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1 di 22 Domande

Quale complicanza clinica NON si riscontra nell'IRC terminale?














La risposta corretta è la B

Nell’IRC terminale non si riscontra come complicanza l’artrite. La malattia renale cronica è classificata in 5 stadi: Stadio 1: velocità di filtrazione glomerulare normale (?90 mL/min/1,73 m²) con albuminuria persistente o malattia renale strutturale o ereditaria; Stadio 2: 60-89 mL/min/1,73 m²; Stadio 3a: 45-59 mL/min/1,73 m²; Stadio 3b: 30-44 mL/min/1,73 m²; Stadio 4: 15-29 mL/min/1,73 m²; Stadio 5: <15 mL/min/1,73 m². La velocità di filtrazione glomerulare può essere stimata tramite l’equazione CKD-EPI: 141 × (creatinina sierica)^-1,209 × 0,993^età, moltiplicata per 1,018 se donna e 1,159 se afroamericano (1,1799 per donne afroamericane). Questo calcolo è poco accurato negli anziani sedentari, obesi o molto magri. In alternativa, si può usare l’equazione di Cockcroft-Gault per stimare la clearance della creatinina, che tende a sovrastimare del 10-40%. Le complicanze comprendono quelle neurologiche (neuropatia periferica), ematologiche (anemia da ridotta produzione di eritropoietina), scheletriche (osteodistrofia, risposte C-D-E errate) e pericardite nel 20% dei pazienti con insufficienza renale (risposta A errata).


2 di 22 Domande

Nella brucellosi acuta qual e' il titolo minimo per la diagnosi:














La risposta corretta è la C.

La brucellosi (nota anche come "febbre ondulante", "febbre mediterranea" o "febbre maltese") è un’infezione zoonotica trasmessa all’uomo da animali infetti (bovini, ovini, caprini, cammelli, suini o altri) attraverso l’ingestione di prodotti alimentari non pastorizzati, in particolare lattiero-caseari, oppure per contatto diretto con tessuti o fluidi contaminati. Va sospettata in pazienti con febbre, malessere, sudorazione notturna e artralgie in presenza di esposizione epidemiologica significativa, come consumo di prodotti caseari non pastorizzati, contatto con animali in aree endemiche o esposizione professionale. Una diagnosi presuntiva può essere formulata sulla base di:

  • titolo anticorpale totale anti-Brucella ?1:160 mediante test di agglutinazione in provetta standard su siero prelevato dopo l’insorgenza dei sintomi;
  • rilevazione del DNA di Brucella in un campione clinico tramite reazione a catena della polimerasi (PCR).

3 di 22 Domande

In figura è rappresentato uno schema della sequenza genica che costituisce l’operone Lac (sequenza genica che regola la produzione delle lattasi) dei procarioti. Si tratta di una sequenza regolatrice che determina la produzione di lattasi, quando?

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La risposta corretta è la B

La domanda chiede quando l’operone lac, sequenza regolatrice della produzione di lattasi, induce l’espressione: la risposta corretta è “Quando è presente lattosio nel mezzo di coltura”. Nel sistema lac dei procarioti, in assenza di lattosio il repressore LacI si lega all’operatore e impedisce all’RNA polimerasi di trascrivere i geni lacZYA; quando è presente lattosio, una parte viene isomerizzata in allolattosio che funge da induttore legandosi a LacI, causandone il distacco dall’operatore e consentendo l’avvio della trascrizione, inclusa la sintesi di ?-galattosidasi (lattasi). L’espressione è massima se il glucosio è basso perché il complesso cAMP-CAP facilita il reclutamento dell’RNA polimerasi, ma la condizione chiave che rimuove la repressione è la presenza di lattosio. In sintesi, il lattosio segnala alla cellula di esprimere gli enzimi necessari al suo metabolismo attivando l’operone lac.


4 di 22 Domande

Un bambino di 2 anni di origine africana si presenta con tumefazioni dolorose della mani e piedi. Dati di laboratorio mettono in evidenza una emoglobina di 9g/dl, una conta dei globuli bianchi di 11500/mm3 ed una conta delle piastrine di 250000/mm3. Quale dei seguenti esami di laboratorio dara' supporto alla tua diagnosi?














La risposta corretta è la B

Il quadro clinico descritto è compatibile con anemia falciforme o drepanocitosi, un’emoglobinopatia caratterizzata dalla produzione di catene globiniche quantitativamente normali ma qualitativamente alterate. La causa della deformazione dei globuli rossi è una sostituzione amminoacidica (Glu ? Val) che favorisce l’aggregazione delle molecole di Hb con formazione di polimeri simili a pali nel citoplasma eritrocitario. La polimerizzazione, che avviene soprattutto nello stato deossigenato, determina deformazione e la caratteristica forma a falce dei globuli rossi. Questa condizione provoca squilibri che riducono elasticità e vitalità cellulare. I globuli rossi danneggiati rappresentano il principale trigger delle crisi vaso-occlusive, responsabili di fenomeni infartuali a livello del microcircolo, che spesso si manifestano con tumefazioni dolorose di mani e piedi. La prima manifestazione clinica è l’emolisi cronica con pallore, subittero o ittero, astenia, litiasi della colecisti e segni della deplezione di ossido nitrico. A livello arterioso si osserva diatesi trombotica per disfunzione endoteliale. L’emolisi cronica rappresenta uno stato di equilibrio, interrotto più o meno frequentemente da crisi vaso-occlusive. Tra le manifestazioni vaso-occlusive, tipica è l’ostruzione dei vasi retinici, che porta a cecità parziale o totale e determina cicatrici corio-retiniche, una delle manifestazioni retiniche più comuni e patognomoniche dell’anemia falciforme. Dal punto di vista laboratoristico, si osserva riduzione dell’Hb; la diagnosi è confermata da striscio periferico, test di solubilità ed elettroforesi dell’emoglobina, che evidenzia le anomalie strutturali.


5 di 22 Domande

Il Sig. Versici, un uomo di circa 70 anni, si reca presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, Il Dott. Mancini, per un fastidio al polso destro. Anamnesi patologica prossima: lamenta dolore al polso destro da circa due giorni.

Anamnesi patologica prossima: positiva per due interventi di chirurgia sostitutiva dell'anca, due precedenti episodi di gotta in entrambe le prime articolazioni metatarso-falangee ed ipertensione. Esame obiettivo: il Dott. Mancini visitandolo riscontra la presenza di rossore e gonfiore sul versante dorsale del polso. La sintomatologia dolorosa viene esacerbata da movimenti di flesso-estensione completi. Gli vengono prescritti 80 mg di aspirina al giorno. Due giorni dopo il gonfiore però è aumentato sul versante dorsale del polso ed a livello della mano. La flessione del polso risulta limitata dell' 80% con dolore severo, pertanto il Sig. Versici si reca nuovamente presso l’ ambulatorio del Dott. Mancini, che rivisitandolo nota che evoca un dolore sordo alla palpazione dello scafoide e pertanto nel sospetto di frattura gli prescrive un esame radiografico del polso/mano. Esami strumentali-laboratoristici: evidenza di alterazioni riconducibili ad un quadro di artrite gottosa. Quale tipo di citochine sono coinvolte in questo processo?

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La risposta corretta è la C.

La flogosi è un meccanismo di difesa di tipo aspecifico: risponde all’agente lesivo di tipo fisico-meccanico, radiazioni, batteri o sostanze chimiche. È quindi la risposta al danno tissutale ed è un processo reattivo (diverso dalla necrosi che è regressiva), aspecifico (contro tutto ciò che causa danno), stereotipato (stessi meccanismi principali a prescindere dalla causa, con vie diverse secondo lo stimolo), e procede indipendentemente dalla causa (una volta innescato, continua anche se lo stimolo è rimosso). Nella fase acuta si ha aumento del flusso ematico e della permeabilità vascolare, con accumulo di fluidi, leucociti e mediatori come le citochine. Vari fattori solubili favoriscono il reclutamento dei leucociti aumentando l’espressione di molecole di adesione e di fattori chemiotattici. Le citochine chiave sono IL-1, TNF-?, IL-6, IL-8 e altre chemochine; IL-1 e TNF-? sono particolarmente potenti, inducono febbre promuovendo la sintesi di PGE2 nell’endotelio ipotalamico. L’IL-1 è prodotta da macrofagi, neutrofili, cellule endoteliali ed epiteliali: a basse concentrazioni induce adesione leucocitaria, ad alte induce febbre e proteine di fase acuta. Diversamente dal TNF-?, non causa da sola shock settico. Inoltre stimola i mastociti al rilascio di istamina, con vasodilatazione precoce e aumento della permeabilità.

Durante l’infiammazione avvengono: (1) modificazioni di flusso e calibro vascolare con aumento del flusso sanguigno, (2) modificazioni del microcircolo e formazione dell’essudato, (3) richiamo chemiotattico dei leucociti, (4) fagocitosi. Dopo lo stimolo lesivo si ha vasocostrizione transitoria seguita da vasodilatazione intensa (iperemia attiva, responsabile di rubor e calor). Successivamente si verifica rallentamento della circolazione (iperemia passiva o stasi), dovuto ad aumentata permeabilità capillare con essudazione proteica e aumento della viscosità ematica. Il modello tipico dell’infiammazione acuta comprende: alterazioni di flusso e calibro, iperemia attiva e passiva, permeabilizzazione endoteliale con essudato, migrazione leucocitaria e chemiotassi, fagocitosi.

La chemiotassi è movimento orientato lungo un gradiente chimico; gli stimoli possono essere esogeni (prodotti batterici) o endogeni (complemento, leucotrieni, citochine). Durante la stasi i neutrofili si dispongono lungo l’endotelio (marginazione). Segue l’adesione: i leucociti rotolano con legami labili, poi aderiscono stabilmente formando la “pavimentazione”. Successivamente attraversano l’endotelio (diapedesi) e migrano verso lo stimolo. L’endotelio normalmente è continuo e liscio, ma nell’infiammazione aumenta la permeabilità ed esprime molecole di adesione preformate (es. P-selectina dai corpi di Weibel-Palade).

Le principali molecole di adesione sono: selectine (E sull’endotelio, P sull’endotelio in infiammazione, L sui leucociti, legano zuccheri); immunoglobuline (ICAM-1 e VCAM-1, interagiscono con integrine leucocitarie, le ICAM-1 si legano alle integrine ?2); VCAM-2 proprie dell’endotelio; integrine (già presenti sui leucociti, ma con bassa affinità: aumentano l’avidità a seguito di stimoli chemiokinici e dell’induzione di ICAM/VCAM-1). Le citochine IL-1 e TNF inducono fortemente la sintesi di ICAM-1 e VCAM-2, molecole implicate nei legami forti, la cui espressione richiede più tempo.


6 di 22 Domande

Il Sig. Mariani, un uomo di 78 anni si reca presso il PS del Policlinico Torvergata di Roma, a causa di un episodio di dispnea acuta. Anamnesi patologica prossima: lamenta comparsa di episodi di tosse produttiva, gonfiore degli arti inferiori e dei piedi, astenia, che perdurano da 3 settimane. Inoltre, da due mesi a questa parte, si sono presentate crisi di dispnea da sforzo ingravescente. Anamnesi patologica remota: una decina di anni prima è stato sottoposto ad un intervento di chirurgia sostitutiva per impianto di protesi valvolare di suino, a causa di un rigurgito della valvola mitrale di grado severo. Il paziente è affetto da coronaropatia, diabete mellito di tipo 2 ed ipertensione. Anamnesi fisiologica: ha fumato per 55 anni un pacchetto di sigarette al giorno e abitualmente beve una birra al giorno. Anamnesi farmacologica Attualmente prende diversi farmaci tra cui cardioaspirina, simvastatina, ramipril, metoprololo, metformina e idroclorotiazide. Esame obiettivo: si presenta dall’ aspetto pallido. L’ uomo è alto 181 cm e pesa 128 kg, con una BMI di circa 41 kg/m2. Ha una temperatura corporea di 37.3 °C , frequenza respiratoria di 23 atti/min, frequenza cardiaca di 97 bpm, e pressione arteriosa di 148/95 mm Hg. All’ auscultazione del torace si riscontra la presenza di rantoli alle basi polmonari bilateralmente. L’ esame obiettivo del cuore rivela la presenza di un battito apicale dislocato lateralmente e la presenza, a livello dell’ apice, di un soffio diastolico 3/6 di intensità decrescente. Inoltre si osserva la presenza di edemi improntabili bilateralmente a livello dei piedi e delle caviglie. Il resto dell’ esame obiettivo non mostra altre anomalie. Quale tra le seguenti è la causa più probabile dei sintomi di questo paziente?

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La risposta D è corretta.

Il paziente circa 10 anni fa si era sottoposto a un intervento di sostituzione protesica con impianto di protesi valvolare suina per severo rigurgito mitralico. Il trattamento di una valvulopatia, a meno che non sia di grado medio-elevato e clinicamente significativa, richiede solo un controllo periodico, mentre l’intervento chirurgico è indicato in presenza di una lesione moderata o grave responsabile di sintomi e/o disfunzione cardiaca. Le opzioni vanno dalla valvuloplastica alla riparazione fino alla sostituzione, che può essere effettuata con protesi meccaniche (preferite nei pazienti <65 anni o con lunga aspettativa di vita, ma richiedono anticoagulazione cronica con warfarin per prevenire tromboembolismo) o biologiche (suine o bovine, più soggette a deterioramento sclero-fibrotico, con durata media 10-15 anni). Una complicanza possibile delle protesi biologiche è l’ostruzione/stenosi o il rigurgito, entrambi responsabili di scompenso cardiaco.

L’endocardite infettiva insorge in presenza di una predisposizione endocardica (patologie congenite, reumatiche, valvole bicuspidi calcifiche, prolasso mitralico, cardiomiopatia ipertrofica, precedente endocardite). Fattori predisponenti sono protesi valvolari, tossicodipendenza, diabete, uso cronico di anticoagulanti o steroidi, età avanzata. Agenti più comuni sono streptococchi e stafilococchi (80-90%), seguiti da enterococchi e microrganismi HACEK. Clinicamente si manifesta con febbre, nuovo soffio o modifica di un soffio preesistente, può causare scompenso cardiaco e, all’ecocardiogramma, vegetazioni. Segni caratteristici: petecchie congiuntivali, macchie di Roth, lesioni di Janeway, nodi di Osler, emorragie subungueali a scheggia. La diagnosi si basa sui criteri di Duke (diagnosi rigettata, possibile o certa). In assenza di emocolture disponibili, e senza rischio per MRSA, la terapia empirica si effettua con un ?-lattamico + amminoglicoside. Sebbene questo paziente presenti soffio e segni di scompenso, non ha febbre né criteri di Duke: l’endocardite è improbabile (risposta A errata).

La BPCO è una malattia polmonare cronica non reversibile, con ostruzione bronchiale persistente (VEMS/CVF <0,7), spesso correlata a fumo e caratterizzata da progressione, riacutizzazioni infettive, dispnea, tosse produttiva cronica, tachipnea, cianosi e ipertensione polmonare nelle fasi avanzate. All’auscultazione: respiro sibilante e fase espiratoria prolungata. Nonostante il paziente sia fumatore con tosse, i sintomi durano solo da 3 settimane e non vi sono segni obiettivi di ostruzione: la diagnosi di BPCO è errata (risposta B errata).

La polmonite è un’infiammazione acuta polmonare (batterica, virale, fungina, parassitaria) diagnosticata con RX torace e reperti clinici. Può essere comunitaria (più spesso da Streptococcus pneumoniae, Mycoplasma pneumoniae) o nosocomiale. Clinicamente: febbre, tosse, dispnea, astenia, ipossia; nella forma tipica: esordio acuto con febbre, tosse produttiva, crepitii e rumori bronchiali; nella forma atipica: esordio graduale con tosse secca, dispnea e pochi segni obiettivi. È indicato esame colturale di sangue/escreato. Questo paziente presenta tosse produttiva ma non febbre, e all’auscultazione rantoli basali bilaterali: più compatibili con scompenso cardiaco che con polmonite (risposta C errata).

L’embolia polmonare è occlusione di arterie polmonari da trombi (arti inferiori/pelvi). Presentazione acuta con sintomi aspecifici: dolore toracico pleuritico, tosse, sincope, dispnea, arresto cardiorespiratorio nei casi gravi; segni: tachipnea, tachicardia, ipotensione. Fattori di rischio: immobilizzazione, trombofilie, gravidanza, chirurgia recente. In questo paziente tosse e dispnea possono mimarla, ma anamnesi negativa per immobilizzazione e presenza di stenosi mitralica con edemi declivi bilaterali fanno propendere per scompenso cardiaco congestizio piuttosto che embolia polmonare (risposta E errata).


7 di 22 Domande

Il Sig. Verci, un uomo di circa 60 anni si reca, presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, il Dott. Briga, per dispnea. Anamnesi patologica prossima: lamenta una dispnea ingravescente da circa un mese. Inizialmente era in grado di salire 3 rampe di scale fino al suo appartamento, ma ora necessita di effettuare numerose pause per recuperare il fiato. Non lamenta dolore al petto. Anamnesi patologica remota: l'uomo è affetto da cardiopatia reumatica e diabete mellito di tipo 2. Anamnesi fisiologica: è emigrato dall'India circa 20 anni prima. Anamnesi farmacologica: assume carvedilolo, torasemide e insulina. Esame obiettivo: il Dott. Briga visita il Sig. Verci riscontrando una temperatura corporea di 37.2 °C, una frequenza cardiaca di 74 bpm, una frequenza respiratoria di 19 atti/min ed una pressione arteriosa di 135/80 mm Hg. La pulsossimetria mostra una saturazione d'ossigeno del 96% in aria ambiente. L'auscultazione del torace rivela la presenza di crepitii alle basi polmonari bilateralmente. All’ auscultazione cardiaca si riscontra la presenza di un soffio d'apertura seguito da un soffio diastolico di bassa tonalità , a livello del quanto spazio intercostale di sinistra in corrispondenza della linea medio-claveare. Esami strumentali-laboratoristici: il Dott. Briga decide di far eseguire una radiografia del torace al Sig. Verci, che mostra una dilatazione dell'atrio di sinistra, con stiramento del margine cardiaco di sinistra, ed un’ aumentata trama vascolare. Quale tra i seguenti rappresenta l'intervento di prima scelta per migliorare la sintomatologia del paziente?

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La risposta corretta è la D.

La malattia reumatica è la causa più frequente di stenosi mitralica non complicata. È caratterizzata da fibrosi, calcificazione dei lembi valvolari e parziale fusione delle commissure, con conseguente riduzione dell’ostio valvolare (normalmente 4-6 cm²) fino a valori <1 cm². A causa di questo restringimento, l’unico modo per garantire il passaggio di sangue dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro durante la diastole è aumentare le pressioni atriali. Questo incremento si trasmette a monte, con aumento della pressione nelle vene e nei capillari polmonari: ecco la causa della dispnea. Se le pressioni aumentano ulteriormente, soprattutto acutamente, può verificarsi la trasudazione di liquido negli alveoli con conseguente edema polmonare. Il nostro paziente all’auscultazione presenta anche crepitii basali bilaterali. Il gradiente diastolico transvalvolare è proporzionale al grado di stenosi ed è sensibile ad aumenti di portata e frequenza cardiaca: maggiore la portata/frequenza, maggiore il gradiente. Per questo un soggetto asintomatico a riposo può diventare sintomatico anche per sforzi lievi. L’evoluzione della stenosi mitralica è rappresentata dallo sviluppo di ipertensione polmonare arteriosa, secondaria a quella venosa, che provoca vasocostrizione arteriolare inizialmente funzionale e reversibile, successivamente irreversibile per ipertrofia della tonaca media e fibrosi dell’intima. Le elevate resistenze arteriolari del circolo polmonare causano sovraccarico pressorio del ventricolo destro con dilatazione, ipertrofia, disfunzione contrattile e segni di scompenso destro e bassa gittata. Nell’insufficienza mitralica, invece, la pressione atriale sinistra, molto più bassa di quella aortica, fa sì che il sangue refluisca in atrio già durante la contrazione isometrica ventricolare. Nell’insufficienza mitralica cronica l’atrio sinistro si adatta dilatandosi, per cui la pressione a monte non aumenta significativamente; nell’insufficienza acuta, invece, l’atrio non ha tempo di adattarsi e subisce un brusco aumento pressorio con ripercussioni sulla pressione venosa polmonare. Il ventricolo sinistro, sottoposto a sovraccarico di volume, si dilata: inizialmente la frazione di eiezione rimane conservata, poi si riduce progressivamente perché il rigurgito in atrio riduce il volume sistolico effettivo. Una frazione di eiezione <60% è indicativa di compromissione ventricolare sinistra. Nel nostro paziente, per segni, sintomi e reperti auscultatori, è probabile un coinvolgimento valvolare mitralico, in particolare stenosi o steno-insufficienza. L’intervento di scelta, nella stenosi mitralica clinicamente significativa (area ?1,5 cm²) o sintomatica, e nei pazienti con controindicazioni alla chirurgia, è la valvuloplastica percutanea con palloncino: una “dilatazione controllata” eseguita con un palloncino ad alta resistenza gonfiato in prossimità della valvola, introdotto tramite catetere da vena femorale destra. È una tecnica mini-invasiva che riduce morbilità e mortalità perioperatorie, con buona efficacia a lungo termine (sopravvivenza libera da eventi nel 30-70% dei casi), sebbene non siano rare le restenosi. Non può essere eseguita in presenza di calcificazioni valvolari, per cui è indicata la sostituzione valvolare.


8 di 22 Domande

Un ragazzo di 20 anni presenta il seguente ECG. Cosa si nota all'ECG?

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La risposta esatta è la A.

Le derivazioni da V1 a V6, chiamate derivazioni precordiali, esprimono l’attività elettrica del cuore sul piano orizzontale: V1-V2 esplorano il setto interventricolare, V3-V4 la parete anteriore del ventricolo sinistro, V5-V6 la parete laterale del ventricolo sinistro. L’onda P indica la depolarizzazione atriale, il complesso QRS e l’onda T indicano rispettivamente la depolarizzazione e la ripolarizzazione ventricolare, mentre la ripolarizzazione atriale non è visibile poiché avviene durante la depolarizzazione ventricolare. In età giovanile, dopo la pubertà, il vettore di ripolarizzazione ventricolare rende le T positive in tutte le derivazioni precordiali, tranne V1 e raramente V2; in casi eccezionali, la negatività può coinvolgere anche V3 e V4 (onda T giovanile). Dopo la pubertà, la presenza di onde T invertite ?2 mm in due o più derivazioni contigue del ventricolo destro può indicare cardiopatia congenita con sovraccarico di pressione o volume (cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro) oppure, più raramente, patologie ereditarie dei canali del sodio o potassio. L’ECG descritto mostra ritmo sinusale, alterazioni diffuse della ripolarizzazione con T negativa da V1 a V5, R alta in V1 e asse spostato a destra: reperti suggestivi di ipertrofia ventricolare destra a carattere aritmogeno. La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro è spesso familiare, più frequentemente a trasmissione autosomica dominante, e coinvolge prevalentemente ma non esclusivamente il ventricolo destro. Nel 10-20% dei casi è presente una mutazione nei geni che codificano proteine del desmosoma. Istologicamente si osserva progressiva sostituzione del miocardio con tessuto fibro-adiposo, che genera aree di discinesia e dilatazione soprattutto nel tratto di afflusso, efflusso e apice del ventricolo destro (triangolo della displasia), ma può estendersi all’intera parete ventricolare destra o anche al ventricolo sinistro. Questa condizione, per le alterazioni morfologiche e funzionali, è causa frequente di aritmie ventricolari e morte improvvisa, soprattutto in età giovanile durante o subito dopo l’attività fisica. In presenza di un ECG di questo tipo è quindi indicato eseguire un ecocardiogramma per rilevare eventuali alterazioni strutturali cardiache.


9 di 22 Domande

La signora Rettori, una donna di 45 anni, si reca dal proprio medico curante, il Dott. Pressi, per malessere. Anamnesi patologica prossima: comparsa di febbre, disuria e dolore alla schiena. Il Dott. Pressi consiglia alla paziente di recarsi in ospedale per ulteriori accertamenti; qui la donna verrà successivamente ricoverata con una sospetta diagnosi di pielonefrite. La paziente viene sottoposta a terapia con antibiotici ad ampio spettro, che determinano un significativo miglioramento della sintomatologia. Tuttavia, durante il quarto giorno di ricovero, la donna presenta nuovamente febbre, con leucocitosi e profusa diarrea acquosa. Esami strumentali: viene effettuata una colonscopia, visibile nell’ immagine sottostante.

Quale è la terapia per il trattamento di questo disturbo?

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La risposta corretta è la D.

La paziente presenta una colite pseudomembranosa causata da Clostridium difficile, un batterio appartenente alla famiglia Clostridiaceae, patogeno per l’uomo, Gram+ anaerobio. Il C. difficile è virulento in quanto possiede due tossine: la tossina A, un’enterotossina che si lega alle cellule della mucosa e causa un’ipersecrezione di liquido determinando diarrea acquosa; la tossina B, una citotossina che provoca gravi danni alla mucosa determinandone l’aspetto pseudomembranoso. Il Clostridium difficile causa colite associata ad antibiotici, tipicamente in ambiente ospedaliero. Fa parte normalmente del microbiota umano; tuttavia, quando si utilizzano antibiotici per lungo tempo, questi possono distruggere anche i batteri che tengono “sotto controllo” il Clostridium. Quando il C. difficile diviene dominante, si possono avere crampi addominali, colite pseudomembranosa, diarrea (talora ematica), raramente sepsi e addome acuto. I sintomi insorgono alcuni giorni dopo l’inizio della terapia antibiotica e includono diarrea acquosa o scariche di feci non formate, crampi addominali, raramente nausea e vomito. Per la diagnosi è importante l’identificazione della tossina nelle feci. Il trattamento consiste nell’interrompere la terapia antibiotica; se la sintomatologia è grave è possibile utilizzare vancomicina o metronidazolo (nel nostro caso, non essendo la vancomicina tra le opzioni, la risposta corretta è la D).


10 di 22 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

In seguito ai valori di glicemia a digiuno riscontrati, si richiede curva da carico orale di glucosio (OGTT). In base ai risultati sopra riportati, la paziente presenta:

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La risposta corretta è la B.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza.

L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: è necessario un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si associano inoltre a modifiche del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, arti inferiori, retina) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie degli arti inferiori).

Il diabete si classifica in due tipologie principali:

– diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), che può avere cause immuno-mediate o idiopatiche;

– diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e deficienza insulinica relativa, nella maggior parte dei casi senza necessità di insulina.

Esiste poi il diabete gestazionale, che compare in gravidanza e regredisce dopo il parto.

Tra le sindromi secondarie ricordiamo:

– pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori),

– patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite),

– patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante),

– tossicità da farmaci o sostanze chimiche (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.).

Il diabete può rimanere a lungo silente. Si stima che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% resti non diagnosticato.

Per la diagnosi, le misurazioni della glicemia prevedono:

– glicemia a digiuno (da almeno 12 ore): due rilevazioni ?126 mg/dl;

– glicemia random >200 mg/dl, ma solo in paziente sintomatico (polidipsia, poliuria, nicturia, ecc.);

– curva da carico con 75 g di glucosio in 200-250 ml d’acqua: il test si esegue solo se la glicemia basale è <126 mg/dl, e la diagnosi si pone se a 2 ore la glicemia è >200 mg/dl.


11 di 22 Domande

La signora Bellini è una giovane donna ricoverata nel reparto di ginecologia ed ostetricia dopo un parto complicato da una rottura prematura delle membrane amnio-coriali ed un prolungato travaglio. Anamnesi patologica prossima: In seconda giornata sviluppa febbre con brivido associata ad ipotensione e intenso dolore addominale che fanno sospettare un’ endometrite purperale. Il Dott. Lanfranchi decide di sottoporre la paziente ad una radiografia del torace e decide di avviare la terapia antibiotica e reidratante con 4.000 ml di soluzione salina nelle successive 24 ore ma l’ ipertermia persiste e si ottiene un lieve incremento della pressione arteriosa. Improvvisamente la sig.ra Bellini presenta dispnea. Esame obiettivo: viene rilevata una SpO2 dell’ 82% che non aumenta anche con ossigenoterapia con FiO2 del 100%. Il Dott. Lanfranchi decide quindi di intubare la paziente e si eroga una FiO2 del 100%. Non si rileva turgore giugulare, all’ auscultazione polmonare si apprezzano crepitii diffusi bilateralmente. Esami di laboratorio-strumentali: viene rapidamente inviato in laboratorio un campione di sangue arterioso che evidenzia PaO2 di 62 mmHg e PaCO2 di 33 mmHg. L’ ECG mostra tachicardia sinusale. Viene effettuato un nuovo RX del torace che mostra un quadro polmonare modificato rispetto a quanto si era visto nel precedente. Sulla base dei dati forniti quale tra le seguenti è la diagnosi più probabile?

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La risposta corretta è la B.

Questo paziente molto probabilmente ha una ARDS e il rapporto PaO2/FiO2 è <200: la paziente ha un rapporto di 60 (FiO2 = 1 ovvero 100% e PaO2 di 60 mmHg: necessita di ossigeno al 100% per mantenere una pressione di PaO2 accettabile). La RX torace mostra infiltrati polmonari diffusi non riconducibili a eziologia cardiogena. L’EO evidenzia dispnea ingravescente a insorgenza improvvisa, con crepitii diffusi bilateralmente. La paziente presentata nel caso è verosimilmente affetta da ARDS in seguito a sepsi da endometrite postpartum.

La sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) è una grave malattia acuta polmonare. I fattori scatenanti sono numerosi: polmonite, shock, gravi traumi, sepsi, aspirazione di alimenti (ab ingestis), pancreatite. È caratterizzata da danno diffuso della membrana alveolo-capillare, con edema polmonare non cardiogenico (ricco di proteine) e insufficienza respiratoria acuta (ARF). Si osserva reclutamento di neutrofili nei capillari alveolari e formazione di membrane ialine. I neutrofili rilasciano chemochine (che richiamano istiociti), producono ROS, proteasi, leucotrieni, fattore di attivazione piastrinica, prostaglandine e altre molecole che danneggiano le barriere tra capillari e spazi aerei. Gli alveoli e l’interstizio si riempiono di proteine, detriti cellulari e liquido, con distruzione del surfattante, collasso alveolare e mismatch ventilazione/perfusione.

L’ARDS determina grave ipossiemia refrattaria all’ossigenoterapia. I criteri diagnostici comprendono:

– Opacità bilaterali alla RX non spiegabili da versamento, atelettasia o noduli.

– PaO2/FiO2 ?200 mmHg.

– Assenza di evidenza clinica di aumentata pressione atriale sinistra o insufficienza cardiaca (PCWP <18 mmHg). Una pressione di incuneamento capillare polmonare >18 mmHg orienta invece verso edema polmonare cardiogeno.

Secondo la “Definizione di Berlino 2012” l’ARDS si classifica in:

– Lieve: PaO2/FiO2 ?200 mmHg.

– Moderata: PaO2/FiO2 ?100 mmHg.

– Grave: PaO2/FiO2 ?100 mmHg.


12 di 22 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

Per il paziente diabetico è essenziale assumere cibi a basso indice glicemico. Qual è tra i seguenti alimenti quello che presenta il più basso indice glicemico?

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La risposta corretta è la A.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza. L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: serve un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si accompagnano anche ad alterazioni del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, retina, arti inferiori) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie periferiche). Il diabete si classifica in due tipologie principali: diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), con cause immuno-mediate o idiopatiche; diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e relativa deficienza insulinica, che nella maggior parte dei casi non richiede terapia insulinica. Esiste anche il diabete gestazionale, che si manifesta in gravidanza e regredisce dopo il parto. Tra le forme secondarie: pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori), patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite), patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante), tossicità da farmaci o sostanze (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.). Il diabete può progredire a lungo senza sintomi. Si calcola che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% rimane non diagnosticato. Per la diagnosi: glicemia a digiuno ?126 mg/dl in due misurazioni, glicemia random >200 mg/dl in presenza di sintomi (poliuria, polidipsia, nicturia), curva da carico con 75 g di glucosio (diagnosi se glicemia >200 mg/dl a 2 ore). Prima del test, la glicemia basale deve essere <126 mg/dl. Il test va eseguito in pazienti non ricoverati, in buone condizioni cliniche, dopo dieta abituale (non ridotta in carboidrati), a digiuno dalla mezzanotte, senza febbre, stress o fumo. Indicazioni alla curva da carico: glicemia alterata a digiuno (100–125 mg/dl), familiarità per diabete dai 30-40 anni, obesità, complicanze cardiovascolari (TIA, angina, claudicatio), soprattutto se obesi e fumatori, infezioni urinarie o cutanee ricorrenti con glicemia alterata. Il 90% dei casi è di tipo II, storicamente detto diabete dell’adulto (esordio >40 anni), ma oggi è sempre più precoce (anche a 18 anni), correlato all’obesità, in particolare infantile (Italia con alta prevalenza, soprattutto nel centro-sud). Nei gemelli monozigoti la concordanza è ~100% nel tipo II, mentre nel tipo I, pur avendo componente genetica, è solo del 50% per il ruolo di fattori ambientali. Anche nei monozigoti separati alla nascita la concordanza del tipo II rimane elevata, a dimostrazione della forte componente genetica, ancora non del tutto chiarita.


13 di 22 Domande

Qual è la causa metabolica della Porfiria epatica acuta














La risposta corretta è la B
La causa metabolica della Porfiria epatica acuta è l'alterazione del metabolismo dell'eme. Questa patologia è derivata da una disfunzione nella via metabolica che conduce alla produzione dell'eme, un componente cruciale dell'emoglobina, che a sua volta è essenziale per il trasporto dell'ossigeno nel sangue. Le porfirie sono un gruppo di malattie rare causate da un'alterazione nel processo di sintesi dell'eme. L'eme è sintetizzato attraverso una serie di reazioni enzimatiche, ciascuna catalizzata da un enzima specifico. Nelle porfirie epatiche acute, il deficit di uno di questi enzimi porta a un accumulo delle sostanze precursori dell’ eme, chiamate porfirine o loro precursori, nel fegato. Tale accumulo è tossico e causa vari sintomi sistemici. Le manifestazioni cliniche delle porfirie epatiche acute possono variare ma includono comunemente sintomi neurologici e addominali acuti, quali dolore addominale intenso, neuropatia periferica, disturbi mentali e, in casi severi, può portare ad arresto respiratorio dovuto alla paralisi dei muscoli respiratori. La gravità e la specificità dei sintomi possono variare notevolmente tra i pazienti a seconda del tipo specifico di porfiria e del livello dell'enzima coinvolto. La diagnosi delle porfirie epatiche acute si basa sulla misurazione dei livelli di porfirine e dei loro precursori nel sangue, nelle urine e nelle feci, assieme alla valutazione clinica dei sintomi. È fondamentale una corretta diagnosi per gestire correttamente la patologia, che può includere trattamenti per ridurre i sintomi, come l’ evitamento dei fattori scatenanti (alcuni farmaci, alcol, ed eccessivo digiuno), e in alcuni casi, il trattamento con emina per ridurre la sintesi delle porfirine. Questa patologia sottolinea l'importanza del corretto funzionamento delle vie enzimatiche nella prevenzione dell'accumulo di sostanze tossiche e nella promozione di una salute sistemica. L'approccio al trattamento e alla gestione dei pazienti con porfirie epatiche acute richiede un'attenzione multidisciplinare, dato il potenziale impatto della malattia su vari sistemi corporei e la possibilità di gravi complicanze se non gestita correttamente.

14 di 22 Domande

Quale delle seguenti patologie NON causa tipicamente interstiziopatia polmonare?














La risposta corretta è la C
La polmonite da Streptococcus pneumoniae **non** causa tipicamente interstiziopatia polmonare. Questa affermazione è corretta perché la polmonite da Streptococcus pneumoniae, comunemente conosciuta come polmonite pneumococcica, influisce principalmente sugli alveoli dei polmoni piuttosto che sul tessuto interstiziale. La polmonite causata da questo batterio è una forma di pneumopatia acquisita in comunità (CAP) ed è caratterizzata dall'insorgenza di febbre, tosse produttiva, dispnea e dolore toracico. L'infezione provoca solitamente l'accumulo di fluido purulento o di essudato negli alveoli, conducente a una consolidazione evidenziabile tramite radiografia toracica. Le malattie interstiziali polmonari, invece, coinvolgono il tessuto interstiziale che circonda e supporta gli alveoli e le piccole vie aeree. Esse sono caratterizzate dalla presenza di processi infiammatori o fibrotici che possono portare a un'alterazione della struttura polmonare con conseguente riduzione dei volumi polmonari e della capacità di scambio gassoso. Diversamente dalle pneumopatie alveolari come la polmonite pneumococcica, le malattie interstiziali presentano tipicamente sintomi come tosse secca e dispnea da sforzo che insorgono in modo progressivo. La polmonite pneumococcica si manifesta in modo significativamente diverso rispetto alle patologie interstiziali, dato che quest’ ultime coinvolgono meccanismi patogenetici centrati sulla progressiva fibrosi o infiltrazione infiammatoria del tessuto interstiziale. Pur essendo la polmonite una condizione seria che richiede trattamento tempestivo, essa non è comunemente associata con l'alterazione del tessuto interstiziale che caratterizza le malattie come la fibrosi polmonare idiopatica, la linfangioleiomiomatosi o la polmonite da ipersensibilità , in cui invece il danno o la malattia del tessuto interstiziale sono i tratti distintivi. In conclusione, sebbene la polmonite da Streptococcus pneumoniae sia una causa comune di morbilità e mortalità a livello globale, il suo impatto si manifesta primariamente sugli alveoli polmonari anziché sull'interstizio. Questo distingue nettamente la polmonite pneumococcica dalle malattie che colpiscono l'interstizio polmonare, dove i meccanismi di danno e infiammazione riguardano in modo predominante tale tessuto, alterando la sua struttura e funzione.

15 di 22 Domande

Quale tra i seguenti criteri consente di porre diagnosi di diabete mellito?














La risposta corretta è la D
Per porre diagnosi di diabete mellito, è necessario che la glicemia a digiuno da prelievo venoso risulti superiore o uguale a 126 mg/dl in due occasioni separate. Questo criterio è decisivo per la diagnosi della malattia, in quanto riflette un'elevata concentrazione di glucosio nel sangue, che è indicativa di diabete. Il diabete mellito è caratterizzato da un disordine metabolico di lungo termine, dove c'è un elevato livello di zucchero nel sangue, sia a causa dell'inadeguata produzione di insulina da parte del pancreas, sia a causa dell'inefficacia delle cellule del corpo nell'utilizzare l'insulina prodotta. L'insulina è un ormone cruciale che aiuta a trasportare il glucosio dalle corrente sanguigna alle cellule, dove viene utilizzato per produrre energia. Nel diabete mellito, questo processo è disturbato, portando ad accumuli eccessivi di glucosio nel sangue, conosciuti come iperglicemia. Se non gestito correttamente, questo stato può portare a complicazioni a lungo termine, come danni ai nervi, insufficienza renale, malattie cardiovascolari, e problemi agli occhi. Il criterio della glicemia a digiuno viene utilizzato poiché fornisce uno spaccato chiaro di come il corpo gestisce il glucosio quando l'individuo non ha consumato cibo per almeno 8 ore, escludendo così le fluttuazioni glicemiche che possono essere causate dall'assunzione di cibo. La soglia di 126 mg/dl è stata stabilita in base a ampi studi epidemiologici che correlano valori superiori a questa soglia con un aumento significativo del rischio di sviluppare complicazioni tipicamente associate al diabete. È importante, quindi, che la diagnosi di diabete mellito si basi su misurazioni ripetute e affidabili, al fine di garantire l'accuratezza della diagnosi e consentire una gestione tempestiva e appropriata della malattia. L'identificazione precoce e il trattamento del diabete possono notevolmente ridurre il rischio di sviluppare complicazioni gravi, migliorando la qualità di vita delle persone affette.

16 di 22 Domande

Che cosa è una polmonite comunitaria?














La risposta corretta è la E
Una polmonite comunitaria è una polmonite che si contrae fuori da ospedali e strutture residenziali. Questa definizione è importante perché distingue questo tipo di polmonite da quelle nosocomiali, ovvero le infezioni acquisite in ambiente ospedaliero o in altre strutture sanitarie. La polmonite comunitaria si riferisce a qualsiasi forma di polmonite acquisita da individui che non sono stati recentemente ricoverati in ospedali o altre strutture di assistenza sanitaria. Questa condizione è una delle principali cause di malattia e mortalità in tutto il mondo, interessando persone di tutte le età ma presentando un rischio maggiore per bambini piccoli, anziani e individui con altri problemi di salute sottostanti. La polmonite è un'infezione che provoca l'infiammazione dei sacchetti d'aria in uno o entrambi i polmoni, che possono riempirsi di pus o altri liquidi, causando tosse con catarro o pus, febbre, brividi e difficoltà respiratorie. Una varietà di organismi, inclusi batteri, virus e funghi, può causare la polmonite. La polmonite comunitaria è comunemente provocata da batteri come Streptococcus pneumoniae, ma anche virus e microrganismi atipici possono essere responsabili. Il trattamento della polmonite comunitaria dipende da una serie di fattori, tra cui l'agente patogeno specifico coinvolto e la gravità dei sintomi del paziente. In molti casi, la terapia antibiotica è efficace contro le forme batteriche della malattia. Per le infezioni virali, il trattamento si concentra sull'alleviamento dei sintomi mentre il corpo combatte l'infezione. La prevenzione gioca un ruolo cruciale e include vaccinazioni, lavaggio delle mani e evitare il contatto con persone malate, soprattutto per individui a rischio più elevato. La polmonite comunitaria può variare da forme lievi a gravemente debilitanti. Anche se molte persone con polmonite comunitaria possono recuperare completamente senza trattamento, per individui a rischio elevato, come anziani, bambini molto piccoli, o persone con malattie croniche o sistemi immunitari compromessi, può essere una condizione pericolosa per la vita. La diagnosi tempestiva e l'appropriato trattamento sono, quindi, essenziali per un esito favorevole. In breve, la polmonite comunitaria rappresenta un serio problema di salute pubblica con significative implicazioni per la cura e la prevenzione delle malattie respiratorie. La comprensione della sua natura e delle misure preventive può aiutare a ridurre il rischio di sviluppare la malattia e facilitare la gestione e il trattamento in coloro che sono colpiti.

17 di 22 Domande

Il linfonodo di Virchow-Troisier si manifesta:














La risposta corretta è la A
Il linfonodo di Virchow-Troisier si manifesta a livello sovraclaveare sinistro. Questa particolare manifestazione avviene quando le cellule tumorali, provenienti da un cancro situato in un'altra area del corpo, si diffondono fino al linfonodo situato nella regione sovraclaveare sinistra, indicando solitamente una metastasi da un carcinoma addominale, in particolare dallo stomaco, ma potenzialmente anche da altri organi della regione addominale come il pancreas, l'ovario o il colon. Questa informazione si basa sui principi generali di come i tumori si diffondono o metastatizzano all'interno del corpo. I linfonodi fungono da filtri del fluido linfatico, catturando sostanze estranee, inclusi i tumori, che viaggiano attraverso questi canali linfatici. Il linfonodo di Virchow-Troisier, la cui manifestazione sottolinea l'avanzamento della malattia, assume un ruolo critico nella valutazione del percorso di progressione del cancro. Quella che sembra una semplice ingrossatura può dunque rappresentare il segnale di una condizione seriamente avanzata. La metastasi al linfonodo di Virchow-Troisier viene identificata durante gli esami clinici come un tumore palpabile nella regione sovraclaveare sinistra. La scoperta di una tale massa suggerisce che il cancro ha raggiunto uno stadio avanzato, poiché indica che le cellule tumorali hanno viaggiato da un sito primario, attraverso il sistema linfatico o circolatorio, fino a posizionarsi in una posizione relativamente distante. Il processo di metastasi include il distacco delle cellule tumorali dal tumore originale, il loro ingresso nel sistema linfatico o sanguigno, la sopravvivenza durante il transito, l'arresto in un nuovo sito e la crescita in quel nuovo ambiente. Il linfonodo di Virchow-Troisier agisce come un campanello d'allarme, indicando la presenza di una malattia sottostante non ancora identificata. Questo può spingere a ulteriori indagini per localizzare e caratterizzare il tumore primario. Poiché un cancro allo stomaco può svolgere un ruolo chiave in questa diffusione, la manifestazione di una malattia metastatica in questo linfonodo potrebbe implicare l'esigenza di indagini diagnostiche approfondite dell'addome per identificare e trattare il tumore primario. Riconoscere l'importanza del linfonodo di Virchow-Troisier e la sua connessione con la diffusione metastatica di carcinomi addominali fornisce preziose indicazioni prognostiche e guida il processo decisionale clinico verso un percorso diagnostico e terapeutico mirato. Indica la necessità di valutare complessivamente il paziente per una diagnosi accurata della fonte primaria del tumore, puntando a individuare il più precocemente possibile il sito di origine, al fine di determinare il trattamento più appropriato.

18 di 22 Domande

Quale tra i seguenti farmaci antipertensivi è indicato in gravidanza?














La risposta corretta è la D
L'alfa-metildopa è l'opzione indicata tra i farmaci antipertensivi per il trattamento in gravidanza. Questa scelta si basa sul suo profilo di sicurezza e sull'efficacia dimostrata negli anni in tale contesto. La gestione dell'ipertensione durante la gravidanza è una componente cruciale della cura prenatale per prevenire complicazioni sia alla madre sia al feto. Tra le opzioni farmacologiche disponibili, l'alfa-metildopa ha dimostrato di essere una scelta affidabile. Il medicinale agisce come un agonista alfa-adrenergico centrale, il che significa che modula l'attività del sistema nervoso riducendo la resistenza vascolare periferica e, di conseguenza, la pressione arteriosa. Il motivo per cui l'alfa-metildopa è considerato appropriato per l'uso in gravidanza è la sua lunga storia di uso clinico e il vasto corpo di evidenze che attesta la sua sicurezza e efficacia in questo specifico gruppo di pazienti. A differenza di altri antipertensivi che possono avere effetti teratogeni o altre conseguenze negative sul feto, l'alfa-metildopa è stato investigato approfonditamente e si è dimostrato privo di tali effetti nelle donne incinte. La patologia sottostante che necessita di trattamento con antipertensivi in gravidanza, come l'ipertensione gestazionale o la preeclampsia, richiede una gestione attenta per ridurre il rischio di complicanze quali il parto pretermine, lo sviluppo di ipertensione cronica post-partum e, nel peggiore dei casi, la sindrome HELLP (un'insorgenza rapida di emolisi, enzimi epatici elevati e bassa conta piastrinica) o eclampsia. L'alfa-metildopa contribuisce a gestire l'ipertensione materna, promuovendo al contempo un esito di gravidanza positivo, senza aumentare il rischio di effetti collaterali negativi per il bambino in utero. Inoltre, il trattamento dell'ipertensione in gravidanza con alfa-metildopa si focalizza sulla prevenzione dell'aggravarsi dell'ipertensione in forme più severe che potrebbero compromettere seriamente la salute sia della madre sia del feto. Attraverso la sua azione mirata e il suo profilo di sicurezza ben stabilito, l'alfa-metildopa rappresenta una componente fondamentale nella farmacoterapia antipertensiva durante la gravidanza, offrendo un equilibrio tra efficacia e sicurezza che è di vitale importanza in questo contesto clinico delicato.

19 di 22 Domande

Tutti i seguenti esami sono compresi nella campagna di screening di popolazione per l'individuazione precoce dei tumori nella popolazione italiana, tranne:














La risposta corretta è la C
Il PSA per il carcinoma della prostata nell'uomo non è compreso nella campagna di screening di popolazione per l'individuazione precoce dei tumori nella popolazione italiana. La decisione di includere o meno un test come il PSA (Antigene Prostatico Specifico) negli screening organizzati a livello nazionale dipende dalla valutazione di benefici, rischi ed efficacia del test stesso. Il carcinoma della prostata è un tumore che si sviluppa nel tessuto prostatico. In molti casi, la progressione del tumore è lenta, e può non dare luogo a sintomi significativi o richiedere trattamenti immediati. Tuttavia, in alcune situazioni, può crescere rapidamente e diffondersi ad altre parti del corpo, diventando una seria minaccia per la vita del paziente. Lo screening per il carcinoma della prostata ha l'obiettivo di identificare il cancro in una fase precoce, in individui senza sintomatologia, per migliorare le opzioni di trattamento e i tassi di sopravvivenza. Il test del PSA nel sangue è uno degli esami utilizzati a questo scopo, in quanto livelli elevati di PSA possono indicare la presenza di tumore alla prostata, anche se aumenti possono essere causati anche da altre condizioni prostatiche non cancerose, come l'iperplasia prostatica benigna o prostatiti. La complessità dell'interpretazione dei risultati del test del PSA e l'impatto emotivo e fisico dei possibili interventi diagnostici successivi, come le biopsie prostatiche, insieme ai possibili trattamenti che possono includere chirurgia, radioterapia e terapia ormonale, con i loro effetti collaterali e la loro influenza sulla qualità della vita, sono tutti fattori che vanno considerati nella decisione di includere questo test negli screening di massa. Il carcinoma della prostata rappresenta un importante problema di salute pubblica, visto che è uno dei tumori più comuni negli uomini. Il trattamento precoce in soggetti con tumori clinicamente significativi può migliorare la prognosi, ma allo stesso tempo, la sovra-diagnosi e la sovra-terapia rappresentano importanti questioni, dato che possono portare ad interventi nei confronti di tumori che non avrebbero mai causato problemi durante la vita dell'individuo. In sintesi, la gestione del rischio associato al carcinoma della prostata e la decisione di includere il test del PSA negli screening di popolazione implicano una valutazione attenta dei benefici e dei rischi associati. La ricerca continua a investigare il modo più efficace per utilizzare i test disponibili e sviluppare nuove strategie di screening che possano ridurre la mortalità associata a questo tumore, minimizzando al contempo le conseguenze negative legate a sovra-diagnosi e sovra-terapia.

20 di 22 Domande

Donna di 55 anni lamenta da 2 mesi disfagia principalmente per i cibi liquidi. Nel sospetto di acalasia, qual è, tra i seguenti, l'esame che permette di fare diagnosi?














La risposta corretta è la A
Il sospetto di acalasia in una donna di 55 anni che lamenta da 2 mesi disfagia principalmente per i cibi liquidi può essere confermato attraverso l'esecuzione di una manometria esofagea. La manometria esofagea è l'esame corretto per fare diagnosi di acalasia poiché permette di misurare la pressione all'interno dell'esofago oltre che la funzionalità del muscolo sfintere esofageo inferiore, rivelandosi quindi essenziale nell'identificazione di anomalie funzionali dell'esofago che caratterizzano l'acalasia. L'acalasia è una patologia neurodegenerativa dell'esofago, che comporta una perdita di neuroni nello sfintere esofageo inferiore e nel corpo dell'esofago. Questa patologia si manifesta con difficoltà nella deglutizione (disfagia) sia di cibi solidi che liquidi, poiché l'esofago perde la sua capacità di spingere il cibo verso lo stomaco. La mancanza di rilassamento dello sfintere esofageo inferiore durante la deglutizione è una caratteristica distintiva dell'acalasia. Inoltre, i pazienti possono sperimentare dolore toracico, perdita di peso, rigurgito di cibo non digerito o, in alcuni casi, aspirazione, particolarmente durante la notte. Nel dettaglio, l'acalasia si presenta con un'incapacità dell'esofago di rilassarsi in modo appropriato durante la deglutizione, insieme a una ridotta o assente peristalsi esofagea. La manometria esofagea rileva queste anomalie misurando le pressioni esofagee lungo varie sezioni dell'esofago, sia a riposo che durante le deglutizioni. In particolare, misura la pressione dello sfintere esofageo inferiore e valuta se questa diminuisce correttamente durante la deglutizione, oltre a valutare la forza e la coordinazione delle contrazioni esofagee. Pertanto, la manometria esofagea non solo conferma la diagnosi di acalasia attraverso la misurazione specifica dell'attività muscolare esofagea, ma fornisce anche informazioni preziose per distinguere tra i vari sottotipi di acalasia, ognuno dei quali può richiedere un approccio terapeutico leggermente diverso. La capacità di fornire una diagnosi accurata e specifica rende la manometria esofagea lo strumento diagnostico d'eccellenza per l'acalasia, guidando successivamente le opzioni di trattamento che possono variare da interventi farmacologici a procedure invasive come la dilatazione pneumatica o la miotomia esofagea per alleviare i sintomi e migliorare la qualità di vita del paziente.

21 di 22 Domande

Le cause più comuni di demenza sono:














La risposta corretta è la A
Le cause più comuni di demenza sono la malattia di Alzheimer, la demenza vascolare e la demenza a corpi di Lewy. Queste condizioni rappresentano le principali fonti di demenza, incidendo sulla funzionalità cognitiva degli individui affetti. La malattia di Alzheimer è degna di nota per essere la causa più prevalente di demenza. Caratterizzata da un progressivo deterioramento cognitivo, questa condizione neurodegenerativa colpisce principalmente la memoria, ma anche altre funzioni cognitive come il linguaggio, il giudizio e la comprensione spaziale. Il processo patologico implica l’ accumulo nel cervello di placche amiloidi e grovigli neurofibrillari, che portano alla morte delle cellule neurali. La demenza vascolare, la seconda causa più comune, deriva da condizioni che ostruiscono o riducono il flusso di sangue al cervello, causando danni al tessuto cerebrale. Questo trasporto di sangue insufficiente può essere il risultato di ictus, infarti silenziosi o malattie dei piccoli vasi sanguigni, tutti fattori che impediscono l'adeguato apporto di ossigeno e nutrienti alle cellule cerebrali. La demenza a corpi di Lewy è riconosciuta per le sue caratteristiche neuropatologiche distintive: i corpi di Lewy, aggregati patologici di proteina alfa-sinucleina, si trovano nel tessuto cerebrale. Questa forma di demenza si manifesta con una combinazione di sintomi che include fluttuazioni nel funzionamento cognitivo, allucinazioni visive e sintomi motori simili a quelli della malattia di Parkinson. Le fluttuazioni nel livello di attenzione e di allerta, in particolare, distinguono la demenza a corpi di Lewy da altre forme di demenza. Queste tre condizioni, sebbene distinte tra loro per caratteristiche e percorsi patologici, condividono l'effetto comune di alterare gravemente la vita degli individui che ne sono affetti. L'impatto va oltre l'individuo colpito, influenzando anche le famiglie e i sistemi di assistenza. Riconoscere e comprendere le cause più comuni di demenza è fondamentale per sviluppare strategie efficaci di prevenzione, diagnosi e trattamento, nonché per offrire supporto adeguato ai pazienti e ai loro caregiver.

22 di 22 Domande

La vaccinazione anti influenzale è:














La risposta corretta è la E
La vaccinazione anti-influenzale è raccomandata alle donne che all'inizio della stagione epidemica si trovino in stato di gravidanza. Questa raccomandazione si basa sulla considerazione che la gravidanza comporti modificazioni fisiologiche che possono aumentare il rischio di complicanze gravi dovute all'influenza. Le donne incinte sono quindi più vulnerabili agli effetti dell'influenza e possono beneficiare in modo significativo dalla vaccinazione. Durante la gravidanza, si verificano diversi cambiamenti nel sistema immunitario, nella funzione cardiaca e polmonare che possono rendere la donna incinta più suscettibile a gravi complicazioni respiratorie, inclusa l'influenza. Inoltre, l'influenza può portare a rischi aumentati non solo per la madre, inclusi rischi di ospedalizzazione e morte, ma anche per il nascituro, come parto prematuro e basso peso alla nascita. Di fronte a questi rischi, la vaccinazione rappresenta uno strumento di prevenzione efficace. La necessità di proteggere la salute della madre e del feto è un principio fondamentale, tenendo conto che l'influenza può essere particolarmente pericolosa durante la gravidanza. La vaccinazione anti-influenzale si è dimostrata sicura in ogni trimestre della gravidanza, offrendo una protezione sia alla madre sia al bambino nei primi mesi di vita, periodo durante il quale il neonato è particolarmente vulnerabile alle infezioni ma ancora troppo giovane per ricevere direttamente il vaccino. In conclusione, la vaccinazione anti-influenzale è un intervento preventivo raccomandato per proteggere le donne gravide e i loro bambini dalle gravi conseguenze dell'influenza. I benefici della vaccinazione in termini di prevenzione delle complicazioni legate all'influenza superano di gran lunga i potenziali rischi, rendendo questa pratica un pilastro fondamentale nella cura e nella protezione delle gestanti e della prole durante la stagione influenzale. La sicurezza e l'efficacia della vaccinazione anti-influenzale in gravidanza sono supportate da numerosi studi e linee guida cliniche, rendendola una scelta prudente per la salute materna e neonatale.

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