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1 di 21 Domande

Quale complicanza clinica NON si riscontra nell'IRC terminale?














La risposta corretta è la B

Nell’IRC terminale non si riscontra come complicanza l’artrite. La malattia renale cronica è classificata in 5 stadi: Stadio 1: velocità di filtrazione glomerulare normale (?90 mL/min/1,73 m²) con albuminuria persistente o malattia renale strutturale o ereditaria; Stadio 2: 60-89 mL/min/1,73 m²; Stadio 3a: 45-59 mL/min/1,73 m²; Stadio 3b: 30-44 mL/min/1,73 m²; Stadio 4: 15-29 mL/min/1,73 m²; Stadio 5: <15 mL/min/1,73 m². La velocità di filtrazione glomerulare può essere stimata tramite l’equazione CKD-EPI: 141 × (creatinina sierica)^-1,209 × 0,993^età, moltiplicata per 1,018 se donna e 1,159 se afroamericano (1,1799 per donne afroamericane). Questo calcolo è poco accurato negli anziani sedentari, obesi o molto magri. In alternativa, si può usare l’equazione di Cockcroft-Gault per stimare la clearance della creatinina, che tende a sovrastimare del 10-40%. Le complicanze comprendono quelle neurologiche (neuropatia periferica), ematologiche (anemia da ridotta produzione di eritropoietina), scheletriche (osteodistrofia, risposte C-D-E errate) e pericardite nel 20% dei pazienti con insufficienza renale (risposta A errata).


2 di 21 Domande

Nella brucellosi acuta qual e' il titolo minimo per la diagnosi:














La risposta corretta è la C.

La brucellosi (nota anche come "febbre ondulante", "febbre mediterranea" o "febbre maltese") è un’infezione zoonotica trasmessa all’uomo da animali infetti (bovini, ovini, caprini, cammelli, suini o altri) attraverso l’ingestione di prodotti alimentari non pastorizzati, in particolare lattiero-caseari, oppure per contatto diretto con tessuti o fluidi contaminati. Va sospettata in pazienti con febbre, malessere, sudorazione notturna e artralgie in presenza di esposizione epidemiologica significativa, come consumo di prodotti caseari non pastorizzati, contatto con animali in aree endemiche o esposizione professionale. Una diagnosi presuntiva può essere formulata sulla base di:

  • titolo anticorpale totale anti-Brucella ?1:160 mediante test di agglutinazione in provetta standard su siero prelevato dopo l’insorgenza dei sintomi;
  • rilevazione del DNA di Brucella in un campione clinico tramite reazione a catena della polimerasi (PCR).

3 di 21 Domande

Un bambino di 2 anni di origine africana si presenta con tumefazioni dolorose della mani e piedi. Dati di laboratorio mettono in evidenza una emoglobina di 9g/dl, una conta dei globuli bianchi di 11500/mm3 ed una conta delle piastrine di 250000/mm3. Quale dei seguenti esami di laboratorio dara' supporto alla tua diagnosi?














La risposta corretta è la B

Il quadro clinico descritto è compatibile con anemia falciforme o drepanocitosi, un’emoglobinopatia caratterizzata dalla produzione di catene globiniche quantitativamente normali ma qualitativamente alterate. La causa della deformazione dei globuli rossi è una sostituzione amminoacidica (Glu ? Val) che favorisce l’aggregazione delle molecole di Hb con formazione di polimeri simili a pali nel citoplasma eritrocitario. La polimerizzazione, che avviene soprattutto nello stato deossigenato, determina deformazione e la caratteristica forma a falce dei globuli rossi. Questa condizione provoca squilibri che riducono elasticità e vitalità cellulare. I globuli rossi danneggiati rappresentano il principale trigger delle crisi vaso-occlusive, responsabili di fenomeni infartuali a livello del microcircolo, che spesso si manifestano con tumefazioni dolorose di mani e piedi. La prima manifestazione clinica è l’emolisi cronica con pallore, subittero o ittero, astenia, litiasi della colecisti e segni della deplezione di ossido nitrico. A livello arterioso si osserva diatesi trombotica per disfunzione endoteliale. L’emolisi cronica rappresenta uno stato di equilibrio, interrotto più o meno frequentemente da crisi vaso-occlusive. Tra le manifestazioni vaso-occlusive, tipica è l’ostruzione dei vasi retinici, che porta a cecità parziale o totale e determina cicatrici corio-retiniche, una delle manifestazioni retiniche più comuni e patognomoniche dell’anemia falciforme. Dal punto di vista laboratoristico, si osserva riduzione dell’Hb; la diagnosi è confermata da striscio periferico, test di solubilità ed elettroforesi dell’emoglobina, che evidenzia le anomalie strutturali.


4 di 21 Domande

Il Sig. Versici, un uomo di circa 70 anni, si reca presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, Il Dott. Mancini, per un fastidio al polso destro. Anamnesi patologica prossima: lamenta dolore al polso destro da circa due giorni.

Anamnesi patologica prossima: positiva per due interventi di chirurgia sostitutiva dell'anca, due precedenti episodi di gotta in entrambe le prime articolazioni metatarso-falangee ed ipertensione. Esame obiettivo: il Dott. Mancini visitandolo riscontra la presenza di rossore e gonfiore sul versante dorsale del polso. La sintomatologia dolorosa viene esacerbata da movimenti di flesso-estensione completi. Gli vengono prescritti 80 mg di aspirina al giorno. Due giorni dopo il gonfiore però è aumentato sul versante dorsale del polso ed a livello della mano. La flessione del polso risulta limitata dell' 80% con dolore severo, pertanto il Sig. Versici si reca nuovamente presso l’ ambulatorio del Dott. Mancini, che rivisitandolo nota che evoca un dolore sordo alla palpazione dello scafoide e pertanto nel sospetto di frattura gli prescrive un esame radiografico del polso/mano. Esami strumentali-laboratoristici: evidenza di alterazioni riconducibili ad un quadro di artrite gottosa. Quale tipo di citochine sono coinvolte in questo processo?

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La risposta corretta è la C.

La flogosi è un meccanismo di difesa di tipo aspecifico: risponde all’agente lesivo di tipo fisico-meccanico, radiazioni, batteri o sostanze chimiche. È quindi la risposta al danno tissutale ed è un processo reattivo (diverso dalla necrosi che è regressiva), aspecifico (contro tutto ciò che causa danno), stereotipato (stessi meccanismi principali a prescindere dalla causa, con vie diverse secondo lo stimolo), e procede indipendentemente dalla causa (una volta innescato, continua anche se lo stimolo è rimosso). Nella fase acuta si ha aumento del flusso ematico e della permeabilità vascolare, con accumulo di fluidi, leucociti e mediatori come le citochine. Vari fattori solubili favoriscono il reclutamento dei leucociti aumentando l’espressione di molecole di adesione e di fattori chemiotattici. Le citochine chiave sono IL-1, TNF-?, IL-6, IL-8 e altre chemochine; IL-1 e TNF-? sono particolarmente potenti, inducono febbre promuovendo la sintesi di PGE2 nell’endotelio ipotalamico. L’IL-1 è prodotta da macrofagi, neutrofili, cellule endoteliali ed epiteliali: a basse concentrazioni induce adesione leucocitaria, ad alte induce febbre e proteine di fase acuta. Diversamente dal TNF-?, non causa da sola shock settico. Inoltre stimola i mastociti al rilascio di istamina, con vasodilatazione precoce e aumento della permeabilità.

Durante l’infiammazione avvengono: (1) modificazioni di flusso e calibro vascolare con aumento del flusso sanguigno, (2) modificazioni del microcircolo e formazione dell’essudato, (3) richiamo chemiotattico dei leucociti, (4) fagocitosi. Dopo lo stimolo lesivo si ha vasocostrizione transitoria seguita da vasodilatazione intensa (iperemia attiva, responsabile di rubor e calor). Successivamente si verifica rallentamento della circolazione (iperemia passiva o stasi), dovuto ad aumentata permeabilità capillare con essudazione proteica e aumento della viscosità ematica. Il modello tipico dell’infiammazione acuta comprende: alterazioni di flusso e calibro, iperemia attiva e passiva, permeabilizzazione endoteliale con essudato, migrazione leucocitaria e chemiotassi, fagocitosi.

La chemiotassi è movimento orientato lungo un gradiente chimico; gli stimoli possono essere esogeni (prodotti batterici) o endogeni (complemento, leucotrieni, citochine). Durante la stasi i neutrofili si dispongono lungo l’endotelio (marginazione). Segue l’adesione: i leucociti rotolano con legami labili, poi aderiscono stabilmente formando la “pavimentazione”. Successivamente attraversano l’endotelio (diapedesi) e migrano verso lo stimolo. L’endotelio normalmente è continuo e liscio, ma nell’infiammazione aumenta la permeabilità ed esprime molecole di adesione preformate (es. P-selectina dai corpi di Weibel-Palade).

Le principali molecole di adesione sono: selectine (E sull’endotelio, P sull’endotelio in infiammazione, L sui leucociti, legano zuccheri); immunoglobuline (ICAM-1 e VCAM-1, interagiscono con integrine leucocitarie, le ICAM-1 si legano alle integrine ?2); VCAM-2 proprie dell’endotelio; integrine (già presenti sui leucociti, ma con bassa affinità: aumentano l’avidità a seguito di stimoli chemiokinici e dell’induzione di ICAM/VCAM-1). Le citochine IL-1 e TNF inducono fortemente la sintesi di ICAM-1 e VCAM-2, molecole implicate nei legami forti, la cui espressione richiede più tempo.


5 di 21 Domande

Il Sig. Mariani, un uomo di 78 anni si reca presso il PS del Policlinico Torvergata di Roma, a causa di un episodio di dispnea acuta. Anamnesi patologica prossima: lamenta comparsa di episodi di tosse produttiva, gonfiore degli arti inferiori e dei piedi, astenia, che perdurano da 3 settimane. Inoltre, da due mesi a questa parte, si sono presentate crisi di dispnea da sforzo ingravescente. Anamnesi patologica remota: una decina di anni prima è stato sottoposto ad un intervento di chirurgia sostitutiva per impianto di protesi valvolare di suino, a causa di un rigurgito della valvola mitrale di grado severo. Il paziente è affetto da coronaropatia, diabete mellito di tipo 2 ed ipertensione. Anamnesi fisiologica: ha fumato per 55 anni un pacchetto di sigarette al giorno e abitualmente beve una birra al giorno. Anamnesi farmacologica Attualmente prende diversi farmaci tra cui cardioaspirina, simvastatina, ramipril, metoprololo, metformina e idroclorotiazide. Esame obiettivo: si presenta dall’ aspetto pallido. L’ uomo è alto 181 cm e pesa 128 kg, con una BMI di circa 41 kg/m2. Ha una temperatura corporea di 37.3 °C , frequenza respiratoria di 23 atti/min, frequenza cardiaca di 97 bpm, e pressione arteriosa di 148/95 mm Hg. All’ auscultazione del torace si riscontra la presenza di rantoli alle basi polmonari bilateralmente. L’ esame obiettivo del cuore rivela la presenza di un battito apicale dislocato lateralmente e la presenza, a livello dell’ apice, di un soffio diastolico 3/6 di intensità decrescente. Inoltre si osserva la presenza di edemi improntabili bilateralmente a livello dei piedi e delle caviglie. Il resto dell’ esame obiettivo non mostra altre anomalie. Quale tra le seguenti è la causa più probabile dei sintomi di questo paziente?

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La risposta D è corretta.

Il paziente circa 10 anni fa si era sottoposto a un intervento di sostituzione protesica con impianto di protesi valvolare suina per severo rigurgito mitralico. Il trattamento di una valvulopatia, a meno che non sia di grado medio-elevato e clinicamente significativa, richiede solo un controllo periodico, mentre l’intervento chirurgico è indicato in presenza di una lesione moderata o grave responsabile di sintomi e/o disfunzione cardiaca. Le opzioni vanno dalla valvuloplastica alla riparazione fino alla sostituzione, che può essere effettuata con protesi meccaniche (preferite nei pazienti <65 anni o con lunga aspettativa di vita, ma richiedono anticoagulazione cronica con warfarin per prevenire tromboembolismo) o biologiche (suine o bovine, più soggette a deterioramento sclero-fibrotico, con durata media 10-15 anni). Una complicanza possibile delle protesi biologiche è l’ostruzione/stenosi o il rigurgito, entrambi responsabili di scompenso cardiaco.

L’endocardite infettiva insorge in presenza di una predisposizione endocardica (patologie congenite, reumatiche, valvole bicuspidi calcifiche, prolasso mitralico, cardiomiopatia ipertrofica, precedente endocardite). Fattori predisponenti sono protesi valvolari, tossicodipendenza, diabete, uso cronico di anticoagulanti o steroidi, età avanzata. Agenti più comuni sono streptococchi e stafilococchi (80-90%), seguiti da enterococchi e microrganismi HACEK. Clinicamente si manifesta con febbre, nuovo soffio o modifica di un soffio preesistente, può causare scompenso cardiaco e, all’ecocardiogramma, vegetazioni. Segni caratteristici: petecchie congiuntivali, macchie di Roth, lesioni di Janeway, nodi di Osler, emorragie subungueali a scheggia. La diagnosi si basa sui criteri di Duke (diagnosi rigettata, possibile o certa). In assenza di emocolture disponibili, e senza rischio per MRSA, la terapia empirica si effettua con un ?-lattamico + amminoglicoside. Sebbene questo paziente presenti soffio e segni di scompenso, non ha febbre né criteri di Duke: l’endocardite è improbabile (risposta A errata).

La BPCO è una malattia polmonare cronica non reversibile, con ostruzione bronchiale persistente (VEMS/CVF <0,7), spesso correlata a fumo e caratterizzata da progressione, riacutizzazioni infettive, dispnea, tosse produttiva cronica, tachipnea, cianosi e ipertensione polmonare nelle fasi avanzate. All’auscultazione: respiro sibilante e fase espiratoria prolungata. Nonostante il paziente sia fumatore con tosse, i sintomi durano solo da 3 settimane e non vi sono segni obiettivi di ostruzione: la diagnosi di BPCO è errata (risposta B errata).

La polmonite è un’infiammazione acuta polmonare (batterica, virale, fungina, parassitaria) diagnosticata con RX torace e reperti clinici. Può essere comunitaria (più spesso da Streptococcus pneumoniae, Mycoplasma pneumoniae) o nosocomiale. Clinicamente: febbre, tosse, dispnea, astenia, ipossia; nella forma tipica: esordio acuto con febbre, tosse produttiva, crepitii e rumori bronchiali; nella forma atipica: esordio graduale con tosse secca, dispnea e pochi segni obiettivi. È indicato esame colturale di sangue/escreato. Questo paziente presenta tosse produttiva ma non febbre, e all’auscultazione rantoli basali bilaterali: più compatibili con scompenso cardiaco che con polmonite (risposta C errata).

L’embolia polmonare è occlusione di arterie polmonari da trombi (arti inferiori/pelvi). Presentazione acuta con sintomi aspecifici: dolore toracico pleuritico, tosse, sincope, dispnea, arresto cardiorespiratorio nei casi gravi; segni: tachipnea, tachicardia, ipotensione. Fattori di rischio: immobilizzazione, trombofilie, gravidanza, chirurgia recente. In questo paziente tosse e dispnea possono mimarla, ma anamnesi negativa per immobilizzazione e presenza di stenosi mitralica con edemi declivi bilaterali fanno propendere per scompenso cardiaco congestizio piuttosto che embolia polmonare (risposta E errata).


6 di 21 Domande

Il Sig. Verci, un uomo di circa 60 anni si reca, presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, il Dott. Briga, per dispnea. Anamnesi patologica prossima: lamenta una dispnea ingravescente da circa un mese. Inizialmente era in grado di salire 3 rampe di scale fino al suo appartamento, ma ora necessita di effettuare numerose pause per recuperare il fiato. Non lamenta dolore al petto. Anamnesi patologica remota: l'uomo è affetto da cardiopatia reumatica e diabete mellito di tipo 2. Anamnesi fisiologica: è emigrato dall'India circa 20 anni prima. Anamnesi farmacologica: assume carvedilolo, torasemide e insulina. Esame obiettivo: il Dott. Briga visita il Sig. Verci riscontrando una temperatura corporea di 37.2 °C, una frequenza cardiaca di 74 bpm, una frequenza respiratoria di 19 atti/min ed una pressione arteriosa di 135/80 mm Hg. La pulsossimetria mostra una saturazione d'ossigeno del 96% in aria ambiente. L'auscultazione del torace rivela la presenza di crepitii alle basi polmonari bilateralmente. All’ auscultazione cardiaca si riscontra la presenza di un soffio d'apertura seguito da un soffio diastolico di bassa tonalità , a livello del quanto spazio intercostale di sinistra in corrispondenza della linea medio-claveare. Esami strumentali-laboratoristici: il Dott. Briga decide di far eseguire una radiografia del torace al Sig. Verci, che mostra una dilatazione dell'atrio di sinistra, con stiramento del margine cardiaco di sinistra, ed un’ aumentata trama vascolare. Quale tra i seguenti rappresenta l'intervento di prima scelta per migliorare la sintomatologia del paziente?

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La risposta corretta è la D.

La malattia reumatica è la causa più frequente di stenosi mitralica non complicata. È caratterizzata da fibrosi, calcificazione dei lembi valvolari e parziale fusione delle commissure, con conseguente riduzione dell’ostio valvolare (normalmente 4-6 cm²) fino a valori <1 cm². A causa di questo restringimento, l’unico modo per garantire il passaggio di sangue dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro durante la diastole è aumentare le pressioni atriali. Questo incremento si trasmette a monte, con aumento della pressione nelle vene e nei capillari polmonari: ecco la causa della dispnea. Se le pressioni aumentano ulteriormente, soprattutto acutamente, può verificarsi la trasudazione di liquido negli alveoli con conseguente edema polmonare. Il nostro paziente all’auscultazione presenta anche crepitii basali bilaterali. Il gradiente diastolico transvalvolare è proporzionale al grado di stenosi ed è sensibile ad aumenti di portata e frequenza cardiaca: maggiore la portata/frequenza, maggiore il gradiente. Per questo un soggetto asintomatico a riposo può diventare sintomatico anche per sforzi lievi. L’evoluzione della stenosi mitralica è rappresentata dallo sviluppo di ipertensione polmonare arteriosa, secondaria a quella venosa, che provoca vasocostrizione arteriolare inizialmente funzionale e reversibile, successivamente irreversibile per ipertrofia della tonaca media e fibrosi dell’intima. Le elevate resistenze arteriolari del circolo polmonare causano sovraccarico pressorio del ventricolo destro con dilatazione, ipertrofia, disfunzione contrattile e segni di scompenso destro e bassa gittata. Nell’insufficienza mitralica, invece, la pressione atriale sinistra, molto più bassa di quella aortica, fa sì che il sangue refluisca in atrio già durante la contrazione isometrica ventricolare. Nell’insufficienza mitralica cronica l’atrio sinistro si adatta dilatandosi, per cui la pressione a monte non aumenta significativamente; nell’insufficienza acuta, invece, l’atrio non ha tempo di adattarsi e subisce un brusco aumento pressorio con ripercussioni sulla pressione venosa polmonare. Il ventricolo sinistro, sottoposto a sovraccarico di volume, si dilata: inizialmente la frazione di eiezione rimane conservata, poi si riduce progressivamente perché il rigurgito in atrio riduce il volume sistolico effettivo. Una frazione di eiezione <60% è indicativa di compromissione ventricolare sinistra. Nel nostro paziente, per segni, sintomi e reperti auscultatori, è probabile un coinvolgimento valvolare mitralico, in particolare stenosi o steno-insufficienza. L’intervento di scelta, nella stenosi mitralica clinicamente significativa (area ?1,5 cm²) o sintomatica, e nei pazienti con controindicazioni alla chirurgia, è la valvuloplastica percutanea con palloncino: una “dilatazione controllata” eseguita con un palloncino ad alta resistenza gonfiato in prossimità della valvola, introdotto tramite catetere da vena femorale destra. È una tecnica mini-invasiva che riduce morbilità e mortalità perioperatorie, con buona efficacia a lungo termine (sopravvivenza libera da eventi nel 30-70% dei casi), sebbene non siano rare le restenosi. Non può essere eseguita in presenza di calcificazioni valvolari, per cui è indicata la sostituzione valvolare.


7 di 21 Domande

Un ragazzo di 20 anni presenta il seguente ECG. Cosa si nota all'ECG?

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La risposta esatta è la A.

Le derivazioni da V1 a V6, chiamate derivazioni precordiali, esprimono l’attività elettrica del cuore sul piano orizzontale: V1-V2 esplorano il setto interventricolare, V3-V4 la parete anteriore del ventricolo sinistro, V5-V6 la parete laterale del ventricolo sinistro. L’onda P indica la depolarizzazione atriale, il complesso QRS e l’onda T indicano rispettivamente la depolarizzazione e la ripolarizzazione ventricolare, mentre la ripolarizzazione atriale non è visibile poiché avviene durante la depolarizzazione ventricolare. In età giovanile, dopo la pubertà, il vettore di ripolarizzazione ventricolare rende le T positive in tutte le derivazioni precordiali, tranne V1 e raramente V2; in casi eccezionali, la negatività può coinvolgere anche V3 e V4 (onda T giovanile). Dopo la pubertà, la presenza di onde T invertite ?2 mm in due o più derivazioni contigue del ventricolo destro può indicare cardiopatia congenita con sovraccarico di pressione o volume (cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro) oppure, più raramente, patologie ereditarie dei canali del sodio o potassio. L’ECG descritto mostra ritmo sinusale, alterazioni diffuse della ripolarizzazione con T negativa da V1 a V5, R alta in V1 e asse spostato a destra: reperti suggestivi di ipertrofia ventricolare destra a carattere aritmogeno. La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro è spesso familiare, più frequentemente a trasmissione autosomica dominante, e coinvolge prevalentemente ma non esclusivamente il ventricolo destro. Nel 10-20% dei casi è presente una mutazione nei geni che codificano proteine del desmosoma. Istologicamente si osserva progressiva sostituzione del miocardio con tessuto fibro-adiposo, che genera aree di discinesia e dilatazione soprattutto nel tratto di afflusso, efflusso e apice del ventricolo destro (triangolo della displasia), ma può estendersi all’intera parete ventricolare destra o anche al ventricolo sinistro. Questa condizione, per le alterazioni morfologiche e funzionali, è causa frequente di aritmie ventricolari e morte improvvisa, soprattutto in età giovanile durante o subito dopo l’attività fisica. In presenza di un ECG di questo tipo è quindi indicato eseguire un ecocardiogramma per rilevare eventuali alterazioni strutturali cardiache.


8 di 21 Domande

La signora Rettori, una donna di 45 anni, si reca dal proprio medico curante, il Dott. Pressi, per malessere. Anamnesi patologica prossima: comparsa di febbre, disuria e dolore alla schiena. Il Dott. Pressi consiglia alla paziente di recarsi in ospedale per ulteriori accertamenti; qui la donna verrà successivamente ricoverata con una sospetta diagnosi di pielonefrite. La paziente viene sottoposta a terapia con antibiotici ad ampio spettro, che determinano un significativo miglioramento della sintomatologia. Tuttavia, durante il quarto giorno di ricovero, la donna presenta nuovamente febbre, con leucocitosi e profusa diarrea acquosa. Esami strumentali: viene effettuata una colonscopia, visibile nell’ immagine sottostante.

Quale è la terapia per il trattamento di questo disturbo?

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La risposta corretta è la D.

La paziente presenta una colite pseudomembranosa causata da Clostridium difficile, un batterio appartenente alla famiglia Clostridiaceae, patogeno per l’uomo, Gram+ anaerobio. Il C. difficile è virulento in quanto possiede due tossine: la tossina A, un’enterotossina che si lega alle cellule della mucosa e causa un’ipersecrezione di liquido determinando diarrea acquosa; la tossina B, una citotossina che provoca gravi danni alla mucosa determinandone l’aspetto pseudomembranoso. Il Clostridium difficile causa colite associata ad antibiotici, tipicamente in ambiente ospedaliero. Fa parte normalmente del microbiota umano; tuttavia, quando si utilizzano antibiotici per lungo tempo, questi possono distruggere anche i batteri che tengono “sotto controllo” il Clostridium. Quando il C. difficile diviene dominante, si possono avere crampi addominali, colite pseudomembranosa, diarrea (talora ematica), raramente sepsi e addome acuto. I sintomi insorgono alcuni giorni dopo l’inizio della terapia antibiotica e includono diarrea acquosa o scariche di feci non formate, crampi addominali, raramente nausea e vomito. Per la diagnosi è importante l’identificazione della tossina nelle feci. Il trattamento consiste nell’interrompere la terapia antibiotica; se la sintomatologia è grave è possibile utilizzare vancomicina o metronidazolo (nel nostro caso, non essendo la vancomicina tra le opzioni, la risposta corretta è la D).


9 di 21 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

In seguito ai valori di glicemia a digiuno riscontrati, si richiede curva da carico orale di glucosio (OGTT). In base ai risultati sopra riportati, la paziente presenta:

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La risposta corretta è la B.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza.

L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: è necessario un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si associano inoltre a modifiche del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, arti inferiori, retina) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie degli arti inferiori).

Il diabete si classifica in due tipologie principali:

– diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), che può avere cause immuno-mediate o idiopatiche;

– diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e deficienza insulinica relativa, nella maggior parte dei casi senza necessità di insulina.

Esiste poi il diabete gestazionale, che compare in gravidanza e regredisce dopo il parto.

Tra le sindromi secondarie ricordiamo:

– pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori),

– patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite),

– patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante),

– tossicità da farmaci o sostanze chimiche (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.).

Il diabete può rimanere a lungo silente. Si stima che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% resti non diagnosticato.

Per la diagnosi, le misurazioni della glicemia prevedono:

– glicemia a digiuno (da almeno 12 ore): due rilevazioni ?126 mg/dl;

– glicemia random >200 mg/dl, ma solo in paziente sintomatico (polidipsia, poliuria, nicturia, ecc.);

– curva da carico con 75 g di glucosio in 200-250 ml d’acqua: il test si esegue solo se la glicemia basale è <126 mg/dl, e la diagnosi si pone se a 2 ore la glicemia è >200 mg/dl.


10 di 21 Domande

La signora Bellini è una giovane donna ricoverata nel reparto di ginecologia ed ostetricia dopo un parto complicato da una rottura prematura delle membrane amnio-coriali ed un prolungato travaglio. Anamnesi patologica prossima: In seconda giornata sviluppa febbre con brivido associata ad ipotensione e intenso dolore addominale che fanno sospettare un’ endometrite purperale. Il Dott. Lanfranchi decide di sottoporre la paziente ad una radiografia del torace e decide di avviare la terapia antibiotica e reidratante con 4.000 ml di soluzione salina nelle successive 24 ore ma l’ ipertermia persiste e si ottiene un lieve incremento della pressione arteriosa. Improvvisamente la sig.ra Bellini presenta dispnea. Esame obiettivo: viene rilevata una SpO2 dell’ 82% che non aumenta anche con ossigenoterapia con FiO2 del 100%. Il Dott. Lanfranchi decide quindi di intubare la paziente e si eroga una FiO2 del 100%. Non si rileva turgore giugulare, all’ auscultazione polmonare si apprezzano crepitii diffusi bilateralmente. Esami di laboratorio-strumentali: viene rapidamente inviato in laboratorio un campione di sangue arterioso che evidenzia PaO2 di 62 mmHg e PaCO2 di 33 mmHg. L’ ECG mostra tachicardia sinusale. Viene effettuato un nuovo RX del torace che mostra un quadro polmonare modificato rispetto a quanto si era visto nel precedente. Sulla base dei dati forniti quale tra le seguenti è la diagnosi più probabile?

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La risposta corretta è la B.

Questo paziente molto probabilmente ha una ARDS e il rapporto PaO2/FiO2 è <200: la paziente ha un rapporto di 60 (FiO2 = 1 ovvero 100% e PaO2 di 60 mmHg: necessita di ossigeno al 100% per mantenere una pressione di PaO2 accettabile). La RX torace mostra infiltrati polmonari diffusi non riconducibili a eziologia cardiogena. L’EO evidenzia dispnea ingravescente a insorgenza improvvisa, con crepitii diffusi bilateralmente. La paziente presentata nel caso è verosimilmente affetta da ARDS in seguito a sepsi da endometrite postpartum.

La sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) è una grave malattia acuta polmonare. I fattori scatenanti sono numerosi: polmonite, shock, gravi traumi, sepsi, aspirazione di alimenti (ab ingestis), pancreatite. È caratterizzata da danno diffuso della membrana alveolo-capillare, con edema polmonare non cardiogenico (ricco di proteine) e insufficienza respiratoria acuta (ARF). Si osserva reclutamento di neutrofili nei capillari alveolari e formazione di membrane ialine. I neutrofili rilasciano chemochine (che richiamano istiociti), producono ROS, proteasi, leucotrieni, fattore di attivazione piastrinica, prostaglandine e altre molecole che danneggiano le barriere tra capillari e spazi aerei. Gli alveoli e l’interstizio si riempiono di proteine, detriti cellulari e liquido, con distruzione del surfattante, collasso alveolare e mismatch ventilazione/perfusione.

L’ARDS determina grave ipossiemia refrattaria all’ossigenoterapia. I criteri diagnostici comprendono:

– Opacità bilaterali alla RX non spiegabili da versamento, atelettasia o noduli.

– PaO2/FiO2 ?200 mmHg.

– Assenza di evidenza clinica di aumentata pressione atriale sinistra o insufficienza cardiaca (PCWP <18 mmHg). Una pressione di incuneamento capillare polmonare >18 mmHg orienta invece verso edema polmonare cardiogeno.

Secondo la “Definizione di Berlino 2012” l’ARDS si classifica in:

– Lieve: PaO2/FiO2 ?200 mmHg.

– Moderata: PaO2/FiO2 ?100 mmHg.

– Grave: PaO2/FiO2 ?100 mmHg.


11 di 21 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

Per il paziente diabetico è essenziale assumere cibi a basso indice glicemico. Qual è tra i seguenti alimenti quello che presenta il più basso indice glicemico?

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La risposta corretta è la A.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza. L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: serve un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si accompagnano anche ad alterazioni del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, retina, arti inferiori) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie periferiche). Il diabete si classifica in due tipologie principali: diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), con cause immuno-mediate o idiopatiche; diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e relativa deficienza insulinica, che nella maggior parte dei casi non richiede terapia insulinica. Esiste anche il diabete gestazionale, che si manifesta in gravidanza e regredisce dopo il parto. Tra le forme secondarie: pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori), patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite), patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante), tossicità da farmaci o sostanze (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.). Il diabete può progredire a lungo senza sintomi. Si calcola che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% rimane non diagnosticato. Per la diagnosi: glicemia a digiuno ?126 mg/dl in due misurazioni, glicemia random >200 mg/dl in presenza di sintomi (poliuria, polidipsia, nicturia), curva da carico con 75 g di glucosio (diagnosi se glicemia >200 mg/dl a 2 ore). Prima del test, la glicemia basale deve essere <126 mg/dl. Il test va eseguito in pazienti non ricoverati, in buone condizioni cliniche, dopo dieta abituale (non ridotta in carboidrati), a digiuno dalla mezzanotte, senza febbre, stress o fumo. Indicazioni alla curva da carico: glicemia alterata a digiuno (100–125 mg/dl), familiarità per diabete dai 30-40 anni, obesità, complicanze cardiovascolari (TIA, angina, claudicatio), soprattutto se obesi e fumatori, infezioni urinarie o cutanee ricorrenti con glicemia alterata. Il 90% dei casi è di tipo II, storicamente detto diabete dell’adulto (esordio >40 anni), ma oggi è sempre più precoce (anche a 18 anni), correlato all’obesità, in particolare infantile (Italia con alta prevalenza, soprattutto nel centro-sud). Nei gemelli monozigoti la concordanza è ~100% nel tipo II, mentre nel tipo I, pur avendo componente genetica, è solo del 50% per il ruolo di fattori ambientali. Anche nei monozigoti separati alla nascita la concordanza del tipo II rimane elevata, a dimostrazione della forte componente genetica, ancora non del tutto chiarita.


12 di 21 Domande

Quale dei seguenti fannaci non è un antiaggregante?














La risposta corretta è la B
La risposta corretta alla domanda "Quale dei seguenti farmaci non è un antiaggregante?" è Fondaparinux. Fondaparinux è un anticoagulante, non un antiaggregante, come invece lo sono il Clopidogrel, l'Acido acetilsalicilico, il Ticagrelor e il Prasugrel. Il Fondaparinux è una forma sintetica di eparina a basso peso molecolare che agisce inibendo in modo selettivo il fattore Xa. Questo meccanismo di azione lo distingue dagli antiaggreganti piastrinici, che invece impediscono l'aggregazione delle piastrine, processo vitale nella formazione dei trombi. L'azione del Fondaparinux si lega specificamente ad antitrombina III, accelerando significativamente l'inattivazione del fattore Xa. Senza un'attiva generazione di trombina, i coaguli non si formano, il che lo rende efficace nella prevenzione e trattamento di condizioni tromboemboliche. Questo farmaco è comunemente impiegato nella profilassi della trombosi venosa profonda (TVP) in pazienti sottoposti a chirurgia ortopedica maggiore, come la sostituzione dell'anca o del ginocchio, e nel trattamento della TVP stessa e dell'embolia polmonare quando non accompagnati dalla necessità di trombolisi o intervento chirurgico immediato. La patologia alla base del suo impiego, la trombosi venosa profonda, si manifesta con la formazione di un trombo all'interno di una vena profonda, solitamente nelle gambe. Se tale trombo si distacca, può viaggiare fino ai polmoni, causando un'embolia polmonare, una condizione potenzialmente letale. La prevenzione di questi eventi in pazienti ad alto rischio è fondamentale, e l'azione specifica degli anticoagulanti come il Fondaparinux svolge un ruolo chiave in questo ambito. Oltre alla prevenzione, il Fondaparinux è utilizzato anche nel trattamento acuto della TVP e dell'embolia polmonare, fornendo una strategia terapeutica che mira a impedire l'ampliamento del trombo esistente e la formazione di nuovi trombi. La sua efficacia e il suo profilo di sicurezza ne hanno favorito l'adozione su ampia scala in queste indicazioni. In sintesi, la distinzione tra anticoagulanti come il Fondaparinux e antiaggreganti piastrinici risiede nel meccanismo d'azione e nelle condizioni specifiche per cui sono indicati; il Fondaparinux attraverso l'inibizione del fattore Xa previene e tratta le malattie tromboemboliche, svolgendo un ruolo essenziale nella gestione della trombosi venosa profonda e dell'embolia polmonare.

13 di 21 Domande

Il dabigatran, l'apixaban, il rivaroxaban e l'edoxaban sono tutti anticoagulanti orali diretti (DOACs); il primo si differenzia dagli altri poiché è un inibitore del:














La risposta corretta è la E
Il dabigatran, l'apixaban, il rivaroxaban e l'edoxaban sono tutti anticoagulanti orali diretti (DOACs); il primo si differenzia dagli altri poiché è un inibitore del Fattore IIa. Questa distinzione è importante perché mentre il dabigatran agisce inibendo direttamente il trombina (Fattore IIa), l'apixaban, il rivaroxaban e l'edoxaban sono invece inibitori del Fattore Xa. La trombina o Fattore IIa gioca un ruolo cruciale nella coagulazione del sangue, essendo implicata nella conversione del fibrinogeno in fibrina, che a sua volta contribuisce alla formazione del coagulo. L'inibizione della trombina quindi interviene in un passaggio centrale del processo di coagulazione, impedendo la formazione di fibrina e quindi la coagulazione del sangue e la formazione di trombi. La capacità del dabigatran di agire specificamente su questo target ne fa uno strumento prezioso nella prevenzione e nel trattamento di condizioni trombotiche, come la trombosi venosa profonda, l'embolia polmonare e la prevenzione dell'ictus in pazienti con fibrillazione atriale non valvolare. La patologia pertinente qui è la formazione di coaguli indesiderati che possono portare a condizioni severe quali la tromboembolia venosa (TEV), che comprende la trombosi venosa profonda (TVP) e l'embolia polmonare (EP). Queste condizioni si verificano quando si formano coaguli in vene profonde, solitamente negli arti inferiori, che possono poi migrare nei polmoni, causando l'embolia polmonare. Questo fenomeno può portare a danni gravi e potenzialmente mortali se non trattato, bloccando il flusso sanguigno a parti vitali del corpo. L'anticoagulazione si rivela quindi essenziale nel ridurre il rischio di formazione di questi coaguli. L'inibizione del Fattore IIa da parte del dabigatran impedisce la conversione del fibrinogeno in fibrina, una componente cruciale dei trombi, agendo direttamente all'interno della cascata coagulativa senza aver bisogno di mediatori come l'antitrombina, a differenza degli inibitori del Fattore Xa. Questo meccanismo d'azione diretto e specifico rende il dabigatran un potente anticoagulante per la gestione e la prevenzione di eventi tromboembolici in clinica.

14 di 21 Domande

L'indicazione ad una profilassi anticoagulante orale non sussiste in una delle seguenti condizioni:














La risposta corretta è la D
L'indicazione ad una profilassi anticoagulante orale non sussiste in caso di tachicardia parossistica sopra ventricolare. La tachicardia parossistica sopra ventricolare (SVT, dall'inglese SupraVentricular Tachycardia) si riferisce a vari disturbi del ritmo cardiaco che originano al di sopra del ventricolo. Questa condizione è caratterizzata da episodi improvvisi di un battito cardiaco che è anormalmente rapido. A differenza della fibrillazione atriale (FANV), che è marcata da un ritmo atriale irregolare e spesso rapidamente oscillante, le SVT tendono ad avere un ritmo regolare, sebbene veloce. La profilassi anticoagulante orale è comunemente consigliata nelle condizioni caratterizzate da un elevato rischio di formazione di trombi, come la fibrillazione atriale. Ciò perché la FANV facilita l'accumulo di sangue negli atri, con conseguente rischio aumentato di formazione di coaguli sanguigni che possono migrare ad altre parti del corpo, come il cervello, causando ictus. Al contrario, nella tachicardia parossistica sopra ventricolare, il rischio di formazione di coaguli sanguigni non è normalmente aumentato a tal punto da richiedere la profilassi anticoagulante. Nel caso della SVT, il problema principale risiede nella rapidità degli impulsi elettrici nel cuore, che può portare a sintomi fastidiosi, ma non tipicamente a un rischio significativamente aumentato di ictus. Pertanto, il trattamento si concentra più sulla gestione dei sintomi e sulla prevenzione degli episodi piuttosto che sulla anticoagulazione. Da una prospettiva più ampia, le SVT sono causate da diversi tipi di meccanismi, tra cui la reinscenza (una condizione in cui un impulso elettrico gira intorno a un circuito nel cuore, provocando un battito cardiaco molto rapido) e il fenomeno dell'atterramento (un'attività elettrica anormale che si verifica al di sopra dei ventricoli). I trattamenti variano in base al tipo specifico di SVT e possono includere farmaci, manovre fisiche che influenzano il sistema nervoso e influenzano il ritmo cardiaco, o procedimenti più invasivi come l'ablazione cardiaca per eliminare la parte del tessuto cardiaco che causa il problema. Infatti, considerare l'uso della profilassi anticoagulante in pazienti con SVT richiede una valutazione dettagliata del rischio individuale di ictus che, nella maggior parte dei casi, non è significativo come nelle forme di fibrillazione atriale. Questo sottolinea l'importanza di differenziare tra le varie arritmie cardiache nel determinare il corretto approccio terapeutico, in quanto le implicazioni per il trattamento e il potenziale rischio per il paziente variano considerevolmente.

15 di 21 Domande

Quale di questi esami è il Gold standard nella diagnosi del carcinoma della prostata?














La risposta corretta è la C
La risposta corretta alla domanda su quale sia il Gold standard nella diagnosi del carcinoma della prostata è la biopsia prostatica eco-guidata. La biopsia prostatica eco-guidata rappresenta il metodo di riferimento per la diagnosi del carcinoma della prostata, in quanto permette di ottenere campioni di tessuto direttamente dalla ghiandola prostatica, che possono poi essere esaminati al microscopio per rilevare la presenza di cellule cancerose. Il carcinoma della prostata è uno dei tipi di tumore più comuni negli uomini. Esso origina nelle cellule della prostata, una ghiandola del sistema riproduttore maschile che aiuta a produrre parte del liquido seminale. La malattia può variare da forme a crescita lenta, che richiedono poco o nessun trattamento, a forme aggressive, che possono diffondersi rapidamente. Quando si sospetta un carcinoma della prostata, sia a seguito di risultati anomali in esami preliminari come il dosaggio del PSA (Antigene Prostatico Specifico) o un'esplorazione rettale, sia per sintomi urinari, è indispensabile eseguire una biopsia per confermare la diagnosi. Durante una biopsia prostatica eco-guidata, un medico inserisce un sottile ago attraverso la parete del retto (approccio transrettale) o attraverso la pelle tra l'ano e lo scroto (approccio transperineale), guidato dalle immagini ad ultrasuoni, per prelevare piccoli campioni di tessuto dalla prostata. Questi campioni verranno poi analizzati in laboratorio per determinare se contengono cellule cancerose e, in caso affermativo, per valutarne il grado, ovvero quanto questi tessuti appaiono differenti da quelli sani e la probabilità che il tumore si diffonda. La precisione e l'affidabilità di questo tipo di biopsia nel rilevare un carcinoma prostatico è ciò che la rende il Gold standard per la diagnosi di questo tipo di cancro. Contrariamente ad altri esami diagnostici come il dosaggio del PSA, che può risultare elevato anche in condizioni benigne della prostata, o immagini diagnostiche come la risonanza magnetica (MRI), che possono aiutare a localizzare l'area di sospetto tumore ma non possono confermare la presenza di cellule cancerose, la biopsia prostatica eco-guidata fornisce prove dirette e conclusive della presenza o assenza di carcinoma della prostata. È , dunque, fondamentale per la pianificazione del trattamento più appropriato per il paziente, consentendo una gestione personalizzata e tempestiva della malattia.

16 di 21 Domande

In tutti i trial di prevenzione dello stroke e del cardioembolismo in corso di FANV (fibrillazione atriale non valvolare), tutti i farmaci anticoagulanti orali diretti (DOACs) hanno statisticamente dimostrato, rispetto al warfarin:














La risposta corretta è la B
Nell'ambito dei trial di prevenzione dello stroke e del cardioembolismo associati alla fibrillazione atriale non valvolare (FANV), è stato osservato che tutti i farmaci anticoagulanti orali diretti (DOACs) hanno dimostrato, rispetto al warfarin, una riduzione significativa delle emorragie intracraniche. La risposta corretta mette in evidenza un risultato importante nella gestione e nel trattamento della FANV, soprattutto considerando l'importanza di minimizzare il rischio di complicanze emorragiche in pazienti sottoposti a terapia anticoagulante. La fibrillazione atriale (FA) rappresenta la più comune aritmia cardiaca sostenuta, incidendo significativamente sulla salute pubblica a causa del suo legame con un elevato rischio di stroke e altre complicanze cardioemboliche. La strategia terapeutica per la FA non valvolare include la riduzione del rischio di eventi embolici, per cui gli anticoagulanti orali rappresentano un pilastro fondamentale del trattamento. Il warfarin, un antagonista della vitamina K, è stato a lungo lo standard terapeutico in questo contesto, ma la sua gestione è complessa a causa della necessità di un monitoraggio frequente e delle interazioni con il cibo e altri farmaci. I DOACs, includendo agenti come dabigatran, rivaroxaban, apixaban e edoxaban, offrono una serie di vantaggi rispetto al warfarin, tra cui una minor necessità di monitoraggio e una minore variabilità delle risposte individuelle. Il loro meccanismo d'azione mira specificamente a fattori della coagulazione quali il fattore Xa o la trombina, risultando in un profilo clinico che favorisce la riduzione degli eventi emorragici, in particolare delle emorragie intracraniche. Le emorragie intracraniche rappresentano una delle complicanze più gravi associate all'uso di anticoagulanti, avendo conseguenze potenzialmente letali o disabilitanti. La riduzione significativa di questi eventi nei pazienti trattati con DOACs rispetto al warfarin si traduce non solo in un vantaggio clinico diretto per il paziente, ma anche in una maggiore sicurezza nella gestione a lungo termine della FANV. Tale risultato sottolinea l'importanza della selezione del regime anticoagulante più appropriato, considerando il profilo di rischio emorragico del paziente e le specifiche caratteristiche farmacologiche dei DOACs. L'efficacia dei DOACs nel ridurre le emorragie intracraniche conferma il loro ruolo fondamentale nella prevenzione degli stroke in pazienti con fibrillazione atriale non valvolare, offrendo una valida alternativa al warfarin in termini di sicurezza ed efficacia.

17 di 21 Domande

L'alfa 1-antitripsina è un enzima prodotto da:














La risposta corretta è la E
L'alfa 1-antitripsina è un enzima che viene prodotto dal fegato. Questo enzima ha un ruolo cruciale nel proteggere i tessuti del corpo, in particolare nei polmoni, dall'azione distruttiva di altri enzimi rilasciati dai globuli bianchi per combattere le infezioni. Una deficienza o un'alterazione funzionale di alfa 1-antitripsina può portare a gravi problemi di salute, come la malattia polmonare ostruttiva cronica (COPD) e le malattie epatiche. La patologia relativa alla carenza di alfa 1-antitripsina riveste un'importanza significativa nella medicina. La carenza di questo enzima può manifestarsi attraverso vari sintomi e condizioni morbose, che vanno da una lieve compromissione della funzionalità polmonare fino ad arrivare a condizioni più gravi come l'enfisema polmonare e la malattia epatica. L'enfisema si sviluppa a causa della progressiva distruzione del tessuto alveolare nei polmoni, facendo diventare difficoltosa l'azione respiratoria. Dal canto suo, il fegato può soffrire poiché l'accumulo di alfa 1-antitripsina anomala può portare a fibrosi e cirrosi. La patologia è caratterizzata dalla mutazione genetica del gene SERPINA1, che codifica per l'alfa 1-antitripsina. Questa mutazione può portare a una ridotta produzione dell'enzima o alla produzione di un enzima che non funziona come dovrebbe. I livelli di alfa 1-antitripsina nell'organismo possono diventare insufficienti a proteggere i polmoni, facilitando lo sviluppo dell'enfisema in età più giovane, specialmente tra i fumatori. Inoltre, l'accumulo dell'enzima malformato nel fegato, che non riesce ad essere secreto correttamente, può danneggiarlo, portando a un aumento del rischio di sviluppare malattie epatiche. Questa situazione può manifestarsi in diversi modi: dalla presenza asintomatica rilevata tramite esami di laboratorio fortuiti alla comparsa di sintomi di epatopatia cronica, fino al rischio di carcinoma epatocellulare in casi rari ma gravi. Si potrebbe affermare che le persone con una completa carenza di alfa 1-antitripsina si trovano a rischio significativamente più elevato di sviluppare malattie polmonari e hepatiche rispetto alla popolazione generale. La diagnosi tempestiva e la gestione della carenza di alfa 1-antitripsina possono includere la somministrazione di sostituti dell'enzima e strategie per minimizzare i danni ai polmoni e al fegato. Questo evidenzia l'importanza di comprendere la funzione dell'alfa 1-antitripsina e le conseguenze della sua carenza sull'organismo.

18 di 21 Domande

Quale delle seguenti affermazioni sulla Porpora Trombotica Trombocitopenica (PTT) risulta errata?














La risposta corretta è la A
La domanda riguarda quale affermazione sulla Porpora Trombotica Trombocitopenica (PTT) sia errata. La risposta corretta è l'affermazione che al momento l'unica terapia disponibile è la somministrazione di corticosteroidi ad alte dosi. Questa informazione non è corretta perché , oltre ai corticosteroidi, esistono altre opzioni terapeutiche efficaci per il trattamento della PTT, come lo scambio plasmatico. La Porpora Trombotica Trombocitopenica è una malattia rara ma grave, caratterizzata da una trombosi microangiopatica disseminata, che conduce alla formazione di piccoli coaguli di sangue (trombi) all'interno dei vasi sanguigni di tutto il corpo. Questo processo porta a una riduzione del numero di piastrine (causando porpora, ovvero piccole emorragie sotto la pelle), anemia emolitica (a causa della distruzione dei globuli rossi che passano attraverso i vasi danneggiati), febbre, insufficienza renale e vari gradi di disfunzione neurologica. La PTT può presentarsi sia in forma acquisita (la più comune) che in forma ereditaria. La forma acquisita è generalmente causata dalla produzione di autoanticorpi contro ADAMTS13, un enzima che è necessario per il corretto funzionamento delle piastrine e la prevenzione della formazione di trombi. Senza sufficiente ADAMTS13, molecole di von Willebrand di grandi dimensioni si accumulano, portando alla formazione di trombi inappropriati. La forma ereditaria, più rara, è dovuta a una mutazione genetica che riduce l'attività o la produziona di questo enzima. Il trattamento primario della PTT acquisita si basa sullo scambio plasmatico, che rimuove gli anticorpi contro ADAMTS13 dal sangue del paziente e lo sostituisce con plasma fresco congelato, fornendo così l'enzima mancante. Questo trattamento ha notevolmente migliorato la prognosi dei pazienti con PTT, portando a tassi di risposta elevati e a una netta riduzione della mortalità associata alla malattia. Parallelamente, i corticosteroidi possono essere utilizzati per sopprimere l'attività del sistema immunitario e ridurre la produzione di anticorpi contro ADAMTS13. Inoltre, per i casi resistenti o recidivi, possono essere considerate altre opzioni terapeutiche come l'immunosoppressore rituximab. In conclusione, la PTT è una patologia caratterizzata dalla formazione di trombi microangiopatici che porta a una vasta gamma di sintomi critici, inclusa anemia emolitica e trombocitopenia. Lo scambio plasmatico rappresenta un intervento terapeutico chiave nel trattamento di questa malattia, contrariamente all'affermazione errata che identifica i corticosteroidi ad alte dosi come l'unica terapia disponibile.

19 di 21 Domande

È sicuramente utile il dosaggio del BNP in caso di:














La risposta corretta è la C
Il dosaggio del BNP è sicuramente utile in caso di edemi declivi e dispnea da sforzo in pazienti con storia di ipertensione arteriosa. Questo perché il BNP (Peptide Natriuretico di tipo B) è un biomarcatore rilasciato dal cuore in risposta allo stiramento delle camere cardiache, condizione che si verifica frequente in caso di scompenso cardiaco. I pazienti con storia di ipertensione arteriosa hanno un rischio aumentato di sviluppare scompenso cardiaco, pertanto il dosaggio del BNP può risultare di grande aiuto in tali situazioni per confermare o escludere la diagnosi. L'ipertensione arteriosa è una condizione in cui la pressione del sangue nelle arterie è costantemente elevata, il che può portare nel tempo a diversi problemi di salute, tra cui l'insufficienza cardiaca. La patologia dell’ insufficienza cardiaca si verifica quando il cuore non è più in grado di pompare il sangue in modo efficiente per soddisfare le esigenze metaboliche del corpo. I sintomi tipici dell'insufficienza cardiaca includono dispnea (difficoltà di respirazione), edemi declivi (accumulo di liquido nelle parti basse del corpo, specialmente dopo periodi di inattività ), e fatica o affaticamento a causa della ridotta capacità del cuore di pompare sangue ricco di ossigeno ai muscoli e altri tessuti. Il BNP gioca un ruolo chiave nella diagnosi di questa condizione perché i livelli di questo peptide tendono a essere maggiori nei pazienti con insufficienza cardiaca, riflettendo lo sforzo del cuore sotto pressione. Misurando la concentrazione di BNP nel sangue, i medici possono ottenere preziose informazioni sullo stato funzionale del cuore, facilitando così la diagnosi precoce dell’ insufficienza cardiaca in pazienti ipertesi che presentano sintomi ambigui come la dispnea e gli edemi. Inoltre, il BNP aiuta nella stratificazione del rischio, nella guida alla gestione terapeutica e nel monitoraggio della risposta al trattamento in pazienti con insufficienza cardiaca, giocando quindi un ruolo importante nel corso di questa patologia. Il monitoraggio dei livelli di BNP permette ai medici di adattare la terapia farmacologica per ottimizzare il benessere del paziente e prevenire ulteriori danni al cuore. In conclusione, l’ utilizzo del dosaggio del BNP in pazienti con edemi declivi e dispnea da sforzo che hanno una storia di ipertensione arteriosa è un approccio fondato e razionale, dato il suo ruolo cruciale nel valutare e gestire l’ insufficienza cardiaca, condizione che questi pazienti sono a rischio di sviluppare.

20 di 21 Domande

Quale di queste affennazioni relative alla Malattia di Wilson è errata?














La risposta corretta è la A
Un aumento della ceruloplasmina sierica in almeno due controlli è sufficiente per porre diagnosi di Malattia di Wilson. Questa affermazione è errata. La Malattia di Wilson è una condizione ereditaria rara che porta l'organismo a trattenere eccessivamente il rame. Il rame si accumula nei tessuti, provocando danni, in particolar modo al fegato e al sistema nervoso. La Malattia di Wilson è dovuta a mutazioni del gene ATP7B, che comportano un'alterazione nel metabolismo del rame, con un malfunzionamento del processo di esclusione del rame in eccesso da parte del fegato. Normalmente, il rame viene assorbito dall'intestino e trasportato al fegato, dove viene utilizzato o escretto nella bile. Nella Malattia di Wilson, il rame non viene escretto in modo adeguato e si accumula gradualmente nei tessuti, con effetti tossici. Uno dei parametri biochimici che può essere alterato nella Malattia di Wilson è la concentrazione sierica della ceruloplasmina, una proteina che lega il rame nel sangue, ma contrariamente a quanto si potrebbe pensare dalla domanda, i pazienti con Malattia di Wilson solitamente presentano livelli bassi, e non alti, di ceruloplasmina. Questo è perché la ceruloplasmina è coinvolta nel trasporto del rame, e la disfunzione del trasporto del rame porta a una ridotta sintesi di questa proteina. I sintomi della Malattia di Wilson possono variare ampiamente, spaziando da segni di insufficienza epatica a sintomi neurologici come il tremore, che è effettivamente un sintomo neurologico caratteristico e frequente. Altre manifestazioni possono includere difficoltà di parola, ingoiare, fisiche e psichiatriche. L'anello di Kayser-Fleischer, una pigmentazione marrone verdastro dell'occhio dovuta all'accumulo di rame, è un altro segno classico, ma non sempre presente. La diagnosi della Malattia di Wilson si avvale dunque non soltanto della misurazione della ceruloplasmina, ma richiede un complesso approccio che comprende test genetici, esami del fegato, valutazione neurologica e la ricerca dell'anello di Kayser-Fleischer. L'importanza di un'accurata diagnosi è critica per avviare la terapia, che può includere farmaci chelanti in grado di legare il rame e facilitarne l'escrezione, modifiche dietetiche per evitare alimenti ricchi di rame e in alcuni casi può essere necessario ricorrere al trapianto di fegato. In conclusione, la gestione della Malattia di Wilson è complessa e richiede un intervento medico mirato che si basa su una diagnosi accurata, che non può essere semplificata nella misurazione unica e isolata dei livelli di ceruloplasmina.

21 di 21 Domande

Un paziente, diabetico e fumatore, lamenta dolore intenso e ad insorgenza improvvisa a carico del piede e della gamba destra fino al ginocchio; l'arto interessato si presenta pallido e freddo. Quale diagnosi è più probabile?














La risposta corretta è la C
L'ischemia critica dell'arto inferiore è la diagnosi più probabile per un paziente, diabetico e fumatore, che lamenta un dolore intenso e ad insorgenza improvvisa a carico del piede e della gamba destra fino al ginocchio, con l'arto interessato che si presenta pallido e freddo. Questi sintomi indicano una significativa riduzione del flusso sanguigno, portando a una diminuzione dell'apporto di ossigeno ai tessuti, che se non trattata può portare a conseguenze severe, inclusa la perdita dell'arto. L'ischemia critica degli arti inferiori si verifica quando c'è una riduzione significativa del flusso ematico agli arti, spesso dovuta a una progressiva occlusione arteriosa. Questo porta ad un'insufficienza nell'apporto di ossigeno necessario per soddisfare le esigenze metaboliche dei tessuti. Nei pazienti con questa condizione, l'ischemia si manifesta in modo acuto o cronico, e i sintomi possono includere dolore (claudicatio intermittens), cambiamenti nella colorazione della pelle (pallidezza), e una sensazione di freddo nell'arto interessato. In particolare, il fumo di sigaretta e il diabete mellito sono tra i fattori di rischio più significativi per lo sviluppo dell'ischemia periferica, poiché entrambi contribuiscono alla progressione dell'aterosclerosi e alla riduzione del flusso sanguigno. L'aterosclerosi è il processo di indurimento e restringimento delle arterie a causa dell'accumulo di placche, che può eventualmente portare a una completa occlusione arteriosa. Il diabete, inoltre, può aggravare questo scenario attraverso l'infiammazione e l'ipercoagulabilità , incrementando ulteriormente il rischio di gravi complicazioni ischemiche. Gli approcci al trattamento dell'ischemia critica degli arti comprendono interventi mirati a ripristinare il flusso sanguigno all'arto interessato, come interventi di rivascolarizzazione, e l'adozione di misure per controllare i fattori di rischio modificabili, quali smettere di fumare e gestire il diabete efficacemente. È essenziale affrontare queste condizioni nel contesto di un approccio multidisciplinare, per prevenire l'evoluzione verso la gangrena e potenziali amputazioni. In sintesi, l'ischemia critica dell'arto inferiore si manifesta con dolore intenso, pallidezza e freddo a causa della ridotta perfusione sanguigna, ed è particolarmente probabile nei pazienti con fattori di rischio significativi come il fumo e il diabete. La gestione efficace richiede un approccio olistico centrato sul ripristino del flusso sanguigno, nonché sulla prevenzione e la gestione dei fattori di rischio.

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