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1 di 10 Domande

Il meccanismo di azione del warfarin è il seguente:














La risposta corretta è la C
Il meccanismo di azione del warfarin è quello di antagonista della vitamina K. Questo significa che il warfarin impedisce l'azione della vitamina K, che è fondamentale nel processo di coagulazione del sangue. La risposta è corretta perché il warfarin, un farmaco anticoagulante orale largo impiego, agisce inibendo la vitamina K riduttasi. Questa inibizione impedisce la riduzione della vitamina K inattiva in forma attiva. La vitamina K è indispensabile per la carbossilazione post-traduzionale di diversi fattori di coagulazione, inclusi i fattori II (protrombina), VII, IX e X, nonché le proteine C e S, che sono anticoagulanti naturali. Senza l'attività della vitamina K, la produzione di questi fattori di coagulazione è compromessa, portando a una ridotta capacità di coagulazione del sangue. Infatti, il warfarin riduce la formazione di coaguli sanguigni attraverso questo meccanismo specifico che influisce sulla sintesi dei fattori di coagulazione. Il fegato utilizza la vitamina K per convertire queste proteine in forme attive che possono partecipare al processo di coagulazione. Se la funzione della vitamina K viene ostacolata dal warfarin, la sintesi dei fattori di coagulazione vitamina K-dipendenti cala significativamente, portando a un aumento del tempo necessario per formare un coagulo. Questo meccanismo rappresenta il pilastro del trattamento con warfarin per prevenire la formazione di coaguli in varie patologie trombotiche, come la fibrillazione atriale, la trombosi venosa profonda (TVP), l'embolia polmonare (EP), e per la prevenzione del rischio di ictus in pazienti con determinate condizioni cardiovascolari. La gestione della terapia con warfarin richiede un attento monitoraggio, mediante il test del tempo di protrombina (PT) e l'INR (International Normalized Ratio), per assicurare che il paziente mantenga un'anticoagulazione adeguata senza superare il limite oltre il quale aumenta il rischio di sanguinamento. L'equilibrio terapeutico del warfarin è influenzato da molti fattori, inclusi altri farmaci, alimenti ricchi di vitamina K e variazioni genetiche nel metabolismo del farmaco, rendendo essenziale una gestione attenta e individualizzata per ciascun paziente.

2 di 10 Domande

In un paziente che ha sviluppato acutamente sintomi caratterizmti da dolore al fianco destro irradiato fino all'inguine, associato a nausea e vomito, il test diagnostico di primo livello da richiedere è:














La risposta corretta è la C
Nel caso di un paziente che ha sviluppato acutamente sintomi caratterizzati da dolore al fianco destro irradiato fino all'inguine, associato a nausea e vomito, il test diagnostico di primo livello da richiedere è l'ecografia addominale. Questo perché i sintomi descritti si allineano strettamente con quelli tipici della colica renale o di altre patologie addominali che necessitano di una valutazione iniziale non invasiva e precisa per guidare ulteriori indagini o trattamenti. L'ecografia addominale è particolarmente indicata in questi casi perché permette una rapida valutazione degli organi addominali, in modo non invasivo, senza l'esposizione a radiazioni ionizzanti, e può facilmente identificare la presenza di calcoli renali, alterazioni idronefrotiche (dilatazione del sistema collettore renale a causa di un ostacolo al deflusso urinario), o altre anomalie a livello degli organi solidi addominali. Infatti, situazioni come la colica renale sono caratterizzate dalla presenza di un ostacolo (come un calcolo) nel tratto urinario che provoca un aumento della pressione a monte e un conseguente dolore acuto. L'ecografia è in grado di identificare sia il calcolo sia le sue possibili complicazioni (come l'idronefrosi). Il Manuale MSD descrive la colica renale come una condizione acuta di notevole importanza clinica che può manifestarsi con un mix di sintomi assai intensi, tra cui dolore acuto e improvviso localizzato tipicamente al fianco e all'inguine, nausea, vomito e, a volte, sangue nella urina. Il dolore è solitamente causato dall'ostruzione del flusso urinario, spesso da calcoli renali. La natura del dolore, acuto e spesso insopportabile, unita alla sua localizzazione e ai sintomi associati, rende l'ecografia addominale lo strumento diagnostico di scelta per una valutazione iniziale: è in grado di confermare la presenza di ostruzioni, valutare le dimensioni e la posizione dei calcoli, se presenti, e individuare eventuali complicanze come l'idronefrosi senza ricorrere a tecniche invasive o all'esposizione a radiazioni. Inoltre, l'ecografia contribuisce a una gestione clinica mirata e più efficiente, permettendo al medico di decidere rapidamente sull'appropriatezza di trattamenti conservativi (come la gestione del dolore e l'aspettativa vigilata per il passaggio spontaneo del calcolo) o l'eventuale necessità di interventi più invasivi (come la litotripsia o la chirurgia), a seconda delle dimensioni del calcolo, della sua localizzazione, e delle condizioni del paziente. In conclusione, data la sua capacità di fornire informazioni dettagliate e immediate sulla causa del dolore e sullo stato degli organi coinvolti, l'ecografia addominale si conferma come il test diagnostico di primo livello in casi di sintomi a caricamento acuto come quelli descritti, guidando efficacemente le successive scelte terapeutiche.

3 di 10 Domande

L'indice ABI (Ankle Brachial lndex) è considerato sicuramente patologico per un valore:














La risposta corretta è la C
L'indice ABI (Ankle Brachial Index) è considerato sicuramente patologico per un valore inferiore a 0,9. Questo perché l'ABI è un'esame non invasivo utilizzato per rilevare la presenza di malattie arteriose periferiche. In particolare, questa metodologia si basa sulla misurazione della pressione sanguigna a livello delle caviglie e del braccio. Il risultato viene calcolato dividendo la pressione sanguigna sistolica al livello della caviglia per quella al livello del braccio. Un indice ABI inferiore a 0,9 indica una riduzione del flusso sanguigno nelle arterie delle gambe e dei piedi, suggerendo la presenza di una patologia arteriosa periferica. Approfondendo, la patologia arteriosa periferica (PAD) è caratterizzata da un restringimento e un indurimento delle arterie che irradiano sangue alle estremità, in particolare alle gambe e ai piedi, causato prevalentemente dalla costituzione di placche aterosclerotiche. Questo processo, noto come aterosclerosi, si sviluppa gradualmente con l'accumulo di lipidi, calcio e tessuto fibroso sulla parete interna delle arterie, riducendo il flusso sanguigno. Man mano che le arterie si restringono, la fornitura di sangue ossigenato ai tessuti periferici diminuisce, provocando sintomi quali dolore alle gambe durante la camminata (claudicazione), ulcere ai piedi o alle gambe, e in casi estremi, può portare alla gangrena. Questa condizione può essere influenzata da vari fattori di rischio, inclusi il fumo di sigaretta, il diabete, l'ipertensione e il colesterolo alto. Il trattamento della PAD mira principalmente a gestire i sintomi e a prevenire ulteriori complicazioni, attraverso la modificazione dello stile di vita, l'uso di determinati farmaci e, in alcuni casi, procedimenti chirurgici per ripristinare una adeguata circolazione sanguigna nelle zone colpite. Pertanto, un valore ABI inferiore a 0,9 si rivela un indicatore significativo di PAD, essenziale per la diagnosi precoce e l'avvio di un adeguato intervento clinico per ridurre il rischio di complicazioni gravi, come attacchi cardiaci, ictus e perdita degli arti.

4 di 10 Domande

Quale di queste classi di farmaci provoca più frequentemente stitichezza?














La risposta corretta è la C
La classe di farmaci che provoca più frequentemente stitichezza sono gli analgesici oppioidi. Questa affermazione è supportata da ampie evidenze mediche riguardanti l'effetto degli oppioidi sul sistema gastrointestinale. Gli oppioidi sono un gruppo di farmaci comunemente prescritti per il trattamento del dolore moderato a severo. Purtroppo, oltre ai loro effetti analgesici, gli oppioidi hanno anche diversi effetti collaterali, tra cui la stitichezza, che è uno dei più comuni e fastidiosi. Ciò si verifica perché gli oppioidi influenzano non solo il sistema nervoso centrale ma anche i recettori oppioidi localizzati nel tratto gastrointestinale. Quando gli oppioidi vincolano i recettori nel sistema gastrointestinale, rallentano la motilità intestinale riducendo la peristalsi, ovvero il movimento coordinato dell'intestino che fa progredire il contenuto attraverso il tratto digestivo. Di conseguenza, il transito del cibo rallenta, permettendo un maggiore assorbimento di acqua dall'intestino e risultando in feci più dure e secche, difficili da espellere. Inoltre, gli oppioidi riducono la secrezione di fluidi nel lume intestinale e possono aumentare il tono dello sfintere anale, rendendo l'atto della defecazione più difficile. Il meccanismo con cui gli oppioidi influenzano il sistema gastrointestinale è multifattoriale. Essi aumentano il tempo di transito colico, riducono le secrezioni intestinali e aumentano l'assorbimento di elettroliti e acqua dal colon, portando alla formazione di feci più dure e secche. Inoltre, gli oppioidi influenzano negativamente la motilità del colon riducendo le contrazioni propulsive, il che rallenta ulteriormente il passaggio delle feci. Anche il tono dello sfintere anale può essere aumentato, rendendo più difficile l'evacuazione. Questa condizione di stitichezza indotta dall'uso di oppioidi è talmente rilevante che è stata classificata come una condizione specifica, nota come stitichezza indotta dall'uso di oppioidi (OIC, Opioid-Induced Constipation). Il trattamento dell'OIC può richiedere l'intervento con lassativi, farmaci che mirano specificatamente agli effetti gastrointestinali degli oppioidi, o la revisione del regime di gestione del dolore per trovare un equilibrio adeguato tra il controllo del dolore e la minimizzazione degli effetti collaterali. In conclusione, gli analgesici oppioidi hanno un'alta incidenza nel provocare stitichezza a causa del loro impatto diretto sulla motilità intestinale, rendendo difficile l'evacuazione e portando alla formazione di feci dure e secche. Questo effetto si verifica attraverso l'inibizione dei processi peristaltici e l'aumento dell'assorbimento di acqua, rallentando significativamente il transito intestinale.

5 di 10 Domande

La diagnosi di BPCO viene effettuata con:














La risposta corretta è la C
La diagnosi di BPCO viene effettuata con la spirometria. Questo esame è il cardine per diagnosticare la Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO), in quanto misura in modo oggettivo il grado di ostruzione del flusso aereo, un elemento fondamentale per confermare la presenza della patologia. La BPCO è una patologia respiratoria cronica e progressiva che provoca un'ostruzione al flusso aereo nei polmoni. La sua caratteristica principale è la limitazione cronica e progressiva del flusso aereo, che non è completamente reversibile. La causa principale della BPCO è l'esposizione a lungo termine a gas o particelle irritanti, con il fumo di sigaretta che rappresenta il rischio più significativo. Altri fattori possono includere l'esposizione a inquinanti atmosferici, fumo passivo, lavori con esposizione a polveri e agenti chimici, e in alcuni casi la predisposizione genetica. Con il progredire della malattia, i sintomi tipici che si manifestano includono dispnea, cioè la difficoltà respiratoria, tosse cronica e produzione di catarro. Data la natura progressiva della BPCO, una diagnosi precoce è fondamentale per una gestione efficace della malattia. Ecco perché la spirometria risulta essere uno strumento diagnostico indispensabile; attraverso la misurazione del volume del respiro di un paziente in varie fasi del respiro, questa prova fornisce una valutazione quantitativa della riduzione del flusso aereo. La spirometria aiuta a determinare la gravità della BPCO e a monitorare il suo progresso, oltre a valutare la risposta al trattamento. Durante la spirometria, i pazienti saranno invitati a inspirare profondamente e poi a espirare il più velocemente e completamente possibile in un tubo collegato a un spirometro. L'apparecchio misura quindi il volume di aria espirato e la velocità con cui l'aria viene espirata dai polmoni, fornendo indicazioni preziose sulla funzionalità polmonare. La diagnosi di BPCO mediante spirometria è quindi fondamentale per iniziare un trattamento adeguato volto a rallentare il decorso della malattia, migliorare la qualità di vita del paziente, ridurre il rischio di altre complicazioni associate e, dove possibile, risolvere i sintomi della malattia. La gestione della BPCO può includere l'abbandono del fumo, l'uso di farmaci broncodilatatori, la riabilitazione polmonare e, nei casi più gravi, l'ossigenoterapia a lungo termine o la chirurgia.

6 di 10 Domande

Nei pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico a frazione d'eiezione-ridotta, quali tra queste classi farmacologiche NON è raccomandata a causa di un aumentato rischio di effetti avversi (edema agli arti inferiori, dispnea, edema polmonare)?














La risposta corretta è la C
Nei pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico a frazione di eiezione ridotta, la classe farmacologica non raccomandata a causa di un aumentato rischio di effetti avversi quali edema agli arti inferiori, dispnea ed edema polmonare è quella dei calcio-antagonisti. La scelta di questa categoria di farmaci si traduce in una maggiore cautela attribuibile ai loro effetti farmacologici sul sistema cardiovascolare. I calcio-antagonisti rappresentano una classe di farmaci utilizzata principalmente nel trattamento dell'ipertensione e delle angine. Il loro meccanismo d'azione si basa sull'inibizione del flusso di ioni calcio attraverso i canali del calcio specifici delle membrane cellulari, principalmente nelle cellule muscolari lisce dei vasi sanguigni e del cuore. Questo processo induce vasodilatazione, che riduce la resistenza periferica e dunque la pressione arteriosa, ma può anche influenzare negativamente la funzione cardiaca in pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta. Tali farmaci, infatti, possono causare o esacerbare l'edema a causa della ritenzione idrica indotta dalla vasodilatazione sistemica; modificano il lavoro cardiovascolare aumentando il rischio di eventi avversi come dispnea e edema polmonare in questa specifica popolazione di pazienti. In questi individui, il cuore già compromesso potrebbe non essere in grado di gestire l'aumento del carico di lavoro o la modificazione della distribuzione del flusso sanguigno causati dalla farmacologia dei calcio-antagonisti. Inoltre, nonostante la loro efficacia nell'abbassare la pressione arteriosa, i calcio-antagonisti non hanno dimostrato di migliorare la sopravvivenza nei pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta, al contrario di altre classi farmacologiche specificamente indicate per questa condizione, come i beta-bloccanti, gli ACE-inibitori, gli ARNI (sacubitril/valsartan) e le gliflozine, che hanno dimostrato benefici in termini di morbilità e mortalità. L'attenzione medica per questi pazienti si concentra quindi sulla gestione ottimale dell'equilibrio idrico e sulla prevenzione dei sintomi congestizi, mirando a migliorare la qualità della vita e a ridurre il rischio di ricoveri ospedalieri e altri esiti avversi, per cui l'impiego dei calcio-antagonisti è considerato non raccomandato o sconsigliato a causa di possibili effetti dannosi sulla funzionalità e condizione cardiaca.

7 di 10 Domande

Quale classe di antibiotici può favorire lo sviluppo di ceppi di Klebsiella produttrice di carbapenemasi?














La risposta corretta è la C
La domanda indaga su quale classe di antibiotici può favorire lo sviluppo di ceppi di Klebsiella produttrice di carbapenemasi, e la risposta corretta è C) Chinolonici. Questo si basa sulla comprensione delle dinamiche di resistenza agli antibiotici che si sviluppano in alcuni batteri, tra cui la Klebsiella spp. La resistenza agli antibiotici è un problema crescente nella gestione delle infezioni batteriche. La Klebsiella pneumoniae, in particolare, è un patogeno opportunista che può causare una varietà di infezioni, comprese polmoniti, infezioni del tratto urinario, sepsi, e infezioni in siti chirurgici. La produzione di carbapenemasi da parte di alcuni ceppi di Klebsiella rende il trattamento particolarmente complesso, poiché le carbapenemasi possono idrolizzare gli antibiotici carbapenemici, che sono spesso usati come ultima linea di trattamento per infezioni multidrug-resistenti. L'uso di antibiotici chinolonici è stato collegato alla selezione di ceppi resistenti non solo all'interno del genere Klebsiella ma anche in un'ampia gamma di patogeni batterici. L'azione dei chinolonici si basa sull'inibizione delle DNA girasi e delle topoisomerasi IV, enzimi essenziali per la replicazione, la trascrizione e la riparazione del DNA batterico. L'uso eccessivo e il malfunzionamento di questa classe di antibiotici possono quindi non solo favorire l'emergere di ceppi resistenti direttamente verso i chinolonici ma anche indirettamente incoraggiare lo sviluppo di meccanismi di resistenza a un ampio spettro di antibiotici attraverso vari meccanismi, compreso quello della produzione di carbapenemasi. Il problema della resistenza agli antibiotici è complesso e multifattoriale. La resistenza a un tipo di antibiotico può portare alla selezione di mutazioni o all'acquisizione di geni di resistenza che possono conferire resistenza a diverse classi di antibiotici. Inoltre, l'uso indiscriminato di antibiotici può eliminare la flora microbica competitiva, permettendo a ceppi resistenti di proliferare senza controlli. In conclusione, l'uso di antibiotici chinolonici può indirettamente favorire lo sviluppo e la diffusione di ceppi di Klebsiella produttrici di carbapenemasi attraverso la selezione di resistenze e l'alterazione della flora microbica. Gestire e contenere il fenomeno della resistenza agli antibiotici richiede un uso prudente e mirato degli antibiotici, oltre a continue ricerche per lo sviluppo di nuove terapie e strategie di controllo delle infezioni.

8 di 10 Domande

Quali fra le seguenti condizioni cliniche può essere attribuita ad effetto collaterale di amiodarone?














La risposta corretta è la D
L'iper o ipotiroidismo può essere attribuito come effetto collaterale dell'amiodarone. La risposta corretta riflette la relazione tra l'uso dell'amiodarone, un farmaco ampiamente utilizzato per il trattamento di diverse aritmie cardiache, e le disfunzioni tiroidee che possono emergere come complicanze associate al suo utilizzo. Il meccanismo con cui l'amiodarone interagisce con la funzionalità tiroidea risiede nella sua struttura molecolare ricca di iodio, che influisce sui processi metabolici della tiroide. L'amiodarone può infatti portare a uno stato di ipertiroidismo o ipotiroidismo nei pazienti che lo assumono. Tali effetti collaterali tiroidei dell'amiodarone vanno considerati particolarmente rilevanti a causa dell'elevato contenuto di iodio presente nel farmaco, che può alterare in modo significativo la sintesi degli ormoni tiroidei. L'ipertiroidismo indotto da amiodarone (AIT - Amiodarone Induced Thyrotoxicosis) può manifestarsi in due forme principali. La prima, AIT tipo 1, si verifica in pazienti con patologie tiroidee preesistenti o noduli autonomamente funzionanti sotto stimolazione dell'eccessivo iodio fornito dall'amiodarone. La seconda, AIT tipo 2, risulta da un'infiammazione tiroidea indotta dallo stesso farmaco, che causa una liberazione distruttiva di ormoni tiroidei. Entrambi i tipi conducono a un aumento dei livelli ormonali circulanti. Al contrario, l'ipotiroidismo inducibile dall'amiodarone (HypoAIT) si verifica quando l'apporto esorbitante di iodio proveniente dal farmaco sopprime la sintesi degli ormoni tiroidei attraverso un fenomeno conosciuto come effetto Wolff-Chaikoff. Questo insorge quando i meccanismi di autoregolazione della tiroide vengono sovraccaricati dall'eccessiva presenza di iodio, determinando una riduzione della produzione ormonale. La gestione delle disfunzioni tiroidee legate all'utilizzo dell'amiodarone richiede un attento monitoraggio dei parametri tiroidei e, a seconda della condizione del paziente, può comprendere l'aggiustamento della dose del farmaco, l'introduzione di terapie ormonali o, in alcuni casi, la cessazione dell'uso dell'amiodarone stesso. La comprensione e il riconoscimento tempestivi di queste condizioni sono essenziali per prevenire ulteriori complicazioni e garantire il benessere del paziente. È evidente come la stretta correlazione tra l'amiodarone e i disturbi tiroidei sottolinei l'importanza di un monitoraggio continuo e di una gestione clinica adeguata in pazienti sottoposti a tale trattamento farmacologico.

9 di 10 Domande

Nella malattia di Graves quale dei seguenti aspetti fa optare a favore di una terapia radiometabolica?














La risposta corretta è la D
La malattia di Graves è caratterizzata da comorbidità che aumentano il rischio chirurgico, e questo aspetto fa optare a favore di una terapia radiometabolica. Il trattamento con radioiodio è considerato quando ci sono specifici fattori di rischio associati all'intervento chirurgico, specialmente in pazienti con condizioni di salute che complicherebbero l'operazione o il recupero post-operatorio. La malattia di Graves è un disturbo autoimmune che porta a un'eccessiva produzione di ormoni tiroidei (ipertiroidismo). Questo quadro clinico può causare una varietà di sintomi, tra cui aumento del metabolismo, perdita di peso, palpitazioni, nervosismo, eccessiva sudorazione, e difficoltà nella gestione del calore. Alcuni pazienti possono sviluppare l'oftalmopatia di Graves, una condizione che influisce sugli occhi causando gonfiore, lacrimazione, sensibilità alla luce, e sporgenza degli occhi. La decisione di optare per la terapia radiometabolica nella gestione della malattia di Graves si basa sulla valutazione complessiva del paziente, includendo la presenza di eventuali comorbidità che possano elevare il rischio connesso alla chirurgia. Il trattamento radiometabolico, sfruttando la capacità della tiroide di assorbire lo iodio, utilizza l'isotopo radioattivo I-131 per distruggere selettivamente le cellule tiroidee iperattive, mirando a ristabilire normali livelli di ormone tiroideo. Questa opzione terapeutica è particolarmente vantaggiosa per pazienti che non sono candidati ideali per l'intervento chirurgico a causa di complicazioni mediche preesistenti che potrebbero renderlo pericoloso. Tali complicazioni possono includere, ma non sono limitate a, malattie cardiache, problemi respiratori gravi, o altre condizioni che aumentano il rischio di anestesia e chirurgia. La terapia radiometabolica è vista come un'alternativa meno invasiva, che riduce il rischio di complicazioni chirurgiche e il tempo di recupero. In sintesi, la malattia di Graves è un disturbo complesso che può essere trattato in diversi modi, a seconda delle specifiche esigenze del paziente. La scelta di procedere con la terapia radiometabolica si basa su una valutazione attenta delle condizioni di salute del paziente e delle possibili complicazioni legate agli altri trattamenti disponibili, rendendola una soluzione efficace per coloro che presentano un elevato rischio chirurgico.

10 di 10 Domande

Gli inquinanti ambientali sono responsabili di danno d'organo per tutte le seguenti patologie, eccetto:














La risposta corretta è la B
Gli inquinanti ambientali sono responsabili di danno d'organo per diverse patologie, ma non per la malattia celiaca. La malattia celiaca, infatti, non è causata da fattori ambientali esterni come gli inquinanti ma è una condizione autoimmune in cui il consumo di glutine porta a danni nell'intestino tenue. La malattia celiaca si caratterizza per una risposta autoimmune al glutine, una proteina presente in cereali come frumento, orzo e segale. Quando una persona con malattia celiaca consuma glutine, il suo sistema immunitario reagisce danneggiando il rivestimento dell'intestino tenue. Questo può portare a una serie di problemi gastrointestinali, malassorbimento di nutrienti, e se non trattata può causare complicazioni a lungo termine come danni ossei, neuropatia, e persino aumentare il rischio di alcuni tipi di cancro intestinale. Il danno all'intestino tenue nella celiachia è provocato da una risposta immunitaria inappropriata. Le microvilli, piccole proiezioni sulla superficie intestinale che aiutano nell'assorbimento dei nutrienti, vengono danneggiati o distrutti. Senza un'adeguata funzionalità dei microvilli, c'è una riduzione significativa nel livello di assorbimento dei nutrienti fondamentali, il che può portare a carenze nutritive. Questa patologia richiede una diagnosi accurata, spesso mediante endoscopia e biopsia dell'intestino tenue, per confermare la presenza di danni caratteristici e la produzione di anticorpi specifici per il glutine nel sangue. Il trattamento principale per la malattia celiaca è una dieta rigorosamente priva di glutine per tutta la vita, che può aiutare a mitigare i sintomi e promuovere la guarigione dell'intestino. Nonostante l'aumento della consapevolezza della qualità dell'ambiente e il riconoscimento che gli inquinanti atmosferici hanno un impatto significativo sulla salute umana, contribuendo a patologie quali cardiopatia ischemica, BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva), carcinoma polmonare e infezioni delle basse vie aeree, gli inquinanti ambientali non sono collegati allo sviluppo della malattia celiaca. Quest'ultima deriva da una combinazione di fattori genetici e la presenza di glutine nella dieta, decisamente discostandosi dalle cause dirette attribuite agli inquinanti ambientali nelle altre patologie menzionate.

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