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1 di 22 Domande

Quale complicanza clinica NON si riscontra nell'IRC terminale?














La risposta corretta è la B

Nell’IRC terminale non si riscontra come complicanza l’artrite. La malattia renale cronica è classificata in 5 stadi: Stadio 1: velocità di filtrazione glomerulare normale (?90 mL/min/1,73 m²) con albuminuria persistente o malattia renale strutturale o ereditaria; Stadio 2: 60-89 mL/min/1,73 m²; Stadio 3a: 45-59 mL/min/1,73 m²; Stadio 3b: 30-44 mL/min/1,73 m²; Stadio 4: 15-29 mL/min/1,73 m²; Stadio 5: <15 mL/min/1,73 m². La velocità di filtrazione glomerulare può essere stimata tramite l’equazione CKD-EPI: 141 × (creatinina sierica)^-1,209 × 0,993^età, moltiplicata per 1,018 se donna e 1,159 se afroamericano (1,1799 per donne afroamericane). Questo calcolo è poco accurato negli anziani sedentari, obesi o molto magri. In alternativa, si può usare l’equazione di Cockcroft-Gault per stimare la clearance della creatinina, che tende a sovrastimare del 10-40%. Le complicanze comprendono quelle neurologiche (neuropatia periferica), ematologiche (anemia da ridotta produzione di eritropoietina), scheletriche (osteodistrofia, risposte C-D-E errate) e pericardite nel 20% dei pazienti con insufficienza renale (risposta A errata).


2 di 22 Domande

Nella brucellosi acuta qual e' il titolo minimo per la diagnosi:














La risposta corretta è la C.

La brucellosi (nota anche come "febbre ondulante", "febbre mediterranea" o "febbre maltese") è un’infezione zoonotica trasmessa all’uomo da animali infetti (bovini, ovini, caprini, cammelli, suini o altri) attraverso l’ingestione di prodotti alimentari non pastorizzati, in particolare lattiero-caseari, oppure per contatto diretto con tessuti o fluidi contaminati. Va sospettata in pazienti con febbre, malessere, sudorazione notturna e artralgie in presenza di esposizione epidemiologica significativa, come consumo di prodotti caseari non pastorizzati, contatto con animali in aree endemiche o esposizione professionale. Una diagnosi presuntiva può essere formulata sulla base di:

  • titolo anticorpale totale anti-Brucella ?1:160 mediante test di agglutinazione in provetta standard su siero prelevato dopo l’insorgenza dei sintomi;
  • rilevazione del DNA di Brucella in un campione clinico tramite reazione a catena della polimerasi (PCR).

3 di 22 Domande

In figura è rappresentato uno schema della sequenza genica che costituisce l’operone Lac (sequenza genica che regola la produzione delle lattasi) dei procarioti. Si tratta di una sequenza regolatrice che determina la produzione di lattasi, quando?

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La risposta corretta è la B

La domanda chiede quando l’operone lac, sequenza regolatrice della produzione di lattasi, induce l’espressione: la risposta corretta è “Quando è presente lattosio nel mezzo di coltura”. Nel sistema lac dei procarioti, in assenza di lattosio il repressore LacI si lega all’operatore e impedisce all’RNA polimerasi di trascrivere i geni lacZYA; quando è presente lattosio, una parte viene isomerizzata in allolattosio che funge da induttore legandosi a LacI, causandone il distacco dall’operatore e consentendo l’avvio della trascrizione, inclusa la sintesi di ?-galattosidasi (lattasi). L’espressione è massima se il glucosio è basso perché il complesso cAMP-CAP facilita il reclutamento dell’RNA polimerasi, ma la condizione chiave che rimuove la repressione è la presenza di lattosio. In sintesi, il lattosio segnala alla cellula di esprimere gli enzimi necessari al suo metabolismo attivando l’operone lac.


4 di 22 Domande

Un bambino di 2 anni di origine africana si presenta con tumefazioni dolorose della mani e piedi. Dati di laboratorio mettono in evidenza una emoglobina di 9g/dl, una conta dei globuli bianchi di 11500/mm3 ed una conta delle piastrine di 250000/mm3. Quale dei seguenti esami di laboratorio dara' supporto alla tua diagnosi?














La risposta corretta è la B

Il quadro clinico descritto è compatibile con anemia falciforme o drepanocitosi, un’emoglobinopatia caratterizzata dalla produzione di catene globiniche quantitativamente normali ma qualitativamente alterate. La causa della deformazione dei globuli rossi è una sostituzione amminoacidica (Glu ? Val) che favorisce l’aggregazione delle molecole di Hb con formazione di polimeri simili a pali nel citoplasma eritrocitario. La polimerizzazione, che avviene soprattutto nello stato deossigenato, determina deformazione e la caratteristica forma a falce dei globuli rossi. Questa condizione provoca squilibri che riducono elasticità e vitalità cellulare. I globuli rossi danneggiati rappresentano il principale trigger delle crisi vaso-occlusive, responsabili di fenomeni infartuali a livello del microcircolo, che spesso si manifestano con tumefazioni dolorose di mani e piedi. La prima manifestazione clinica è l’emolisi cronica con pallore, subittero o ittero, astenia, litiasi della colecisti e segni della deplezione di ossido nitrico. A livello arterioso si osserva diatesi trombotica per disfunzione endoteliale. L’emolisi cronica rappresenta uno stato di equilibrio, interrotto più o meno frequentemente da crisi vaso-occlusive. Tra le manifestazioni vaso-occlusive, tipica è l’ostruzione dei vasi retinici, che porta a cecità parziale o totale e determina cicatrici corio-retiniche, una delle manifestazioni retiniche più comuni e patognomoniche dell’anemia falciforme. Dal punto di vista laboratoristico, si osserva riduzione dell’Hb; la diagnosi è confermata da striscio periferico, test di solubilità ed elettroforesi dell’emoglobina, che evidenzia le anomalie strutturali.


5 di 22 Domande

Il Sig. Versici, un uomo di circa 70 anni, si reca presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, Il Dott. Mancini, per un fastidio al polso destro. Anamnesi patologica prossima: lamenta dolore al polso destro da circa due giorni.

Anamnesi patologica prossima: positiva per due interventi di chirurgia sostitutiva dell'anca, due precedenti episodi di gotta in entrambe le prime articolazioni metatarso-falangee ed ipertensione. Esame obiettivo: il Dott. Mancini visitandolo riscontra la presenza di rossore e gonfiore sul versante dorsale del polso. La sintomatologia dolorosa viene esacerbata da movimenti di flesso-estensione completi. Gli vengono prescritti 80 mg di aspirina al giorno. Due giorni dopo il gonfiore però è aumentato sul versante dorsale del polso ed a livello della mano. La flessione del polso risulta limitata dell' 80% con dolore severo, pertanto il Sig. Versici si reca nuovamente presso l’ ambulatorio del Dott. Mancini, che rivisitandolo nota che evoca un dolore sordo alla palpazione dello scafoide e pertanto nel sospetto di frattura gli prescrive un esame radiografico del polso/mano. Esami strumentali-laboratoristici: evidenza di alterazioni riconducibili ad un quadro di artrite gottosa. Quale tipo di citochine sono coinvolte in questo processo?

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La risposta corretta è la C.

La flogosi è un meccanismo di difesa di tipo aspecifico: risponde all’agente lesivo di tipo fisico-meccanico, radiazioni, batteri o sostanze chimiche. È quindi la risposta al danno tissutale ed è un processo reattivo (diverso dalla necrosi che è regressiva), aspecifico (contro tutto ciò che causa danno), stereotipato (stessi meccanismi principali a prescindere dalla causa, con vie diverse secondo lo stimolo), e procede indipendentemente dalla causa (una volta innescato, continua anche se lo stimolo è rimosso). Nella fase acuta si ha aumento del flusso ematico e della permeabilità vascolare, con accumulo di fluidi, leucociti e mediatori come le citochine. Vari fattori solubili favoriscono il reclutamento dei leucociti aumentando l’espressione di molecole di adesione e di fattori chemiotattici. Le citochine chiave sono IL-1, TNF-?, IL-6, IL-8 e altre chemochine; IL-1 e TNF-? sono particolarmente potenti, inducono febbre promuovendo la sintesi di PGE2 nell’endotelio ipotalamico. L’IL-1 è prodotta da macrofagi, neutrofili, cellule endoteliali ed epiteliali: a basse concentrazioni induce adesione leucocitaria, ad alte induce febbre e proteine di fase acuta. Diversamente dal TNF-?, non causa da sola shock settico. Inoltre stimola i mastociti al rilascio di istamina, con vasodilatazione precoce e aumento della permeabilità.

Durante l’infiammazione avvengono: (1) modificazioni di flusso e calibro vascolare con aumento del flusso sanguigno, (2) modificazioni del microcircolo e formazione dell’essudato, (3) richiamo chemiotattico dei leucociti, (4) fagocitosi. Dopo lo stimolo lesivo si ha vasocostrizione transitoria seguita da vasodilatazione intensa (iperemia attiva, responsabile di rubor e calor). Successivamente si verifica rallentamento della circolazione (iperemia passiva o stasi), dovuto ad aumentata permeabilità capillare con essudazione proteica e aumento della viscosità ematica. Il modello tipico dell’infiammazione acuta comprende: alterazioni di flusso e calibro, iperemia attiva e passiva, permeabilizzazione endoteliale con essudato, migrazione leucocitaria e chemiotassi, fagocitosi.

La chemiotassi è movimento orientato lungo un gradiente chimico; gli stimoli possono essere esogeni (prodotti batterici) o endogeni (complemento, leucotrieni, citochine). Durante la stasi i neutrofili si dispongono lungo l’endotelio (marginazione). Segue l’adesione: i leucociti rotolano con legami labili, poi aderiscono stabilmente formando la “pavimentazione”. Successivamente attraversano l’endotelio (diapedesi) e migrano verso lo stimolo. L’endotelio normalmente è continuo e liscio, ma nell’infiammazione aumenta la permeabilità ed esprime molecole di adesione preformate (es. P-selectina dai corpi di Weibel-Palade).

Le principali molecole di adesione sono: selectine (E sull’endotelio, P sull’endotelio in infiammazione, L sui leucociti, legano zuccheri); immunoglobuline (ICAM-1 e VCAM-1, interagiscono con integrine leucocitarie, le ICAM-1 si legano alle integrine ?2); VCAM-2 proprie dell’endotelio; integrine (già presenti sui leucociti, ma con bassa affinità: aumentano l’avidità a seguito di stimoli chemiokinici e dell’induzione di ICAM/VCAM-1). Le citochine IL-1 e TNF inducono fortemente la sintesi di ICAM-1 e VCAM-2, molecole implicate nei legami forti, la cui espressione richiede più tempo.


6 di 22 Domande

Il Sig. Mariani, un uomo di 78 anni si reca presso il PS del Policlinico Torvergata di Roma, a causa di un episodio di dispnea acuta. Anamnesi patologica prossima: lamenta comparsa di episodi di tosse produttiva, gonfiore degli arti inferiori e dei piedi, astenia, che perdurano da 3 settimane. Inoltre, da due mesi a questa parte, si sono presentate crisi di dispnea da sforzo ingravescente. Anamnesi patologica remota: una decina di anni prima è stato sottoposto ad un intervento di chirurgia sostitutiva per impianto di protesi valvolare di suino, a causa di un rigurgito della valvola mitrale di grado severo. Il paziente è affetto da coronaropatia, diabete mellito di tipo 2 ed ipertensione. Anamnesi fisiologica: ha fumato per 55 anni un pacchetto di sigarette al giorno e abitualmente beve una birra al giorno. Anamnesi farmacologica Attualmente prende diversi farmaci tra cui cardioaspirina, simvastatina, ramipril, metoprololo, metformina e idroclorotiazide. Esame obiettivo: si presenta dall’ aspetto pallido. L’ uomo è alto 181 cm e pesa 128 kg, con una BMI di circa 41 kg/m2. Ha una temperatura corporea di 37.3 °C , frequenza respiratoria di 23 atti/min, frequenza cardiaca di 97 bpm, e pressione arteriosa di 148/95 mm Hg. All’ auscultazione del torace si riscontra la presenza di rantoli alle basi polmonari bilateralmente. L’ esame obiettivo del cuore rivela la presenza di un battito apicale dislocato lateralmente e la presenza, a livello dell’ apice, di un soffio diastolico 3/6 di intensità decrescente. Inoltre si osserva la presenza di edemi improntabili bilateralmente a livello dei piedi e delle caviglie. Il resto dell’ esame obiettivo non mostra altre anomalie. Quale tra le seguenti è la causa più probabile dei sintomi di questo paziente?

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La risposta D è corretta.

Il paziente circa 10 anni fa si era sottoposto a un intervento di sostituzione protesica con impianto di protesi valvolare suina per severo rigurgito mitralico. Il trattamento di una valvulopatia, a meno che non sia di grado medio-elevato e clinicamente significativa, richiede solo un controllo periodico, mentre l’intervento chirurgico è indicato in presenza di una lesione moderata o grave responsabile di sintomi e/o disfunzione cardiaca. Le opzioni vanno dalla valvuloplastica alla riparazione fino alla sostituzione, che può essere effettuata con protesi meccaniche (preferite nei pazienti <65 anni o con lunga aspettativa di vita, ma richiedono anticoagulazione cronica con warfarin per prevenire tromboembolismo) o biologiche (suine o bovine, più soggette a deterioramento sclero-fibrotico, con durata media 10-15 anni). Una complicanza possibile delle protesi biologiche è l’ostruzione/stenosi o il rigurgito, entrambi responsabili di scompenso cardiaco.

L’endocardite infettiva insorge in presenza di una predisposizione endocardica (patologie congenite, reumatiche, valvole bicuspidi calcifiche, prolasso mitralico, cardiomiopatia ipertrofica, precedente endocardite). Fattori predisponenti sono protesi valvolari, tossicodipendenza, diabete, uso cronico di anticoagulanti o steroidi, età avanzata. Agenti più comuni sono streptococchi e stafilococchi (80-90%), seguiti da enterococchi e microrganismi HACEK. Clinicamente si manifesta con febbre, nuovo soffio o modifica di un soffio preesistente, può causare scompenso cardiaco e, all’ecocardiogramma, vegetazioni. Segni caratteristici: petecchie congiuntivali, macchie di Roth, lesioni di Janeway, nodi di Osler, emorragie subungueali a scheggia. La diagnosi si basa sui criteri di Duke (diagnosi rigettata, possibile o certa). In assenza di emocolture disponibili, e senza rischio per MRSA, la terapia empirica si effettua con un ?-lattamico + amminoglicoside. Sebbene questo paziente presenti soffio e segni di scompenso, non ha febbre né criteri di Duke: l’endocardite è improbabile (risposta A errata).

La BPCO è una malattia polmonare cronica non reversibile, con ostruzione bronchiale persistente (VEMS/CVF <0,7), spesso correlata a fumo e caratterizzata da progressione, riacutizzazioni infettive, dispnea, tosse produttiva cronica, tachipnea, cianosi e ipertensione polmonare nelle fasi avanzate. All’auscultazione: respiro sibilante e fase espiratoria prolungata. Nonostante il paziente sia fumatore con tosse, i sintomi durano solo da 3 settimane e non vi sono segni obiettivi di ostruzione: la diagnosi di BPCO è errata (risposta B errata).

La polmonite è un’infiammazione acuta polmonare (batterica, virale, fungina, parassitaria) diagnosticata con RX torace e reperti clinici. Può essere comunitaria (più spesso da Streptococcus pneumoniae, Mycoplasma pneumoniae) o nosocomiale. Clinicamente: febbre, tosse, dispnea, astenia, ipossia; nella forma tipica: esordio acuto con febbre, tosse produttiva, crepitii e rumori bronchiali; nella forma atipica: esordio graduale con tosse secca, dispnea e pochi segni obiettivi. È indicato esame colturale di sangue/escreato. Questo paziente presenta tosse produttiva ma non febbre, e all’auscultazione rantoli basali bilaterali: più compatibili con scompenso cardiaco che con polmonite (risposta C errata).

L’embolia polmonare è occlusione di arterie polmonari da trombi (arti inferiori/pelvi). Presentazione acuta con sintomi aspecifici: dolore toracico pleuritico, tosse, sincope, dispnea, arresto cardiorespiratorio nei casi gravi; segni: tachipnea, tachicardia, ipotensione. Fattori di rischio: immobilizzazione, trombofilie, gravidanza, chirurgia recente. In questo paziente tosse e dispnea possono mimarla, ma anamnesi negativa per immobilizzazione e presenza di stenosi mitralica con edemi declivi bilaterali fanno propendere per scompenso cardiaco congestizio piuttosto che embolia polmonare (risposta E errata).


7 di 22 Domande

Il Sig. Verci, un uomo di circa 60 anni si reca, presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, il Dott. Briga, per dispnea. Anamnesi patologica prossima: lamenta una dispnea ingravescente da circa un mese. Inizialmente era in grado di salire 3 rampe di scale fino al suo appartamento, ma ora necessita di effettuare numerose pause per recuperare il fiato. Non lamenta dolore al petto. Anamnesi patologica remota: l'uomo è affetto da cardiopatia reumatica e diabete mellito di tipo 2. Anamnesi fisiologica: è emigrato dall'India circa 20 anni prima. Anamnesi farmacologica: assume carvedilolo, torasemide e insulina. Esame obiettivo: il Dott. Briga visita il Sig. Verci riscontrando una temperatura corporea di 37.2 °C, una frequenza cardiaca di 74 bpm, una frequenza respiratoria di 19 atti/min ed una pressione arteriosa di 135/80 mm Hg. La pulsossimetria mostra una saturazione d'ossigeno del 96% in aria ambiente. L'auscultazione del torace rivela la presenza di crepitii alle basi polmonari bilateralmente. All’ auscultazione cardiaca si riscontra la presenza di un soffio d'apertura seguito da un soffio diastolico di bassa tonalità , a livello del quanto spazio intercostale di sinistra in corrispondenza della linea medio-claveare. Esami strumentali-laboratoristici: il Dott. Briga decide di far eseguire una radiografia del torace al Sig. Verci, che mostra una dilatazione dell'atrio di sinistra, con stiramento del margine cardiaco di sinistra, ed un’ aumentata trama vascolare. Quale tra i seguenti rappresenta l'intervento di prima scelta per migliorare la sintomatologia del paziente?

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La risposta corretta è la D.

La malattia reumatica è la causa più frequente di stenosi mitralica non complicata. È caratterizzata da fibrosi, calcificazione dei lembi valvolari e parziale fusione delle commissure, con conseguente riduzione dell’ostio valvolare (normalmente 4-6 cm²) fino a valori <1 cm². A causa di questo restringimento, l’unico modo per garantire il passaggio di sangue dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro durante la diastole è aumentare le pressioni atriali. Questo incremento si trasmette a monte, con aumento della pressione nelle vene e nei capillari polmonari: ecco la causa della dispnea. Se le pressioni aumentano ulteriormente, soprattutto acutamente, può verificarsi la trasudazione di liquido negli alveoli con conseguente edema polmonare. Il nostro paziente all’auscultazione presenta anche crepitii basali bilaterali. Il gradiente diastolico transvalvolare è proporzionale al grado di stenosi ed è sensibile ad aumenti di portata e frequenza cardiaca: maggiore la portata/frequenza, maggiore il gradiente. Per questo un soggetto asintomatico a riposo può diventare sintomatico anche per sforzi lievi. L’evoluzione della stenosi mitralica è rappresentata dallo sviluppo di ipertensione polmonare arteriosa, secondaria a quella venosa, che provoca vasocostrizione arteriolare inizialmente funzionale e reversibile, successivamente irreversibile per ipertrofia della tonaca media e fibrosi dell’intima. Le elevate resistenze arteriolari del circolo polmonare causano sovraccarico pressorio del ventricolo destro con dilatazione, ipertrofia, disfunzione contrattile e segni di scompenso destro e bassa gittata. Nell’insufficienza mitralica, invece, la pressione atriale sinistra, molto più bassa di quella aortica, fa sì che il sangue refluisca in atrio già durante la contrazione isometrica ventricolare. Nell’insufficienza mitralica cronica l’atrio sinistro si adatta dilatandosi, per cui la pressione a monte non aumenta significativamente; nell’insufficienza acuta, invece, l’atrio non ha tempo di adattarsi e subisce un brusco aumento pressorio con ripercussioni sulla pressione venosa polmonare. Il ventricolo sinistro, sottoposto a sovraccarico di volume, si dilata: inizialmente la frazione di eiezione rimane conservata, poi si riduce progressivamente perché il rigurgito in atrio riduce il volume sistolico effettivo. Una frazione di eiezione <60% è indicativa di compromissione ventricolare sinistra. Nel nostro paziente, per segni, sintomi e reperti auscultatori, è probabile un coinvolgimento valvolare mitralico, in particolare stenosi o steno-insufficienza. L’intervento di scelta, nella stenosi mitralica clinicamente significativa (area ?1,5 cm²) o sintomatica, e nei pazienti con controindicazioni alla chirurgia, è la valvuloplastica percutanea con palloncino: una “dilatazione controllata” eseguita con un palloncino ad alta resistenza gonfiato in prossimità della valvola, introdotto tramite catetere da vena femorale destra. È una tecnica mini-invasiva che riduce morbilità e mortalità perioperatorie, con buona efficacia a lungo termine (sopravvivenza libera da eventi nel 30-70% dei casi), sebbene non siano rare le restenosi. Non può essere eseguita in presenza di calcificazioni valvolari, per cui è indicata la sostituzione valvolare.


8 di 22 Domande

Un ragazzo di 20 anni presenta il seguente ECG. Cosa si nota all'ECG?

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La risposta esatta è la A.

Le derivazioni da V1 a V6, chiamate derivazioni precordiali, esprimono l’attività elettrica del cuore sul piano orizzontale: V1-V2 esplorano il setto interventricolare, V3-V4 la parete anteriore del ventricolo sinistro, V5-V6 la parete laterale del ventricolo sinistro. L’onda P indica la depolarizzazione atriale, il complesso QRS e l’onda T indicano rispettivamente la depolarizzazione e la ripolarizzazione ventricolare, mentre la ripolarizzazione atriale non è visibile poiché avviene durante la depolarizzazione ventricolare. In età giovanile, dopo la pubertà, il vettore di ripolarizzazione ventricolare rende le T positive in tutte le derivazioni precordiali, tranne V1 e raramente V2; in casi eccezionali, la negatività può coinvolgere anche V3 e V4 (onda T giovanile). Dopo la pubertà, la presenza di onde T invertite ?2 mm in due o più derivazioni contigue del ventricolo destro può indicare cardiopatia congenita con sovraccarico di pressione o volume (cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro) oppure, più raramente, patologie ereditarie dei canali del sodio o potassio. L’ECG descritto mostra ritmo sinusale, alterazioni diffuse della ripolarizzazione con T negativa da V1 a V5, R alta in V1 e asse spostato a destra: reperti suggestivi di ipertrofia ventricolare destra a carattere aritmogeno. La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro è spesso familiare, più frequentemente a trasmissione autosomica dominante, e coinvolge prevalentemente ma non esclusivamente il ventricolo destro. Nel 10-20% dei casi è presente una mutazione nei geni che codificano proteine del desmosoma. Istologicamente si osserva progressiva sostituzione del miocardio con tessuto fibro-adiposo, che genera aree di discinesia e dilatazione soprattutto nel tratto di afflusso, efflusso e apice del ventricolo destro (triangolo della displasia), ma può estendersi all’intera parete ventricolare destra o anche al ventricolo sinistro. Questa condizione, per le alterazioni morfologiche e funzionali, è causa frequente di aritmie ventricolari e morte improvvisa, soprattutto in età giovanile durante o subito dopo l’attività fisica. In presenza di un ECG di questo tipo è quindi indicato eseguire un ecocardiogramma per rilevare eventuali alterazioni strutturali cardiache.


9 di 22 Domande

La signora Rettori, una donna di 45 anni, si reca dal proprio medico curante, il Dott. Pressi, per malessere. Anamnesi patologica prossima: comparsa di febbre, disuria e dolore alla schiena. Il Dott. Pressi consiglia alla paziente di recarsi in ospedale per ulteriori accertamenti; qui la donna verrà successivamente ricoverata con una sospetta diagnosi di pielonefrite. La paziente viene sottoposta a terapia con antibiotici ad ampio spettro, che determinano un significativo miglioramento della sintomatologia. Tuttavia, durante il quarto giorno di ricovero, la donna presenta nuovamente febbre, con leucocitosi e profusa diarrea acquosa. Esami strumentali: viene effettuata una colonscopia, visibile nell’ immagine sottostante.

Quale è la terapia per il trattamento di questo disturbo?

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La risposta corretta è la D.

La paziente presenta una colite pseudomembranosa causata da Clostridium difficile, un batterio appartenente alla famiglia Clostridiaceae, patogeno per l’uomo, Gram+ anaerobio. Il C. difficile è virulento in quanto possiede due tossine: la tossina A, un’enterotossina che si lega alle cellule della mucosa e causa un’ipersecrezione di liquido determinando diarrea acquosa; la tossina B, una citotossina che provoca gravi danni alla mucosa determinandone l’aspetto pseudomembranoso. Il Clostridium difficile causa colite associata ad antibiotici, tipicamente in ambiente ospedaliero. Fa parte normalmente del microbiota umano; tuttavia, quando si utilizzano antibiotici per lungo tempo, questi possono distruggere anche i batteri che tengono “sotto controllo” il Clostridium. Quando il C. difficile diviene dominante, si possono avere crampi addominali, colite pseudomembranosa, diarrea (talora ematica), raramente sepsi e addome acuto. I sintomi insorgono alcuni giorni dopo l’inizio della terapia antibiotica e includono diarrea acquosa o scariche di feci non formate, crampi addominali, raramente nausea e vomito. Per la diagnosi è importante l’identificazione della tossina nelle feci. Il trattamento consiste nell’interrompere la terapia antibiotica; se la sintomatologia è grave è possibile utilizzare vancomicina o metronidazolo (nel nostro caso, non essendo la vancomicina tra le opzioni, la risposta corretta è la D).


10 di 22 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

In seguito ai valori di glicemia a digiuno riscontrati, si richiede curva da carico orale di glucosio (OGTT). In base ai risultati sopra riportati, la paziente presenta:

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La risposta corretta è la B.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza.

L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: è necessario un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si associano inoltre a modifiche del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, arti inferiori, retina) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie degli arti inferiori).

Il diabete si classifica in due tipologie principali:

– diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), che può avere cause immuno-mediate o idiopatiche;

– diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e deficienza insulinica relativa, nella maggior parte dei casi senza necessità di insulina.

Esiste poi il diabete gestazionale, che compare in gravidanza e regredisce dopo il parto.

Tra le sindromi secondarie ricordiamo:

– pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori),

– patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite),

– patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante),

– tossicità da farmaci o sostanze chimiche (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.).

Il diabete può rimanere a lungo silente. Si stima che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% resti non diagnosticato.

Per la diagnosi, le misurazioni della glicemia prevedono:

– glicemia a digiuno (da almeno 12 ore): due rilevazioni ?126 mg/dl;

– glicemia random >200 mg/dl, ma solo in paziente sintomatico (polidipsia, poliuria, nicturia, ecc.);

– curva da carico con 75 g di glucosio in 200-250 ml d’acqua: il test si esegue solo se la glicemia basale è <126 mg/dl, e la diagnosi si pone se a 2 ore la glicemia è >200 mg/dl.


11 di 22 Domande

La signora Bellini è una giovane donna ricoverata nel reparto di ginecologia ed ostetricia dopo un parto complicato da una rottura prematura delle membrane amnio-coriali ed un prolungato travaglio. Anamnesi patologica prossima: In seconda giornata sviluppa febbre con brivido associata ad ipotensione e intenso dolore addominale che fanno sospettare un’ endometrite purperale. Il Dott. Lanfranchi decide di sottoporre la paziente ad una radiografia del torace e decide di avviare la terapia antibiotica e reidratante con 4.000 ml di soluzione salina nelle successive 24 ore ma l’ ipertermia persiste e si ottiene un lieve incremento della pressione arteriosa. Improvvisamente la sig.ra Bellini presenta dispnea. Esame obiettivo: viene rilevata una SpO2 dell’ 82% che non aumenta anche con ossigenoterapia con FiO2 del 100%. Il Dott. Lanfranchi decide quindi di intubare la paziente e si eroga una FiO2 del 100%. Non si rileva turgore giugulare, all’ auscultazione polmonare si apprezzano crepitii diffusi bilateralmente. Esami di laboratorio-strumentali: viene rapidamente inviato in laboratorio un campione di sangue arterioso che evidenzia PaO2 di 62 mmHg e PaCO2 di 33 mmHg. L’ ECG mostra tachicardia sinusale. Viene effettuato un nuovo RX del torace che mostra un quadro polmonare modificato rispetto a quanto si era visto nel precedente. Sulla base dei dati forniti quale tra le seguenti è la diagnosi più probabile?

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La risposta corretta è la B.

Questo paziente molto probabilmente ha una ARDS e il rapporto PaO2/FiO2 è <200: la paziente ha un rapporto di 60 (FiO2 = 1 ovvero 100% e PaO2 di 60 mmHg: necessita di ossigeno al 100% per mantenere una pressione di PaO2 accettabile). La RX torace mostra infiltrati polmonari diffusi non riconducibili a eziologia cardiogena. L’EO evidenzia dispnea ingravescente a insorgenza improvvisa, con crepitii diffusi bilateralmente. La paziente presentata nel caso è verosimilmente affetta da ARDS in seguito a sepsi da endometrite postpartum.

La sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) è una grave malattia acuta polmonare. I fattori scatenanti sono numerosi: polmonite, shock, gravi traumi, sepsi, aspirazione di alimenti (ab ingestis), pancreatite. È caratterizzata da danno diffuso della membrana alveolo-capillare, con edema polmonare non cardiogenico (ricco di proteine) e insufficienza respiratoria acuta (ARF). Si osserva reclutamento di neutrofili nei capillari alveolari e formazione di membrane ialine. I neutrofili rilasciano chemochine (che richiamano istiociti), producono ROS, proteasi, leucotrieni, fattore di attivazione piastrinica, prostaglandine e altre molecole che danneggiano le barriere tra capillari e spazi aerei. Gli alveoli e l’interstizio si riempiono di proteine, detriti cellulari e liquido, con distruzione del surfattante, collasso alveolare e mismatch ventilazione/perfusione.

L’ARDS determina grave ipossiemia refrattaria all’ossigenoterapia. I criteri diagnostici comprendono:

– Opacità bilaterali alla RX non spiegabili da versamento, atelettasia o noduli.

– PaO2/FiO2 ?200 mmHg.

– Assenza di evidenza clinica di aumentata pressione atriale sinistra o insufficienza cardiaca (PCWP <18 mmHg). Una pressione di incuneamento capillare polmonare >18 mmHg orienta invece verso edema polmonare cardiogeno.

Secondo la “Definizione di Berlino 2012” l’ARDS si classifica in:

– Lieve: PaO2/FiO2 ?200 mmHg.

– Moderata: PaO2/FiO2 ?100 mmHg.

– Grave: PaO2/FiO2 ?100 mmHg.


12 di 22 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

Per il paziente diabetico è essenziale assumere cibi a basso indice glicemico. Qual è tra i seguenti alimenti quello che presenta il più basso indice glicemico?

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La risposta corretta è la A.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza. L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: serve un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si accompagnano anche ad alterazioni del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, retina, arti inferiori) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie periferiche). Il diabete si classifica in due tipologie principali: diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), con cause immuno-mediate o idiopatiche; diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e relativa deficienza insulinica, che nella maggior parte dei casi non richiede terapia insulinica. Esiste anche il diabete gestazionale, che si manifesta in gravidanza e regredisce dopo il parto. Tra le forme secondarie: pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori), patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite), patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante), tossicità da farmaci o sostanze (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.). Il diabete può progredire a lungo senza sintomi. Si calcola che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% rimane non diagnosticato. Per la diagnosi: glicemia a digiuno ?126 mg/dl in due misurazioni, glicemia random >200 mg/dl in presenza di sintomi (poliuria, polidipsia, nicturia), curva da carico con 75 g di glucosio (diagnosi se glicemia >200 mg/dl a 2 ore). Prima del test, la glicemia basale deve essere <126 mg/dl. Il test va eseguito in pazienti non ricoverati, in buone condizioni cliniche, dopo dieta abituale (non ridotta in carboidrati), a digiuno dalla mezzanotte, senza febbre, stress o fumo. Indicazioni alla curva da carico: glicemia alterata a digiuno (100–125 mg/dl), familiarità per diabete dai 30-40 anni, obesità, complicanze cardiovascolari (TIA, angina, claudicatio), soprattutto se obesi e fumatori, infezioni urinarie o cutanee ricorrenti con glicemia alterata. Il 90% dei casi è di tipo II, storicamente detto diabete dell’adulto (esordio >40 anni), ma oggi è sempre più precoce (anche a 18 anni), correlato all’obesità, in particolare infantile (Italia con alta prevalenza, soprattutto nel centro-sud). Nei gemelli monozigoti la concordanza è ~100% nel tipo II, mentre nel tipo I, pur avendo componente genetica, è solo del 50% per il ruolo di fattori ambientali. Anche nei monozigoti separati alla nascita la concordanza del tipo II rimane elevata, a dimostrazione della forte componente genetica, ancora non del tutto chiarita.


13 di 22 Domande

La terapia con metformina nel diabete mellito richiede attenzione nel controllare periodicamente:














La risposta corretta è la D
La terapia con metformina nel diabete mellito richiede attenzione nel controllare periodicamente la funzionalità renale, ovvero la clearance della creatinina. Questa necessità nasce dal fatto che la metformina è eliminata principalmente attraverso i reni. Pertanto, il monitoraggio della funzionalità renale è cruciale per prevenire l'accumulo del farmaco nell'organismo, che può portare a effetti collaterali seri, come l'acidosi lattica, in pazienti con ridotta funzionalità renale. La metformina è un agente antidiabetico orale comunemente usato nel trattamento del diabete mellito di tipo 2, soprattutto in pazienti sovrappeso o obesi, poiché non tende a causare aumento di peso ed ha dimostrato di migliorare i parametri di controllo glicemico. Tuttavia, l'uso di questo farmaco è associato a precauzioni specifiche legate al rischio di sviluppo di acidosi lattica, una condizione rara ma potenzialmente fatale che può verificarsi se la concentrazione di metformina diventa troppo elevata. L'acidosi lattica si verifica quando si accumula nel sangue troppo acido lattico, il quale può derivare da un'eliminazione ridotta della metformina in caso di deterioramento della funzionalità renale. Il monitoraggio della funzionalità renale attraverso la misurazione della clearance della creatinina aiuta i medici a stabilire se i reni stanno funzionando correttamente e se sono in grado di eliminare la metformina efficacemente. La clearance della creatinina è considerata un indicatore affidabile dello stato di funzionalità renale e della capacità dei reni di filtrare i rifiuti dal sangue. Se il monitoraggio indica un declino della funzionalità renale, può essere necessario aggiustare il dosaggio della metformina o considerare alternative terapeutiche per ridurre il rischio di accumulo del farmaco e di conseguente acidosi lattica. Questo è particolarmente importante in pazienti anziani, in quelli con condizioni cliniche che possono influenzare la funzionalità renale (come l'ipertensione o la malattia renale cronica), o in situazioni che possono trasitoriamente compromettere la funzionalità renale (come l’ uso di mezzi di contrasto iodati per esami radiologici). Dunque, il controllo periodico della funzionalità renale in pazienti trattati con metformina è di fondamentale importanza per prevenire potenziali complicanze, ottimizzando contestualmente la terapia antidiabetica per garantire la massima efficacia e sicurezza del trattamento.

14 di 22 Domande

Cosa indica il reperto ecografico di assenza di variazione del calibro della Vena Cava Inferiore con le escursioni respiratorie?














La risposta corretta è la B
Il reperto ecografico di assenza di variazione del calibro della Vena Cava Inferiore (VCI) con le escursioni respiratorie indica uno scompenso cardiaco. Tale segnale suggerisce l'esistenza di un problema nel ritorno venoso al cuore, tipico in condizioni di scompenso cardiaco, in cui il cuore non riesce a pompare sangue efficacemente. Lo scompenso cardiaco è una condizione complessa in cui il muscolo cardiaco non può pompare il sangue come dovrebbe. Diversi fattori possono contribuire alla sua insorgenza, tra cui malattie coronariche, ipertensione, cardiopatie passate (ad esempio, infarto miocardico), valvulopatie, e condizioni che sovraccaricano il cuore come l'ipertensione. Quando il cuore non riesce a pompare efficientemente, la circolazione sanguigna rallenta, provocando un accumulo di fluido nei polmoni e in altre parti del corpo, come gli arti inferiori e l'addome. Questo può causare sintomi quali affanno, stanchezza e gonfiore degli arti inferiori. L'assenza di variazioni del calibro della VCI con le escursioni respiratorie si osserva tipicamente quando vi è un aumento della pressione intratoracica o un aumento della pressione venosa centrale, entrambi scenari comuni nello scompenso cardiaco. Questo fenomeno si verifica perché il cuore indebolito o danneggiato non riesce a gestire efficacemente il sangue che torna dal corpo attraverso la VCI, risultando in una ridotta capacità di questa vena di contrarsi e dilatarsi normalmente durante la respirazione. Inoltre, la difficoltà del cuore di pompare il sangue porta ad un accumulo di liquidi che può manifestarsi con edema (gonfiore dovuto ad accumulo di liquido nei tessuti) e congestione degli organi interni, incluso il fegato, che può peggiorare ancora di più il ritorno venoso. Questi cambiamenti possono essere rilevati e monitorati mediante ecografia, che offre un'immagine diretta delle dimensioni della VCI e delle sue variazioni con le escursioni respiratorie. La normalità prevede che la VCI si contragga durante l'inspirazione, a causa di una diminuzione della pressione intratoracica, e che si dilati durante l'espirazione; l'assenza o riduzione significativa di queste variazioni è indicatoria di una condizione patologica come lo scompenso cardiaco.

15 di 22 Domande

Le statine riducono la sintesi del colesterolo endogeno inibendo competitivamente l'attività di quale enzima?














La risposta corretta è la E
Le statine riducono la sintesi del colesterolo endogeno inibendo competitivamente l'attività dell'enzima HMG-CoA-reduttasi. Questo enzima è cruciale nel processo di biosintesi del colesterolo all'interno del nostro organismo. La ragione per cui questa specifica inibizione è così efficace nel ridurre i livelli di colesterolo nel sangue risiede nel ruolo chiave che l'HMG-CoA reduttasi svolge nel processo di sintesi del colesterolo. Questa enzima catalizza la conversione dell'HMG-CoA in mevalonato, che è un precursore nel cammino metabolico che porta alla sintesi del colesterolo. Interruzione di questa reazione iniziale del pathway, quindi, ha come risultato una significativa riduzione nella produzione endogena di colesterolo. Il colesterolo è una molecola essenziale per molteplici funzioni biologiche, inclusa la costruzione di membrane cellulari, la produzione di ormoni steroidei e la sintesi della vitamina D. Tuttavia, eccessive quantità di colesterolo, specialmente nella forma di lipoproteine a bassa densità (LDL, comunemente nota come "colesterolo cattivo"), possono accumularsi nelle pareti delle arterie, portando alla formazione di placche aterosclerotiche. Queste placche possono ridurre o bloccare il flusso di sangue agli organi vitali, aumentando il rischio di patologie cardiache e ictus. La terapia con statine, attraverso l'inibizione dell'HMG-CoA reduttasi, porta a una riduzione del colesterolo intraepatico. Questo stimola l'espressione dei recettori delle LDL sulla superficie delle cellule epatiche, incrementando cosi l'assorbimento e l'eliminazione del colesterolo "cattivo" (LDL) dal sangue. L'efficacia delle statine nella prevenzione delle malattie cardiovascolari è ben documentata e si basa su questo meccanismo d'azione mirato all'inibizione dell'HMG-CoA reduttasi. L'uso delle statine come strumento per combattere l'ipercolesterolemia e i correlati rischi cardiovasculari rappresenta uno dei maggiori progressi nella medicina preventiva. Riducendo la sintesi del colesterolo endogeno e facilitando la rimozione del colesterolo "cattivo" dal circolo sanguigno, le statine aiutano a prevenire la formazione di placche aterosclerotiche, contribuendo significativamente alla riduzione del rischio di eventi cardiaci avversi.

16 di 22 Domande

Come si comporta la lingua protrusa nella paralisi del Xll nervo cranico di destra?














La risposta corretta è la A
La lingua, quando protrusa nella paralisi del XII nervo cranico di destra, devia a destra. Questo accade perché il nervo ipoglosso (XII nervo cranico) è responsabile del movimento dei muscoli della lingua. Nella situazione di una sua lesione o paralisi sul lato destro, i muscoli su tale lato non possono funzionare correttamente. Di conseguenza, quando una persona cerca di sporgere la lingua, questa devierà verso il lato debole o paralizzato, in questo caso, a destra, dato che i muscoli normalmente operativi sul lato opposto spingono la lingua in tale direzione. La patologia alla base di esso può essere meglio compresa esaminando più da vicino la funzione e le possibili condizioni associate al XII nervo cranico. Questo nervo ha un ruolo chiave nei movimenti complessi della lingua, essenziale non solo per la parola ma anche per la deglutizione. Quando questo nervo subisce un danno, si può verificare una gamma di sintomi che riflettono il ruolo fondamentale che svolge. La disfunzione può derivare da varie cause, tra cui traumi, processi neoplastici, malattie infettive o infiammatorie, e condizioni vascolari che influenzano specificamente il corso del nervo ipoglosso. Nei casi di lesione unilaterale del nervo ipoglosso, la lingua, quando protrusa, spiccatamente devia verso il lato della lesione. Questo fenomeno si verifica poiché la forza muscolare è mantenuta o è normale sul lato sano, il che porta la lingua a muoversi verso il lato lesionato sotto l'azione dei muscoli non affetti. Nei casi più severi, oltre alla deviazione, si possono notare atrofia e fascicolazioni della lingua sul lato interessato, riflettendo la perdita di innervazione e la conseguente degenerazione muscolare. Il significato clinico di riconoscere questi segni risiede nella loro capacità di orientare verso una diagnosi precisa, coinvolgendo il XII nervo cranico. Comprendere la localizzazione e l’ estensione del danno nervoso è fondamentale per stabilire un piano di trattamento adeguato, che potrebbe includere terapie di riabilitazione, interventi chirurgici o trattamenti specifici a seconda della causa sottostante della paralisi. Identificare correttamente quale lato della lingua devia può , quindi, fornire una chiave di lettura importante sullo stato del sistema nervoso del paziente e sulla localizzazione del danno.

17 di 22 Domande

Come possono essere somministrati i vaccini anti COVID-19 rispetto ai vaccini enti influenzali?














La risposta corretta è la D
I vaccini anti COVID-19 possono essere somministrati contemporaneamente o in qualsiasi momento prima o dopo i vaccini antinfluenzali. Questa indicazione nasce dalla comprensione della sicurezza e dell'efficacia di tali vaccini quando somministrati da soli o in combinazione. L'amministrazione contemporanea o a distanza temporale variabile di vaccini COVID-19 e vaccini antinfluenzali è basata su studi e linee guida che indicano che la somministrazione concomitante di vaccini non influenza negativamente le risposte immunitarie né aumenta significativamente il rischio di effetti collaterali. La possibilità di somministrare simultaneamente diversi vaccini offre diversi vantaggi, come la riduzione del numero di visite sanitarie necessarie e la maggiore probabilità di adesione completa ai piani di vaccinazione raccomandati, particolarmente importante durante pandemie o stagioni influenzali intense. Le raccomandazioni per la co-somministrazione dei vaccini emergono dalla comprensione di come il sistema immunitario reagisce alla simultaneità degli antigeni e dall'analisi di dati relativi alla sicurezza e all'efficacia di questa pratica. Studi immunologici dimostrano che il sistema immunitario umano è in grado di gestire e rispondere efficacemente a molteplici antigeni contemporaneamente. Questo è evidente nella capacità del corpo di combattere simultaneamente vari agenti patogeni in caso di co-infezione. Fondamentalmente, la somministrazione congiunta non compromette l'efficacia del vaccino o la sua capacità di stimolare una risposta immunitaria protettiva contro sia il virus dell'influenza che il virus SARS-CoV-2, responsabile della COVID-19. Inoltre, non è stato osservato un incremento consistente di reazioni avverse quando i vaccini vengono amministrati insieme rispetto a quando sono somministrati separatamente. La pratica è quindi considerata sicura, efficace e conveniente, specialmente durante i periodi in cui è prioritaria la massima copertura vaccinale per proteggere la popolazione da epidemie o pandemie di influenza e COVID-19. Per quanto riguarda la sicurezza, come qualsiasi intervento medico, l'amministrazione congiunta dei vaccini può presentare degli effetti collaterali, che però generalmente rispecchiano quelli attesi dalla somministrazione singola di ciascun vaccino e non risultano exacerbati dalla co-somministrazione. Gli effetti collaterali più comuni includono dolore nel sito di iniezione, stanchezza, mal di testa e febbre, generalmente lievi e temporanei. In conclusione, la possibilità di somministrare vaccini anti COVID-19 e antinfluenzali contemporaneamente o in qualsiasi momento prima o dopo rappresenta una strategia importante per mantenere alti livelli di copertura vaccinale contro queste importanti cause di morbilità e mortalità a livello globale. Questa pratica non soltanto è supportata da evidenze scientifiche riguardo l'efficacia e la sicurezza, ma si allinea anche alle politiche sanitarie per massimizzare le opportunità di vaccinazione durante i periodi critici.

18 di 22 Domande

Quale di questi farmaci può provocare una reazione di fotosensibilità se il paziente si espone al sole durante il trattamento?














La risposta corretta è la B
La doxiciclina può provocare una reazione di fotosensibilità se il paziente si espone al sole durante il trattamento. Questo effetto collaterale è noto per alcuni farmaci, tra i quali la doxiciclina, appartenente alla classe delle tetracicline, si distingue proprio per la sua capacità di aumentare la sensibilità della pelle alla luce solare o ad altre fonti di luce ultravioletta. La fotosensibilità è una reazione eccessiva della pelle alla luce, specialmente alla componente ultravioletta (UV). La doxiciclina, assumendola, può facilitare le scottature solari anche con un'esposizione al sole che normalmente non causerebbe danni alla pelle del paziente. Questo avviene perché la doxiciclina, come altre tetracicline, ha la capacità di assorbire la luce UV ed entrare in uno stato eccitato. Questo stato energetico può portare a una serie di reazioni chimiche all'interno della pelle che danneggiano le membrane cellulari e il DNA, provocando l'infiammazione che è caratteristica delle scottature solari. Le reazioni di fotosensibilità possono variare da lievi eritemi (arrossamenti) a gravi ustioni solari. In particolare, le reazioni fototossiche, che sono le più comuni, si manifestano come una vera e propria scottatura solare: la pelle diventa rossa, dolorante, e può desquamarsi dopo alcuni giorni. Al contrario, le reazioni fotoallergiche si verificano in seguito a ripetute esposizioni alla sostanza responsabile e si caratterizzano per un'eruzione cutanea che può apparire anche nelle aree non esposte alla luce. La consapevolezza di questo effetto collaterale è cruciale per chi assume doxiciclina. È importante adottare misure preventive come l'utilizzo di creme solari ad alto fattore di protezione, indossare abiti che coprano bene la pelle e limitare l'esposizione al sole durante il trattamento. In caso di reazioni di fotosensibilità , la consultazione medica è consigliata per valutare l'opportunità di continuare il trattamento con doxiciclina o sostituirlo con un'alternativa meno fotosensibilizzante.

19 di 22 Domande

La sindrome di Ramsay Hunt (herpes zoster oticus) colpisce:














La risposta corretta è la E
La sindrome di Ramsay Hunt, nota anche come herpes zoster oticus, colpisce il ganglio genicolato, con conseguente compromissione dell'VIII nervo cranico. Questa affermazione è corretta in quanto la malattia è caratterizzata dall'attacco del virus dell'herpes zoster a specifiche strutture del sistema nervoso. La sindrome di Ramsay Hunt si verifica quando il virus varicella-zoster, lo stesso virus responsabile della varicella e dormiente nei gangli nervosi dopo un'infezione iniziale, si riattiva. In particolare, questa sindrome interessa il ganglio genicolato, un sito che appartiene al sistema del nervo facciale (VII nervo cranico), e può influenzare anche l'VIII nervo cranico (il nervo vestibolo-cochleare), responsabile dell'udito e dell'equilibrio. La patologia si manifesta tipicamente con dolore intenso all'orecchio (otalgia) e un'eruzione cutanea vescicolare che coinvolge l'orecchio, il canale auricolare esterno o la membrana timpanica. A queste si possono associare paralisi facciale e sintomi neurologici quali perdita dell'udito, vertigini o tinnito, che riflettono la compromissione dell'VIII nervo cranico. La patologia può anche comportare alterazioni del gusto, dato che il nervo interessa aree della lingua attraverso le sue funzioni sensoriali. La patologia risulta essere una manifestazione di una reazione del sistema nervoso all'attacco virale. In questo contesto, il ganglio genicolato diventa il sito chiave dove il virus riattivato causa infiammazione, portando alla serie di sintomi sopra descritti. In particolare, la paralisi facciale e i problemi auditivi derivano direttamente dall'infiammazione e dalla compromissione dei nervi facciale e vestibolo-cochleare. Il trattamento della sindrome di Ramsay Hunt prevede l'uso di farmaci antivirali, corticosteroidi per ridurre l'infiammazione e il dolore, e terapia di supporto per gestire i sintomi e prevenire le complicazioni. La diagnosi tempestiva e il trattamento adeguato sono fondamentali per migliorare l'esito della malattia e minimizzare il rischio di danni permanenti al nervo. In sintesi, la sindrome di Ramsay Hunt rappresenta un esempio classico di come un virus dormiente nel corpo possa riattivarsi e causare una gamma complessa di sintomi neurologici attraverso la sua azione su specifici gangli nervosi e nervi cranici.

20 di 22 Domande

Qual è la prevalenza di scompenso cardiaco cronico nella popolazione generale in pazienti con età maggiore di 70 anni?














La risposta corretta è la D
Il scompenso cardiaco cronico è una condizione che affligge oltre il 10% della popolazione generale nei pazienti con età maggiore di 70 anni. Questo dato evidenzia la rilevanza che questa patologia assume nella popolazione anziana, sottolineando la necessità di attenzione e cure adeguate per questa fascia d'età . Il scompenso cardiaco, noto anche come insufficienza cardiaca, è una condizione in cui il cuore non è in grado di pompare sangue in maniera efficace per soddisfare le esigenze metaboliche del corpo. Questo può derivare da diverse cause, tra cui malattie ischemiche del cuore, ipertensione, valvulopatie, e miocardiopatie. Nei soggetti oltre i 70 anni, la prevalenza del scompenso cardiaco si incrementa significativamente, superando il 10%. Questa elevata prevalenza è attribuibile a vari fattori, tra cui l'incremento delle condizioni che predispongono all'insufficienza cardiaca come l'arteriosclerosi, l'ipertrofia ventricolare sinistra, e il deterioramento della funzione diastolica del cuore. L'insufficienza cardiaca è caratterizzata da una serie di sintomi, tra cui dispnea, affaticamento e ritenzione idrica, che possono significativamente ridurre la qualità della vita dei pazienti. Trattandosi di una condizione cronica, il suo management richiede un approccio multidisciplinare che include modifiche dello stile di vita, terapia farmacologica, e in alcuni casi, interventi chirurgici o device impiantabili per supportare o migliorare la funzione cardiaca. Complicazioni associate all'insufficienza cardiaca comprendono l'aumento del rischio di eventi cardiovascolari, come l'infarto miocardico e l'ictus, oltre a una più alta incidenza di ospedalizzazione e una ridotta aspettativa di vita. Data la sua elevata prevalenza nella popolazione anziana, è fondamentale un'attenta valutazione e monitoraggio dei soggetti a rischio, insieme a un'adeguata educazione dei pazienti riguardo alla gestione della loro condizione e alla necessità di attuare cambiamenti nello stile di vita che possano ridurre la progressione della malattia. In conclusione, il scompenso cardiaco cronico rappresenta una sfida clinica significativa, soprattutto tra gli anziani, dove la sua prevalenza supera il 10%. La gestione efficace di questa condizione richiede un approccio olistico e lungimirante che tenga conto delle specifiche necessità di questa popolazione, enfatizzando l'importanza di una diagnosi precoce e di interventi terapeutici tempestivi per migliorare l'outcome dei pazienti.

21 di 22 Domande

Quale gruppo di esami deve essere richiesto per la valutazione del danno d'organo nell'ipertensione arteriosa?














La risposta corretta è la B
Nella valutazione del danno d'organo nell'ipertensione arteriosa, è essenziale richiedere un gruppo specifico di esami che comprende l'Ecocardiogramma, il fundus oculi e il Doppler TSA. Questa risposta è particolarmente pertinente perché ognuno di questi esami fornisce informazioni cruciali su come l'ipertensione stia influenzando diversi organi. L'Ecocardiogramma è un'indagine fondamentale per valutare l'impatto dell'ipertensione sul cuore. L'ipertensione può causare un ispessimento delle pareti del cuore (ipertrofia ventricolare sinistra) e alterare la funzione cardiaca, condizioni che possono essere rilevate efficacemente attraverso questa procedura di imaging. Il fundus oculi, d'altra parte, permette di esaminare la retina e i vasi sanguigni dell'occhio. Questo esame è cruciale perché l'ipertensione può causare cambiamenti nel calibro e nell'aspetto dei vasi sanguigni retinici, conosciuti come retinopatia ipertensiva, che può evolvere in perdita della vista se non trattata. Infine, il Doppler TSA (Tronchi Sovra-Aortici) è utilizzato per valutare la presenza di stenosi o altre anomalie nei vasi sanguigni che forniscono sangue al cervello. L'ipertensione è un fattore di rischio significativo per lo sviluppo di aterosclerosi, che può portare a stenosi, riducendo il flusso sanguigno cerebrale e aumentando il rischio di ictus. Analizziamo ora in dettaglio la patologia dell'ipertensione arteriosa per comprendere meglio il contesto in cui questi esami risultano così rilevanti. L'ipertensione arteriosa è una condizione caratterizzata da una pressione sanguigna persistentemente elevata, che esercita una pressione anomala contro le pareti dei vasi sanguigni. Nel tempo, questa pressione eccessiva può danneggiare i vasi sanguigni e gli organi bersaglio, portando a un vasto spettro di complicanze, tra cui malattie cardiache, ictus, insufficienza renale e danni alla retina. Il continuo stress imposto dai livelli elevati di pressione sanguigna può causare cambiamenti patologici nei vasi sanguigni, come ispessimento, perdita di elasticità e formazione di placche aterosclerotiche, compromettendo la loro capacità di fornire un'adeguata irrorazione sanguigna agli organi. In particolare, l'ipertrofia ventricolare sinistra risultante può ridurre l'efficienza della pompa cardiaca e aumentare il rischio di eventi cardiovascolari. L'ipertensione può anche indurre cambiamenti nei vasi sanguigni dell'occhio, portando alla retinopatia ipertensiva, una condizione in cui i cambiamenti nei vasi sanguigni della retina possono ridurre la visione e, se non controllata, portare alla cecità . Inoltre, l'atherosclerosi causata dall'ipertensione nei vasi che alimentano il cervello può ridurre il flusso di sangue, aumentando il rischio di ictus ischemico. In sintesi, i dati raccolti tramite Ecocardiogramma, fundus oculi e Doppler TSA sono essenziali per una valutazione accurata dell'entità del danno d'organo causato dall'ipertensione arteriosa. Questo approccio diagnostico mirato consente di identificare tempestivamente i segni di complicanze e di adottare strategie terapeutiche appropriate per ridurre il rischio di eventi avversi gravi.

22 di 22 Domande

Il trattamento con beta-bloccanti nei pazienti con scompenso cardiaco:














La risposta corretta è la D
Il trattamento con beta-bloccanti nei pazienti con scompenso cardiaco riduce il rischio di morte e il rischio combinato di morte o ricovero. Questo risultato è estremamente importante, poiché l'uso di beta-bloccanti in questa popolazione di pazienti rappresenta un cardine nella gestione del scompenso cardiaco, segnando un netto avanzamento nella terapia di questa patologia. La terapia con beta-bloccanti è essenziale per il trattamento dei pazienti affetti da scompenso cardiaco. Questi farmaci operano attraverso un meccanismo di azione che prevede il blocco selettivo dei recettori beta-adrenergici, diminuendo così l'effetto dell'adrenalina e della noradrenalina sul cuore. Di conseguenza, si verifica una riduzione della frequenza cardiaca, della contrattilità miocardica e della pressione arteriosa, risultando in una diminuzione del carico di lavoro imposto al cuore. L'effetto benefico dei beta-bloccanti in questo contesto non si limita alla loro azione fisiologica immediata sul cuore. Si osservano anche miglioramenti a lungo termine nella funzione cardiaca e nella struttura del cuore, un fenomeno noto come "remodeling" inverso del ventricolo. Questi effetti contribuiscono direttamente alla riduzione del rischio di morte e di ricovero ospedaliero nei pazienti con scompenso cardiaco. Uno dei meccanismi chiave attraverso cui i beta-bloccanti esercitano i loro effetti benefici è la protezione del cuore dalle conseguenze deleterie dell'attivazione cronica del sistema adrenergico, che è una caratteristica comune nello scompenso cardiaco. La sovra-stimolazione di questo sistema può portare a un peggioramento della funzione cardiaca, accelerando la progressione dello scompenso. L'interruzione di questo circolo vizioso mediante l'uso dei beta-bloccanti rappresenta quindi un punto cruciale nella gestione della malattia. Inoltre, è stato dimostrato che il trattamento con beta-bloccanti migliora la sopravvivenza nei pazienti con scompenso cardiaco, mediante la riduzione degli eventi cardiovascolari maggiori, inclusi morte e ricoveri ospedalieri urgenti per problemi cardiaci. Questo dato è supportato da numerosi studi clinici che hanno mostrato una significativa riduzione della mortalità e della morbilità in pazienti sottoposti a questa terapia. Per riassumere, l'importanza dei beta-bloccanti nel trattamento dello scompenso cardiaco deriva dalla loro capacità di migliorare la sopravvivenza e la qualità della vita dei pazienti, riducendo contemporaneamente il rischio di eventi avversi gravi. Questo beneficio si manifesta attraverso diversi meccanismi di azione che includono una riduzione del lavoro cardiaco, un miglioramento nel remodeling ventricolare e una protezione contro i danni causati dall'eccessiva stimolazione adrenergica.

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