Dettagli
- Eziopatogenesi
- Anatomia patologica
- Quadro clinico-radiografico
- Altre osteocondrosi
- Malattia di Osgood-schlatter
- Malattia di haglund o sever-Blenke
- Malattia di Köhler I
- Malattia di Köhler II
- Malattia di scheuermann
- Osteocondrosi dissecante
- Epidemiologia
- Eziopatogenesi
- Anatomia patologica
- Clinica
- Diagnostica per immagini
- Terapia
Osteocondrosi
- L’osteocondrosi è un processo degenerativo-necrotico che interessa i nuclei di ossificazione epifisari, apofisari e di alcune ossa brevi nel periodo della loro più vivace attività osteogenetica. In passato veniva anche chiamata osteocondrite, termine improprio perché non si tratta di una patologia di natura infiammatoria. L’affezione interessa in modo prevalente il sesso maschile. Tutti i nuclei di ossificazione possono essere interessati anche se alcuni, a causa delle loro caratteristiche anatomo-funzionali, sono maggiormente colpiti.
- Le principali osteocondrosi sono riportate nella Tabella 01.
Tabella 01
Tabella 01: Principali osteocondrosi
Eziopatogenesi
- La vera natura di queste affezioni non è stata ancora chiarita, anche se la causa più probabile sembra essere una turba del circolo arterioso con conseguente ischemia e necrosi cellulare, che si manifesta nel periodo di maggiore attività metabolica, cioè durante l’accrescimento, quando l’attività osteogenetica nei nuclei è più intensa (Box 01). Non si può tuttavia escludere che vi siano squilibri endocrini predisponenti o che un dismetabolismo cartilagineo transitorio e/o una serie di microtraumatismi possano agire da fattori scatenanti.
- È certo però che si verifica un danno a carico delle arterie epifisarie, che sono di tipo terminale e penetrano nel nucleo di ossificazione in corrispondenza delle inserzioni della capsula articolare. Questo danno è responsabile di una necrosi di origine vascolare e, in conseguenza di ciò, il nucleo interessato viene deformato dal carico che normalmente deve sopportare per compressione o per trazione.
- La malattia ha di solito un decorso benigno e autolimitante: l’ossificazione riprende poi normalmente, anche se in alcuni casi possono permanere deformità.
Box 01
Box 01: Meccanismi di ossificazione dei nuclei epifisari, apofisari e delle ossa brevi.
Anatomia patologica
- Le alterazioni anatomo-patologiche di questa patologia sono caratteristiche. All’inizio si osserva un processo necrotico a carico delle cellule del tessuto osseo e della cartilagine circostante che formano il nucleo di ossificazione. L’osso diventa più denso per l’accumulo di sali di Calcio e per lo schiacciamento delle trabecole ossee: il nucleo di ossificazione assume così un aspetto “metallico” ed è privo di resistenza. In seguito si assiste a un accumulo di cellule del sistema reticolo-endoteliale nel tessuto necrotico, mentre i vasi intraossei vanno progressivamente riformandosi e compaiono gli osteoblasti che ricostruiscono la matrice ossea. Si assiste pertanto a un riassorbimento osseo e a una contemporanea rigenerazione ossea da parte degli osteoblasti: in questa fase, il nucleo di ossificazione viene definito “tigrato” o “frammentato”, perché alterna zone radiotrasparenti a zone radiopache. Infine riprende la normale ossificazione.
- L’intero processo ha una durata variabile tra i 18 e i 24 mesi e l’osso neoformato è simile a quello normale, anche se la forma del nucleo epifisario può risultare modificata a causa degli schiacciamenti subiti.
Quadro clinico-radiografico
- La sintomatologia è variabile in base alla sede di insorgenza. L’osteocondrosi generalmente si manifesta con dolori saltuari dopo affaticamento e/o limitazione funzionale antalgica, senza chiari segni di obiettività. La palpazione locale evoca dolore e, in caso di localizzazione superficiale, può essere presente una tumefazione locale. Le condizioni generali sono buone.
A causa del quadro clinico piuttosto aspecifico, la diagnosi si basa sull’indagine radiografica, che mette in evidenza le tipiche alterazioni a carico del nucleo di ossificazione. Si possono distinguere tre differenti fasi nel decorso della malattia:- una iniziale di addensamento del nucleo (metallizzazione);
- una intermedia in cui il nucleo assume un aspetto “tigrato” (frammentazione);
- una finale di ricostruzione del nucleo di ossificazione con alterazioni morfologiche di grado variabile.
- La terapia ha lo scopo di limitare il carico e le sollecitazioni funzionali sul nucleo colpito, al fine di favorire la rivascolarizzazione locale e promuovere la guarigione. La terapia chirurgica può trovare indicazione nelle complicanze o negli esiti di alcune osteocondrosi.
Altre osteocondrosi
Malattia di Osgood-schlatter
- È l’osteocondrosi della tuberosità tibiale anteriore; interessa soprattutto i maschi tra gli 11 e i 14 anni ed è spesso bilaterale.
Si manifesta clinicamente con l’insorgenza di dolore locale e tumefazione, raramente provoca zoppia mentre più spesso dà una limitazione antalgica all’estensione del ginocchio contro resistenza (Figura 01). La malattia ha un decorso di circa due anni e solo in casi eccezionali si può complicare con un distacco della tuberosità: tale evento è provocato dalla diminuita resistenza del nucleo apofisario alla trazione esercitata dal tendine rotuleo. - Il decorso autolimitante della malattia rende sufficiente, nella maggior parte dei casi, la temporanea limitazione dell’attività fisica. Talvolta l’intenso dolore può rendere necessario l’utilizzo di un tutore per l’immobilizzazione del ginocchio e/o l’impiego di ausili per lo scarico durante la deambulazione. La magnetoterapia, in associazione a questi provvedimenti, ha dimostrato una buona efficacia terapeutica in alcuni casi. In caso di distacco della tuberosità tibiale, si deve ricorrere alla sua reinserzione chirurgica.
Figura 01
Figura 01: Malattia di Osgood-Schlatter del ginocchio sinistro: la tumefazione della tuberosità tibiale all’esame clinico, la frammentazione e l’ispessimento del nucleo apofisario sulla radiografia (⇙) differiscono dai reperti di normalità̀ del lato destro indenne (⇙).
Malattia di haglund o sever-Blenke
- Interessa l’apofisi posteriore del calcagno a livello dell’inserzione del tendine d’Achille (Figura 5.5). Si manifesta tra gli 8 e i 13 anni con l’insorgenza di dolore locale, esacerbato dalla digitopressione e dal carico. La sua evoluzione è sempre benigna e guarisce senza lasciare deformità, ma la durata della malattia può essere molto lunga, anche più di due anni. La terapia è volta a limitare il carico (con l’uso di plantari morbidi con scarico calcaneare) e la tensione del tendine d’Achille (mediante scarpe con tacco rialzato), associando la riduzione dell’attività sportiva.
Figura 02
Figura 02: Quadro radiografico della malattia di Sever-Blenke.
Malattia di Köhler I
- L’osteocondrosi dello scafoide tarsale insorge tra i 3 e gli 8 anni ed è anch’essa più frequente nel sesso maschile. Può essere asintomatica o manifestarsi con l’insorgenza di dolori locali al carico e con un progressivo appiattimento della volta longitudinale del piede; può essere presente una lieve zoppia antalgica. All’esame radiografico lo scafoide appare appiattito, sclerotico o frammentato (Figura 03).
- Il decorso della malattia è solitamente benigno, ma può talvolta esitare in un Piede piatto doloroso. La terapia consiste nel riposo e nell’uso di un plantare di sostegno della volta longitudinale del piede; se il dolore è molto intenso si deve procedere all’immobilizzazione in stivaletto gessato.
Figura 03
Figura 03: Malattia di Köhler I del piede sinistro: lo scafoide tarsale è appiattito e sclerotico (↗) rispetto a quello del piede destro (>). Proiezione dorso-plantare (a). Proiezione laterale del piede destro (b). Proiezione laterale del piede sinistro (c).
Malattia di Köhler II
- È l’osteocondrosi del II metatarso, l’unica forma che si manifesta in prevalenza nelle donne in età adulta, tra i 18 e i 35 anni. Clinicamente si manifesta con dolore all’appoggio del II metatarso, la cui testa appare deformata, ingrossata e accorciata. La terapia consiste nell’utilizzo di un plantare per lo scarico della II testa metatarsale. Nei casi più gravi si può ricorrere all’intervento chirurgico di resezione della testa necrotica.
Malattia di scheuermann
- Chiamata anche “dorso curvo giovanile”, è l’osteocondrosi dei nuclei epifisari vertebrali, per la cui trattazione si rimanda al paragrafo specifico nella parte cifosi, a seguire nel presente capitolo.
Osteocondrosi dissecante
- L’osteocondrosi dissecante (OCD) è un’affezione acquisita, su base ischemica, dell’osso subcondrale, che colpisce in prevalenza il condilo femorale mediale negli adolescenti o nei giovani adulti. Il coinvolgimento della sovrastante cartilagine articolare è secondario al demarcarsi dell’area di osteonecrosi e può nel tempo indurre allo sviluppo di una artrosi secondaria. Nelle fasi evolutive il frammento osteocondrale può liberarsi nel cavo articolare sotto forma di corpo mobile, lasciando un cratere vuoto. Nei soggetti in accrescimento la guarigione spontanea è frequente.
- La definizione osteocondrite (termine improprio, in quanto non si tratta di un’affezione infiammatoria) dissecante (che descrive la demarcazione del frammento osteocondrale) fu introdotta nel 1887 da König.
Epidemiologia
- È una patologia rara (2-6 casi su 10.000), ma rappresenta la causa più frequente di corpo mobile endoarticolare negli adolescenti. Si distinguono una forma giovanile (seconda infanzia e adolescenza: fisi attiva) e una dell’adulto (dal periodo postpubere ai 35 anni: fisi chiusa); il picco di incidenza è tra i 10 e i 20 anni di età, con una predominanza del sesso maschile (3:1). Spesso si tratta di soggetti praticanti attività sportiva e nel 20-40% dei casi è presente un trauma pregresso.
- Nell’ambito del ginocchio, che è l’articolazione più colpita dall’ocd (75% dei casi), il condilo femorale mediale è prediletto (85%), soprattutto nella sua porzione postero-laterale; seguono il condilo laterale (10%), la troclea e la rotula. In un terzo dei casi la lesione è bilaterale.
- Altre localizzazioni relativamente frequenti sono il capitulum humeri (6%) e l’astragalo (4%).
Eziopatogenesi
- L’eziologia è ancora dibattuta: sono stati proposti fattori traumatici, microtraumatici, metabolici, endocrini e genetici, a nessuno dei quali è stato possibile riconoscere un ruolo determinante. Attualmente si propende per un’eziologia multifattoriale e per una patogenesi ischemica.
Anatomia patologica
- Nei casi a evoluzione favorevole la lesione ossea (in assenza di alterazioni della cartilagine) attraversa le fasi di necrosi → rivascolarizzazione → riassorbimento osteoclastico → neoformazione osteoide → rimodellamento. In caso di demarcazione, non avviene la rivascolarizzazione e il frammento necrotico rimane in situ, trattenuto dalla sovrastante cartilagine che, pur mostrandosi edematosa, mantiene la propria integrità (Figura 04a). Successivamente la cartilagine articolare appare malacica e si assiste alla demarcazione prima parziale (Figura 04b) e poi circonferenziale (Figura 04c) della stessa con permanenza in situ del frammento, che può liberarsi nel cavo articolare a distanza di tempo (Figura 04d). A ciò residua un cratere vuoto e il corpo mobile viene riassorbito in modo progressivo (prima la parte ossea e in seguito quella cartilaginea, che rimane vitale più a lungo in quanto nutrita dal liquido sinoviale); parallelamente si possono manifestare alterazioni artrosiche.
Figura 04
Figura 04: L’area di osteonecrosi subcondrale è ricoperta da cartilagine articolare integra (a) che successivamente si demarca parzialmente mantenendo in parte la propria integrità (b). dopo la completa autonomizzazione, il frammento osteocondrale può rimanere in situ (c) o divenire un corpo mobile endoarticolare (d).
Clinica
- Nella fase di necrosi, la diagnosi può essere ritardata in quanto la sintomatologia è sfumata e intermittente; questa è caratterizzata da dolore evocato o acuito dall’attività fisica, non localizzato e da modica tumefazione articolare. Nella fase di demarcazione si aggiungono idrartro, scrosci e cedimenti articolari; una volta costituitosi il corpo mobile, ulteriori sintomi sono rappresentati dalla riduzione dell’articolarità e da fenomeni di blocco articolare e di scatto.
- All’esame obiettivo si rilevano atteggiamento in extra-rotazione del ginocchio (per ridurre il contatto tra condilo femorale mediale e spina tibiale), tumefazione per versamento, ipotonotrofia del quadricipite e deficit di estensione; in alcuni casi è possibile apprezzare il corpo mobile alla palpazione.
Diagnostica per immagini
- L’esame base è rappresentato dalle radiografie, che devono includere una proiezione per la gola intercondiloidea. In fase iniziale si evidenzia un’area semicircolare di rarefazione ossea subcondrale; tale area si presenterà poi addensata e lievemente depressa rispetto all’osso circostante e successivamente sarà demarcata da una linea di radiotrasparenza perilesionale (figura 05). In caso di formazione di corpo mobile, si rendono evidenti la sede del distacco vuota e il corpo libero in sede ectopica.
- La RM mostra le stesse alterazioni (figura 06) e in aggiunta consente di valutare la vascolarizzazione dell’osso e l’integrità della cartilagine articolare.
Figura 05
Figura 05: Particolare di una radiografia standard del ginocchio che mostra OCd nella fase di demarcazione.
Figura 06
Figura 06: RM di OCD in fase di osteonecrosi con integrità della cartilagine.
Terapia
- Premesso che l’OCD ha una prognosi migliore nei soggetti più giovani, le indicazioni al trattamento si differenziano in relazione all’età del paziente e alla stabilità della lesione.
- Nei soggetti con fisi attiva (a meno che non si sia già formato il corpo mobile) si attua un trattamento conservativo per 3-6 mesi: astensione dall’attività fisica, riduzione del carico (con l’utilizzo di bastoni) e dell’articolarità (mediante l’uso di un tutore). Dopo la scomparsa del dolore si consentirà una graduale ripresa; il ritorno alla normale attività è subordinato all’evidenza radiografica dell’avvenuta guarigione. Nei rari casi di mancata guarigione o di persistenza della sintomatologia è indicato il trattamento chirurgico.
- Negli adulti, se la lesione è stabile il trattamento conservativo va tentato, pur se con scarse probabilità di successo, mentre in caso di lesione instabile o di corpo mobile il trattamento chirurgico è indicato in prima istanza. Sempre in relazione all’età e alla stabilità della lesione possono essere proposti vari interventi: l’accesso sarà artrotomico o artroscopico in relazione alle dimensioni e alla sede della lesione, oltre che alla dimestichezza del chirurgo con le diverse tecniche.
- Nelle lesioni con cartilagine articolare integra e fisi chiusa, trovano indicazione curettage e borraggio con osso spongioso autologo per via retrograda.
In caso di demarcazione parziale si potrà eseguire la stabilizzazione in situ del frammento mediante chiodini riassorbibili o viti senza testa. In alternativa si può asportare temporaneamente il frammento e trattare la lesione, come nel caso di una demarcazione completa, mediante curettage e/o perforazioni del fondo del cratere, innesto osseo spongioso autologo, riposizionamento del frammento mediante chiodini riassorbibili o viti senza testa. Nel caso si sia costituito un corpo mobile, se questo ha conservato la morfologia originale potrà essere reimpiantato mediante la tecnica precedentemente descritta, altrimenti verrà asportato; in questo caso, dopo aver preparato il fondo del cratere mediante curettage e/o perforazioni, si esegue la ricostruzione mediante trapianti osteocartilaginei multipli autologhi, oppure mediante trapianto osteocartilagineo unico da banca, oppure mediante borraggio con osso autologo e impianto di condrociti autologhi. - Nel postoperatorio la durata dell’astensione dal carico e il programma di riabilitazione saranno personalizzati in relazione alle dimensioni e alla sede della lesione e al tipo di trattamento.