondenza delle aree di inserzione dell’LCP nativo (si vedano Immagine 31 e 33). Anche il programma riabilitativo è analogo nelle sue linee generali a quello attuato dopo ricostruzione dell’LCA e prevede il ritorno allo sPORT non prima di sei mesi. In alcuni pazienti si osserva un recupero incompleto dell’articolarità del ginocchio.
Distorsioni della tibio-tarsica
- Sollecitazioni in inversione (varismo del retropiede e supinazione del mesopiede) o in eversione (valgismo del retropiede e pronazione del mesopiede) possono determinare una distorsione della tibio-tarsica così come la frattura di uno o di entrambi i malleoli.
- La lesione completa di un legamento può comportare una inadeguata cicatrizzazione per cui nel 10-20% dei casi si determina una instabilità dell’articolazione, che è così esposta a distorsioni successive con il rischio di un aggravamento del quadro anatomo-clinico.
- La distorsione della tibio-tarsica si verifica con una frequenza di circa 1/10.000 soggetti al giorno, soprattutto tra gli sportivi. La prevalenza è del 30% nel Calcio e raggiunge il 50% nella pallacanestro, nella pallavolo e nella danza.
- L’incidenza in relazione al sesso varia con l’età: tra gli adolescenti e i giovani è maggiore nei maschi, tra gli adulti nelle femmine. Il compartimento capsulo-legamentoso laterale è più frequentemente coinvolto (85%), essendo il trauma in inversione prevalente. Nel movimento forzato di inversione o di eversione l’astragalo ruota sollecitando in trazione rispettivamente il compartimento esterno o quello interno (Box 08). L’incidenza delle lesioni esterne è maggiore in caso di varismo dell’arto inferiore. Nell’instabilità cronica, due meccanismi concorrono al reiterarsi del fenomeno: al deficit meccanico (incompetenza dei legamenti) si aggiunge infatti un deficit neurosensoriale conseguente alla perdita delle afferenze propriocettive.
Quadri anatomo-clinici
- In relazione alla direzione e all’entità della forza lesiva, uno o più legamenti di un compartimento possono essere lesionati in parte o in toto. Di norma la lesione si verifica nel contesto del legamento; meno frequente è l’avulsione associata a distacco osseo parcellare dall’apice del malleolo.
- Nei traumi in inversione la lesione del legamento peroneo-astragalico anteriore (PAA) è isolata nel 65% dei casi ed è associata alla lesione del legamento peroneo-calcaneare (PC) nel 20% dei casi; nel 15% dei casi il legamento di Rouvière è lesionato in toto.
- Nella fase acuta, l’anamnesi, la sintomatologia soggettiva (dolore molto intenso e limitazione funzionale marcata, fino all’impossibilità al carico) e l’esame obiettivo (tumefazione, a volte imponente, ed ecchimosi) indirizzano la diagnosi ma non consentono di differenziare la distorsione dalla frattura malleolare. Esclusa quest’ultima con l’esame Rx, si palpano i singoli legamenti alla ricerca dei punti dolorosi e si eseguono i test del cassetto anteriore e dell’inversione-eversione (specifici per l’instabilità). Il primo consiste nel sollecitare il retropiede in senso postero-anteriore: la lesione completa del PAA determina una traslazione anteriore maggiore rispetto al lato sano, che è tanto più accentuata quanto più esteso è il danno del compartimento laterale. Il secondo consiste nell’imprimere al retropiede sollecitazioni in inversione ed eversione: rispetto al lato sano si evidenziano dolore e mobilità abnorme in inversione in caso di lesioni laterali, in eversione per lesioni mediali.
- Le lesioni del compartimento esterno possono essere classificate in tre gradi:
- nel primo si ha la lesione parziale del PAA con segno del cassetto negativo;
- nel secondo, alla lesione completa del PAA si associa quella parziale del PC con cassetto positivo;
- nel terzo la lesione completa dei tre legamenti (PAA, PC e peroneo-astragalico posteriore) si manifesta con un segno del cassetto marcatamente positivo.
- Nell’instabilità cronica la diagnosi si consegue già sulla base dell’anamnesi, caratterizzata da episodi distorsivi recidivanti. Il paziente riferisce dolore, difficoltà a deambulare su terreni irregolari e “cedimenti”. All’esame obiettivo si evidenziano tumefazione, dolorabilità alla palpazione dei legamenti lesi, limitazione funzionale. I test per l’instabilità sono positivi.
Diagnostica per immagini
- La diagnosi di distorsione, così come quella di instabilità cronica, è clinica. Nei casi acuti si eseguirà un esame Rx in due proiezioni per escludere fratture, nei casi cronici per valutarne gli esiti, ovvero per evidenziare lesioni osteocondrali secondarie.
- La RMN permette, sia in acuto sia in cronico, di documentare le lesioni legamentose e le eventuali lesioni osteocondrali dell’astragalo.
- L’instabilità può essere documentata in acuto e in cronico mediante Rx dinamiche. In proiezione laterale si effettua il test del cassetto anteriore, giudicato positivo qualora si evidenzi una traslazione dell’astragalo > 7 mm. Nella proiezione antero-posteriore si eseguono due radiogrammi, uno sollecitando l’articolazione in inversione e l’altro in eversione: l’inclinazione dell’astragalo è assente nelle lesioni di primo grado, è modesta in quelle di secondo grado ed è marcata in quelle di terzo grado. La comparazione con la caviglia controlaterale è utile per escludere e/o identificare condizioni di lassità capsulo-legamentosa su base costituzionale.
Terapia
- In caso di lesione acuta di primo grado il riposo, la crioterapia, la terapia medica (FANS ed antiedemigeni), l’uso di un tutore bivalve (che consente la flesso- estensione limitando l’inversione-eversione) e una precoce riabilitazione propriocettiva, consentono il recupero in 3-4 settimane. Per le lesioni di secondo grado si attua lo stesso trattamento vietando il carico per 1 settimana e dilazionando i tempi di recupero. Nelle lesioni di terzo grado l’articolazione viene immobilizzata per 3-4 setti-mane, applicando inizialmente una valva gessata o un bendaggio all’ossido di zinco. Dopo 4-6 giorni di scarico
- completo, FANS, antiedemigeni e crioterapia, se la tumefazione è regredita, si può procedere all’immobilizzazione definitiva mediante un apparecchio gessato chiuso con cui iniziare il carico dopo 2-3 giorni. Alla rimozione del gesso andrà effettuato un prolungato trattamento fisioterapico per il recupero dell’articolarità e della propriocezione. Il ritorno alla pratica sportiva può essere anticipato proteggendo la cicatrice in fase di maturazione mediante un tutore bivalve. Nelle distorsioni trattate con l’immobilizzazione e/o l’astensione dal carico, va adottata una profilassi antitromboembolica con eparina a basso peso molecolare.
- Nella fase cronica, il trattamento conservativo può dare buoni risultati nella prevenzione delle recidive, a patto che il paziente utilizzi calzature idonee (tacco basso e largo, forti alti e rigidi) per le attività quotidiane e un tutore bivalve o un bendaggio a cerotto (taping) per la pratica di sPORT a basso rischio, evitando le attività sportive ad alto rischio.
- Il trattamento chirurgico viene riservato a lesioni acute gravi e ai casi di instabilità di alto grado in soggetti giovani con richieste funzionali elevate, solitamente sportivi di alto livello. In fase acuta si realizza la sutura diretta o la reinserzione all’osso dei legamenti lesi, mentre per l’instabilità cronica sono stati descritti interventi ricostruttivi che prevedono trasposizioni tendinee, innesti tendinei liberi o l’impiego di legamenti di banca o artificiali.
Box 08
- L’articolazione tibio-tarsica è intrinsecamente instabile a causa della propria morfologia e delle notevoli sollecitazioni trasversali dovute al potente braccio di leva costituito dall’arto inferiore.
- Le strutture che la stabilizzano si distinguono in tre compartimenti (Immagine 34). Quello centrale è costituito dalla membrana interossea e dai legamenti tibio-peroneali anteriore e posteriore che prevengono l’allontanamento reciproco dei due malleoli stabilizzando l’astragalo. Il compartimento interno e quello esterno sono stabilizzati rispettivamente dal legamento deltoideo e dal legamento di Rouvière nel contesto dei quali si trovano numerose terminazioni nervose propriocettive.
- Nel più frequente trauma in inversione, l’astragalo si allontana dal malleolo peroneale e impatta sul malleolo tibiale (Immagine 35a); nel trauma in eversione si allontana dal malleolo tibiale e impatta sul malleolo peroneale (Immagine 36a). Indipendentemente dalla direzione del trauma, dove l’astragalo si allontana dal malleolo si può produrre una lesione dei legamenti o una frattura malleolare da trazione (Immagine 35b e 36b), nel punto in cui si appoggia al malleolo si può produrre una frattura malleolare per impatto diretto associata a lesione legamentosa (Immagine 35c e 36c) od ossea (Immagine 35d e 36d) del compartimento opposto.
Immagine 34

Immagine 34. Le strutture di stabilizzazione della tibio-tarsica sono la membrana interossea (MI) e vari legamenti: centralmente il tibio-peroneale anteriore (TPA) e il tibio-peroneale posteriore (TPP); medialmente il legamento deltoideo, costituito dal tibio-astragalico anteriore (TAA), il tibio-navicolare (TN), il tibiocalcaneare (TC) e il tibio-astragalico posteriore (TAP); lateralmente il legamento di Rouvière, di cui fanno parte il peroneo- astragalico anteriore (PAA), il peroneo- calcaneare (PC) e il peroneo-astragalico posteriore (PAP).
Immagine 35

Immagine 35. Nei traumi in inversione il compartimento esterno viene sollecitato in trazione con conseguente lesione isolata del legamento di Rouvière (a) oppure frattura isolata da trazione del malleolo peroneale (b). Contemporaneamente il compartimento interno viene sollecitato in compressione; il suo eventuale cedimento determina la frattura del malleolo tibiale associata alla lesione legamentosa esterna (c) o alla frattura del malleolo esterno (d).
Immagine 36

Immagine 36. Nei traumi in eversione il compartimento interno viene sollecitato in trazione con conseguente lesione isolata del legamento deltoideo (a) oppure frattura isolata da trazione del malleolo tibiale (b). Contemporaneamente il compartimento esterno viene sollecitato in compressione; il suo eventuale cedimento determina la frattura del malleolo peroneale associata alla lesione legamentosa interna (c) o alla frattura del malleolo interno (d).