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1 di 22 Domande

Quale complicanza clinica NON si riscontra nell'IRC terminale?














La risposta corretta è la B

Nell’IRC terminale non si riscontra come complicanza l’artrite. La malattia renale cronica è classificata in 5 stadi: Stadio 1: velocità di filtrazione glomerulare normale (?90 mL/min/1,73 m²) con albuminuria persistente o malattia renale strutturale o ereditaria; Stadio 2: 60-89 mL/min/1,73 m²; Stadio 3a: 45-59 mL/min/1,73 m²; Stadio 3b: 30-44 mL/min/1,73 m²; Stadio 4: 15-29 mL/min/1,73 m²; Stadio 5: <15 mL/min/1,73 m². La velocità di filtrazione glomerulare può essere stimata tramite l’equazione CKD-EPI: 141 × (creatinina sierica)^-1,209 × 0,993^età, moltiplicata per 1,018 se donna e 1,159 se afroamericano (1,1799 per donne afroamericane). Questo calcolo è poco accurato negli anziani sedentari, obesi o molto magri. In alternativa, si può usare l’equazione di Cockcroft-Gault per stimare la clearance della creatinina, che tende a sovrastimare del 10-40%. Le complicanze comprendono quelle neurologiche (neuropatia periferica), ematologiche (anemia da ridotta produzione di eritropoietina), scheletriche (osteodistrofia, risposte C-D-E errate) e pericardite nel 20% dei pazienti con insufficienza renale (risposta A errata).


2 di 22 Domande

Nella brucellosi acuta qual e' il titolo minimo per la diagnosi:














La risposta corretta è la C.

La brucellosi (nota anche come "febbre ondulante", "febbre mediterranea" o "febbre maltese") è un’infezione zoonotica trasmessa all’uomo da animali infetti (bovini, ovini, caprini, cammelli, suini o altri) attraverso l’ingestione di prodotti alimentari non pastorizzati, in particolare lattiero-caseari, oppure per contatto diretto con tessuti o fluidi contaminati. Va sospettata in pazienti con febbre, malessere, sudorazione notturna e artralgie in presenza di esposizione epidemiologica significativa, come consumo di prodotti caseari non pastorizzati, contatto con animali in aree endemiche o esposizione professionale. Una diagnosi presuntiva può essere formulata sulla base di:

  • titolo anticorpale totale anti-Brucella ?1:160 mediante test di agglutinazione in provetta standard su siero prelevato dopo l’insorgenza dei sintomi;
  • rilevazione del DNA di Brucella in un campione clinico tramite reazione a catena della polimerasi (PCR).

3 di 22 Domande

In figura è rappresentato uno schema della sequenza genica che costituisce l’operone Lac (sequenza genica che regola la produzione delle lattasi) dei procarioti. Si tratta di una sequenza regolatrice che determina la produzione di lattasi, quando?

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La risposta corretta è la B

La domanda chiede quando l’operone lac, sequenza regolatrice della produzione di lattasi, induce l’espressione: la risposta corretta è “Quando è presente lattosio nel mezzo di coltura”. Nel sistema lac dei procarioti, in assenza di lattosio il repressore LacI si lega all’operatore e impedisce all’RNA polimerasi di trascrivere i geni lacZYA; quando è presente lattosio, una parte viene isomerizzata in allolattosio che funge da induttore legandosi a LacI, causandone il distacco dall’operatore e consentendo l’avvio della trascrizione, inclusa la sintesi di ?-galattosidasi (lattasi). L’espressione è massima se il glucosio è basso perché il complesso cAMP-CAP facilita il reclutamento dell’RNA polimerasi, ma la condizione chiave che rimuove la repressione è la presenza di lattosio. In sintesi, il lattosio segnala alla cellula di esprimere gli enzimi necessari al suo metabolismo attivando l’operone lac.


4 di 22 Domande

Un bambino di 2 anni di origine africana si presenta con tumefazioni dolorose della mani e piedi. Dati di laboratorio mettono in evidenza una emoglobina di 9g/dl, una conta dei globuli bianchi di 11500/mm3 ed una conta delle piastrine di 250000/mm3. Quale dei seguenti esami di laboratorio dara' supporto alla tua diagnosi?














La risposta corretta è la B

Il quadro clinico descritto è compatibile con anemia falciforme o drepanocitosi, un’emoglobinopatia caratterizzata dalla produzione di catene globiniche quantitativamente normali ma qualitativamente alterate. La causa della deformazione dei globuli rossi è una sostituzione amminoacidica (Glu ? Val) che favorisce l’aggregazione delle molecole di Hb con formazione di polimeri simili a pali nel citoplasma eritrocitario. La polimerizzazione, che avviene soprattutto nello stato deossigenato, determina deformazione e la caratteristica forma a falce dei globuli rossi. Questa condizione provoca squilibri che riducono elasticità e vitalità cellulare. I globuli rossi danneggiati rappresentano il principale trigger delle crisi vaso-occlusive, responsabili di fenomeni infartuali a livello del microcircolo, che spesso si manifestano con tumefazioni dolorose di mani e piedi. La prima manifestazione clinica è l’emolisi cronica con pallore, subittero o ittero, astenia, litiasi della colecisti e segni della deplezione di ossido nitrico. A livello arterioso si osserva diatesi trombotica per disfunzione endoteliale. L’emolisi cronica rappresenta uno stato di equilibrio, interrotto più o meno frequentemente da crisi vaso-occlusive. Tra le manifestazioni vaso-occlusive, tipica è l’ostruzione dei vasi retinici, che porta a cecità parziale o totale e determina cicatrici corio-retiniche, una delle manifestazioni retiniche più comuni e patognomoniche dell’anemia falciforme. Dal punto di vista laboratoristico, si osserva riduzione dell’Hb; la diagnosi è confermata da striscio periferico, test di solubilità ed elettroforesi dell’emoglobina, che evidenzia le anomalie strutturali.


5 di 22 Domande

Il Sig. Versici, un uomo di circa 70 anni, si reca presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, Il Dott. Mancini, per un fastidio al polso destro. Anamnesi patologica prossima: lamenta dolore al polso destro da circa due giorni.

Anamnesi patologica prossima: positiva per due interventi di chirurgia sostitutiva dell'anca, due precedenti episodi di gotta in entrambe le prime articolazioni metatarso-falangee ed ipertensione. Esame obiettivo: il Dott. Mancini visitandolo riscontra la presenza di rossore e gonfiore sul versante dorsale del polso. La sintomatologia dolorosa viene esacerbata da movimenti di flesso-estensione completi. Gli vengono prescritti 80 mg di aspirina al giorno. Due giorni dopo il gonfiore però è aumentato sul versante dorsale del polso ed a livello della mano. La flessione del polso risulta limitata dell' 80% con dolore severo, pertanto il Sig. Versici si reca nuovamente presso l’ ambulatorio del Dott. Mancini, che rivisitandolo nota che evoca un dolore sordo alla palpazione dello scafoide e pertanto nel sospetto di frattura gli prescrive un esame radiografico del polso/mano. Esami strumentali-laboratoristici: evidenza di alterazioni riconducibili ad un quadro di artrite gottosa. Quale tipo di citochine sono coinvolte in questo processo?

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La risposta corretta è la C.

La flogosi è un meccanismo di difesa di tipo aspecifico: risponde all’agente lesivo di tipo fisico-meccanico, radiazioni, batteri o sostanze chimiche. È quindi la risposta al danno tissutale ed è un processo reattivo (diverso dalla necrosi che è regressiva), aspecifico (contro tutto ciò che causa danno), stereotipato (stessi meccanismi principali a prescindere dalla causa, con vie diverse secondo lo stimolo), e procede indipendentemente dalla causa (una volta innescato, continua anche se lo stimolo è rimosso). Nella fase acuta si ha aumento del flusso ematico e della permeabilità vascolare, con accumulo di fluidi, leucociti e mediatori come le citochine. Vari fattori solubili favoriscono il reclutamento dei leucociti aumentando l’espressione di molecole di adesione e di fattori chemiotattici. Le citochine chiave sono IL-1, TNF-?, IL-6, IL-8 e altre chemochine; IL-1 e TNF-? sono particolarmente potenti, inducono febbre promuovendo la sintesi di PGE2 nell’endotelio ipotalamico. L’IL-1 è prodotta da macrofagi, neutrofili, cellule endoteliali ed epiteliali: a basse concentrazioni induce adesione leucocitaria, ad alte induce febbre e proteine di fase acuta. Diversamente dal TNF-?, non causa da sola shock settico. Inoltre stimola i mastociti al rilascio di istamina, con vasodilatazione precoce e aumento della permeabilità.

Durante l’infiammazione avvengono: (1) modificazioni di flusso e calibro vascolare con aumento del flusso sanguigno, (2) modificazioni del microcircolo e formazione dell’essudato, (3) richiamo chemiotattico dei leucociti, (4) fagocitosi. Dopo lo stimolo lesivo si ha vasocostrizione transitoria seguita da vasodilatazione intensa (iperemia attiva, responsabile di rubor e calor). Successivamente si verifica rallentamento della circolazione (iperemia passiva o stasi), dovuto ad aumentata permeabilità capillare con essudazione proteica e aumento della viscosità ematica. Il modello tipico dell’infiammazione acuta comprende: alterazioni di flusso e calibro, iperemia attiva e passiva, permeabilizzazione endoteliale con essudato, migrazione leucocitaria e chemiotassi, fagocitosi.

La chemiotassi è movimento orientato lungo un gradiente chimico; gli stimoli possono essere esogeni (prodotti batterici) o endogeni (complemento, leucotrieni, citochine). Durante la stasi i neutrofili si dispongono lungo l’endotelio (marginazione). Segue l’adesione: i leucociti rotolano con legami labili, poi aderiscono stabilmente formando la “pavimentazione”. Successivamente attraversano l’endotelio (diapedesi) e migrano verso lo stimolo. L’endotelio normalmente è continuo e liscio, ma nell’infiammazione aumenta la permeabilità ed esprime molecole di adesione preformate (es. P-selectina dai corpi di Weibel-Palade).

Le principali molecole di adesione sono: selectine (E sull’endotelio, P sull’endotelio in infiammazione, L sui leucociti, legano zuccheri); immunoglobuline (ICAM-1 e VCAM-1, interagiscono con integrine leucocitarie, le ICAM-1 si legano alle integrine ?2); VCAM-2 proprie dell’endotelio; integrine (già presenti sui leucociti, ma con bassa affinità: aumentano l’avidità a seguito di stimoli chemiokinici e dell’induzione di ICAM/VCAM-1). Le citochine IL-1 e TNF inducono fortemente la sintesi di ICAM-1 e VCAM-2, molecole implicate nei legami forti, la cui espressione richiede più tempo.


6 di 22 Domande

Il Sig. Mariani, un uomo di 78 anni si reca presso il PS del Policlinico Torvergata di Roma, a causa di un episodio di dispnea acuta. Anamnesi patologica prossima: lamenta comparsa di episodi di tosse produttiva, gonfiore degli arti inferiori e dei piedi, astenia, che perdurano da 3 settimane. Inoltre, da due mesi a questa parte, si sono presentate crisi di dispnea da sforzo ingravescente. Anamnesi patologica remota: una decina di anni prima è stato sottoposto ad un intervento di chirurgia sostitutiva per impianto di protesi valvolare di suino, a causa di un rigurgito della valvola mitrale di grado severo. Il paziente è affetto da coronaropatia, diabete mellito di tipo 2 ed ipertensione. Anamnesi fisiologica: ha fumato per 55 anni un pacchetto di sigarette al giorno e abitualmente beve una birra al giorno. Anamnesi farmacologica Attualmente prende diversi farmaci tra cui cardioaspirina, simvastatina, ramipril, metoprololo, metformina e idroclorotiazide. Esame obiettivo: si presenta dall’ aspetto pallido. L’ uomo è alto 181 cm e pesa 128 kg, con una BMI di circa 41 kg/m2. Ha una temperatura corporea di 37.3 °C , frequenza respiratoria di 23 atti/min, frequenza cardiaca di 97 bpm, e pressione arteriosa di 148/95 mm Hg. All’ auscultazione del torace si riscontra la presenza di rantoli alle basi polmonari bilateralmente. L’ esame obiettivo del cuore rivela la presenza di un battito apicale dislocato lateralmente e la presenza, a livello dell’ apice, di un soffio diastolico 3/6 di intensità decrescente. Inoltre si osserva la presenza di edemi improntabili bilateralmente a livello dei piedi e delle caviglie. Il resto dell’ esame obiettivo non mostra altre anomalie. Quale tra le seguenti è la causa più probabile dei sintomi di questo paziente?

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La risposta D è corretta.

Il paziente circa 10 anni fa si era sottoposto a un intervento di sostituzione protesica con impianto di protesi valvolare suina per severo rigurgito mitralico. Il trattamento di una valvulopatia, a meno che non sia di grado medio-elevato e clinicamente significativa, richiede solo un controllo periodico, mentre l’intervento chirurgico è indicato in presenza di una lesione moderata o grave responsabile di sintomi e/o disfunzione cardiaca. Le opzioni vanno dalla valvuloplastica alla riparazione fino alla sostituzione, che può essere effettuata con protesi meccaniche (preferite nei pazienti <65 anni o con lunga aspettativa di vita, ma richiedono anticoagulazione cronica con warfarin per prevenire tromboembolismo) o biologiche (suine o bovine, più soggette a deterioramento sclero-fibrotico, con durata media 10-15 anni). Una complicanza possibile delle protesi biologiche è l’ostruzione/stenosi o il rigurgito, entrambi responsabili di scompenso cardiaco.

L’endocardite infettiva insorge in presenza di una predisposizione endocardica (patologie congenite, reumatiche, valvole bicuspidi calcifiche, prolasso mitralico, cardiomiopatia ipertrofica, precedente endocardite). Fattori predisponenti sono protesi valvolari, tossicodipendenza, diabete, uso cronico di anticoagulanti o steroidi, età avanzata. Agenti più comuni sono streptococchi e stafilococchi (80-90%), seguiti da enterococchi e microrganismi HACEK. Clinicamente si manifesta con febbre, nuovo soffio o modifica di un soffio preesistente, può causare scompenso cardiaco e, all’ecocardiogramma, vegetazioni. Segni caratteristici: petecchie congiuntivali, macchie di Roth, lesioni di Janeway, nodi di Osler, emorragie subungueali a scheggia. La diagnosi si basa sui criteri di Duke (diagnosi rigettata, possibile o certa). In assenza di emocolture disponibili, e senza rischio per MRSA, la terapia empirica si effettua con un ?-lattamico + amminoglicoside. Sebbene questo paziente presenti soffio e segni di scompenso, non ha febbre né criteri di Duke: l’endocardite è improbabile (risposta A errata).

La BPCO è una malattia polmonare cronica non reversibile, con ostruzione bronchiale persistente (VEMS/CVF <0,7), spesso correlata a fumo e caratterizzata da progressione, riacutizzazioni infettive, dispnea, tosse produttiva cronica, tachipnea, cianosi e ipertensione polmonare nelle fasi avanzate. All’auscultazione: respiro sibilante e fase espiratoria prolungata. Nonostante il paziente sia fumatore con tosse, i sintomi durano solo da 3 settimane e non vi sono segni obiettivi di ostruzione: la diagnosi di BPCO è errata (risposta B errata).

La polmonite è un’infiammazione acuta polmonare (batterica, virale, fungina, parassitaria) diagnosticata con RX torace e reperti clinici. Può essere comunitaria (più spesso da Streptococcus pneumoniae, Mycoplasma pneumoniae) o nosocomiale. Clinicamente: febbre, tosse, dispnea, astenia, ipossia; nella forma tipica: esordio acuto con febbre, tosse produttiva, crepitii e rumori bronchiali; nella forma atipica: esordio graduale con tosse secca, dispnea e pochi segni obiettivi. È indicato esame colturale di sangue/escreato. Questo paziente presenta tosse produttiva ma non febbre, e all’auscultazione rantoli basali bilaterali: più compatibili con scompenso cardiaco che con polmonite (risposta C errata).

L’embolia polmonare è occlusione di arterie polmonari da trombi (arti inferiori/pelvi). Presentazione acuta con sintomi aspecifici: dolore toracico pleuritico, tosse, sincope, dispnea, arresto cardiorespiratorio nei casi gravi; segni: tachipnea, tachicardia, ipotensione. Fattori di rischio: immobilizzazione, trombofilie, gravidanza, chirurgia recente. In questo paziente tosse e dispnea possono mimarla, ma anamnesi negativa per immobilizzazione e presenza di stenosi mitralica con edemi declivi bilaterali fanno propendere per scompenso cardiaco congestizio piuttosto che embolia polmonare (risposta E errata).


7 di 22 Domande

Il Sig. Verci, un uomo di circa 60 anni si reca, presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, il Dott. Briga, per dispnea. Anamnesi patologica prossima: lamenta una dispnea ingravescente da circa un mese. Inizialmente era in grado di salire 3 rampe di scale fino al suo appartamento, ma ora necessita di effettuare numerose pause per recuperare il fiato. Non lamenta dolore al petto. Anamnesi patologica remota: l'uomo è affetto da cardiopatia reumatica e diabete mellito di tipo 2. Anamnesi fisiologica: è emigrato dall'India circa 20 anni prima. Anamnesi farmacologica: assume carvedilolo, torasemide e insulina. Esame obiettivo: il Dott. Briga visita il Sig. Verci riscontrando una temperatura corporea di 37.2 °C, una frequenza cardiaca di 74 bpm, una frequenza respiratoria di 19 atti/min ed una pressione arteriosa di 135/80 mm Hg. La pulsossimetria mostra una saturazione d'ossigeno del 96% in aria ambiente. L'auscultazione del torace rivela la presenza di crepitii alle basi polmonari bilateralmente. All’ auscultazione cardiaca si riscontra la presenza di un soffio d'apertura seguito da un soffio diastolico di bassa tonalità , a livello del quanto spazio intercostale di sinistra in corrispondenza della linea medio-claveare. Esami strumentali-laboratoristici: il Dott. Briga decide di far eseguire una radiografia del torace al Sig. Verci, che mostra una dilatazione dell'atrio di sinistra, con stiramento del margine cardiaco di sinistra, ed un’ aumentata trama vascolare. Quale tra i seguenti rappresenta l'intervento di prima scelta per migliorare la sintomatologia del paziente?

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La risposta corretta è la D.

La malattia reumatica è la causa più frequente di stenosi mitralica non complicata. È caratterizzata da fibrosi, calcificazione dei lembi valvolari e parziale fusione delle commissure, con conseguente riduzione dell’ostio valvolare (normalmente 4-6 cm²) fino a valori <1 cm². A causa di questo restringimento, l’unico modo per garantire il passaggio di sangue dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro durante la diastole è aumentare le pressioni atriali. Questo incremento si trasmette a monte, con aumento della pressione nelle vene e nei capillari polmonari: ecco la causa della dispnea. Se le pressioni aumentano ulteriormente, soprattutto acutamente, può verificarsi la trasudazione di liquido negli alveoli con conseguente edema polmonare. Il nostro paziente all’auscultazione presenta anche crepitii basali bilaterali. Il gradiente diastolico transvalvolare è proporzionale al grado di stenosi ed è sensibile ad aumenti di portata e frequenza cardiaca: maggiore la portata/frequenza, maggiore il gradiente. Per questo un soggetto asintomatico a riposo può diventare sintomatico anche per sforzi lievi. L’evoluzione della stenosi mitralica è rappresentata dallo sviluppo di ipertensione polmonare arteriosa, secondaria a quella venosa, che provoca vasocostrizione arteriolare inizialmente funzionale e reversibile, successivamente irreversibile per ipertrofia della tonaca media e fibrosi dell’intima. Le elevate resistenze arteriolari del circolo polmonare causano sovraccarico pressorio del ventricolo destro con dilatazione, ipertrofia, disfunzione contrattile e segni di scompenso destro e bassa gittata. Nell’insufficienza mitralica, invece, la pressione atriale sinistra, molto più bassa di quella aortica, fa sì che il sangue refluisca in atrio già durante la contrazione isometrica ventricolare. Nell’insufficienza mitralica cronica l’atrio sinistro si adatta dilatandosi, per cui la pressione a monte non aumenta significativamente; nell’insufficienza acuta, invece, l’atrio non ha tempo di adattarsi e subisce un brusco aumento pressorio con ripercussioni sulla pressione venosa polmonare. Il ventricolo sinistro, sottoposto a sovraccarico di volume, si dilata: inizialmente la frazione di eiezione rimane conservata, poi si riduce progressivamente perché il rigurgito in atrio riduce il volume sistolico effettivo. Una frazione di eiezione <60% è indicativa di compromissione ventricolare sinistra. Nel nostro paziente, per segni, sintomi e reperti auscultatori, è probabile un coinvolgimento valvolare mitralico, in particolare stenosi o steno-insufficienza. L’intervento di scelta, nella stenosi mitralica clinicamente significativa (area ?1,5 cm²) o sintomatica, e nei pazienti con controindicazioni alla chirurgia, è la valvuloplastica percutanea con palloncino: una “dilatazione controllata” eseguita con un palloncino ad alta resistenza gonfiato in prossimità della valvola, introdotto tramite catetere da vena femorale destra. È una tecnica mini-invasiva che riduce morbilità e mortalità perioperatorie, con buona efficacia a lungo termine (sopravvivenza libera da eventi nel 30-70% dei casi), sebbene non siano rare le restenosi. Non può essere eseguita in presenza di calcificazioni valvolari, per cui è indicata la sostituzione valvolare.


8 di 22 Domande

Un ragazzo di 20 anni presenta il seguente ECG. Cosa si nota all'ECG?

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La risposta esatta è la A.

Le derivazioni da V1 a V6, chiamate derivazioni precordiali, esprimono l’attività elettrica del cuore sul piano orizzontale: V1-V2 esplorano il setto interventricolare, V3-V4 la parete anteriore del ventricolo sinistro, V5-V6 la parete laterale del ventricolo sinistro. L’onda P indica la depolarizzazione atriale, il complesso QRS e l’onda T indicano rispettivamente la depolarizzazione e la ripolarizzazione ventricolare, mentre la ripolarizzazione atriale non è visibile poiché avviene durante la depolarizzazione ventricolare. In età giovanile, dopo la pubertà, il vettore di ripolarizzazione ventricolare rende le T positive in tutte le derivazioni precordiali, tranne V1 e raramente V2; in casi eccezionali, la negatività può coinvolgere anche V3 e V4 (onda T giovanile). Dopo la pubertà, la presenza di onde T invertite ?2 mm in due o più derivazioni contigue del ventricolo destro può indicare cardiopatia congenita con sovraccarico di pressione o volume (cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro) oppure, più raramente, patologie ereditarie dei canali del sodio o potassio. L’ECG descritto mostra ritmo sinusale, alterazioni diffuse della ripolarizzazione con T negativa da V1 a V5, R alta in V1 e asse spostato a destra: reperti suggestivi di ipertrofia ventricolare destra a carattere aritmogeno. La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro è spesso familiare, più frequentemente a trasmissione autosomica dominante, e coinvolge prevalentemente ma non esclusivamente il ventricolo destro. Nel 10-20% dei casi è presente una mutazione nei geni che codificano proteine del desmosoma. Istologicamente si osserva progressiva sostituzione del miocardio con tessuto fibro-adiposo, che genera aree di discinesia e dilatazione soprattutto nel tratto di afflusso, efflusso e apice del ventricolo destro (triangolo della displasia), ma può estendersi all’intera parete ventricolare destra o anche al ventricolo sinistro. Questa condizione, per le alterazioni morfologiche e funzionali, è causa frequente di aritmie ventricolari e morte improvvisa, soprattutto in età giovanile durante o subito dopo l’attività fisica. In presenza di un ECG di questo tipo è quindi indicato eseguire un ecocardiogramma per rilevare eventuali alterazioni strutturali cardiache.


9 di 22 Domande

La signora Rettori, una donna di 45 anni, si reca dal proprio medico curante, il Dott. Pressi, per malessere. Anamnesi patologica prossima: comparsa di febbre, disuria e dolore alla schiena. Il Dott. Pressi consiglia alla paziente di recarsi in ospedale per ulteriori accertamenti; qui la donna verrà successivamente ricoverata con una sospetta diagnosi di pielonefrite. La paziente viene sottoposta a terapia con antibiotici ad ampio spettro, che determinano un significativo miglioramento della sintomatologia. Tuttavia, durante il quarto giorno di ricovero, la donna presenta nuovamente febbre, con leucocitosi e profusa diarrea acquosa. Esami strumentali: viene effettuata una colonscopia, visibile nell’ immagine sottostante.

Quale è la terapia per il trattamento di questo disturbo?

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La risposta corretta è la D.

La paziente presenta una colite pseudomembranosa causata da Clostridium difficile, un batterio appartenente alla famiglia Clostridiaceae, patogeno per l’uomo, Gram+ anaerobio. Il C. difficile è virulento in quanto possiede due tossine: la tossina A, un’enterotossina che si lega alle cellule della mucosa e causa un’ipersecrezione di liquido determinando diarrea acquosa; la tossina B, una citotossina che provoca gravi danni alla mucosa determinandone l’aspetto pseudomembranoso. Il Clostridium difficile causa colite associata ad antibiotici, tipicamente in ambiente ospedaliero. Fa parte normalmente del microbiota umano; tuttavia, quando si utilizzano antibiotici per lungo tempo, questi possono distruggere anche i batteri che tengono “sotto controllo” il Clostridium. Quando il C. difficile diviene dominante, si possono avere crampi addominali, colite pseudomembranosa, diarrea (talora ematica), raramente sepsi e addome acuto. I sintomi insorgono alcuni giorni dopo l’inizio della terapia antibiotica e includono diarrea acquosa o scariche di feci non formate, crampi addominali, raramente nausea e vomito. Per la diagnosi è importante l’identificazione della tossina nelle feci. Il trattamento consiste nell’interrompere la terapia antibiotica; se la sintomatologia è grave è possibile utilizzare vancomicina o metronidazolo (nel nostro caso, non essendo la vancomicina tra le opzioni, la risposta corretta è la D).


10 di 22 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

In seguito ai valori di glicemia a digiuno riscontrati, si richiede curva da carico orale di glucosio (OGTT). In base ai risultati sopra riportati, la paziente presenta:

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La risposta corretta è la B.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza.

L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: è necessario un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si associano inoltre a modifiche del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, arti inferiori, retina) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie degli arti inferiori).

Il diabete si classifica in due tipologie principali:

– diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), che può avere cause immuno-mediate o idiopatiche;

– diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e deficienza insulinica relativa, nella maggior parte dei casi senza necessità di insulina.

Esiste poi il diabete gestazionale, che compare in gravidanza e regredisce dopo il parto.

Tra le sindromi secondarie ricordiamo:

– pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori),

– patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite),

– patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante),

– tossicità da farmaci o sostanze chimiche (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.).

Il diabete può rimanere a lungo silente. Si stima che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% resti non diagnosticato.

Per la diagnosi, le misurazioni della glicemia prevedono:

– glicemia a digiuno (da almeno 12 ore): due rilevazioni ?126 mg/dl;

– glicemia random >200 mg/dl, ma solo in paziente sintomatico (polidipsia, poliuria, nicturia, ecc.);

– curva da carico con 75 g di glucosio in 200-250 ml d’acqua: il test si esegue solo se la glicemia basale è <126 mg/dl, e la diagnosi si pone se a 2 ore la glicemia è >200 mg/dl.


11 di 22 Domande

La signora Bellini è una giovane donna ricoverata nel reparto di ginecologia ed ostetricia dopo un parto complicato da una rottura prematura delle membrane amnio-coriali ed un prolungato travaglio. Anamnesi patologica prossima: In seconda giornata sviluppa febbre con brivido associata ad ipotensione e intenso dolore addominale che fanno sospettare un’ endometrite purperale. Il Dott. Lanfranchi decide di sottoporre la paziente ad una radiografia del torace e decide di avviare la terapia antibiotica e reidratante con 4.000 ml di soluzione salina nelle successive 24 ore ma l’ ipertermia persiste e si ottiene un lieve incremento della pressione arteriosa. Improvvisamente la sig.ra Bellini presenta dispnea. Esame obiettivo: viene rilevata una SpO2 dell’ 82% che non aumenta anche con ossigenoterapia con FiO2 del 100%. Il Dott. Lanfranchi decide quindi di intubare la paziente e si eroga una FiO2 del 100%. Non si rileva turgore giugulare, all’ auscultazione polmonare si apprezzano crepitii diffusi bilateralmente. Esami di laboratorio-strumentali: viene rapidamente inviato in laboratorio un campione di sangue arterioso che evidenzia PaO2 di 62 mmHg e PaCO2 di 33 mmHg. L’ ECG mostra tachicardia sinusale. Viene effettuato un nuovo RX del torace che mostra un quadro polmonare modificato rispetto a quanto si era visto nel precedente. Sulla base dei dati forniti quale tra le seguenti è la diagnosi più probabile?

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La risposta corretta è la B.

Questo paziente molto probabilmente ha una ARDS e il rapporto PaO2/FiO2 è <200: la paziente ha un rapporto di 60 (FiO2 = 1 ovvero 100% e PaO2 di 60 mmHg: necessita di ossigeno al 100% per mantenere una pressione di PaO2 accettabile). La RX torace mostra infiltrati polmonari diffusi non riconducibili a eziologia cardiogena. L’EO evidenzia dispnea ingravescente a insorgenza improvvisa, con crepitii diffusi bilateralmente. La paziente presentata nel caso è verosimilmente affetta da ARDS in seguito a sepsi da endometrite postpartum.

La sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) è una grave malattia acuta polmonare. I fattori scatenanti sono numerosi: polmonite, shock, gravi traumi, sepsi, aspirazione di alimenti (ab ingestis), pancreatite. È caratterizzata da danno diffuso della membrana alveolo-capillare, con edema polmonare non cardiogenico (ricco di proteine) e insufficienza respiratoria acuta (ARF). Si osserva reclutamento di neutrofili nei capillari alveolari e formazione di membrane ialine. I neutrofili rilasciano chemochine (che richiamano istiociti), producono ROS, proteasi, leucotrieni, fattore di attivazione piastrinica, prostaglandine e altre molecole che danneggiano le barriere tra capillari e spazi aerei. Gli alveoli e l’interstizio si riempiono di proteine, detriti cellulari e liquido, con distruzione del surfattante, collasso alveolare e mismatch ventilazione/perfusione.

L’ARDS determina grave ipossiemia refrattaria all’ossigenoterapia. I criteri diagnostici comprendono:

– Opacità bilaterali alla RX non spiegabili da versamento, atelettasia o noduli.

– PaO2/FiO2 ?200 mmHg.

– Assenza di evidenza clinica di aumentata pressione atriale sinistra o insufficienza cardiaca (PCWP <18 mmHg). Una pressione di incuneamento capillare polmonare >18 mmHg orienta invece verso edema polmonare cardiogeno.

Secondo la “Definizione di Berlino 2012” l’ARDS si classifica in:

– Lieve: PaO2/FiO2 ?200 mmHg.

– Moderata: PaO2/FiO2 ?100 mmHg.

– Grave: PaO2/FiO2 ?100 mmHg.


12 di 22 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

Per il paziente diabetico è essenziale assumere cibi a basso indice glicemico. Qual è tra i seguenti alimenti quello che presenta il più basso indice glicemico?

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La risposta corretta è la A.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza. L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: serve un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si accompagnano anche ad alterazioni del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, retina, arti inferiori) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie periferiche). Il diabete si classifica in due tipologie principali: diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), con cause immuno-mediate o idiopatiche; diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e relativa deficienza insulinica, che nella maggior parte dei casi non richiede terapia insulinica. Esiste anche il diabete gestazionale, che si manifesta in gravidanza e regredisce dopo il parto. Tra le forme secondarie: pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori), patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite), patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante), tossicità da farmaci o sostanze (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.). Il diabete può progredire a lungo senza sintomi. Si calcola che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% rimane non diagnosticato. Per la diagnosi: glicemia a digiuno ?126 mg/dl in due misurazioni, glicemia random >200 mg/dl in presenza di sintomi (poliuria, polidipsia, nicturia), curva da carico con 75 g di glucosio (diagnosi se glicemia >200 mg/dl a 2 ore). Prima del test, la glicemia basale deve essere <126 mg/dl. Il test va eseguito in pazienti non ricoverati, in buone condizioni cliniche, dopo dieta abituale (non ridotta in carboidrati), a digiuno dalla mezzanotte, senza febbre, stress o fumo. Indicazioni alla curva da carico: glicemia alterata a digiuno (100–125 mg/dl), familiarità per diabete dai 30-40 anni, obesità, complicanze cardiovascolari (TIA, angina, claudicatio), soprattutto se obesi e fumatori, infezioni urinarie o cutanee ricorrenti con glicemia alterata. Il 90% dei casi è di tipo II, storicamente detto diabete dell’adulto (esordio >40 anni), ma oggi è sempre più precoce (anche a 18 anni), correlato all’obesità, in particolare infantile (Italia con alta prevalenza, soprattutto nel centro-sud). Nei gemelli monozigoti la concordanza è ~100% nel tipo II, mentre nel tipo I, pur avendo componente genetica, è solo del 50% per il ruolo di fattori ambientali. Anche nei monozigoti separati alla nascita la concordanza del tipo II rimane elevata, a dimostrazione della forte componente genetica, ancora non del tutto chiarita.


13 di 22 Domande

Il trattamento principale nella sindrome di Pickwick è rappresentato da:














La risposta corretta è la B
Il trattamento principale nella Sindrome di Pickwick è rappresentato dalla ventilazione meccanica non invasiva. Questa sindrome, che prende il nome da un personaggio di Charles Dickens notoriamente obeso e sonnolento, è strettamente associata all'obesità e alle sue complicanze, ed è caratterizzata da ipoventilazione ostruttiva del sonno, cioè da una ventilazione insufficiente durante il sonno che porta a ipercapnia (elevati livelli di CO2 nel sangue) e ipossiemia (ridotti livelli di ossigeno nel sangue). L'ipoventilazione si verifica perché il tessuto adiposo in eccesso intorno al torace e all'addome può compromettere la meccanica respiratoria, rendendo difficile per i polmoni espandersi completamente e quindi scambiare aria in modo efficace. Inoltre, l'obesità può influenzare negativamente il drive respiratorio centrale. Di conseguenza, i pazienti spesso sviluppano una serie di complicanze gravi, che includono ipertensione polmonare, insufficienza cardiaca congestizia e ipossiemia notturna, che possono ulteriormente peggiorare durante il sonno. Il trattamento con ventilazione meccanica non invasiva, quale la CPAP (Continuous Positive Airway Pressure) o la BiPAP (Bilevel Positive Airway Pressure), offre una soluzione efficace per alleviare le manifestazioni di ipoventilazione legate alla sindrome. Tali dispositivi aiutano a mantenere aperte le vie respiratorie durante il sonno, assicurando che sia mantenuto un adeguato scambio di ossigeno e anidride carbonica. In questo modo, si riducono le pause respiratorie durante il sonno, si migliora la qualità del sonno e si diminuiscono di conseguenza la sonnolenza diurna e altri sintomi legati all'ossigenazione inadeguata e alla ritenzione di CO2. Oltre alla terapia con ventilazione meccanica non invasiva, è essenziale un approccio multidisciplinare che tenga conto della necessità di un calo ponderale sostanziale per contrastare le cause di fondo dell'ipoventilazione. Strategie che includono cambiamenti nello stile di vita, come dieta appropriata e incremento dell'attività fisica, sono fondamentali per il trattamento e la gestione a lungo termine della sindrome di Pickwick. Tuttavia, tra le opzioni terapeutiche, la ventilazione meccanica non invasiva rimane il pilastro principale per il trattamento immediato dei sintomi respiratori legati a questa condizione.

14 di 22 Domande

In un paziente che ha sviluppato febbre una settimana dopo una puntura di zecca, l'esame più appropriato è rappresentato da:














La risposta corretta è la E
La domanda posta indaga quale sia l'esame più appropriato in un paziente che ha sviluppato febbre una settimana dopo una puntura di zecca, alla quale si risponde correttamente con la "Sierodiagnosi di Weil-Felix." La corretta identificazione della Sierodiagnosi di Weil-Felix come esame appropriato si deve alla sua capacità di rilevare le reazioni crociate tra gli anticorpi prodotti in risposta a certi tipi di Rickettsiosi e alcuni ceppi di Proteus, genere di batteri. Le malattie causate dalla Rickettsia, piccoli batteri trasferiti agli esseri umani attraverso la puntura di zecche (e altri vettori), possono manifestarsi sotto forma di febbre, eruzioni cutanee e, in casi più severi, condizioni potenzialmente letali, se non trattate correttamente. La patologia al cuore di questa discussione, la Rickettsiosi, comprende una varietà di malattie infettive che, sebbene distinte nella loro presentazione, condividono alcune caratteristiche comuni, come la modalità di trasmissione (principalmente attraverso la puntura di zecche infette) e la presenza di febbre nel paziente. Dopo l'infezione, la febbre può presentarsi generalmente dopo una settimana, accompagnata talvolta da eruzioni cutanee, mal di testa, mialgia (dolori muscolari) e altri sintomi disturbanti. Senza un trattamento adeguato, alcune forme di Rickettsiosi possono portare a complicazioni severe, come danno agli organi interni, shock e, in rarissimi casi, la morte. Pertanto, è cruciale una diagnosi tempestiva e accurata. La sierodiagnosi di Weil-Felix sfrutta la reazione crociata di anticorpi verso alcuni antigeni dei batteri Proteus con vari sierotipi di Rickettsia. Un risultato positivo indica una risposta immunitaria del paziente specifica contro la Rickettsia, sostenendo la diagnosi di Rickettsiosi. Sebbene ci siano metodi più recenti e specifici per la diagnosi di tali infezioni (come la PCR per il DNA di Rickettsia), la Sierodiagnosi di Weil-Felix rimane uno strumento utile, particolarmente in ambienti a bassa risorsa o quando si sospetta fortemente una Rickettsiosi sulla base dell'anamnesi del paziente e dell'esame fisico. In conclusione, la scelta della Sierodiagnosi di Weil-Felix come esame più appropriato riflette non solo la natura dell'agente patogeno coinvolto nella sintomatologia post-puntura di zecca ma anche l'importanza di un'accurata identificazione del patogeno responsabile per guidare un trattamento efficace e prevenire complicanze severe associate alle infezioni da Rickettsia.

15 di 22 Domande

In quali delle seguenti condizioni NON è presente una ridotta captazione tiroidea alla scintigrafia?














La risposta corretta è la A
La malattia di Graves è una condizione in cui non si verifica una ridotta captazione tiroidea alla scintigrafia. Questa patologia si distingue per essere la principale causa di ipertiroidismo ed è caratterizzata da un aumento della produzione degli ormoni tiroidei. La sua origine è autoimmune, il che significa che il sistema immunitario del corpo attacca la ghiandola tiroide, causando un suo sovraccarico funzionale. La malattia di Graves si manifesta attraverso una serie di sintomi comuni dell'ipertiroidismo tra cui perdita di peso, tachicardia, tremori, affaticamento, intolleranza al calore e alterazioni dell'umore. In aggiunta, può presentarsi con sintomi specifici come la malattia degli occhi di Graves, che comporta esoftalmo (sporgenza degli occhi), sensazione di sabbia negli occhi e possibile doppia visione, dovuti all'infiammazione e all'edema dei tessuti retro-oculari. Il meccanismo alla base della malattia di Graves riguarda la produzione di anticorpi stimolanti il recettore dell'ormone tiroideo (TRAb), che si legano al recettore TSH (ormone stimolante la tiroide) sulla superficie delle cellule tiroidee. Questi anticorpi stimolano la ghiandola tiroide a produrre eccessivamente ormoni tiroidei (T3 e T4), senza la regolazione normale esercitata dall'ipofisi attraverso il rilascio di TSH. Questa iperattività della ghiandola si riflette negli esami di scintigrafia tiroidea, che mostrano un'elevata captazione del radioisotopo somministrato, a differenza di altre condizioni come la tiroidite o la tireotossicosi fattizia, nelle quali si osserva un'attività ridotta o assente nella captazione. Nella malattia di Graves, l'aumento della sintesi e liberazione degli ormoni tiroidei porta a un'iperfunzione documentabile attraverso le tecniche scintigrafiche, rendendo evidente la distinzione con altre patologie tiroidee nelle quali la scintigrafia rivela una ridotta captazione. L'importanza della scintigrafia nella malattia di Graves risiede anche nella sua capacità di fornire un quadro preciso dell'attività tiroidea e di guidare il clinico nella scelta del trattamento più adatto, che può variare da farmaci antitiroidei, a terapie con iodio radioattivo, fino all'intervento chirurgico di tiroidectomia in casi selezionati. La comprensione dettagliata della natura autoimmune e delle manifestazioni cliniche della malattia di Graves è essenziale per identificarla e trattarla in modo efficace, riducendo i rischi di complicanze a lungo termine.

16 di 22 Domande

L'agente patogeno denominato Helicobacter pylori è:














La risposta corretta è la E
L'agente patogeno denominato Helicobacter pylori è un bacillo Gram-negativo. Questa risposta è corretta perché l'Helicobacter pylori è effettivamente classificato come tale nel mondo microbiologico, per le sue caratteristiche di colorazione e forma. Parlando approfonditamente di questa patologia, possiamo dire che l'Helicobacter pylori è un batterio che gioca un ruolo chiave nello sviluppo di diverse malattie gastroduodenali. È riconosciuto come la causa principale di gastrite, un'infiammazione della mucosa dello stomaco, e di ulcere peptiche, piccole ferite aperte che possono formarsi nel rivestimento dello stomaco o della parte superiore dell'intestino tenue. L'Helicobacter pylori ha la notevole capacità di sopravvivere e moltiplicarsi nell'ambiente altamente acido dello stomaco, un'impresa resa possibile grazie al suo meccanismo di produzione di ammoniaca che ne neutralizza l'acidità . Questa caratteristica gli permette di aderire strettamente alla mucosa dello stomaco, proteggendosi e proliferando senza essere facilmente eliminato. Una volta stabilitosi, induce una risposta infiammatoria che, se non trattata, può evolvere da una semplice gastrite a condizioni più gravi come ulcere e, in alcuni casi, può contribuire allo sviluppo del cancro gastrico. La trasmissione avviene principalmente attraverso vie orali, come il consumo di cibo o acqua contaminati, e la presenza dell'Helicobacter pylori è comune in tutto il mondo, con un'incidenza maggiore nelle regioni con condizioni igienico-sanitarie precarie, contribuendo a una persistente diffusione della patologia. Il trattamento dell'infezione da Helicobacter pylori richiede un approccio combinato di antibiotici per eradicare il batterio e di farmaci che riducono l'acidità gastrica per favorire la guarigione della mucosa lesionata. Il successo terapeutico riduce significativamente il rischio di recidive di ulcere peptiche e può migliorare i sintomi di gastrite e dispepsia funzionale. In conclusione, comprendere l'Helicobacter pylori e il suo impatto sul sistema gastrointestinale è essenziale per il trattamento e la prevenzione delle malattie gastriche associate. La sua identificazione come un bacillo Gram-negativo fornisce informazioni cruciali sulle strategie antimicrobiche necessarie per contrastare l'infezione.

17 di 22 Domande

La somministrazione dell'associazione sacubitril-valsartan nei pazienti con scompenso cardiaco determina:














La risposta corretta è la A
La somministrazione dell'associazione sacubitril-valsartan nei pazienti con scompenso cardiaco determina una riduzione significativa di morte cardiovascolare e ospedalizzazione per scompenso cardiaco. Quest'affermazione si basa sulla funzione di quest'associazione medicinale, che agisce efficacemente nel trattamento dello scompenso cardiaco. Lo scompenso cardiaco è una condizione in cui il cuore non pompa il sangue come dovrebbe. Può derivare da diversi problemi cardiaci e si caratterizza per la ridotta capacità del cuore di riempirsi o di pompare sangue. Questa patologia richiede una gestione accurata per prevenire la progressione della malattia e migliorare la qualità della vita dei pazienti. L'associazione sacubitril-valsartan è un innovativo approccio terapeutico per il trattamento dello scompenso cardiaco. Sacubitril è un inibitore della neprilisina, che aumenta i livelli di peptidi natriuretici nel corpo, sostanze che aiutano a ridurre la pressione arteriosa e il volume del sangue, portando alla riduzione del carico di lavoro sul cuore. Valsartan è un antagonista dei recettori dell'angiotensina II, che aiuta a rilassare i vasi sanguigni e abbassare la pressione arteriosa. Questa combinazione opera quindi su due fronti fondamentali nello scompenso cardiaco: riduzione del volume del sangue (edema) e diminuzione della resistenza che il cuore deve superare per pompare il sangue. Il trattamento con sacubitril-valsartan ha dimostrato di ridurre significativamente il rischio di morte per cause cardiovascolari e la necessità di ospedalizzazione dovuta a peggioramento dello scompenso cardiaco. Questo avviene attraverso la combinazione dell'effetto vasodilatatore e di riduzione del volume del sangue, migliorando così la funzione del cuore e la qualità della vita dei pazienti affetti. In studi clinici, l'associazione sacubitril-valsartan è stata confrontata con i trattamenti standard, rivelando una superiorità nel ridurre i tassi di mortalità e le ospedalizzazioni. Questo ha portato a considerare sacubitril-valsartan come una delle terapie di primo piano per pazienti selezionati affetti da scompenso cardiaco con ridotta frazione di eiezione, ampliando le opzioni terapeutiche disponibili per questi pazienti. Conclusivamente, il successo di sacubitril-valsartan nello scompenso cardiaco risiede nella sua capacità di affrontare sia le cause che gli effetti dello scompenso, fornendo un doppio meccanismo d'azione che migliora significativamente gli esiti clinici nei pazienti affetti da questa patologia cronica e progressiva.

18 di 22 Domande

Una manovra di Lasegue positiva indica:














La risposta corretta è la C
Una manovra di Lasegue positiva indica l'irritazione delle radici nervose L5-S1. Questo risultato si verifica quando il sollevamento della gamba estesa del paziente provoca dolore, solitamente lungo il percorso del nervo sciatico, indicando una radiculopatia, tipicamente a causa di un'ernia del disco nel tratto lombosacrale della colonna vertebrale. La radicolopatia è una condizione che insorge quando una o più radici nervose spinali vengono compresse, infiammate o danneggiate. Le radici nervose L5-S1 sono tra le più soggette a questo tipo di problemi, particolarmente a causa delle loro posizioni nella colonna vertebrale e dei carichi che questo tratto deve sopportare. Se un'ernia del disco o un'altra patologia comprime queste radici nervose, può manifestarsi un dolore acuto, spesso irradiato lungo il decorso del nervo sciatico, che si estende dalla parte bassa della schiena fino ai piedi. L'ernia del disco lombare si manifesta quando il nucleo interno del disco intervertebrale, che agisce come un cuscino tra le ossa della colonna vertebrale, fuoriesce attraverso una lacrima nel suo anello esterno fibroso. Questo materiale fuoriuscito può quindi premere sulle strutture nervose adiacenti, comprese le radici nervose, provocando dolore, debolezza, o intorpidimento lungo il percorso del nervo interessato. La regione L5-S1 è particolarmente vulnerabile a questo tipo di lesioni a causa dell'elevato stress biomeccanico che deve sopportare, essendo al punto di congiunzione tra la colonna lombare e il sacro. La diagnosi di irritazione delle radici nervose L5-S1 attraverso la manovra di Lasegue fornisce un indice clinico importante sui potenziali problemi a livello del disco intervertebrale o delle strutture nervose correlate. La gestione di tale patologia può variare da trattamenti conservativi, come la fisioterapia e la gestione del dolore, fino ad interventi chirurgici, a seconda della gravità del caso e della risposta ai trattamenti iniziali. In sintesi, una manovra di Lasegue positiva riflette comunemente l'irritazione o compressione delle radici nervose L5-S1, spesso a seguito di un'ernia del disco lombare. Questo segno clinico aiuta nella diagnosi e nel dirigere l'approccio terapeutico per alleviare i sintomi e trattare la causa sottostante della radicolopatia.

19 di 22 Domande

Un esame EcocolorDoppler in un soggetto di 59 anni di età mostra una stenosi carotidea asintomatica del 20%. Quali indicazioni terapeutiche è corretto dare a questo paziente?














La risposta corretta è la A
La domanda a cui rispondo afferma: Un esame EcocolorDoppler in un soggetto di 59 anni di età mostra una stenosi carotidea asintomatica del 20%. La risposta corretta è che il paziente dovrebbe seguere la correzione dei fattori di rischio con stile di vita e terapia medica appropriati. Questa raccomandazione è sostenuta dal fatto che, per i pazienti con stenosi carotidea asintomatica, il trattamento primario si concentra sulla gestione dei fattori di rischio cardiovascolare piuttosto che sull'intervento chirurgico immediato. La terapia medica ottimale, compresa la gestione dell'ipertensione, il controllo del colesterolo LDL con statine, la cessazione del fumo, l'adozione di una dieta sana, e l'esercizio fisico regolare, è cruciale per la prevenzione della progressione della stenosi e della formazione di coaguli, che possono portare a ischemie o stroke. Secondo il principale manuale di riferimento medico, la stenosi carotidea si verifica quando si riduce il flusso di sangue attraverso l'arteria carotide a causa del restringimento dell'arteria, il più delle volte a causa dell'aterosclerosi, ovvero l'accumulo di placche all'interno dell'arteria. Sebbene possa non presentare sintomi inizialmente, il progressivo restringimento dell'arteria può portare a complicazioni potenzialmente gravi, come ictus o attacchi ischemici transitori (TIA). Tuttavia, nel caso di stenosi asintomatiche di grado lieve come una stenosi del 20%, l'approccio invasivo non è generalmente raccomandato a meno che non vi sia una progressione significativa della malattia o l'apparizione di sintomi. La gestione dei fattori di rischio è quindi di fondamentale importanza per ridurre il rischio di progressione aterosclerotica e per stabilizzarne il processo, aiutando a prevenire l'occlusione completa dell'arteria o la formazione di coaguli che possono staccarsi e causare ostruzioni in altri vasi sanguigni del cervello. Un controllo rigoroso della pressione arteriosa, l'uso di antiaggreganti piastrinici come l'aspirina in alcuni casi per prevenire la formazione di trombi, la gestione del diabete e la riduzione dei livelli di lipidi nel sangue sono interventi fondamentali per gestire efficacemente la stenosi carotidea asintomatica. Quindi, per un paziente con una stenosi carotidea asintomatica del 20%, la correzione dei fattori di rischio e l'adozione di uno stile di vita sano rappresentano i pilastri del trattamento, con l'obiettivo di prevenire la progressione della malattia e ridurre il rischio di eventi cardiovascolari avversi.

20 di 22 Domande

COVID-19 è una malattia:














La risposta corretta è la A
La COVID-19 è , infatti, una malattia multi-organo. Questa caratterizzazione deriva dalla natura del virus SARS-CoV-2, l'agente patogeno responsabile della malattia, che non si limita ad affliggere un singolo organo o sistema, ma può influire su vari organi e tessuti in tutto il corpo. La COVID-19 è stata inizialmente identificata come una malattia respiratoria, dato il suo impatto predominante sulle vie aeree e i polmoni, con sintomi che spaziano da lievi affezioni respiratorie a forme severe di polmonite. Tuttavia, con il progredire della pandemia e l'accumulo di evidenze cliniche, è diventato chiaro che il suo impatto va ben oltre il sistema respiratorio. Questa malattia può infatti influenzare diversi organi e sistemi, inclusi il sistema cardiovascolare, il rene, il sistema nervoso centrale, il fegato, e perfino la pelle. Il virus SARS-CoV-2 può indurre una risposta infiammatoria sistemica acuta che, nei casi più gravi, può sfociare in una tempesta di citochine, un processo patologico in cui l'eccessiva e incontrollata liberazione di citochine pro-infiammatorie può portare a danni agli organi, insufficienza multi-organo e potenzialmente la morte. La patologia può manifestarsi con una gamma di sintomi che variano ampiamente da lievi a critici. Negli adulti e nelle persone anziane, ci può essere un maggiore rischio di sviluppare forme severe della malattia, che possono richiedere ricovero in terapia intensiva e assistenza respiratoria meccanica. Anche soggetti senza preesistenti condizioni di salute possono esperire forme gravi di COVID-19, sebbene sia meno frequente. La capacità del virus di innescare complicazioni in molteplici organi è collegata alla sua interazione con il recettore ACE2, espresso in varie cellule e tessuti in tutto il corpo. Questo recettore funge da porta di ingresso per il virus, permettendogli di entrare e infettare le cellule. Poiché la malattia ha mostrato di avere un impatto così ampio e differenziato sul corpo umano, il trattamento della COVID-19 può richiedere un approccio multidisciplinare, coinvolgendo specialisti di diverse aree mediche per affrontare l'ampio spettro di sintomi e complicazioni derivanti dall'infezione. In conclusione, identificare la COVID-19 come una malattia multi-organo riflette la complessa natura di questa infezione e sottolinea l'importanza di un approccio comprensivo e multidisciplinare nella sua gestione e trattamento. La continua ricerca e raccolta di dati aiuteranno a capire meglio come il virus SARS-CoV-2 agisce su diversi organi e sistemi, e come si possono mitigare al meglio le sue molteplici manifestazioni cliniche.

21 di 22 Domande

Quale di queste caratteristiche NON si riscontra nei pazienti con nefrolitiasi?














La risposta corretta è la C
La caratteristica che NON si riscontra nei pazienti con nefrolitiasi è l'ipocalciuria. La nefrolitiasi, comunemente conosciuta come formazione di calcoli renali, è una condizione che si verifica quando si formano cristalli solidi nei reni a partire da sostanze disciolte nell'urina. Questi cristalli, o calcoli, possono causare dolore intenso quando si muovono attraverso il tratto urinario. La nefrolitiasi può essere causata da diversi fattori, inclusi disordini metabolici, disequilibri dietetici e alcuni disturbi genetici. Le sostanze che comunemente formano calcoli includono il calcio, l'ossalato, il fosfato, e l'acido urico. A differenza di ciò che suggerisce l'opzione corretta, l'ipocalciuria, ovvero una bassa escrezione di calcio nell'urina, non è tipica dei pazienti con nefrolitiasi. Al contrario, condizioni come l'iperuricosuria (elevata eliminazione di acido urico nell'urina), l'iperossaluria (elevata eliminazione di ossalato nell'urina), l'ipercalciuria (elevata eliminazione di calcio nell'urina) e l'ipocitraturia (bassa eliminazione di citrato nell'urina) sono noti fattori di rischio associati alla formazione di calcoli. Prendiamo in considerazione la patologia dal punto di vista fornito da fonti mediche riconosciute. La formazione dei calcoli renali avviene quando la concentrazione di determinate sostanze (come calcio, ossalato, e acido urico) supera la capacità dell'urina di mantenerle solubili, portando alla cristallizzazione e alla formazione di calcoli. L'ipercalciuria è una delle cause più comuni di calcoli di calcio. Fattori che possono contribuire all'iperuricosuria includono una dieta ricca di purine (trovate in carni rosse, pesce e frutti di mare), obesità e certi disturbi metabolici. La patologia può essere sintomatica, presentando dolore acuto nella zona lombare o laterale, o asintomatica, scoperta incidentalmente durante esami di imaging effettuati per altre cause. Altre manifestazioni possono includere ematuria (presenza di sangue nell'urina), nausea, vomito e febbre, particolarmente se i calcoli causano un'ostruzione. Per quanto riguarda la prevenzione e il trattamento dei calcoli renali, le strategie includono adeguamenti nella dieta, come aumentare l'apporto di liquidi per diluire l'urina, ridurre l'assunzione di alimenti ricchi di ossalato, e, in alcune condizioni, modificare l'apporto di calcio e proteine. L'uso di certi farmaci può anche essere raccomandato per prevenire la ricorrenza dei calcoli in persone ad alto rischio. In conclusione, mentre la nefrolitiasi è associata a diverse alterazioni metaboliche e dietetiche che possono aumentare l'escrezione di certe sostanze nell'urina, l'ipocalciuria non è comunemente osservata in questi pazienti. La comprensione e il trattamento corretti della nefrolitiasi richiedono un approccio mirato che consideri la specifica composizione dei calcoli e i relativi fattori di rischio individuale.

22 di 22 Domande

Cosa si intende per pressione arteriosa normale elevata?














La risposta corretta è la B
La pressione arteriosa normale elevata si riferisce alla condizione in cui la pressione sistolica è compresa tra 130 e 139 mmHg o la pressione diastolica è compresa tra 85 e 89 mmHg. Questa definizione è fondamentale per identificare le persone che si trovano in una fase precursore dell'ipertensione, indicando quindi un rischio maggiore di sviluppare pressioni arteriose più elevate e le complicazioni ad esse correlate. L'ipertensione è una patologia caratterizzata da valori aumentati della pressione arteriosa. Essa costituisce un importante fattore di rischio per lo sviluppo di malattie cardiovascolari, renalie cerebrovascolari. La classificazione dei livelli di pressione arteriosa è fondamentale per stabilire le strategie di trattamento e prevenzione. Una pressione arteriosa considerata "normale elevata" è situata sotto la soglia di ipertensione vera e propria, ma mostra comunque valori superiori rispetto a quelli considerati ottimali per la salute cardiovascolare. Questa categoria evidenzia l'importanza del monitoraggio e dell'intervento precoce per prevenire la progressione verso livelli di pressione più alti e ridurre così il rischio associato. Dalle informazioni ottenute, è chiaro che la pressione arteriosa normale elevata rappresenta un livello intermedio tra una pressione arteriosa ottimale e l'ipertensione di grado 1. Le persone che rientrano in questa categoria non sono ancora ipertese secondo i criteri classici, ma presentano comunque un rischio maggiore rispetto a chi ha valori completamente normali. Gli studi hanno mostrato che anche lievi incrementi dei valori pressori al di sopra dell'ottimale possono correlarsi ad un aumentato rischio di eventi cardiovascolari. Inoltre, si considera questa condizione come un campanello d'allarme per stimolare cambiamenti nello stile di vita, che includono dieta sana, attività fisica regolare, riduzione del consumo di alcool e cessazione del fumo. Tali misure possono ridurre significativamente i livelli di pressione arteriosa, contribuendo a prevenire l'aggravamento della condizione. La classificazione della pressione arteriosa in diverse categorie facilita l'identificazione precoce degli individui a rischio e promuove interventi mirati. Il riconoscimento della pressione arteriosa normale elevata come entità distinta serve a sottolineare l'importanza di un approccio proattivo nella gestione della salute cardiovascolare, ancor prima che la malattia ipertensiva si manifesti pienamente. Questo è cruciale non solo per la prevenzione dell'ipertensione, ma anche per mitigare il rischio di complicazioni a lungo termine associate a pressioni arteriose croncamente elevate.

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