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1 di 24 Domande

Quale complicanza clinica NON si riscontra nell'IRC terminale?














La risposta corretta è la B

Nell’IRC terminale non si riscontra come complicanza l’artrite. La malattia renale cronica è classificata in 5 stadi: Stadio 1: velocità di filtrazione glomerulare normale (≥90 mL/min/1,73 m²) con albuminuria persistente o malattia renale strutturale o ereditaria; Stadio 2: 60-89 mL/min/1,73 m²; Stadio 3a: 45-59 mL/min/1,73 m²; Stadio 3b: 30-44 mL/min/1,73 m²; Stadio 4: 15-29 mL/min/1,73 m²; Stadio 5: <15 mL/min/1,73 m². La velocità di filtrazione glomerulare può essere stimata tramite l’equazione CKD-EPI: 141 × (creatinina sierica)^-1,209 × 0,993^età, moltiplicata per 1,018 se donna e 1,159 se afroamericano (1,1799 per donne afroamericane). Questo calcolo è poco accurato negli anziani sedentari, obesi o molto magri. In alternativa, si può usare l’equazione di Cockcroft-Gault per stimare la clearance della creatinina, che tende a sovrastimare del 10-40%. Le complicanze comprendono quelle neurologiche (neuropatia periferica), ematologiche (anemia da ridotta produzione di eritropoietina), scheletriche (osteodistrofia, risposte C-D-E errate) e pericardite nel 20% dei pazienti con insufficienza renale (risposta A errata).


2 di 24 Domande

Nella brucellosi acuta qual e' il titolo minimo per la diagnosi:














La risposta corretta è la C.

La brucellosi (nota anche come "febbre ondulante", "febbre mediterranea" o "febbre maltese") è un’infezione zoonotica trasmessa all’uomo da animali infetti (bovini, ovini, caprini, cammelli, suini o altri) attraverso l’ingestione di prodotti alimentari non pastorizzati, in particolare lattiero-caseari, oppure per contatto diretto con tessuti o fluidi contaminati. Va sospettata in pazienti con febbre, malessere, sudorazione notturna e artralgie in presenza di esposizione epidemiologica significativa, come consumo di prodotti caseari non pastorizzati, contatto con animali in aree endemiche o esposizione professionale. Una diagnosi presuntiva può essere formulata sulla base di:

  • titolo anticorpale totale anti-Brucella ≥1:160 mediante test di agglutinazione in provetta standard su siero prelevato dopo l’insorgenza dei sintomi;
  • rilevazione del DNA di Brucella in un campione clinico tramite reazione a catena della polimerasi (PCR).

3 di 24 Domande

In figura è rappresentato uno schema della sequenza genica che costituisce l’operone Lac (sequenza genica che regola la produzione delle lattasi) dei procarioti. Si tratta di una sequenza regolatrice che determina la produzione di lattasi, quando?

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La risposta corretta è la B

La domanda chiede quando l’operone lac, sequenza regolatrice della produzione di lattasi, induce l’espressione: la risposta corretta è “Quando è presente lattosio nel mezzo di coltura”. Nel sistema lac dei procarioti, in assenza di lattosio il repressore LacI si lega all’operatore e impedisce all’RNA polimerasi di trascrivere i geni lacZYA; quando è presente lattosio, una parte viene isomerizzata in allolattosio che funge da induttore legandosi a LacI, causandone il distacco dall’operatore e consentendo l’avvio della trascrizione, inclusa la sintesi di β-galattosidasi (lattasi). L’espressione è massima se il glucosio è basso perché il complesso cAMP-CAP facilita il reclutamento dell’RNA polimerasi, ma la condizione chiave che rimuove la repressione è la presenza di lattosio. In sintesi, il lattosio segnala alla cellula di esprimere gli enzimi necessari al suo metabolismo attivando l’operone lac.


4 di 24 Domande

Un bambino di 2 anni di origine africana si presenta con tumefazioni dolorose della mani e piedi. Dati di laboratorio mettono in evidenza una emoglobina di 9g/dl, una conta dei globuli bianchi di 11500/mm3 ed una conta delle piastrine di 250000/mm3. Quale dei seguenti esami di laboratorio dara' supporto alla tua diagnosi?














La risposta corretta è la B

Il quadro clinico descritto è compatibile con anemia falciforme o drepanocitosi, un’emoglobinopatia caratterizzata dalla produzione di catene globiniche quantitativamente normali ma qualitativamente alterate. La causa della deformazione dei globuli rossi è una sostituzione amminoacidica (Glu → Val) che favorisce l’aggregazione delle molecole di Hb con formazione di polimeri simili a pali nel citoplasma eritrocitario. La polimerizzazione, che avviene soprattutto nello stato deossigenato, determina deformazione e la caratteristica forma a falce dei globuli rossi. Questa condizione provoca squilibri che riducono elasticità e vitalità cellulare. I globuli rossi danneggiati rappresentano il principale trigger delle crisi vaso-occlusive, responsabili di fenomeni infartuali a livello del microcircolo, che spesso si manifestano con tumefazioni dolorose di mani e piedi. La prima manifestazione clinica è l’emolisi cronica con pallore, subittero o ittero, astenia, litiasi della colecisti e segni della deplezione di ossido nitrico. A livello arterioso si osserva diatesi trombotica per disfunzione endoteliale. L’emolisi cronica rappresenta uno stato di equilibrio, interrotto più o meno frequentemente da crisi vaso-occlusive. Tra le manifestazioni vaso-occlusive, tipica è l’ostruzione dei vasi retinici, che porta a cecità parziale o totale e determina cicatrici corio-retiniche, una delle manifestazioni retiniche più comuni e patognomoniche dell’anemia falciforme. Dal punto di vista laboratoristico, si osserva riduzione dell’Hb; la diagnosi è confermata da striscio periferico, test di solubilità ed elettroforesi dell’emoglobina, che evidenzia le anomalie strutturali.


5 di 24 Domande

Il Sig. Versici, un uomo di circa 70 anni, si reca presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, Il Dott. Mancini, per un fastidio al polso destro. Anamnesi patologica prossima: lamenta dolore al polso destro da circa due giorni.

Anamnesi patologica prossima: positiva per due interventi di chirurgia sostitutiva dell'anca, due precedenti episodi di gotta in entrambe le prime articolazioni metatarso-falangee ed ipertensione. Esame obiettivo: il Dott. Mancini visitandolo riscontra la presenza di rossore e gonfiore sul versante dorsale del polso. La sintomatologia dolorosa viene esacerbata da movimenti di flesso-estensione completi. Gli vengono prescritti 80 mg di aspirina al giorno. Due giorni dopo il gonfiore però è aumentato sul versante dorsale del polso ed a livello della mano. La flessione del polso risulta limitata dell' 80% con dolore severo, pertanto il Sig. Versici si reca nuovamente presso l’ ambulatorio del Dott. Mancini, che rivisitandolo nota che evoca un dolore sordo alla palpazione dello scafoide e pertanto nel sospetto di frattura gli prescrive un esame radiografico del polso/mano. Esami strumentali-laboratoristici: evidenza di alterazioni riconducibili ad un quadro di artrite gottosa. Quale tipo di citochine sono coinvolte in questo processo?

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La risposta corretta è la C.

La flogosi è un meccanismo di difesa di tipo aspecifico: risponde all’agente lesivo di tipo fisico-meccanico, radiazioni, batteri o sostanze chimiche. È quindi la risposta al danno tissutale ed è un processo reattivo (diverso dalla necrosi che è regressiva), aspecifico (contro tutto ciò che causa danno), stereotipato (stessi meccanismi principali a prescindere dalla causa, con vie diverse secondo lo stimolo), e procede indipendentemente dalla causa (una volta innescato, continua anche se lo stimolo è rimosso). Nella fase acuta si ha aumento del flusso ematico e della permeabilità vascolare, con accumulo di fluidi, leucociti e mediatori come le citochine. Vari fattori solubili favoriscono il reclutamento dei leucociti aumentando l’espressione di molecole di adesione e di fattori chemiotattici. Le citochine chiave sono IL-1, TNF-α, IL-6, IL-8 e altre chemochine; IL-1 e TNF-α sono particolarmente potenti, inducono febbre promuovendo la sintesi di PGE2 nell’endotelio ipotalamico. L’IL-1 è prodotta da macrofagi, neutrofili, cellule endoteliali ed epiteliali: a basse concentrazioni induce adesione leucocitaria, ad alte induce febbre e proteine di fase acuta. Diversamente dal TNF-α, non causa da sola shock settico. Inoltre stimola i mastociti al rilascio di istamina, con vasodilatazione precoce e aumento della permeabilità.

Durante l’infiammazione avvengono: (1) modificazioni di flusso e calibro vascolare con aumento del flusso sanguigno, (2) modificazioni del microcircolo e formazione dell’essudato, (3) richiamo chemiotattico dei leucociti, (4) fagocitosi. Dopo lo stimolo lesivo si ha vasocostrizione transitoria seguita da vasodilatazione intensa (iperemia attiva, responsabile di rubor e calor). Successivamente si verifica rallentamento della circolazione (iperemia passiva o stasi), dovuto ad aumentata permeabilità capillare con essudazione proteica e aumento della viscosità ematica. Il modello tipico dell’infiammazione acuta comprende: alterazioni di flusso e calibro, iperemia attiva e passiva, permeabilizzazione endoteliale con essudato, migrazione leucocitaria e chemiotassi, fagocitosi.

La chemiotassi è movimento orientato lungo un gradiente chimico; gli stimoli possono essere esogeni (prodotti batterici) o endogeni (complemento, leucotrieni, citochine). Durante la stasi i neutrofili si dispongono lungo l’endotelio (marginazione). Segue l’adesione: i leucociti rotolano con legami labili, poi aderiscono stabilmente formando la “pavimentazione”. Successivamente attraversano l’endotelio (diapedesi) e migrano verso lo stimolo. L’endotelio normalmente è continuo e liscio, ma nell’infiammazione aumenta la permeabilità ed esprime molecole di adesione preformate (es. P-selectina dai corpi di Weibel-Palade).

Le principali molecole di adesione sono: selectine (E sull’endotelio, P sull’endotelio in infiammazione, L sui leucociti, legano zuccheri); immunoglobuline (ICAM-1 e VCAM-1, interagiscono con integrine leucocitarie, le ICAM-1 si legano alle integrine β2); VCAM-2 proprie dell’endotelio; integrine (già presenti sui leucociti, ma con bassa affinità: aumentano l’avidità a seguito di stimoli chemiokinici e dell’induzione di ICAM/VCAM-1). Le citochine IL-1 e TNF inducono fortemente la sintesi di ICAM-1 e VCAM-2, molecole implicate nei legami forti, la cui espressione richiede più tempo.


6 di 24 Domande

Il Sig. Mariani, un uomo di 78 anni si reca presso il PS del Policlinico Torvergata di Roma, a causa di un episodio di dispnea acuta. Anamnesi patologica prossima: lamenta comparsa di episodi di tosse produttiva, gonfiore degli arti inferiori e dei piedi, astenia, che perdurano da 3 settimane. Inoltre, da due mesi a questa parte, si sono presentate crisi di dispnea da sforzo ingravescente. Anamnesi patologica remota: una decina di anni prima è stato sottoposto ad un intervento di chirurgia sostitutiva per impianto di protesi valvolare di suino, a causa di un rigurgito della valvola mitrale di grado severo. Il paziente è affetto da coronaropatia, diabete mellito di tipo 2 ed ipertensione. Anamnesi fisiologica: ha fumato per 55 anni un pacchetto di sigarette al giorno e abitualmente beve una birra al giorno. Anamnesi farmacologica Attualmente prende diversi farmaci tra cui cardioaspirina, simvastatina, ramipril, metoprololo, metformina e idroclorotiazide. Esame obiettivo: si presenta dall’ aspetto pallido. L’ uomo è alto 181 cm e pesa 128 kg, con una BMI di circa 41 kg/m2. Ha una temperatura corporea di 37.3 °C , frequenza respiratoria di 23 atti/min, frequenza cardiaca di 97 bpm, e pressione arteriosa di 148/95 mm Hg. All’ auscultazione del torace si riscontra la presenza di rantoli alle basi polmonari bilateralmente. L’ esame obiettivo del cuore rivela la presenza di un battito apicale dislocato lateralmente e la presenza, a livello dell’ apice, di un soffio diastolico 3/6 di intensità decrescente. Inoltre si osserva la presenza di edemi improntabili bilateralmente a livello dei piedi e delle caviglie. Il resto dell’ esame obiettivo non mostra altre anomalie. Quale tra le seguenti è la causa più probabile dei sintomi di questo paziente?

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La risposta D è corretta.

Il paziente circa 10 anni fa si era sottoposto a un intervento di sostituzione protesica con impianto di protesi valvolare suina per severo rigurgito mitralico. Il trattamento di una valvulopatia, a meno che non sia di grado medio-elevato e clinicamente significativa, richiede solo un controllo periodico, mentre l’intervento chirurgico è indicato in presenza di una lesione moderata o grave responsabile di sintomi e/o disfunzione cardiaca. Le opzioni vanno dalla valvuloplastica alla riparazione fino alla sostituzione, che può essere effettuata con protesi meccaniche (preferite nei pazienti <65 anni o con lunga aspettativa di vita, ma richiedono anticoagulazione cronica con warfarin per prevenire tromboembolismo) o biologiche (suine o bovine, più soggette a deterioramento sclero-fibrotico, con durata media 10-15 anni). Una complicanza possibile delle protesi biologiche è l’ostruzione/stenosi o il rigurgito, entrambi responsabili di scompenso cardiaco.

L’endocardite infettiva insorge in presenza di una predisposizione endocardica (patologie congenite, reumatiche, valvole bicuspidi calcifiche, prolasso mitralico, cardiomiopatia ipertrofica, precedente endocardite). Fattori predisponenti sono protesi valvolari, tossicodipendenza, diabete, uso cronico di anticoagulanti o steroidi, età avanzata. Agenti più comuni sono streptococchi e stafilococchi (80-90%), seguiti da enterococchi e microrganismi HACEK. Clinicamente si manifesta con febbre, nuovo soffio o modifica di un soffio preesistente, può causare scompenso cardiaco e, all’ecocardiogramma, vegetazioni. Segni caratteristici: petecchie congiuntivali, macchie di Roth, lesioni di Janeway, nodi di Osler, emorragie subungueali a scheggia. La diagnosi si basa sui criteri di Duke (diagnosi rigettata, possibile o certa). In assenza di emocolture disponibili, e senza rischio per MRSA, la terapia empirica si effettua con un β-lattamico + amminoglicoside. Sebbene questo paziente presenti soffio e segni di scompenso, non ha febbre né criteri di Duke: l’endocardite è improbabile (risposta A errata).

La BPCO è una malattia polmonare cronica non reversibile, con ostruzione bronchiale persistente (VEMS/CVF <0,7), spesso correlata a fumo e caratterizzata da progressione, riacutizzazioni infettive, dispnea, tosse produttiva cronica, tachipnea, cianosi e ipertensione polmonare nelle fasi avanzate. All’auscultazione: respiro sibilante e fase espiratoria prolungata. Nonostante il paziente sia fumatore con tosse, i sintomi durano solo da 3 settimane e non vi sono segni obiettivi di ostruzione: la diagnosi di BPCO è errata (risposta B errata).

La polmonite è un’infiammazione acuta polmonare (batterica, virale, fungina, parassitaria) diagnosticata con RX torace e reperti clinici. Può essere comunitaria (più spesso da Streptococcus pneumoniae, Mycoplasma pneumoniae) o nosocomiale. Clinicamente: febbre, tosse, dispnea, astenia, ipossia; nella forma tipica: esordio acuto con febbre, tosse produttiva, crepitii e rumori bronchiali; nella forma atipica: esordio graduale con tosse secca, dispnea e pochi segni obiettivi. È indicato esame colturale di sangue/escreato. Questo paziente presenta tosse produttiva ma non febbre, e all’auscultazione rantoli basali bilaterali: più compatibili con scompenso cardiaco che con polmonite (risposta C errata).

L’embolia polmonare è occlusione di arterie polmonari da trombi (arti inferiori/pelvi). Presentazione acuta con sintomi aspecifici: dolore toracico pleuritico, tosse, sincope, dispnea, arresto cardiorespiratorio nei casi gravi; segni: tachipnea, tachicardia, ipotensione. Fattori di rischio: immobilizzazione, trombofilie, gravidanza, chirurgia recente. In questo paziente tosse e dispnea possono mimarla, ma anamnesi negativa per immobilizzazione e presenza di stenosi mitralica con edemi declivi bilaterali fanno propendere per scompenso cardiaco congestizio piuttosto che embolia polmonare (risposta E errata).


7 di 24 Domande

Il Sig. Verci, un uomo di circa 60 anni si reca, presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, il Dott. Briga, per dispnea. Anamnesi patologica prossima: lamenta una dispnea ingravescente da circa un mese. Inizialmente era in grado di salire 3 rampe di scale fino al suo appartamento, ma ora necessita di effettuare numerose pause per recuperare il fiato. Non lamenta dolore al petto. Anamnesi patologica remota: l'uomo è affetto da cardiopatia reumatica e diabete mellito di tipo 2. Anamnesi fisiologica: è emigrato dall'India circa 20 anni prima. Anamnesi farmacologica: assume carvedilolo, torasemide e insulina. Esame obiettivo: il Dott. Briga visita il Sig. Verci riscontrando una temperatura corporea di 37.2 °C, una frequenza cardiaca di 74 bpm, una frequenza respiratoria di 19 atti/min ed una pressione arteriosa di 135/80 mm Hg. La pulsossimetria mostra una saturazione d'ossigeno del 96% in aria ambiente. L'auscultazione del torace rivela la presenza di crepitii alle basi polmonari bilateralmente. All’ auscultazione cardiaca si riscontra la presenza di un soffio d'apertura seguito da un soffio diastolico di bassa tonalità , a livello del quanto spazio intercostale di sinistra in corrispondenza della linea medio-claveare. Esami strumentali-laboratoristici: il Dott. Briga decide di far eseguire una radiografia del torace al Sig. Verci, che mostra una dilatazione dell'atrio di sinistra, con stiramento del margine cardiaco di sinistra, ed un’ aumentata trama vascolare. Quale tra i seguenti rappresenta l'intervento di prima scelta per migliorare la sintomatologia del paziente?

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La risposta corretta è la D.

La malattia reumatica è la causa più frequente di stenosi mitralica non complicata. È caratterizzata da fibrosi, calcificazione dei lembi valvolari e parziale fusione delle commissure, con conseguente riduzione dell’ostio valvolare (normalmente 4-6 cm²) fino a valori <1 cm². A causa di questo restringimento, l’unico modo per garantire il passaggio di sangue dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro durante la diastole è aumentare le pressioni atriali. Questo incremento si trasmette a monte, con aumento della pressione nelle vene e nei capillari polmonari: ecco la causa della dispnea. Se le pressioni aumentano ulteriormente, soprattutto acutamente, può verificarsi la trasudazione di liquido negli alveoli con conseguente edema polmonare. Il nostro paziente all’auscultazione presenta anche crepitii basali bilaterali. Il gradiente diastolico transvalvolare è proporzionale al grado di stenosi ed è sensibile ad aumenti di portata e frequenza cardiaca: maggiore la portata/frequenza, maggiore il gradiente. Per questo un soggetto asintomatico a riposo può diventare sintomatico anche per sforzi lievi. L’evoluzione della stenosi mitralica è rappresentata dallo sviluppo di ipertensione polmonare arteriosa, secondaria a quella venosa, che provoca vasocostrizione arteriolare inizialmente funzionale e reversibile, successivamente irreversibile per ipertrofia della tonaca media e fibrosi dell’intima. Le elevate resistenze arteriolari del circolo polmonare causano sovraccarico pressorio del ventricolo destro con dilatazione, ipertrofia, disfunzione contrattile e segni di scompenso destro e bassa gittata. Nell’insufficienza mitralica, invece, la pressione atriale sinistra, molto più bassa di quella aortica, fa sì che il sangue refluisca in atrio già durante la contrazione isometrica ventricolare. Nell’insufficienza mitralica cronica l’atrio sinistro si adatta dilatandosi, per cui la pressione a monte non aumenta significativamente; nell’insufficienza acuta, invece, l’atrio non ha tempo di adattarsi e subisce un brusco aumento pressorio con ripercussioni sulla pressione venosa polmonare. Il ventricolo sinistro, sottoposto a sovraccarico di volume, si dilata: inizialmente la frazione di eiezione rimane conservata, poi si riduce progressivamente perché il rigurgito in atrio riduce il volume sistolico effettivo. Una frazione di eiezione <60% è indicativa di compromissione ventricolare sinistra. Nel nostro paziente, per segni, sintomi e reperti auscultatori, è probabile un coinvolgimento valvolare mitralico, in particolare stenosi o steno-insufficienza. L’intervento di scelta, nella stenosi mitralica clinicamente significativa (area ≤1,5 cm²) o sintomatica, e nei pazienti con controindicazioni alla chirurgia, è la valvuloplastica percutanea con palloncino: una “dilatazione controllata” eseguita con un palloncino ad alta resistenza gonfiato in prossimità della valvola, introdotto tramite catetere da vena femorale destra. È una tecnica mini-invasiva che riduce morbilità e mortalità perioperatorie, con buona efficacia a lungo termine (sopravvivenza libera da eventi nel 30-70% dei casi), sebbene non siano rare le restenosi. Non può essere eseguita in presenza di calcificazioni valvolari, per cui è indicata la sostituzione valvolare.


8 di 24 Domande

Un ragazzo di 20 anni presenta il seguente ECG. Cosa si nota all'ECG?

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La risposta esatta è la A.

Le derivazioni da V1 a V6, chiamate derivazioni precordiali, esprimono l’attività elettrica del cuore sul piano orizzontale: V1-V2 esplorano il setto interventricolare, V3-V4 la parete anteriore del ventricolo sinistro, V5-V6 la parete laterale del ventricolo sinistro. L’onda P indica la depolarizzazione atriale, il complesso QRS e l’onda T indicano rispettivamente la depolarizzazione e la ripolarizzazione ventricolare, mentre la ripolarizzazione atriale non è visibile poiché avviene durante la depolarizzazione ventricolare. In età giovanile, dopo la pubertà, il vettore di ripolarizzazione ventricolare rende le T positive in tutte le derivazioni precordiali, tranne V1 e raramente V2; in casi eccezionali, la negatività può coinvolgere anche V3 e V4 (onda T giovanile). Dopo la pubertà, la presenza di onde T invertite ≥2 mm in due o più derivazioni contigue del ventricolo destro può indicare cardiopatia congenita con sovraccarico di pressione o volume (cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro) oppure, più raramente, patologie ereditarie dei canali del sodio o potassio. L’ECG descritto mostra ritmo sinusale, alterazioni diffuse della ripolarizzazione con T negativa da V1 a V5, R alta in V1 e asse spostato a destra: reperti suggestivi di ipertrofia ventricolare destra a carattere aritmogeno. La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro è spesso familiare, più frequentemente a trasmissione autosomica dominante, e coinvolge prevalentemente ma non esclusivamente il ventricolo destro. Nel 10-20% dei casi è presente una mutazione nei geni che codificano proteine del desmosoma. Istologicamente si osserva progressiva sostituzione del miocardio con tessuto fibro-adiposo, che genera aree di discinesia e dilatazione soprattutto nel tratto di afflusso, efflusso e apice del ventricolo destro (triangolo della displasia), ma può estendersi all’intera parete ventricolare destra o anche al ventricolo sinistro. Questa condizione, per le alterazioni morfologiche e funzionali, è causa frequente di aritmie ventricolari e morte improvvisa, soprattutto in età giovanile durante o subito dopo l’attività fisica. In presenza di un ECG di questo tipo è quindi indicato eseguire un ecocardiogramma per rilevare eventuali alterazioni strutturali cardiache.


9 di 24 Domande

La signora Rettori, una donna di 45 anni, si reca dal proprio medico curante, il Dott. Pressi, per malessere. Anamnesi patologica prossima: comparsa di febbre, disuria e dolore alla schiena. Il Dott. Pressi consiglia alla paziente di recarsi in ospedale per ulteriori accertamenti; qui la donna verrà successivamente ricoverata con una sospetta diagnosi di pielonefrite. La paziente viene sottoposta a terapia con antibiotici ad ampio spettro, che determinano un significativo miglioramento della sintomatologia. Tuttavia, durante il quarto giorno di ricovero, la donna presenta nuovamente febbre, con leucocitosi e profusa diarrea acquosa. Esami strumentali: viene effettuata una colonscopia, visibile nell’ immagine sottostante.

Quale è la terapia per il trattamento di questo disturbo?

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La risposta corretta è la D.

La paziente presenta una colite pseudomembranosa causata da Clostridium difficile, un batterio appartenente alla famiglia Clostridiaceae, patogeno per l’uomo, Gram+ anaerobio. Il C. difficile è virulento in quanto possiede due tossine: la tossina A, un’enterotossina che si lega alle cellule della mucosa e causa un’ipersecrezione di liquido determinando diarrea acquosa; la tossina B, una citotossina che provoca gravi danni alla mucosa determinandone l’aspetto pseudomembranoso. Il Clostridium difficile causa colite associata ad antibiotici, tipicamente in ambiente ospedaliero. Fa parte normalmente del microbiota umano; tuttavia, quando si utilizzano antibiotici per lungo tempo, questi possono distruggere anche i batteri che tengono “sotto controllo” il Clostridium. Quando il C. difficile diviene dominante, si possono avere crampi addominali, colite pseudomembranosa, diarrea (talora ematica), raramente sepsi e addome acuto. I sintomi insorgono alcuni giorni dopo l’inizio della terapia antibiotica e includono diarrea acquosa o scariche di feci non formate, crampi addominali, raramente nausea e vomito. Per la diagnosi è importante l’identificazione della tossina nelle feci. Il trattamento consiste nell’interrompere la terapia antibiotica; se la sintomatologia è grave è possibile utilizzare vancomicina o metronidazolo (nel nostro caso, non essendo la vancomicina tra le opzioni, la risposta corretta è la D).


10 di 24 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

In seguito ai valori di glicemia a digiuno riscontrati, si richiede curva da carico orale di glucosio (OGTT). In base ai risultati sopra riportati, la paziente presenta:

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La risposta corretta è la B.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza.

L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: è necessario un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si associano inoltre a modifiche del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, arti inferiori, retina) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie degli arti inferiori).

Il diabete si classifica in due tipologie principali:

– diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), che può avere cause immuno-mediate o idiopatiche;

– diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e deficienza insulinica relativa, nella maggior parte dei casi senza necessità di insulina.

Esiste poi il diabete gestazionale, che compare in gravidanza e regredisce dopo il parto.

Tra le sindromi secondarie ricordiamo:

– pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori),

– patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite),

– patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante),

– tossicità da farmaci o sostanze chimiche (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.).

Il diabete può rimanere a lungo silente. Si stima che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% resti non diagnosticato.

Per la diagnosi, le misurazioni della glicemia prevedono:

– glicemia a digiuno (da almeno 12 ore): due rilevazioni ≥126 mg/dl;

– glicemia random >200 mg/dl, ma solo in paziente sintomatico (polidipsia, poliuria, nicturia, ecc.);

– curva da carico con 75 g di glucosio in 200-250 ml d’acqua: il test si esegue solo se la glicemia basale è <126 mg/dl, e la diagnosi si pone se a 2 ore la glicemia è >200 mg/dl.


11 di 24 Domande

La signora Bellini è una giovane donna ricoverata nel reparto di ginecologia ed ostetricia dopo un parto complicato da una rottura prematura delle membrane amnio-coriali ed un prolungato travaglio. Anamnesi patologica prossima: In seconda giornata sviluppa febbre con brivido associata ad ipotensione e intenso dolore addominale che fanno sospettare un’ endometrite purperale. Il Dott. Lanfranchi decide di sottoporre la paziente ad una radiografia del torace e decide di avviare la terapia antibiotica e reidratante con 4.000 ml di soluzione salina nelle successive 24 ore ma l’ ipertermia persiste e si ottiene un lieve incremento della pressione arteriosa. Improvvisamente la sig.ra Bellini presenta dispnea. Esame obiettivo: viene rilevata una SpO2 dell’ 82% che non aumenta anche con ossigenoterapia con FiO2 del 100%. Il Dott. Lanfranchi decide quindi di intubare la paziente e si eroga una FiO2 del 100%. Non si rileva turgore giugulare, all’ auscultazione polmonare si apprezzano crepitii diffusi bilateralmente. Esami di laboratorio-strumentali: viene rapidamente inviato in laboratorio un campione di sangue arterioso che evidenzia PaO2 di 62 mmHg e PaCO2 di 33 mmHg. L’ ECG mostra tachicardia sinusale. Viene effettuato un nuovo RX del torace che mostra un quadro polmonare modificato rispetto a quanto si era visto nel precedente. Sulla base dei dati forniti quale tra le seguenti è la diagnosi più probabile?

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La risposta corretta è la B.

Questo paziente molto probabilmente ha una ARDS e il rapporto PaO2/FiO2 è <200: la paziente ha un rapporto di 60 (FiO2 = 1 ovvero 100% e PaO2 di 60 mmHg: necessita di ossigeno al 100% per mantenere una pressione di PaO2 accettabile). La RX torace mostra infiltrati polmonari diffusi non riconducibili a eziologia cardiogena. L’EO evidenzia dispnea ingravescente a insorgenza improvvisa, con crepitii diffusi bilateralmente. La paziente presentata nel caso è verosimilmente affetta da ARDS in seguito a sepsi da endometrite postpartum.

La sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) è una grave malattia acuta polmonare. I fattori scatenanti sono numerosi: polmonite, shock, gravi traumi, sepsi, aspirazione di alimenti (ab ingestis), pancreatite. È caratterizzata da danno diffuso della membrana alveolo-capillare, con edema polmonare non cardiogenico (ricco di proteine) e insufficienza respiratoria acuta (ARF). Si osserva reclutamento di neutrofili nei capillari alveolari e formazione di membrane ialine. I neutrofili rilasciano chemochine (che richiamano istiociti), producono ROS, proteasi, leucotrieni, fattore di attivazione piastrinica, prostaglandine e altre molecole che danneggiano le barriere tra capillari e spazi aerei. Gli alveoli e l’interstizio si riempiono di proteine, detriti cellulari e liquido, con distruzione del surfattante, collasso alveolare e mismatch ventilazione/perfusione.

L’ARDS determina grave ipossiemia refrattaria all’ossigenoterapia. I criteri diagnostici comprendono:

– Opacità bilaterali alla RX non spiegabili da versamento, atelettasia o noduli.

– PaO2/FiO2 ≤200 mmHg.

– Assenza di evidenza clinica di aumentata pressione atriale sinistra o insufficienza cardiaca (PCWP <18 mmHg). Una pressione di incuneamento capillare polmonare >18 mmHg orienta invece verso edema polmonare cardiogeno.

Secondo la “Definizione di Berlino 2012” l’ARDS si classifica in:

– Lieve: PaO2/FiO2 ≤200 mmHg.

– Moderata: PaO2/FiO2 ≤100 mmHg.

– Grave: PaO2/FiO2 ≤100 mmHg.


12 di 24 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

Per il paziente diabetico è essenziale assumere cibi a basso indice glicemico. Qual è tra i seguenti alimenti quello che presenta il più basso indice glicemico?

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La risposta corretta è la A.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza. L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: serve un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si accompagnano anche ad alterazioni del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, retina, arti inferiori) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie periferiche). Il diabete si classifica in due tipologie principali: diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), con cause immuno-mediate o idiopatiche; diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e relativa deficienza insulinica, che nella maggior parte dei casi non richiede terapia insulinica. Esiste anche il diabete gestazionale, che si manifesta in gravidanza e regredisce dopo il parto. Tra le forme secondarie: pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori), patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite), patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante), tossicità da farmaci o sostanze (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.). Il diabete può progredire a lungo senza sintomi. Si calcola che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% rimane non diagnosticato. Per la diagnosi: glicemia a digiuno ≥126 mg/dl in due misurazioni, glicemia random >200 mg/dl in presenza di sintomi (poliuria, polidipsia, nicturia), curva da carico con 75 g di glucosio (diagnosi se glicemia >200 mg/dl a 2 ore). Prima del test, la glicemia basale deve essere <126 mg/dl. Il test va eseguito in pazienti non ricoverati, in buone condizioni cliniche, dopo dieta abituale (non ridotta in carboidrati), a digiuno dalla mezzanotte, senza febbre, stress o fumo. Indicazioni alla curva da carico: glicemia alterata a digiuno (100–125 mg/dl), familiarità per diabete dai 30-40 anni, obesità, complicanze cardiovascolari (TIA, angina, claudicatio), soprattutto se obesi e fumatori, infezioni urinarie o cutanee ricorrenti con glicemia alterata. Il 90% dei casi è di tipo II, storicamente detto diabete dell’adulto (esordio >40 anni), ma oggi è sempre più precoce (anche a 18 anni), correlato all’obesità, in particolare infantile (Italia con alta prevalenza, soprattutto nel centro-sud). Nei gemelli monozigoti la concordanza è ~100% nel tipo II, mentre nel tipo I, pur avendo componente genetica, è solo del 50% per il ruolo di fattori ambientali. Anche nei monozigoti separati alla nascita la concordanza del tipo II rimane elevata, a dimostrazione della forte componente genetica, ancora non del tutto chiarita.


13 di 24 Domande

Scenario CP9E: Un paziente esegue una TC del torace che dimostra un nodulo subpleurico del lobo superiore sinistro a margini spiculati di diametro 1,8 cm. Quali dei seguenti farmaci devono essere sospesi o sostituti prima delle procedure diagnostiche invasive?














La risposta corretta è la E.
I farmaci che devono essere sospesi o sostituti prima delle procedure diagnostiche invasive sono gli anticoagulanti orali (TAO) e gli antiaggreganti in quanto aumentano il rischio di emorragie intra-operatorie. Sono esclusi dalla sospensione i NAO (rivaroxaban, apixaban e dabigatran) e l’ acido acetilsalicilico se usato con un dosaggio tra 80-100 mg.
La terapia a lungo termine con farmaci antiaggreganti e anticoagulanti è indicata per la prevenzione di eventi tromboembolici dovuti principalmente a fibrillazione atriale, protesi valvolari cardiache meccaniche o tromboembolismo venoso. Quando un paziente sottoposto a terapia antitrombotica si sottopone ad un intervento chirurgico o procedura invasiva, si pone il problema dell'eventuale sospensione della terapia suddetta con un possibile aumento del rischio trombotico, o proseguimento della stessa con un possibile aumento del rischio emorragico. In generale, se un paziente si sottopone ad un intervento chirurgico invasivo con alto rischio di emorragia, può temporaneamente sospendere la terapia. La decisione, tuttavia, non deve prescindere dalla valutazione di diversi fattori tra cui il rischio emorragico specifico dell’ intervento e il rischio tromboembolico del paziente: nei pazienti ad alto rischio tromboembolico, infatti, viene effettuata una terapia ‘ ’ ponte’ ’ , nel periodo peri-operatorio, che consiste nella somministrazione di un anticoagulante a breve durata di azione, generalmente eparina, nel corso dell’ interruzione temporanea della iniziale terapia antitrombotica. In ogni caso, soprattutto nei pazienti ad alto rischio tromboembolico, il periodi di sospensione della terapia con farmaci anticoagulanti, incluso quello della terapia ponte, dovrebbe essere il più breve possibile.

14 di 24 Domande

Viene riscontrato il seguente quadro radiologico in una donna di 30 anni, che è stata sottoposta ad una TC total body in seguito ad un incidente stradale. Cosa mostra la TC?

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La risposta corretta è la B

Nell'immagine (a) la TC ha evidenziato enfisema sottocutaneo delle palpebre destre (freccia). Nell'immagine (b) è stato osservato enfisema nell’orbita destra (cerchio). È stato inoltre riscontrato enfisema sottocutaneo nell’area della guancia (freccia). Non vi era presenza evidente di aria nello spazio intracranico né fratture della parete o del pavimento orbitario.


15 di 24 Domande

La signora Boggi, una donna di 70 anni, si reca dal medico curante, il Dott. Candi, lamentando dolore al braccio, insorto dopo essere scivolata sul ghiaccio, cadendo in avanti sulle sue mani. Quale è la diagnosi radiologica?

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La risposta corretta è la D.

Dalla radiografia mostrata si può apprezzare una frattura a tutto spessore carico della porzione meta-epifisaria distale del radio, evidenziabile come una stria di radiotrasparenza che interrompe la corticale ossea, probabilmente provocata da un arto iper-esteso verso l’ esterno che cerca di parare una caduta: si tratta di una frattura completa, spostata e angolata dorsalmente a livello del radio distale. Quando tale tipo di frattura si associa alla frattura anche dello stiloide ulnare si parla di frattura di Colles. Le altre strutture ossee in esame indicate nelle opzioni non appaiono interessate da eventi fratturativi-traumatici (le risposte A, B, C ed E non sono corrette)


16 di 24 Domande

Nell’ asma bronchiale acuto severo quale dei seguenti rappresentano i farmaci di prima scelta?














La risposta corretta è la E.
In caso di attacco acuto severo di asma bronchiale, i farmaci di prima scelta sono i Beta-2-agonisti, che fungono da agonisti dei recettori beta 2 adrenergici della muscolatura liscia bronchiale, essendo così responsabili del suo rilassamento e della conseguente bronco-dilatazione, in particolare quelli selettivi a breve durata di azione, di cui il più noto è il salbutamolo. 
L’ asma bronchiale è una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree, a carattere ostruttivo, il cui decorso è caratterizzato da periodi clinicamente silenti, accompagnati da periodiche riesacerbazioni. Il suo aspetto peculiare è la reversibilità e l’ accessualità delle manifestazioni cliniche. I sintomi tipici comprendono: respiro sibilante, dispnea, tosse, senso di costrizione toracica. La sintomatologia è da attribuire ad una condizione di iperreattività bronchiale accompagnata ad uno stato infiammatorio, dovuto all’ infiltrazione cronica delle pareti bronchiali da parte di cellule quali granulociti, mastociti ed eosinofili, rilascio di mediatori dell’ infiammazione e rimodellamento della struttura delle vie aeree per la fibrosi sub-epiteliale, l’ ipertrofia e l’ iperplasia della muscolatura liscia.
Nei soggetti affetti, le riacutizzazioni possono avere vari fattori scatenanti: l’ esposizione a specifici allergeni, l’ inalazione di sostanze irritanti, l’ assunzione di farmaci (in particolar modo FANS e beta-bloccanti), le infezioni delle vie aeree e anche lo sforzo fisico in ambiente freddo. Tutti questi fattori possono causare episodi di broncocostrizione, con rilascio di mediatori infiammatori, e dare quindi origine ad una crisi asmatica.   
 

17 di 24 Domande

L'associazione di cianosi, policitemia e dita a bacchetta di tamburo e' suggestiva per:














La risposta corretta è la B.
Per fistola arterovenosa polmonare si intende un’ anomala comunicazione tra arteria e vena polmonare, che determina la formazione di uno shunt destro-sinistro.
Più frequenti in età adulta e a livello delle basi polmonari, le FAV polmonari nella maggior parte dei casi si manifestano nell’ ambito della malattia di Rendu-Osler (o teleangectasia emorragica ereditaria) con dispnea, cianosi con poliglobulia, ippocratismo digitale, ascessi ed emboli cerebrali.
La diagnosi di shunt può essere confermata dall’ emogasanalisi arteriosa, dove si riscontrano ipossiemia con aumento del gradiente alveolo-arterioso nonostante la somministrazione di ossigeno. La radiografia e, in particolare, la TC torace mettono in evidenza le fistole.
Il trattamento prevede l’ occlusione della fistola in corso di angiografia polmonare.
​​​​​​​La risposta A non è corretta.
L’ atelettasia polmonare è una perdita di volume del parenchima polmonare dovuta al collasso degli alveoli. Può essere asintomatica o manifestarsi con dispnea, ridotta saturazione dell’ ossigeno e polmoniti secondarie; raramente si presenta con cianosi e dolore toracico.
La risposta C non è corretta.
Lo pneumotorace si definisce come la presenza di aria all’ interno della cavità pleurica. Più frequentemente è spontaneo, soprattutto nei soggetti giovani, oppure può essere secondario a traumi o iatrogeno; si manifesta tipicamente con dispnea, ipossia, dolore toracico ed intrascapolare.
La risposta D non è corretta.
La sindrome della vena cava superiore è causata da ostruzione o compressione della vena cava superiore, quindi si manifesta con cefalea, gonfiore, edema a mantellina, turgore delle giugulari, sintomi e segni che si accentuano in posizione supina o seduta.

18 di 24 Domande

Scenario ZL1Z: Una paziente di 19 anni si presenta in Pronto Soccorso per una sintomatologia comparsa dopo colpo di tosse e caratterizzata da dolore a coltellata all'emitorace dx, seguito da dispnea. La diagnosi piu' probabile e':














La risposta corretta è la C.
Lo pneumotorace è definito come la presenza di aria nel cavo pleurico.
L’ aria può entrare nel cavo pleurico attraverso una lesione della pleura viscerale o tramite una soluzione di continuo della parete toracica: in ogni caso la pressione negativa endopleurica favorisce l’ ingresso d’ aria, fino all’ equilibrio con la pressione atmosferica. Conseguentemente il polmone omolaterale collassa, poiché il ritorno elastico non è più controbilanciato dalla pressione negativa del cavo pleurico.
Nella maggior parte dei casi, lo pneumotorace si autolimita con chiusura della breccia; ma in una minoranza dei casi si instaura un meccanismo a valvola per cui l’ aria entra durante l’ inspirazione, ma non esce durante l’ espirazione, andandosi ad accumulare progressivamente e determinando il collasso completo del polmone omolaterale e lo spostamento del mediastino controlateralmente: si parla di pneumotorace iperteso.
Più spesso lo pneumotorace insorge spontaneamente, soprattutto in soggetti giovani, alti, magri e longilinei che hanno avuto una rapida crescita in fase adolescenziale.
La causa più frequente è rappresentata dalla rottura di piccole bolle di enfisema parasettale, dovuta a bruschi aumenti pressori a livello alveolare (come in seguito ad un colpo di tosse) o a brusche variazioni della pressione atmosferica.
Sempre presente è il dolore ad esordio improvviso, di tipo puntorio o trafittivo, localizzato più spesso nella regione apicale o scapolare dell’ emitorace corrispondente e che si modifica con gli atti respiratori; la dispnea dipende dall’ entità dello pneumotorace, ma di solito è lieve, tranne nello pneumotorace iperteso (in cui saranno presenti anche tosse, tachicardia e ipotensione fino allo scompenso cardiaco congestizio).

19 di 24 Domande

Scenario TF4B: Un paziente affetto da un nodulo polmonare è stato sottoposto ad agoaspirato TAC guidato. Dopo poche ore comincia a lamentare dispnea ingravescente. Qual e' la causa piu' probabile della dispnea?














La risposta corretta è la B.
Lo pneumotorace è definito come la presenza di aria nel cavo pleurico.
L’ aria può entrare nel cavo pleurico attraverso una lesione della pleura viscerale o tramite una soluzione di continuo della parete toracica: in ogni caso la pressione negativa endopleurica favorisce l’ ingresso d’ aria, fino all’ equilibrio con la pressione atmosferica. Conseguentemente il polmone omolaterale collassa, poiché il ritorno elastico non è più controbilanciato dalla pressione negativa del cavo pleurico.
Nella maggior parte dei casi, lo pneumotorace si autolimita con chiusura della breccia; ma in una minoranza dei casi si instaura un meccanismo a valvola per cui l’ aria entra durante l’ inspirazione, ma non esce durante l’ espirazione, andandosi ad accumulare progressivamente e determinando il collasso completo del polmone omolaterale e lo spostamento del mediastino controlateralmente: si parla di pneumotorace iperteso.
Più spesso lo pneumotorace insorge spontaneamente, soprattutto in soggetti giovani, alti, magri e longilinei che hanno avuto una rapida crescita in fase adolescenziale: in questo caso la causa più frequente è rappresentata dalla rottura di piccole bolle di enfisema parasettale, dovuta a bruschi aumenti pressori a livello alveolare o a brusche variazioni della pressione atmosferica.
Più raramente lo pneumotorace è secondario a traumi accidentali (frattura di una costola, inalazione di un corpo estraneo, rottura di un bronco o perforazione dell’ esofago) o iatrogeni, in seguito a procedure diagnostiche invasive a carico della cavità toracica come agoaspirazione transtoracica, toracentesi, posizionamento di un catetere venoso centrale o anche in seguito alla rianimazione cardiopolmonare.

20 di 24 Domande

Scenario TG5C: Un paziente di 72 anni, non fumatore, esegue una TAC del torace che evidenzia un'opacità fortemente sospetta per neoplasia. A prescindere dalla stadiazione, quale tipo istologico ha prognosi peggiore?














La risposta corretta è la A.
Il cancro del polmone è ritenuto la causa più comune di morte per neoplasia negli uomini, anche se, negli ultimi anni, è cresciuto il tasso di mortalità anche nelle donne, a causa della diffusione dell’ abitudine tabagica.
Per una corretta stadiazione, trattamento e prognosi, la maggior parte dei tumori polmonari vengono distinti in carcinoma polmonare a piccole cellule (microcitoma, SCLC), carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), tumori a grandi cellule e altri tipi minori di tumori polmonari.
Il carcinoma polmonare a piccole cellule è il tumore polmonare a prognosi peggiore: si distingue dal carcinoma non a piccole cellule per il suo rapido tempo di raddoppiamento, l’ alta percentuale di crescita e lo sviluppo precoce di metastasi diffuse, presenti in ben il 70% dei casi alla diagnosi; inoltre, sebbene il tumore sia inizialmente molto sensibile alla chemioterapia e alla radioterapia, la maggior parte dei pazienti ripresenterà una malattia resistente entro pochi mesi dalla terapia iniziale.
Ai fini della prognosi e del trattamento del microcitoma, più che la classificazione TNM è importante la distinzione in due stadi di malattia: malattia limitata, con cui si intende una neoplasia confinata a un solo emitorace, con possibilità di interessamento metastatico dei linfonodi ilari, mediastinici e sopraclavicolari omolaterali e/o con presenza di versamento pleurico; malattia estesa quando un microcitoma si estende oltre questi limiti teorici.
In virtù delle caratteristiche biologiche del SCLC, la chirurgia riveste un ruolo limitato nel trattamento, mentre chemio e radioterapia sono fondamentali. La sopravvivenza mediana è di circa 15 mesi per la malattia limitata e di 9 mesi per la malattia estesa; intorno al 25% dei pazienti per la malattia limitata e al 5% per la malattia estesa sopravvive a 2 anni dalla diagnosi.

21 di 24 Domande

Scenario ED1Q: Un contadino di 54 anni esegue una radiografia del torace per tosse e saltuaria emottisi. L'RX evidenzia presenza di una lesione da cisti da echinococco al lobo inferiore sinistro. Qual e' il serbatoio di infezione per l'uomo di tale patologia?














La risposta corretta è la A.
L’ echinococcosi cistica è l’ infestazione da larve di Echinococcus granulosus.
Presenta maggiore prevalenza nelle popolazioni dedite all’ allevamento del bestiame e alla pastorizia.
E. granulosus allo stadio di verme adulto parassita senza provocare disturbi l’ intestino tenue del cane domestico e dei canidi selvatici; l’ uomo e altri ospiti intermedi (generalmente ovini) si infestano ingerendo accidentalmente le uova, contenenti l’ embrione esacanto, emesse con le feci dei cani nel terreno.
L’ ospite definitivo, il cane, si infesta mangiando le viscere contaminate degli animali ospiti intermedi; nel suo intestino gli scolici si fissano alla mucosa e sviluppano in verme adulto in circa 30-80 giorni.
Nell’ intestino umano dalle uova si libera l’ embrione, detto oncosfera, che raggiunge per via portale il fegato; si può quindi arrestare in questa sede o raggiungere il cuore destro e i polmoni. Nel caso in cui oltrepassi anche questo secondo filtro, può disseminare in tutti gli organi, in particolare a livello cerebrale e renale.
Nella sede in cui si arresta, l’ embrione inizia a trasformarsi in cisti e dà rapidamente origine a vescicole che aumentano di volume determinando una progressiva compressione dei tessuti circostanti, che però si manifesta solo tardivamente, rimanendo silente nelle fasi iniziali. Nell’ idatidosi epatica possono comparire dolore e senso di peso in ipocondrio destro, ittero recidivante, febbricola, disturbi dispeptici; nell’ idatidosi polmonare si manifestano febbricola, tosse con espettorazione talvolta ematica, dolori toracici.
La sintomatologia diventa più imponente in caso di complicazioni come la rottura di una cisti che comporta la comparsa di una sintomatologia di natura tossico-allergica.
La diagnosi è spesso casuale in corso di ecografia epatica o RX del torace, viene poi confermata con dimostrazione nel siero di anticorpi anti E. granulosus.

22 di 24 Domande

Scenario ED1Q: Un contadino di 54 anni esegue una radiografia del torace per tosse e saltuaria emottisi. L'RX evidenzia presenza di una lesione da cisti da echinococco al lobo inferiore sinistro. La terapia di scelta dell'idatidosi polmonare e':














La risposta corretta è C.
Per le localizzazioni polmonari, l’ asportazione chirurgica delle cisti idatidee è ancora il metodo di scelta. Controindicazioni relative, oltre a quelle generiche anestesiologiche, sono le cisti multiple o di difficile accessibilità . La resezione chirurgica è preceduta dall’ instillazione di una sostanza scolicida (soluzione ipertonica) per evitare il rischio di disseminazione in caso di rottura delle cisti in corso di intervento.
Gli obiettivi della terapia chirurgica consistono nell’ evacuazione della cisti e nella distruzione della cavità residua. La procedura chirurgica più sicura ed efficace è incerta e l’ approccio chirurgico deve essere personalizzato a seconda delle caratteristiche della cisti; la rimozione della cisti intatta è preferibile, se possibile; in alternativa, la cisti può essere aperta e sterilizzata con agenti protoscolicidi, con successiva esecuzione dell’ evacuazione del contenuto e della rimozione del tessuto pericotico
I trattamenti percutanei sono indicati in caso di cisti addominali, in pazienti che non possono essere operati, donne gravide, bambini di età inferiore a 3 anni, in presenza di cisti multiple, in caso di recidiva.
La terapia medica è obbligatoria prima e dopo tutti i casi di resezione chirurgica e in associazione alla terapia percutanea; permette di ottenere una guarigione completa nel 30-40% dei casi e di bloccare l’ evoluzione della cisti nel 30-50%. Farmaco di prima scelta è l’ albendazolo al dosaggio di 400mg per 2 vv/die per 30 giorni consecutivi; oggi in realtà si preferisce il trattamento continuo, senza interruzioni tra un ciclo di 30 giorni e il successivo. La durata della terapia è discussa tra 2 anni o più .

23 di 24 Domande

Scenario AA4Q: A un paziente di 73 anni viene diagnosticato un mesotelioma di tipo epiteliomorfo II stadio. Il segno di esordio del mesotelioma piu' frequente tra quelli riportati e':














La risposta corretta è la A.
Il mesotelioma è un tumore che trae origine dalla trasformazione neoplastica delle cellule mesoteliali di rivestimento delle principali cavità sierose: pleura, peritoneo e pericardio. Ha più spesso sede a livello pleurico (60-70% dei casi).
Il mesotelioma pleurico colpisce in prevalenza i soggetti di sesso maschile con un picco di massima incidenza al 5-6 ° decennio di vita.
Numerose evidenze sperimentali e cliniche hanno dimostrato l’ esistenza di un rapporto di causa-effetto tra l’ esposizione all’ asbesto e l’ insorgenza del mesotelioma.
Clinicamente, i mesoteliomi solitari sono spesso silenti e i sintomi si manifestano solo quando il volume della neoplasia provoca sintomi da compressione, come dolore toracico, febbre, tosse, dispnea.
La diffusione al mediastino della neoplasia può comportare la paralisi delle corde vocali, l’ insorgenza della sindrome di Claude-Bernard-Horner, la sindrome da compressione della vena cava superiore e inferiore. Ma il segno di maggior riscontro (80% dei casi) è il versamento pleurico emorragico, libero o saccato. All’ RX si manifesta con un’ ipodiafania o con un’ opacità totale o parziale; con l’ aumentare del volume del versamento pleurico si osserva l’ obliterazione progressiva dell’ angolo costo-frenico posteriore, di quello esterno e, infine, di quello anteriore. Il liquido, simultaneamente, risale lungo la cavità pleurica circondando “ a mantellina” il polmone.
La gran parte dei pazienti muore per le complicanze legate alla progressione locale della malattia: l’ aumento della massa neoplastica annulla gradualmente lo spazio pleurico e sostituisce il versamento provocando l’ insorgenza di un’ insufficienza respiratoria progressiva, di polmoniti, di disturbi miocardici e del ritmo cardiaco.
Per quanto riguarda la diagnosi, l’ esame radiologico rappresenta l’ indagine di prima istanza, seguito dalla TC estesa per consentire la stadiazione della neoplasia e dall’ analisi del liquido pleurico e dalla biopsia della pleura.​​​​​​​

24 di 24 Domande

Scenario XX4B: A una donna di 54 anni in buone condizioni viene diagnosticato un adenocarcinoma polmonare stadio IIIA (T2a, N2, M0). Che tipo di trattamento e' indicato?














La risposta corretta è la D.
Lo stadio IIIA (T2a, N2, M0) dell’ adenocarcinoma polmonare indica un tumore di diametro superiore a 3cm ma inferiore a 5cm, con metastasi ai linfonodi ipsilaterali mediastinici e/o della carena, in assenza di metastasi a distanza.
A questo stadio il trattamento prevede l’ intervento chirurgico seguito da chemioterapia adiuvante.
La chirurgia ha un ruolo terapeutico fondamentale e determina la maggior probabilità di guarigione: di solito consiste in una lobectomia, bi-lobectomia o pneumectomia a seconda dell’ estensione della neoplasia, associata a linfoadenectomia in caso di interessamento linfonodale ed è ritenuta radicale quando si ottiene l’ asportazione di tutta la malattia visibile e i margini di resezione sono negativi.
Poiché spesso nello stadio III la radicalità chirurgica non è possibile, si associa trattamento chemioterapico adiuvante costituito da uno schema a base di platino in associazione a un farmaco chemioterapico di terza generazione e si è visto che la chemioterapia determina un vantaggio di sopravvivenza a 5 anni dal 4 al 15% rispetto al semplice follow-up.

La risposta A non è corretta.
Il solo intervento chirurgico è previsto solo nel caso in cui sia dimostrata la radicalità chirurgica, solitamente negli stadi I e II di tumore del polmone.
La risposta B non è corretta.
Il solo trattamento chemioterapico è riservato a pazienti con cancro polmonare in stadio avanzato ovvero IIIB e IV: questi pazienti vengono considerati non candidabili all’ intervento chirurgico per storia naturale di malattia.
La scelta della terapia è basata sulle comorbidità del paziente, sulle tossicità teoriche e attese, sulla compliance dello stesso, sull’ istologia e sulla presenza o meno di alterazioni molecolari in geni target.
La risposta C non è corretta.
Il solo trattamento radioterapico è previsto in pazienti che per età , condizioni generali, ridotte funzionalità respiratoria e cardiaca non possono essere sottoposti a intervento chirurgico radicale.

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