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1 di 22 Domande

Quale complicanza clinica NON si riscontra nell'IRC terminale?














La risposta corretta è la B

Nell’IRC terminale non si riscontra come complicanza l’artrite. La malattia renale cronica è classificata in 5 stadi: Stadio 1: velocità di filtrazione glomerulare normale (?90 mL/min/1,73 m²) con albuminuria persistente o malattia renale strutturale o ereditaria; Stadio 2: 60-89 mL/min/1,73 m²; Stadio 3a: 45-59 mL/min/1,73 m²; Stadio 3b: 30-44 mL/min/1,73 m²; Stadio 4: 15-29 mL/min/1,73 m²; Stadio 5: <15 mL/min/1,73 m². La velocità di filtrazione glomerulare può essere stimata tramite l’equazione CKD-EPI: 141 × (creatinina sierica)^-1,209 × 0,993^età, moltiplicata per 1,018 se donna e 1,159 se afroamericano (1,1799 per donne afroamericane). Questo calcolo è poco accurato negli anziani sedentari, obesi o molto magri. In alternativa, si può usare l’equazione di Cockcroft-Gault per stimare la clearance della creatinina, che tende a sovrastimare del 10-40%. Le complicanze comprendono quelle neurologiche (neuropatia periferica), ematologiche (anemia da ridotta produzione di eritropoietina), scheletriche (osteodistrofia, risposte C-D-E errate) e pericardite nel 20% dei pazienti con insufficienza renale (risposta A errata).


2 di 22 Domande

Nella brucellosi acuta qual e' il titolo minimo per la diagnosi:














La risposta corretta è la C.

La brucellosi (nota anche come "febbre ondulante", "febbre mediterranea" o "febbre maltese") è un’infezione zoonotica trasmessa all’uomo da animali infetti (bovini, ovini, caprini, cammelli, suini o altri) attraverso l’ingestione di prodotti alimentari non pastorizzati, in particolare lattiero-caseari, oppure per contatto diretto con tessuti o fluidi contaminati. Va sospettata in pazienti con febbre, malessere, sudorazione notturna e artralgie in presenza di esposizione epidemiologica significativa, come consumo di prodotti caseari non pastorizzati, contatto con animali in aree endemiche o esposizione professionale. Una diagnosi presuntiva può essere formulata sulla base di:

  • titolo anticorpale totale anti-Brucella ?1:160 mediante test di agglutinazione in provetta standard su siero prelevato dopo l’insorgenza dei sintomi;
  • rilevazione del DNA di Brucella in un campione clinico tramite reazione a catena della polimerasi (PCR).

3 di 22 Domande

In figura è rappresentato uno schema della sequenza genica che costituisce l’operone Lac (sequenza genica che regola la produzione delle lattasi) dei procarioti. Si tratta di una sequenza regolatrice che determina la produzione di lattasi, quando?

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La risposta corretta è la B

La domanda chiede quando l’operone lac, sequenza regolatrice della produzione di lattasi, induce l’espressione: la risposta corretta è “Quando è presente lattosio nel mezzo di coltura”. Nel sistema lac dei procarioti, in assenza di lattosio il repressore LacI si lega all’operatore e impedisce all’RNA polimerasi di trascrivere i geni lacZYA; quando è presente lattosio, una parte viene isomerizzata in allolattosio che funge da induttore legandosi a LacI, causandone il distacco dall’operatore e consentendo l’avvio della trascrizione, inclusa la sintesi di ?-galattosidasi (lattasi). L’espressione è massima se il glucosio è basso perché il complesso cAMP-CAP facilita il reclutamento dell’RNA polimerasi, ma la condizione chiave che rimuove la repressione è la presenza di lattosio. In sintesi, il lattosio segnala alla cellula di esprimere gli enzimi necessari al suo metabolismo attivando l’operone lac.


4 di 22 Domande

Un bambino di 2 anni di origine africana si presenta con tumefazioni dolorose della mani e piedi. Dati di laboratorio mettono in evidenza una emoglobina di 9g/dl, una conta dei globuli bianchi di 11500/mm3 ed una conta delle piastrine di 250000/mm3. Quale dei seguenti esami di laboratorio dara' supporto alla tua diagnosi?














La risposta corretta è la B

Il quadro clinico descritto è compatibile con anemia falciforme o drepanocitosi, un’emoglobinopatia caratterizzata dalla produzione di catene globiniche quantitativamente normali ma qualitativamente alterate. La causa della deformazione dei globuli rossi è una sostituzione amminoacidica (Glu ? Val) che favorisce l’aggregazione delle molecole di Hb con formazione di polimeri simili a pali nel citoplasma eritrocitario. La polimerizzazione, che avviene soprattutto nello stato deossigenato, determina deformazione e la caratteristica forma a falce dei globuli rossi. Questa condizione provoca squilibri che riducono elasticità e vitalità cellulare. I globuli rossi danneggiati rappresentano il principale trigger delle crisi vaso-occlusive, responsabili di fenomeni infartuali a livello del microcircolo, che spesso si manifestano con tumefazioni dolorose di mani e piedi. La prima manifestazione clinica è l’emolisi cronica con pallore, subittero o ittero, astenia, litiasi della colecisti e segni della deplezione di ossido nitrico. A livello arterioso si osserva diatesi trombotica per disfunzione endoteliale. L’emolisi cronica rappresenta uno stato di equilibrio, interrotto più o meno frequentemente da crisi vaso-occlusive. Tra le manifestazioni vaso-occlusive, tipica è l’ostruzione dei vasi retinici, che porta a cecità parziale o totale e determina cicatrici corio-retiniche, una delle manifestazioni retiniche più comuni e patognomoniche dell’anemia falciforme. Dal punto di vista laboratoristico, si osserva riduzione dell’Hb; la diagnosi è confermata da striscio periferico, test di solubilità ed elettroforesi dell’emoglobina, che evidenzia le anomalie strutturali.


5 di 22 Domande

Il Sig. Versici, un uomo di circa 70 anni, si reca presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, Il Dott. Mancini, per un fastidio al polso destro. Anamnesi patologica prossima: lamenta dolore al polso destro da circa due giorni.

Anamnesi patologica prossima: positiva per due interventi di chirurgia sostitutiva dell'anca, due precedenti episodi di gotta in entrambe le prime articolazioni metatarso-falangee ed ipertensione. Esame obiettivo: il Dott. Mancini visitandolo riscontra la presenza di rossore e gonfiore sul versante dorsale del polso. La sintomatologia dolorosa viene esacerbata da movimenti di flesso-estensione completi. Gli vengono prescritti 80 mg di aspirina al giorno. Due giorni dopo il gonfiore però è aumentato sul versante dorsale del polso ed a livello della mano. La flessione del polso risulta limitata dell' 80% con dolore severo, pertanto il Sig. Versici si reca nuovamente presso l’ ambulatorio del Dott. Mancini, che rivisitandolo nota che evoca un dolore sordo alla palpazione dello scafoide e pertanto nel sospetto di frattura gli prescrive un esame radiografico del polso/mano. Esami strumentali-laboratoristici: evidenza di alterazioni riconducibili ad un quadro di artrite gottosa. Quale tipo di citochine sono coinvolte in questo processo?

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La risposta corretta è la C.

La flogosi è un meccanismo di difesa di tipo aspecifico: risponde all’agente lesivo di tipo fisico-meccanico, radiazioni, batteri o sostanze chimiche. È quindi la risposta al danno tissutale ed è un processo reattivo (diverso dalla necrosi che è regressiva), aspecifico (contro tutto ciò che causa danno), stereotipato (stessi meccanismi principali a prescindere dalla causa, con vie diverse secondo lo stimolo), e procede indipendentemente dalla causa (una volta innescato, continua anche se lo stimolo è rimosso). Nella fase acuta si ha aumento del flusso ematico e della permeabilità vascolare, con accumulo di fluidi, leucociti e mediatori come le citochine. Vari fattori solubili favoriscono il reclutamento dei leucociti aumentando l’espressione di molecole di adesione e di fattori chemiotattici. Le citochine chiave sono IL-1, TNF-?, IL-6, IL-8 e altre chemochine; IL-1 e TNF-? sono particolarmente potenti, inducono febbre promuovendo la sintesi di PGE2 nell’endotelio ipotalamico. L’IL-1 è prodotta da macrofagi, neutrofili, cellule endoteliali ed epiteliali: a basse concentrazioni induce adesione leucocitaria, ad alte induce febbre e proteine di fase acuta. Diversamente dal TNF-?, non causa da sola shock settico. Inoltre stimola i mastociti al rilascio di istamina, con vasodilatazione precoce e aumento della permeabilità.

Durante l’infiammazione avvengono: (1) modificazioni di flusso e calibro vascolare con aumento del flusso sanguigno, (2) modificazioni del microcircolo e formazione dell’essudato, (3) richiamo chemiotattico dei leucociti, (4) fagocitosi. Dopo lo stimolo lesivo si ha vasocostrizione transitoria seguita da vasodilatazione intensa (iperemia attiva, responsabile di rubor e calor). Successivamente si verifica rallentamento della circolazione (iperemia passiva o stasi), dovuto ad aumentata permeabilità capillare con essudazione proteica e aumento della viscosità ematica. Il modello tipico dell’infiammazione acuta comprende: alterazioni di flusso e calibro, iperemia attiva e passiva, permeabilizzazione endoteliale con essudato, migrazione leucocitaria e chemiotassi, fagocitosi.

La chemiotassi è movimento orientato lungo un gradiente chimico; gli stimoli possono essere esogeni (prodotti batterici) o endogeni (complemento, leucotrieni, citochine). Durante la stasi i neutrofili si dispongono lungo l’endotelio (marginazione). Segue l’adesione: i leucociti rotolano con legami labili, poi aderiscono stabilmente formando la “pavimentazione”. Successivamente attraversano l’endotelio (diapedesi) e migrano verso lo stimolo. L’endotelio normalmente è continuo e liscio, ma nell’infiammazione aumenta la permeabilità ed esprime molecole di adesione preformate (es. P-selectina dai corpi di Weibel-Palade).

Le principali molecole di adesione sono: selectine (E sull’endotelio, P sull’endotelio in infiammazione, L sui leucociti, legano zuccheri); immunoglobuline (ICAM-1 e VCAM-1, interagiscono con integrine leucocitarie, le ICAM-1 si legano alle integrine ?2); VCAM-2 proprie dell’endotelio; integrine (già presenti sui leucociti, ma con bassa affinità: aumentano l’avidità a seguito di stimoli chemiokinici e dell’induzione di ICAM/VCAM-1). Le citochine IL-1 e TNF inducono fortemente la sintesi di ICAM-1 e VCAM-2, molecole implicate nei legami forti, la cui espressione richiede più tempo.


6 di 22 Domande

Il Sig. Mariani, un uomo di 78 anni si reca presso il PS del Policlinico Torvergata di Roma, a causa di un episodio di dispnea acuta. Anamnesi patologica prossima: lamenta comparsa di episodi di tosse produttiva, gonfiore degli arti inferiori e dei piedi, astenia, che perdurano da 3 settimane. Inoltre, da due mesi a questa parte, si sono presentate crisi di dispnea da sforzo ingravescente. Anamnesi patologica remota: una decina di anni prima è stato sottoposto ad un intervento di chirurgia sostitutiva per impianto di protesi valvolare di suino, a causa di un rigurgito della valvola mitrale di grado severo. Il paziente è affetto da coronaropatia, diabete mellito di tipo 2 ed ipertensione. Anamnesi fisiologica: ha fumato per 55 anni un pacchetto di sigarette al giorno e abitualmente beve una birra al giorno. Anamnesi farmacologica Attualmente prende diversi farmaci tra cui cardioaspirina, simvastatina, ramipril, metoprololo, metformina e idroclorotiazide. Esame obiettivo: si presenta dall’ aspetto pallido. L’ uomo è alto 181 cm e pesa 128 kg, con una BMI di circa 41 kg/m2. Ha una temperatura corporea di 37.3 °C , frequenza respiratoria di 23 atti/min, frequenza cardiaca di 97 bpm, e pressione arteriosa di 148/95 mm Hg. All’ auscultazione del torace si riscontra la presenza di rantoli alle basi polmonari bilateralmente. L’ esame obiettivo del cuore rivela la presenza di un battito apicale dislocato lateralmente e la presenza, a livello dell’ apice, di un soffio diastolico 3/6 di intensità decrescente. Inoltre si osserva la presenza di edemi improntabili bilateralmente a livello dei piedi e delle caviglie. Il resto dell’ esame obiettivo non mostra altre anomalie. Quale tra le seguenti è la causa più probabile dei sintomi di questo paziente?

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La risposta D è corretta.

Il paziente circa 10 anni fa si era sottoposto a un intervento di sostituzione protesica con impianto di protesi valvolare suina per severo rigurgito mitralico. Il trattamento di una valvulopatia, a meno che non sia di grado medio-elevato e clinicamente significativa, richiede solo un controllo periodico, mentre l’intervento chirurgico è indicato in presenza di una lesione moderata o grave responsabile di sintomi e/o disfunzione cardiaca. Le opzioni vanno dalla valvuloplastica alla riparazione fino alla sostituzione, che può essere effettuata con protesi meccaniche (preferite nei pazienti <65 anni o con lunga aspettativa di vita, ma richiedono anticoagulazione cronica con warfarin per prevenire tromboembolismo) o biologiche (suine o bovine, più soggette a deterioramento sclero-fibrotico, con durata media 10-15 anni). Una complicanza possibile delle protesi biologiche è l’ostruzione/stenosi o il rigurgito, entrambi responsabili di scompenso cardiaco.

L’endocardite infettiva insorge in presenza di una predisposizione endocardica (patologie congenite, reumatiche, valvole bicuspidi calcifiche, prolasso mitralico, cardiomiopatia ipertrofica, precedente endocardite). Fattori predisponenti sono protesi valvolari, tossicodipendenza, diabete, uso cronico di anticoagulanti o steroidi, età avanzata. Agenti più comuni sono streptococchi e stafilococchi (80-90%), seguiti da enterococchi e microrganismi HACEK. Clinicamente si manifesta con febbre, nuovo soffio o modifica di un soffio preesistente, può causare scompenso cardiaco e, all’ecocardiogramma, vegetazioni. Segni caratteristici: petecchie congiuntivali, macchie di Roth, lesioni di Janeway, nodi di Osler, emorragie subungueali a scheggia. La diagnosi si basa sui criteri di Duke (diagnosi rigettata, possibile o certa). In assenza di emocolture disponibili, e senza rischio per MRSA, la terapia empirica si effettua con un ?-lattamico + amminoglicoside. Sebbene questo paziente presenti soffio e segni di scompenso, non ha febbre né criteri di Duke: l’endocardite è improbabile (risposta A errata).

La BPCO è una malattia polmonare cronica non reversibile, con ostruzione bronchiale persistente (VEMS/CVF <0,7), spesso correlata a fumo e caratterizzata da progressione, riacutizzazioni infettive, dispnea, tosse produttiva cronica, tachipnea, cianosi e ipertensione polmonare nelle fasi avanzate. All’auscultazione: respiro sibilante e fase espiratoria prolungata. Nonostante il paziente sia fumatore con tosse, i sintomi durano solo da 3 settimane e non vi sono segni obiettivi di ostruzione: la diagnosi di BPCO è errata (risposta B errata).

La polmonite è un’infiammazione acuta polmonare (batterica, virale, fungina, parassitaria) diagnosticata con RX torace e reperti clinici. Può essere comunitaria (più spesso da Streptococcus pneumoniae, Mycoplasma pneumoniae) o nosocomiale. Clinicamente: febbre, tosse, dispnea, astenia, ipossia; nella forma tipica: esordio acuto con febbre, tosse produttiva, crepitii e rumori bronchiali; nella forma atipica: esordio graduale con tosse secca, dispnea e pochi segni obiettivi. È indicato esame colturale di sangue/escreato. Questo paziente presenta tosse produttiva ma non febbre, e all’auscultazione rantoli basali bilaterali: più compatibili con scompenso cardiaco che con polmonite (risposta C errata).

L’embolia polmonare è occlusione di arterie polmonari da trombi (arti inferiori/pelvi). Presentazione acuta con sintomi aspecifici: dolore toracico pleuritico, tosse, sincope, dispnea, arresto cardiorespiratorio nei casi gravi; segni: tachipnea, tachicardia, ipotensione. Fattori di rischio: immobilizzazione, trombofilie, gravidanza, chirurgia recente. In questo paziente tosse e dispnea possono mimarla, ma anamnesi negativa per immobilizzazione e presenza di stenosi mitralica con edemi declivi bilaterali fanno propendere per scompenso cardiaco congestizio piuttosto che embolia polmonare (risposta E errata).


7 di 22 Domande

Il Sig. Verci, un uomo di circa 60 anni si reca, presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, il Dott. Briga, per dispnea. Anamnesi patologica prossima: lamenta una dispnea ingravescente da circa un mese. Inizialmente era in grado di salire 3 rampe di scale fino al suo appartamento, ma ora necessita di effettuare numerose pause per recuperare il fiato. Non lamenta dolore al petto. Anamnesi patologica remota: l'uomo è affetto da cardiopatia reumatica e diabete mellito di tipo 2. Anamnesi fisiologica: è emigrato dall'India circa 20 anni prima. Anamnesi farmacologica: assume carvedilolo, torasemide e insulina. Esame obiettivo: il Dott. Briga visita il Sig. Verci riscontrando una temperatura corporea di 37.2 °C, una frequenza cardiaca di 74 bpm, una frequenza respiratoria di 19 atti/min ed una pressione arteriosa di 135/80 mm Hg. La pulsossimetria mostra una saturazione d'ossigeno del 96% in aria ambiente. L'auscultazione del torace rivela la presenza di crepitii alle basi polmonari bilateralmente. All’ auscultazione cardiaca si riscontra la presenza di un soffio d'apertura seguito da un soffio diastolico di bassa tonalità , a livello del quanto spazio intercostale di sinistra in corrispondenza della linea medio-claveare. Esami strumentali-laboratoristici: il Dott. Briga decide di far eseguire una radiografia del torace al Sig. Verci, che mostra una dilatazione dell'atrio di sinistra, con stiramento del margine cardiaco di sinistra, ed un’ aumentata trama vascolare. Quale tra i seguenti rappresenta l'intervento di prima scelta per migliorare la sintomatologia del paziente?

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La risposta corretta è la D.

La malattia reumatica è la causa più frequente di stenosi mitralica non complicata. È caratterizzata da fibrosi, calcificazione dei lembi valvolari e parziale fusione delle commissure, con conseguente riduzione dell’ostio valvolare (normalmente 4-6 cm²) fino a valori <1 cm². A causa di questo restringimento, l’unico modo per garantire il passaggio di sangue dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro durante la diastole è aumentare le pressioni atriali. Questo incremento si trasmette a monte, con aumento della pressione nelle vene e nei capillari polmonari: ecco la causa della dispnea. Se le pressioni aumentano ulteriormente, soprattutto acutamente, può verificarsi la trasudazione di liquido negli alveoli con conseguente edema polmonare. Il nostro paziente all’auscultazione presenta anche crepitii basali bilaterali. Il gradiente diastolico transvalvolare è proporzionale al grado di stenosi ed è sensibile ad aumenti di portata e frequenza cardiaca: maggiore la portata/frequenza, maggiore il gradiente. Per questo un soggetto asintomatico a riposo può diventare sintomatico anche per sforzi lievi. L’evoluzione della stenosi mitralica è rappresentata dallo sviluppo di ipertensione polmonare arteriosa, secondaria a quella venosa, che provoca vasocostrizione arteriolare inizialmente funzionale e reversibile, successivamente irreversibile per ipertrofia della tonaca media e fibrosi dell’intima. Le elevate resistenze arteriolari del circolo polmonare causano sovraccarico pressorio del ventricolo destro con dilatazione, ipertrofia, disfunzione contrattile e segni di scompenso destro e bassa gittata. Nell’insufficienza mitralica, invece, la pressione atriale sinistra, molto più bassa di quella aortica, fa sì che il sangue refluisca in atrio già durante la contrazione isometrica ventricolare. Nell’insufficienza mitralica cronica l’atrio sinistro si adatta dilatandosi, per cui la pressione a monte non aumenta significativamente; nell’insufficienza acuta, invece, l’atrio non ha tempo di adattarsi e subisce un brusco aumento pressorio con ripercussioni sulla pressione venosa polmonare. Il ventricolo sinistro, sottoposto a sovraccarico di volume, si dilata: inizialmente la frazione di eiezione rimane conservata, poi si riduce progressivamente perché il rigurgito in atrio riduce il volume sistolico effettivo. Una frazione di eiezione <60% è indicativa di compromissione ventricolare sinistra. Nel nostro paziente, per segni, sintomi e reperti auscultatori, è probabile un coinvolgimento valvolare mitralico, in particolare stenosi o steno-insufficienza. L’intervento di scelta, nella stenosi mitralica clinicamente significativa (area ?1,5 cm²) o sintomatica, e nei pazienti con controindicazioni alla chirurgia, è la valvuloplastica percutanea con palloncino: una “dilatazione controllata” eseguita con un palloncino ad alta resistenza gonfiato in prossimità della valvola, introdotto tramite catetere da vena femorale destra. È una tecnica mini-invasiva che riduce morbilità e mortalità perioperatorie, con buona efficacia a lungo termine (sopravvivenza libera da eventi nel 30-70% dei casi), sebbene non siano rare le restenosi. Non può essere eseguita in presenza di calcificazioni valvolari, per cui è indicata la sostituzione valvolare.


8 di 22 Domande

Un ragazzo di 20 anni presenta il seguente ECG. Cosa si nota all'ECG?

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La risposta esatta è la A.

Le derivazioni da V1 a V6, chiamate derivazioni precordiali, esprimono l’attività elettrica del cuore sul piano orizzontale: V1-V2 esplorano il setto interventricolare, V3-V4 la parete anteriore del ventricolo sinistro, V5-V6 la parete laterale del ventricolo sinistro. L’onda P indica la depolarizzazione atriale, il complesso QRS e l’onda T indicano rispettivamente la depolarizzazione e la ripolarizzazione ventricolare, mentre la ripolarizzazione atriale non è visibile poiché avviene durante la depolarizzazione ventricolare. In età giovanile, dopo la pubertà, il vettore di ripolarizzazione ventricolare rende le T positive in tutte le derivazioni precordiali, tranne V1 e raramente V2; in casi eccezionali, la negatività può coinvolgere anche V3 e V4 (onda T giovanile). Dopo la pubertà, la presenza di onde T invertite ?2 mm in due o più derivazioni contigue del ventricolo destro può indicare cardiopatia congenita con sovraccarico di pressione o volume (cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro) oppure, più raramente, patologie ereditarie dei canali del sodio o potassio. L’ECG descritto mostra ritmo sinusale, alterazioni diffuse della ripolarizzazione con T negativa da V1 a V5, R alta in V1 e asse spostato a destra: reperti suggestivi di ipertrofia ventricolare destra a carattere aritmogeno. La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro è spesso familiare, più frequentemente a trasmissione autosomica dominante, e coinvolge prevalentemente ma non esclusivamente il ventricolo destro. Nel 10-20% dei casi è presente una mutazione nei geni che codificano proteine del desmosoma. Istologicamente si osserva progressiva sostituzione del miocardio con tessuto fibro-adiposo, che genera aree di discinesia e dilatazione soprattutto nel tratto di afflusso, efflusso e apice del ventricolo destro (triangolo della displasia), ma può estendersi all’intera parete ventricolare destra o anche al ventricolo sinistro. Questa condizione, per le alterazioni morfologiche e funzionali, è causa frequente di aritmie ventricolari e morte improvvisa, soprattutto in età giovanile durante o subito dopo l’attività fisica. In presenza di un ECG di questo tipo è quindi indicato eseguire un ecocardiogramma per rilevare eventuali alterazioni strutturali cardiache.


9 di 22 Domande

La signora Rettori, una donna di 45 anni, si reca dal proprio medico curante, il Dott. Pressi, per malessere. Anamnesi patologica prossima: comparsa di febbre, disuria e dolore alla schiena. Il Dott. Pressi consiglia alla paziente di recarsi in ospedale per ulteriori accertamenti; qui la donna verrà successivamente ricoverata con una sospetta diagnosi di pielonefrite. La paziente viene sottoposta a terapia con antibiotici ad ampio spettro, che determinano un significativo miglioramento della sintomatologia. Tuttavia, durante il quarto giorno di ricovero, la donna presenta nuovamente febbre, con leucocitosi e profusa diarrea acquosa. Esami strumentali: viene effettuata una colonscopia, visibile nell’ immagine sottostante.

Quale è la terapia per il trattamento di questo disturbo?

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La risposta corretta è la D.

La paziente presenta una colite pseudomembranosa causata da Clostridium difficile, un batterio appartenente alla famiglia Clostridiaceae, patogeno per l’uomo, Gram+ anaerobio. Il C. difficile è virulento in quanto possiede due tossine: la tossina A, un’enterotossina che si lega alle cellule della mucosa e causa un’ipersecrezione di liquido determinando diarrea acquosa; la tossina B, una citotossina che provoca gravi danni alla mucosa determinandone l’aspetto pseudomembranoso. Il Clostridium difficile causa colite associata ad antibiotici, tipicamente in ambiente ospedaliero. Fa parte normalmente del microbiota umano; tuttavia, quando si utilizzano antibiotici per lungo tempo, questi possono distruggere anche i batteri che tengono “sotto controllo” il Clostridium. Quando il C. difficile diviene dominante, si possono avere crampi addominali, colite pseudomembranosa, diarrea (talora ematica), raramente sepsi e addome acuto. I sintomi insorgono alcuni giorni dopo l’inizio della terapia antibiotica e includono diarrea acquosa o scariche di feci non formate, crampi addominali, raramente nausea e vomito. Per la diagnosi è importante l’identificazione della tossina nelle feci. Il trattamento consiste nell’interrompere la terapia antibiotica; se la sintomatologia è grave è possibile utilizzare vancomicina o metronidazolo (nel nostro caso, non essendo la vancomicina tra le opzioni, la risposta corretta è la D).


10 di 22 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

In seguito ai valori di glicemia a digiuno riscontrati, si richiede curva da carico orale di glucosio (OGTT). In base ai risultati sopra riportati, la paziente presenta:

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La risposta corretta è la B.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza.

L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: è necessario un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si associano inoltre a modifiche del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, arti inferiori, retina) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie degli arti inferiori).

Il diabete si classifica in due tipologie principali:

– diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), che può avere cause immuno-mediate o idiopatiche;

– diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e deficienza insulinica relativa, nella maggior parte dei casi senza necessità di insulina.

Esiste poi il diabete gestazionale, che compare in gravidanza e regredisce dopo il parto.

Tra le sindromi secondarie ricordiamo:

– pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori),

– patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite),

– patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante),

– tossicità da farmaci o sostanze chimiche (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.).

Il diabete può rimanere a lungo silente. Si stima che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% resti non diagnosticato.

Per la diagnosi, le misurazioni della glicemia prevedono:

– glicemia a digiuno (da almeno 12 ore): due rilevazioni ?126 mg/dl;

– glicemia random >200 mg/dl, ma solo in paziente sintomatico (polidipsia, poliuria, nicturia, ecc.);

– curva da carico con 75 g di glucosio in 200-250 ml d’acqua: il test si esegue solo se la glicemia basale è <126 mg/dl, e la diagnosi si pone se a 2 ore la glicemia è >200 mg/dl.


11 di 22 Domande

La signora Bellini è una giovane donna ricoverata nel reparto di ginecologia ed ostetricia dopo un parto complicato da una rottura prematura delle membrane amnio-coriali ed un prolungato travaglio. Anamnesi patologica prossima: In seconda giornata sviluppa febbre con brivido associata ad ipotensione e intenso dolore addominale che fanno sospettare un’ endometrite purperale. Il Dott. Lanfranchi decide di sottoporre la paziente ad una radiografia del torace e decide di avviare la terapia antibiotica e reidratante con 4.000 ml di soluzione salina nelle successive 24 ore ma l’ ipertermia persiste e si ottiene un lieve incremento della pressione arteriosa. Improvvisamente la sig.ra Bellini presenta dispnea. Esame obiettivo: viene rilevata una SpO2 dell’ 82% che non aumenta anche con ossigenoterapia con FiO2 del 100%. Il Dott. Lanfranchi decide quindi di intubare la paziente e si eroga una FiO2 del 100%. Non si rileva turgore giugulare, all’ auscultazione polmonare si apprezzano crepitii diffusi bilateralmente. Esami di laboratorio-strumentali: viene rapidamente inviato in laboratorio un campione di sangue arterioso che evidenzia PaO2 di 62 mmHg e PaCO2 di 33 mmHg. L’ ECG mostra tachicardia sinusale. Viene effettuato un nuovo RX del torace che mostra un quadro polmonare modificato rispetto a quanto si era visto nel precedente. Sulla base dei dati forniti quale tra le seguenti è la diagnosi più probabile?

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La risposta corretta è la B.

Questo paziente molto probabilmente ha una ARDS e il rapporto PaO2/FiO2 è <200: la paziente ha un rapporto di 60 (FiO2 = 1 ovvero 100% e PaO2 di 60 mmHg: necessita di ossigeno al 100% per mantenere una pressione di PaO2 accettabile). La RX torace mostra infiltrati polmonari diffusi non riconducibili a eziologia cardiogena. L’EO evidenzia dispnea ingravescente a insorgenza improvvisa, con crepitii diffusi bilateralmente. La paziente presentata nel caso è verosimilmente affetta da ARDS in seguito a sepsi da endometrite postpartum.

La sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) è una grave malattia acuta polmonare. I fattori scatenanti sono numerosi: polmonite, shock, gravi traumi, sepsi, aspirazione di alimenti (ab ingestis), pancreatite. È caratterizzata da danno diffuso della membrana alveolo-capillare, con edema polmonare non cardiogenico (ricco di proteine) e insufficienza respiratoria acuta (ARF). Si osserva reclutamento di neutrofili nei capillari alveolari e formazione di membrane ialine. I neutrofili rilasciano chemochine (che richiamano istiociti), producono ROS, proteasi, leucotrieni, fattore di attivazione piastrinica, prostaglandine e altre molecole che danneggiano le barriere tra capillari e spazi aerei. Gli alveoli e l’interstizio si riempiono di proteine, detriti cellulari e liquido, con distruzione del surfattante, collasso alveolare e mismatch ventilazione/perfusione.

L’ARDS determina grave ipossiemia refrattaria all’ossigenoterapia. I criteri diagnostici comprendono:

– Opacità bilaterali alla RX non spiegabili da versamento, atelettasia o noduli.

– PaO2/FiO2 ?200 mmHg.

– Assenza di evidenza clinica di aumentata pressione atriale sinistra o insufficienza cardiaca (PCWP <18 mmHg). Una pressione di incuneamento capillare polmonare >18 mmHg orienta invece verso edema polmonare cardiogeno.

Secondo la “Definizione di Berlino 2012” l’ARDS si classifica in:

– Lieve: PaO2/FiO2 ?200 mmHg.

– Moderata: PaO2/FiO2 ?100 mmHg.

– Grave: PaO2/FiO2 ?100 mmHg.


12 di 22 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

Per il paziente diabetico è essenziale assumere cibi a basso indice glicemico. Qual è tra i seguenti alimenti quello che presenta il più basso indice glicemico?

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La risposta corretta è la A.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza. L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: serve un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si accompagnano anche ad alterazioni del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, retina, arti inferiori) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie periferiche). Il diabete si classifica in due tipologie principali: diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), con cause immuno-mediate o idiopatiche; diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e relativa deficienza insulinica, che nella maggior parte dei casi non richiede terapia insulinica. Esiste anche il diabete gestazionale, che si manifesta in gravidanza e regredisce dopo il parto. Tra le forme secondarie: pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori), patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite), patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante), tossicità da farmaci o sostanze (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.). Il diabete può progredire a lungo senza sintomi. Si calcola che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% rimane non diagnosticato. Per la diagnosi: glicemia a digiuno ?126 mg/dl in due misurazioni, glicemia random >200 mg/dl in presenza di sintomi (poliuria, polidipsia, nicturia), curva da carico con 75 g di glucosio (diagnosi se glicemia >200 mg/dl a 2 ore). Prima del test, la glicemia basale deve essere <126 mg/dl. Il test va eseguito in pazienti non ricoverati, in buone condizioni cliniche, dopo dieta abituale (non ridotta in carboidrati), a digiuno dalla mezzanotte, senza febbre, stress o fumo. Indicazioni alla curva da carico: glicemia alterata a digiuno (100–125 mg/dl), familiarità per diabete dai 30-40 anni, obesità, complicanze cardiovascolari (TIA, angina, claudicatio), soprattutto se obesi e fumatori, infezioni urinarie o cutanee ricorrenti con glicemia alterata. Il 90% dei casi è di tipo II, storicamente detto diabete dell’adulto (esordio >40 anni), ma oggi è sempre più precoce (anche a 18 anni), correlato all’obesità, in particolare infantile (Italia con alta prevalenza, soprattutto nel centro-sud). Nei gemelli monozigoti la concordanza è ~100% nel tipo II, mentre nel tipo I, pur avendo componente genetica, è solo del 50% per il ruolo di fattori ambientali. Anche nei monozigoti separati alla nascita la concordanza del tipo II rimane elevata, a dimostrazione della forte componente genetica, ancora non del tutto chiarita.


13 di 22 Domande

Scenario XE13R: Un paziente di 82 anni presenta versamento pleurico monolaterale recidivante. In anamnesi è segnalata esposizione lavorativa all'amianto per diversi anni. Non sono note altre patologie croniche e non assume terapia domiciliare. Nel sospetto di mesotelioma pleurico, qual è l'accertamento che permette di formulare una diagnosi definitiva?














La risposta corretta è la A.
Il mesotelioma pleurico è tumore maligno a prognosi infausta che origina dal mesotelio costituente la pleura, cioè quella membrana sierosa che avvolge e protegge i polmoni e ne riveste la cavità entro cui essi risiedono; si tratta dell’ unica neoplasia conosciuta della pleura ed in quasi tutti i casi è provocato dall'esposizione all'amianto: i lavoratori dell'asbesto hanno un rischio fino al 10% di sviluppare mesotelioma pleurico, con una latenza media di circa 30 anni.
Il quadro sintomatologico si caratterizza principalmente per dispnea e dolore toracico non pleuritico (rari inizialmente e più evidenti negli stadi avanzati della malattia) a cui si accompagnano anche raucedine, disfagia, sindrome di Horner, plessopatia brachiale, ascite, dovuti all’ invasione della parete toracica e delle strutture ad essa vicine.
Nella diagnosi si possono usare RX torace, che mostra un ispessimento pleurico diffuso mono o bilaterale che generalmente arriva ad obliterare i seni costo-frenici, esame citologico del liquido pleurico, ma la diagnosi di certezza è istologica e si basa sulla biopsia pleurica toracoscopica o a cielo aperto; determinato così che si tratti proprio di un mesotelioma pleurico, la stadiazione del tumore può essere fatta con TC del torace, mediastinoscopia, RM o talvolta con PET e broncoscopia.
Trattandosi di un tumore a prognosi infausta con sopravvivenza a lungo termine rara, il trattamento si basa principalmente su terapia di supporto che comprende la pleurodesi o la pleurectomia, per ridurre l’ eventuale versamento pleurico e attenuare la dispnea, l’ analgesia con oppiacei e, talvolta, la radioterapia e chemioterapia per la riduzione della massa tumorale e il conseguente miglioramento dei sintomi. L'intervento chirurgico (che prevede la rimozione di pleura, polmone omolaterale, nervo frenico, emidiaframma e pericardio), combinato con la chemioterapia o la radioterapia, può essere preso in considerazione in base allo stadio del tumore e alle condizioni cliniche del paziente anche se non modifica sostanzialmente la prognosi o il tempo di sopravvivenza.

14 di 22 Domande

Scenario PA42R: Un paziente si presenta in Pronto Soccorso con febbre, tosse e difficoltà respiratorie. Vengono eseguiti un prelievo e RX torace che documenta una polmonite lobare sinistra. In un uomo adulto senza comorbilità quale trattamento antibiotico NON è appropriato in una terapia empirica?














La risposta corretta è la D.
La polmonite acquisita in comunità è un'infezione acuta del parenchima polmonare in un paziente che ha acquisito l'infezione nella comunità , a differenza della polmonite acquisita in ospedale che viene definita nosocomiale.
Dal punto di vista anatomo-patologico le infezioni polmonari si distinguono in forme con prevalente impegno alveolare, polmoniti tipiche, e polmoniti con prevalente impegno interstiziale, polmoniti atipiche.
Le prime si estrinsecano con quadri di polmonite lobare e broncopolmonite; nella polmonite lobare vi è un interessamento lobare massivo e sono descritte almeno 4 fasi del processo patologico, oggi modificati dall’ uso della terapia antibiotica. Il primo stadio è quello della congestione, il secondo stadio dell’ epatizzazione rossa che si caratterizza per un ulteriore aumento di consistenza del lobo polmonare associato alla scomparsa della ventilazione, il terzo stadio è chiamato di epatizzazione grigia in cui vi è la lisi delle emazie con essudato purulento all’ interno del lobo e la fase finale di risoluzione. Il patogeno più frequentemente responsabile delle polmoniti acquisite in comunità è lo S. Pneumoniae seguito da Hemophilus influenzae e Moraxella Chatarralis, soprattutto nei pazienti con BPCO.
Clinicamente si manifestano con febbre, dispnea, dolore pleurico e tosse produttiva. La diagnosi di polmonite lobare è piuttosto semplice, essendo suggerita dalla clinica e da modificazioni caratteristiche all’ esame obiettivo nelle diverse fasi del processo infettivo, ma può essere validata con l’ esecuzione di un RX torace, esami di laboratorio tra cui emocromo o indici di flogosi, emocolture ed esame dell’ espettorato.
La terapia empirica, nei pazienti in buono stato di salute, potrà essere iniziata a domicilio e prevede l’ uso di un beta-lattamico (amoxicillina- ac. Clavulanico), associato a un macrolide o di un chinolonico in monoterapia, mentre nei pazienti che devono essere sottoposti ad un ricovero ospedaliero, il trattamento empirico prevede l’ uso di un beta-lattamico endovenoso a cui si deve associare un macrolide o un chinolonico.
Il metronidazolo viene utilizzato soprattutto nel caso di batteri anaerobi ed è considerato, pertanto il farmaco d’ elezione della terapia degli ascessi o delle infezioni da Clostridium difficile. ​​​​​​​

15 di 22 Domande

Scenario GG54L: Un uomo di 60 anni si presenta all'attenzione clinica per progressiva e ingiustificata perdita di peso (10 kg nei precedenti 3 mesi), associata ad astenia. L'esame obiettivo evidenzia un'anisocoria pupillare, con pupilla destra miotica. L'occhio destro presenta, inoltre, ptosi palpebrale. Quale delle seguenti indagini diagnostiche risulta più adeguata per individuare la neoplasia che più probabilmente ha determinato tale quadro clinico?














La risposta corretta è la B.
La sindrome di Bernard-Horner o sindrome oculopupillare è una condizione causata da una lesione del tronco del simpatico, che provvede all’ innervazione simpatica di testa, occhi e collo: per cui segni caratteristici sono ptosi, miosi e anidrosi omolaterali alla lesione, dovuti a prevalenza della funzione parasimpatica.
Il tronco del simpatico, che è lesionato in caso di sindrome di Horner, è costituito da diverse tipologie di neuroni posti in serie e chiamati neuroni di primo, di secondo e di terzo ordine: la lesione interessa una di queste classi di neuroni per cui distinguiamo:
Cause che possono agire a livello dei neuroni di primo ordine (che si estendono dall’ ipotalamo al midollo spinale):
Ictus
Tumore cerebrale
Trauma cerebrale o al collo
Siringomielia
Sclerosi multipla
Encefalite
Sindrome di Wallenburg.
Cause che possono agire a livello dei neuroni di secondo ordine (che si estendono a partire dal midollo spinale, attraversano la parte alta del torace e terminano nel collo):
Tumore polmonare
Schwannoma
Danno vascolare di uno dei principali vasi toracici
Intervento chirurgico a livello toracico
Tiroidectomia
Traumi
Paralisi di Klumpke
Tumore della tiroide o gozzo tiroideo.
Cause che possono agire a livello dei neuroni di terzo ordine (che si estendono dal collo fino alla cute del volto e ai muscoli dell’ iride e delle palpebre)
Danno all’ arteria carotide
Danno alla vena giugulare
Tumore della base del cranio
Emicrania e cefalea a grappolo
Trombosi del seno cavernoso.
Tra le cause più frequenti di sindrome di Horner vi è il tumore del polmone, ritenuto la causa più comune di morte per neoplasia negli uomini, anche se, negli ultimi anni, è cresciuto il tasso di mortalità anche nelle donne, a causa della diffusione dell’ abitudine tabagica. L’ iter diagnostico del tumore del polmone prevede in primo luogo l’ accertamento dell’ effettiva presenza del tumore mediante RX torace e TC torace con mdc, che permettono la visualizzazione della lesione e la sua localizzazione. Il secondo livello diagnostico consiste nella caratterizzazione istologica per accertare la natura e l’ istotipo della neoplasia: se il tumore cresce all’ interno del bronco, si potranno eseguire prelievi della mucosa bronchiale tramite fibrobroncoscopia, se invece la lesione è periferica si può ricorrere ad agoaspirato e/o a una biopsia TC-guidata. Il terzo livello diagnostico prevede l’ esecuzione di una TC total body e di una PET per valutare la presenza di localizzazioni a distanza.

16 di 22 Domande

Scenario TF3A: Una paziente di 32 anni affetta da fibrosi cistica ha un'insufficienza respiratoria terminale e irreversibile. Deve essere pertanto candidata a trapianto. A quale tipo di trapianto deve essere sottoposta la paziente?














La risposta corretta è la B.
La fibrosi cistica è una malattia genetica a trasmissione autosomica recessiva causata da mutazione del gene CFTR presente sul braccio lungo del cromosoma 7. Questo codifica per una proteina, anch’ essa detta CFTR, che funge da canale per il trasporto del cloro a livello della membrana cellulare; ad oggi sono note più di 1500 mutazioni, tra le quali la più frequente è la mutazione F508del che comporta l’ assenza della fenilalanina in posizione 508.
Le mutazioni del gene CFTR causano la produzione di muchi e secrezioni particolarmente densi e viscosi con interessamento delle vie aeree, delle ghiandole sudoripare, del pancreas, del fegato, dell’ intestino e dei vasi deferenti testicolari.
Da un punto di vista clinico si manifesta caratteristicamente con ileo da meconio alla nascita, sintomi di mal digestione pancreatica (come steatorrea, riduzione della crescita, anemia, ipoalbuminemia), sintomi respiratori, in particolare tosse, sinusiti, bronco-ostruzione e infezioni recidivanti che causano la gran parte della morbilità e della mortalità di questi pazienti, diabete dovuto principalmente a deficit della sintesi di insulina, osteoporosi e infertilità nel maschio.
La diagnosi è clinica e confermata dal risultato patologico del test del sudore (cloro sudorale> 60mEq/l); eventualmente si esegue l’ analisi genetica.
La terapia è palliativa, rivolta agli aspetti clinici più rilevanti:
- Trattamento dell’ insufficienza pancreatica con somministrazione di estratti pancreatici e vitamine liposolubili
- Fabbisogno energetico aumentato
- Trattamento del diabete con insulina
Trattamento delle manifestazioni broncopolmonari:
- Delle esacerbazioni con antibiotici
- Di base con rimozione del muco bronchiale, impiego di mucolitici, di antiinfiammatori, di borncodilatatori e di antibiotici per via inalatoria.
Il trapianto polmonare bilaterale rappresenta un’ opportunità terapeutica in presenza di insufficienza respiratoria cronica, scarsa risposta alla terapia medica e riduzione delle capacità funzionali, offrendo un vantaggio per la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti. È necessario trapiantare entrambi i polmoni poiché lasciare un polmone nativo in posizione presenterebbe un’ enorme fonte di secrezioni infette che minaccerebbe il polmone trapiantato. Raramente si esegue un trapianto cuore-polmoni in caso di pazienti con concomitante insufficienza cardiaca sinistra.

17 di 22 Domande

Scenario ZP1Y: Si presenta all'attenzione medica un paziente di 68 anni, fumatore, con storia di esposizione professionale a polveri, per tosse produttiva e dispnea. Se la prima ipotesi diagnostica fosse Bronco-Pneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) riacutizzata, quale di queste serie di provvedimenti terapeutici sarebbe la piu' appropriata?














La Risposta corretta e' la B
Con il termine di broncopneumopatia cronica ostruttiva si intende un quadro patologico in cui il flusso aereo viene compromesso e comprende la bronchite cronica ostruttiva e l’ enfisema. E’ spesso correlata all’ esposizione professionale e al fumo di sigaretta; può insorgere in soggetti con carenza di α1-antitripsina. Lo sviluppo della BPCO avviene nel corso del tempo e, quando conclamata, i soggetti affetti presentano respiro sibilante, prolungamento della fase espiratoria ed attenuazione del murmure vescicolare. L’ ostruzione bronchiale ha in genere un andamento progressivo ed è accompagnata da un’ abnorme Risposta infiammatoria broncopolmonare a inquinanti ambientali in particolare il fumo. La BPCO deriva da un'ostruzione del flusso d'aria polmonare, che porta ad un intrappolamento dell’ aria nei polmoni con conseguente aumento del volume residuo (VR), della capacità funzionale residua (FRC) e della capacità polmonare totale (TLC). Caratteristica, peculiare nella BPCO è che questa ostruzione, a differenza di quella presente nei pazienti con asma bronchiale, non è completamente reversibile dopo somministrazione di un broncodilatatore.
Non esiste una cura definitiva per la BPCO, ma si possono assumere dei comportamenti di vita (smettere di fumare) e delle terapie finalizzate ad ottenere una migliore qualità di vita ed a rallentare il decorso della malattia. La terapia consiste essenzialmente nella somministrazione di:
- broncodilatatori che hanno la funzione di rilassare la muscolatura peri-bronchiale e favorire la loro apertura e di conseguenza la respirazione e se si soffre di una BPCO di grado lieve può essere sufficiente assumere un broncodilatatore ad azione rapida solo quando si presentano i sintomi, se invece la BPCO è moderata o grave si deve assumere una terapia regolare con broncodilatatori a lunga e breve durata di azione;
- glucocorticosteroidi inalatori, al fine di trattare i sintomi che si manifestano all’ improvviso e/o sono molto gravi;
- ossigenoterapia, se si tratta di una forma grave e la saturazione di ossigeno a livello ematico è bassa.
Tutte le altre terapia proposte sono errate (Risposte A, C e D errate).

18 di 22 Domande

Il mesotelioma pleurico e' associato all'esposizione a:














La risposta corretta è la A.
Il mesotelioma è un tumore che trae origine dalla trasformazione neoplastica delle cellule mesoteliali di rivestimento delle principali cavità sierose: pleura, peritoneo e pericardio. Ha più spesso sede a livello pleurico (60-70% dei casi).
Il mesotelioma pleurico colpisce in prevalenza i soggetti di sesso maschile con un picco di massima incidenza al 5-6 ° decennio di vita.
Numerose evidenze sperimentali e cliniche hanno dimostrato l’ esistenza di un rapporto di causa-effetto tra l’ esposizione all’ asbesto e l’ insorgenza del mesotelioma.
L’ importanza dell’ asbesto nell’ industria moderna è legata ai molteplici usi del minerale: nelle costruzioni edilizie e nei cantieri navali per le sue proprietà isolanti e coibenti, nell’ industria automobilistica e per la realizzazione di tessuti e carte; inoltre, questo minerale è presente anche in ambiente domestico.
Le proprietà oncogene dell’ asbesto sono legate a diversi fattori: il tipo di fibra, il tempo di esposizione, la biopersistenza della fibra e le sue proprietà di superficie.
Le fibre di asbesto vengono inalate e per la maggior parte eliminate attraverso la via respiratoria o intestinale. La quota di minerale che non viene rimossa dal movimento delle ciglia vibratili tracheali o dall’ ingestione da parte dei macrofagi alveolari attraversa l’ endotelio e penetra nei tessuti interstiziali; le fibre tendono ad accumularsi al terzo inferiore del polmone in contiguità con la pleura viscerale.
Sembra che l’ azione cancerogena sia legata a comparsa di anomalie cromosomiche, danneggiamento delle membrane lisosomiali, assorbimento e trasporto da parte della fibra di cancerogeni.
Clinicamente, i mesoteliomi solitari sono spesso silenti e i sintomi si manifestano solo quando il volume della neoplasia provoca sintomi da compressione. Sintomi caratteristici sono: dolore toracico, febbre, tosse, dispnea, versamento pleurico emorragico.
La diagnosi si basa sull’ esame radiologico, sull’ esame chimico-fisico e citologico del liquido pleurico e sulla biopsia della pleura.
Il trattamento è attualmente molto controverso e oscilla tra l’ astensionismo terapeutico e il ricorso a terapie combinate, prevalentemente di chemio e radioterapia.

19 di 22 Domande

Scenario AA4Q: A un paziente di 73 anni viene diagnosticato un mesotelioma di tipo epiteliomorfo II stadio. Il paziente e' in buone condizioni con funzionalita' respiratoria e cardiologica normali. La terapia sara':














La risposta corretta è la D.
Il mesotelioma è un tumore che trae origine dalla trasformazione neoplastica delle cellule mesoteliali di rivestimento delle principali cavità sierose: pleura, peritoneo e pericardio. Ha più spesso sede a livello pleurico (60-70% dei casi).
Il mesotelioma pleurico colpisce in prevalenza i soggetti di sesso maschile con un picco di massima incidenza al 5-6 ° decennio di vita.
Numerose evidenze sperimentali e cliniche hanno dimostrato l’ esistenza di un rapporto di causa-effetto tra l’ esposizione all’ asbesto e l’ insorgenza del mesotelioma.
Il trattamento del mesotelioma pleurico è attualmente molto controverso.
La chirurgia radicale viene eseguita solo nell’ 1-5% dei casi ed è indicata nei pazienti con mesotelioma pleurico epiteliomorfo non disseminato al di fuori dell'emitorace coinvolto (stadio clinico I-III), in buone condizioni generali e in assenza di comorbidità . Data la morbilità e la potenziale mortalità associata alla chirurgia, il suo impiego dovrebbe essere limitato a situazioni in cui la chirurgia comporti una resezione completa e radicale. L’ intervento d’ elezione, quindi, è rappresentato dalla pleuropneumonectomia seguita dalla chemioterapia.
Interventi chirurgici meno demolitivi sono rappresentati dalla pleurectomia/decorticazione che, tuttavia, non assicurano la radicalità oncologica e hanno sostanzialmente un valore palliativo.
La radioterapia presenta risultati molto deludenti sia per la radio-resistenza della neoplasia sia per la necessità di utilizzare campi di irradiazione molto estesi che possono comportare danni agli organi limitrofi. Quindi la radioterapia presenta un ruolo essenzialmente palliativo o profilattico.
Anche i farmaci antiproliferativi hanno dimostrato scarsa efficacia, con tasso di risposta ai singoli agenti che non supera il 20% e sopravvivenza mediana di 3-17 mesi. I farmaci maggiormente impiegati sono le antracicline, gli analoghi del platino, gli antimetaboliti, gli antifolici e gli alcaloidi della vinca. Sembrerebbe che solo l’ associazione cisplatino con pemetrexed sia in grado di migliorare il tasso di risposta e la sopravvivenza mediana.

20 di 22 Domande

Quale delle seguenti e' una manifestazione dell'iperventilazione prolungata?














La risposta corretta è la C.
​​​​​​​L’ iperventilazione è una condizione dovuta ad una aumentata frequenza respiratoria, da molteplici cause, definita tachipnea. La frequenza respiratoria ha una importanza fondamentale nell’ equilibrio acido base del nostro corpo; i principali regolatori del pH ematico sono infatti i polmoni, i reni e i sistemi tampone del sangue. I polmoni permettono una modifica rapida del pH regolando la maggiore o minore eliminazione della CO2. Una ridotta frequenza respiratoria porterà una minore ventilazione alveolare con minore eliminazione della CO2: l’ ipercapnia comporterà una acidosi ematica di tipo respiratorio. Al contrario, un aumento della frequenza respiratoria porterà ad una aumentata eliminazione della CO2, con ipocapnia e alcalosi respiratoria. Nell’ alcalosi respiratoria il pH ematico sale al di sopra del valore di 7,42. Se questo avviene in maniera acuta, i meccanismi di compenso renale non fanno in tempo ad attivarsi, per cui la sintomatologia sarà più evidente. Il paziente potrà presentare nausea, vomito, aritmie, disturbi neurologici a causa della costrizione del circolo cerebrale (la CO2 è un vasodilatatore), turbe nervose periferiche e muscolari come parestesie, crampi muscolari e tetania, per la presenza di ipocalcemia. In condizioni di alcalosi infatti, il calcio ematico tende a legarsi in misura maggiore alle proteine plasmatiche, riducendo la sua quota libera.
La risposta A non è corretta.
Nell’ iperventilazione prolungata, nelle manifestazioni acute, la saturazione arteriosa dell’ ossigeno e la sua pressione parziale risultano normali e non si ha quindi ipossiemia. Si può avere ipossiemia nel protrarsi dell’ iperventilazione poiché l’ ipocapnia causa un ritardo nello stimolo respiratorio.
La risposta B non è corretta.
​​​​​​​Nell’ iperventilazione prolungata, l’ alcalosi ematica porta ad un maggior legame del calcio ematico alle proteine plasmatiche, causando ipocalcemia e non ipercalcemia.
La risposta D non è corretta.
In caso di alcalosi, oltre all’ ipocalcemia, si può avere anche ipofosfatemia per lo spostamento di questo ione all’ interno delle cellule
La risposta E non è corretta.
Nell’ iperventilazione prolungata si ha nelle fasi iniziali una condizione di normossia o di iperossia, e una ipocalcemia dovuta al maggior legame del calcio alle proteine plasmatiche.

21 di 22 Domande

Quale delle seguenti condizioni NON provoca un aumento del volume residuo respiratorio?














La risposta corretta è la A.
​​​​​​​Il volume residuo viene considerato un volume polmonare statico ed è il volume di gas che rimane all’ interno dei polmoni al termine di una espirazione massimale. Ha un valore medio di 1,2 l nelle donne e di 1,4 litri negli uomini, ma può superare anche i 2 l nei soggetti di statura importante. La misurazione del volume residuo non può essere fatta mediante spirometria ma attraverso le tecniche di diluizione dei gas. La valutazione dei risultati ottenuti, ci consente di orientare l’ eventuale risultato patologico ottenuto nell’ ambito delle incapacità ventilatorie di tipo ostruttivo o restrittivo. L’ aumento del volume residuo all’ interno del polmone è tipico delle patologie polmonari di tipo ostruttivo, cioè quelle patologie in cui, per riduzione del calibro delle vie aeree o per perdita dell’ elasticità polmonare, si ha una riduzione del flusso espiratorio. La sarcoidosi polmonare è una patologia infiammatoria cronica caratterizzata dalla formazione di granulomi. Può causare un quadro respiratorio di tipo restrittivo. Le condizioni restrittive da patologie polmonari intrinseche sono generalmente associate alla fibrosi dell’ interfaccia alveolo capillare; il coinvolgimento del parenchima polmonare può limitare la capacità di espansione del polmone e determinare maggiore rigidità , con minore ingresso di aria durante l’ insufflazione. Il volume residuo in queste patologie sarà ridotto e non aumentato.
La risposta B non è corretta.
​​​​​​​L’ asma è una patologia respiratoria dovuta ad una ipereattività della muscolatura liscia delle vie aeree in risposta a stimoli di varia natura, con ostruzione reversibile o parzialmente reversibile del flusso espiratorio. Rientra fra le patologie polmonari determinanti un quadro respiratorio di tipo ostruttivo. Il volume residuo sarà aumentato.
La risposta C non è corretta.
La broncopneumopatia cronica ostruttiva, come dice il nome, è una patologia infiammatoria cronica del polmone che causa un pattern respiratorio di tipo ostruttivo. A differenza dell’ asma, la broncocostrizione non è reversibile. Il volume residuo sarà aumentato.
La risposta D non è corretta.
L’ enfisema è una patologia polmonare cronica e progressiva caratterizzata dal sovvertimento dell’ architettura polmonare per dilatazione permanente degli acini, con la formazione di bolle, e distruzione della componente elastica interstiziale. E’ una patologia respiratoria con pattern ostruttivo; il volume residuo sarà aumentato.
La risposta E non è corretta.
La sarcoidosi non causa un aumento del volume residuo.

22 di 22 Domande

Il volume di riserva espiratoria rappresenta:














La risposta corretta è la B.
I volumi polmonari sono misurati con la spirometria e consentono di valutare la funzione respiratoria di un paziente. Si possono distinguere volumi polmonari statici, misurati con respirazioni lente, e volumi polmonari dinamici, misurati tramite delle respirazioni veloci.
I volumi polmonari statici comprendono:
- Volume corrente o Volume Tidal: rappresenta la quantità di aria che viene mobilizzata con ogni atto respiratorio non forzato ed è pari circa a 300-500 ml;
- Volume di riserva inspiratoria: è la quantità di aria che dopo un’ inspirazione normale può essere ancora introdotta nei polmoni con un’ inspirazione forzata;
- Volume di riserva espiratoria: è la quantità di aria che può essere espirata con un’ espirazione forzata dopo un’ espirazione lenta.
- Volume residuo: rappresenta la quantità di aria che resta nei polmoni a seguito di un’ espirazione forzata.
Il più importante volume polmonare dinamico, invece, è il volume espiratorio massimo in 1 secondo (FEV1) che rappresenta la quantità di aria espirata nel primo secondo di un’ espirazione forzata.
La somma dei volumi, invece, prende il nome di capacità polmonare; possiamo identificare:
- Capacità vitale: rappresenta la quantità di aria che può essere mobilizzata con un atto respiratorio partendo da un’ inspirazione forzata e arrivando ad un’ espirazione forzata; è la somma del volume corrente, quello di riserva espiratorio e quello di riserva inspiratorio;
- Capacità polmonare totale: è la massima quantità di aria che po' essere contenuta nei polmoni; si ricava dalla somma della capacità vitale e volume residuo;
- Capacità inspiratoria: è la massima quantità di aria che si può inspirare con un’ inspirazione forzata partendo da una respirazione lenta; è ottenuta dalla somma del volume corrente e del volume di riserva inspiratorio;
- Capacità funzionale residua: è l’ aria che resta nei polmoni e nelle vie respiratorie dopo un normale atto respiratorio e si ottiene mediante la somma del volume residuo e del volume di riserva espiratoria.
Un indice importante è quello di Tiffaneau ottenuto dal rapporto tra FEV1 e capacità vitale forzata: consente di differenziare disturbi della respirazione dovuti a cause ostruttive da quelli dovuti a cause restrittive.

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