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1 di 15 Domande

Quale complicanza clinica NON si riscontra nell'IRC terminale?














La risposta corretta è la B

Nell’IRC terminale non si riscontra come complicanza l’artrite. La malattia renale cronica è classificata in 5 stadi: Stadio 1: velocità di filtrazione glomerulare normale (?90 mL/min/1,73 m²) con albuminuria persistente o malattia renale strutturale o ereditaria; Stadio 2: 60-89 mL/min/1,73 m²; Stadio 3a: 45-59 mL/min/1,73 m²; Stadio 3b: 30-44 mL/min/1,73 m²; Stadio 4: 15-29 mL/min/1,73 m²; Stadio 5: <15 mL/min/1,73 m². La velocità di filtrazione glomerulare può essere stimata tramite l’equazione CKD-EPI: 141 × (creatinina sierica)^-1,209 × 0,993^età, moltiplicata per 1,018 se donna e 1,159 se afroamericano (1,1799 per donne afroamericane). Questo calcolo è poco accurato negli anziani sedentari, obesi o molto magri. In alternativa, si può usare l’equazione di Cockcroft-Gault per stimare la clearance della creatinina, che tende a sovrastimare del 10-40%. Le complicanze comprendono quelle neurologiche (neuropatia periferica), ematologiche (anemia da ridotta produzione di eritropoietina), scheletriche (osteodistrofia, risposte C-D-E errate) e pericardite nel 20% dei pazienti con insufficienza renale (risposta A errata).


2 di 15 Domande

Nella brucellosi acuta qual e' il titolo minimo per la diagnosi:














La risposta corretta è la C.

La brucellosi (nota anche come "febbre ondulante", "febbre mediterranea" o "febbre maltese") è un’infezione zoonotica trasmessa all’uomo da animali infetti (bovini, ovini, caprini, cammelli, suini o altri) attraverso l’ingestione di prodotti alimentari non pastorizzati, in particolare lattiero-caseari, oppure per contatto diretto con tessuti o fluidi contaminati. Va sospettata in pazienti con febbre, malessere, sudorazione notturna e artralgie in presenza di esposizione epidemiologica significativa, come consumo di prodotti caseari non pastorizzati, contatto con animali in aree endemiche o esposizione professionale. Una diagnosi presuntiva può essere formulata sulla base di:

  • titolo anticorpale totale anti-Brucella ?1:160 mediante test di agglutinazione in provetta standard su siero prelevato dopo l’insorgenza dei sintomi;
  • rilevazione del DNA di Brucella in un campione clinico tramite reazione a catena della polimerasi (PCR).

3 di 15 Domande

In figura è rappresentato uno schema della sequenza genica che costituisce l’operone Lac (sequenza genica che regola la produzione delle lattasi) dei procarioti. Si tratta di una sequenza regolatrice che determina la produzione di lattasi, quando?

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La risposta corretta è la B

La domanda chiede quando l’operone lac, sequenza regolatrice della produzione di lattasi, induce l’espressione: la risposta corretta è “Quando è presente lattosio nel mezzo di coltura”. Nel sistema lac dei procarioti, in assenza di lattosio il repressore LacI si lega all’operatore e impedisce all’RNA polimerasi di trascrivere i geni lacZYA; quando è presente lattosio, una parte viene isomerizzata in allolattosio che funge da induttore legandosi a LacI, causandone il distacco dall’operatore e consentendo l’avvio della trascrizione, inclusa la sintesi di ?-galattosidasi (lattasi). L’espressione è massima se il glucosio è basso perché il complesso cAMP-CAP facilita il reclutamento dell’RNA polimerasi, ma la condizione chiave che rimuove la repressione è la presenza di lattosio. In sintesi, il lattosio segnala alla cellula di esprimere gli enzimi necessari al suo metabolismo attivando l’operone lac.


4 di 15 Domande

Un bambino di 2 anni di origine africana si presenta con tumefazioni dolorose della mani e piedi. Dati di laboratorio mettono in evidenza una emoglobina di 9g/dl, una conta dei globuli bianchi di 11500/mm3 ed una conta delle piastrine di 250000/mm3. Quale dei seguenti esami di laboratorio dara' supporto alla tua diagnosi?














La risposta corretta è la B

Il quadro clinico descritto è compatibile con anemia falciforme o drepanocitosi, un’emoglobinopatia caratterizzata dalla produzione di catene globiniche quantitativamente normali ma qualitativamente alterate. La causa della deformazione dei globuli rossi è una sostituzione amminoacidica (Glu ? Val) che favorisce l’aggregazione delle molecole di Hb con formazione di polimeri simili a pali nel citoplasma eritrocitario. La polimerizzazione, che avviene soprattutto nello stato deossigenato, determina deformazione e la caratteristica forma a falce dei globuli rossi. Questa condizione provoca squilibri che riducono elasticità e vitalità cellulare. I globuli rossi danneggiati rappresentano il principale trigger delle crisi vaso-occlusive, responsabili di fenomeni infartuali a livello del microcircolo, che spesso si manifestano con tumefazioni dolorose di mani e piedi. La prima manifestazione clinica è l’emolisi cronica con pallore, subittero o ittero, astenia, litiasi della colecisti e segni della deplezione di ossido nitrico. A livello arterioso si osserva diatesi trombotica per disfunzione endoteliale. L’emolisi cronica rappresenta uno stato di equilibrio, interrotto più o meno frequentemente da crisi vaso-occlusive. Tra le manifestazioni vaso-occlusive, tipica è l’ostruzione dei vasi retinici, che porta a cecità parziale o totale e determina cicatrici corio-retiniche, una delle manifestazioni retiniche più comuni e patognomoniche dell’anemia falciforme. Dal punto di vista laboratoristico, si osserva riduzione dell’Hb; la diagnosi è confermata da striscio periferico, test di solubilità ed elettroforesi dell’emoglobina, che evidenzia le anomalie strutturali.


5 di 15 Domande

Il Sig. Versici, un uomo di circa 70 anni, si reca presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, Il Dott. Mancini, per un fastidio al polso destro. Anamnesi patologica prossima: lamenta dolore al polso destro da circa due giorni.

Anamnesi patologica prossima: positiva per due interventi di chirurgia sostitutiva dell'anca, due precedenti episodi di gotta in entrambe le prime articolazioni metatarso-falangee ed ipertensione. Esame obiettivo: il Dott. Mancini visitandolo riscontra la presenza di rossore e gonfiore sul versante dorsale del polso. La sintomatologia dolorosa viene esacerbata da movimenti di flesso-estensione completi. Gli vengono prescritti 80 mg di aspirina al giorno. Due giorni dopo il gonfiore però è aumentato sul versante dorsale del polso ed a livello della mano. La flessione del polso risulta limitata dell' 80% con dolore severo, pertanto il Sig. Versici si reca nuovamente presso l’ ambulatorio del Dott. Mancini, che rivisitandolo nota che evoca un dolore sordo alla palpazione dello scafoide e pertanto nel sospetto di frattura gli prescrive un esame radiografico del polso/mano. Esami strumentali-laboratoristici: evidenza di alterazioni riconducibili ad un quadro di artrite gottosa. Quale tipo di citochine sono coinvolte in questo processo?

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La risposta corretta è la C.

La flogosi è un meccanismo di difesa di tipo aspecifico: risponde all’agente lesivo di tipo fisico-meccanico, radiazioni, batteri o sostanze chimiche. È quindi la risposta al danno tissutale ed è un processo reattivo (diverso dalla necrosi che è regressiva), aspecifico (contro tutto ciò che causa danno), stereotipato (stessi meccanismi principali a prescindere dalla causa, con vie diverse secondo lo stimolo), e procede indipendentemente dalla causa (una volta innescato, continua anche se lo stimolo è rimosso). Nella fase acuta si ha aumento del flusso ematico e della permeabilità vascolare, con accumulo di fluidi, leucociti e mediatori come le citochine. Vari fattori solubili favoriscono il reclutamento dei leucociti aumentando l’espressione di molecole di adesione e di fattori chemiotattici. Le citochine chiave sono IL-1, TNF-?, IL-6, IL-8 e altre chemochine; IL-1 e TNF-? sono particolarmente potenti, inducono febbre promuovendo la sintesi di PGE2 nell’endotelio ipotalamico. L’IL-1 è prodotta da macrofagi, neutrofili, cellule endoteliali ed epiteliali: a basse concentrazioni induce adesione leucocitaria, ad alte induce febbre e proteine di fase acuta. Diversamente dal TNF-?, non causa da sola shock settico. Inoltre stimola i mastociti al rilascio di istamina, con vasodilatazione precoce e aumento della permeabilità.

Durante l’infiammazione avvengono: (1) modificazioni di flusso e calibro vascolare con aumento del flusso sanguigno, (2) modificazioni del microcircolo e formazione dell’essudato, (3) richiamo chemiotattico dei leucociti, (4) fagocitosi. Dopo lo stimolo lesivo si ha vasocostrizione transitoria seguita da vasodilatazione intensa (iperemia attiva, responsabile di rubor e calor). Successivamente si verifica rallentamento della circolazione (iperemia passiva o stasi), dovuto ad aumentata permeabilità capillare con essudazione proteica e aumento della viscosità ematica. Il modello tipico dell’infiammazione acuta comprende: alterazioni di flusso e calibro, iperemia attiva e passiva, permeabilizzazione endoteliale con essudato, migrazione leucocitaria e chemiotassi, fagocitosi.

La chemiotassi è movimento orientato lungo un gradiente chimico; gli stimoli possono essere esogeni (prodotti batterici) o endogeni (complemento, leucotrieni, citochine). Durante la stasi i neutrofili si dispongono lungo l’endotelio (marginazione). Segue l’adesione: i leucociti rotolano con legami labili, poi aderiscono stabilmente formando la “pavimentazione”. Successivamente attraversano l’endotelio (diapedesi) e migrano verso lo stimolo. L’endotelio normalmente è continuo e liscio, ma nell’infiammazione aumenta la permeabilità ed esprime molecole di adesione preformate (es. P-selectina dai corpi di Weibel-Palade).

Le principali molecole di adesione sono: selectine (E sull’endotelio, P sull’endotelio in infiammazione, L sui leucociti, legano zuccheri); immunoglobuline (ICAM-1 e VCAM-1, interagiscono con integrine leucocitarie, le ICAM-1 si legano alle integrine ?2); VCAM-2 proprie dell’endotelio; integrine (già presenti sui leucociti, ma con bassa affinità: aumentano l’avidità a seguito di stimoli chemiokinici e dell’induzione di ICAM/VCAM-1). Le citochine IL-1 e TNF inducono fortemente la sintesi di ICAM-1 e VCAM-2, molecole implicate nei legami forti, la cui espressione richiede più tempo.


6 di 15 Domande

Il Sig. Mariani, un uomo di 78 anni si reca presso il PS del Policlinico Torvergata di Roma, a causa di un episodio di dispnea acuta. Anamnesi patologica prossima: lamenta comparsa di episodi di tosse produttiva, gonfiore degli arti inferiori e dei piedi, astenia, che perdurano da 3 settimane. Inoltre, da due mesi a questa parte, si sono presentate crisi di dispnea da sforzo ingravescente. Anamnesi patologica remota: una decina di anni prima è stato sottoposto ad un intervento di chirurgia sostitutiva per impianto di protesi valvolare di suino, a causa di un rigurgito della valvola mitrale di grado severo. Il paziente è affetto da coronaropatia, diabete mellito di tipo 2 ed ipertensione. Anamnesi fisiologica: ha fumato per 55 anni un pacchetto di sigarette al giorno e abitualmente beve una birra al giorno. Anamnesi farmacologica Attualmente prende diversi farmaci tra cui cardioaspirina, simvastatina, ramipril, metoprololo, metformina e idroclorotiazide. Esame obiettivo: si presenta dall’ aspetto pallido. L’ uomo è alto 181 cm e pesa 128 kg, con una BMI di circa 41 kg/m2. Ha una temperatura corporea di 37.3 °C , frequenza respiratoria di 23 atti/min, frequenza cardiaca di 97 bpm, e pressione arteriosa di 148/95 mm Hg. All’ auscultazione del torace si riscontra la presenza di rantoli alle basi polmonari bilateralmente. L’ esame obiettivo del cuore rivela la presenza di un battito apicale dislocato lateralmente e la presenza, a livello dell’ apice, di un soffio diastolico 3/6 di intensità decrescente. Inoltre si osserva la presenza di edemi improntabili bilateralmente a livello dei piedi e delle caviglie. Il resto dell’ esame obiettivo non mostra altre anomalie. Quale tra le seguenti è la causa più probabile dei sintomi di questo paziente?

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La risposta D è corretta.

Il paziente circa 10 anni fa si era sottoposto a un intervento di sostituzione protesica con impianto di protesi valvolare suina per severo rigurgito mitralico. Il trattamento di una valvulopatia, a meno che non sia di grado medio-elevato e clinicamente significativa, richiede solo un controllo periodico, mentre l’intervento chirurgico è indicato in presenza di una lesione moderata o grave responsabile di sintomi e/o disfunzione cardiaca. Le opzioni vanno dalla valvuloplastica alla riparazione fino alla sostituzione, che può essere effettuata con protesi meccaniche (preferite nei pazienti <65 anni o con lunga aspettativa di vita, ma richiedono anticoagulazione cronica con warfarin per prevenire tromboembolismo) o biologiche (suine o bovine, più soggette a deterioramento sclero-fibrotico, con durata media 10-15 anni). Una complicanza possibile delle protesi biologiche è l’ostruzione/stenosi o il rigurgito, entrambi responsabili di scompenso cardiaco.

L’endocardite infettiva insorge in presenza di una predisposizione endocardica (patologie congenite, reumatiche, valvole bicuspidi calcifiche, prolasso mitralico, cardiomiopatia ipertrofica, precedente endocardite). Fattori predisponenti sono protesi valvolari, tossicodipendenza, diabete, uso cronico di anticoagulanti o steroidi, età avanzata. Agenti più comuni sono streptococchi e stafilococchi (80-90%), seguiti da enterococchi e microrganismi HACEK. Clinicamente si manifesta con febbre, nuovo soffio o modifica di un soffio preesistente, può causare scompenso cardiaco e, all’ecocardiogramma, vegetazioni. Segni caratteristici: petecchie congiuntivali, macchie di Roth, lesioni di Janeway, nodi di Osler, emorragie subungueali a scheggia. La diagnosi si basa sui criteri di Duke (diagnosi rigettata, possibile o certa). In assenza di emocolture disponibili, e senza rischio per MRSA, la terapia empirica si effettua con un ?-lattamico + amminoglicoside. Sebbene questo paziente presenti soffio e segni di scompenso, non ha febbre né criteri di Duke: l’endocardite è improbabile (risposta A errata).

La BPCO è una malattia polmonare cronica non reversibile, con ostruzione bronchiale persistente (VEMS/CVF <0,7), spesso correlata a fumo e caratterizzata da progressione, riacutizzazioni infettive, dispnea, tosse produttiva cronica, tachipnea, cianosi e ipertensione polmonare nelle fasi avanzate. All’auscultazione: respiro sibilante e fase espiratoria prolungata. Nonostante il paziente sia fumatore con tosse, i sintomi durano solo da 3 settimane e non vi sono segni obiettivi di ostruzione: la diagnosi di BPCO è errata (risposta B errata).

La polmonite è un’infiammazione acuta polmonare (batterica, virale, fungina, parassitaria) diagnosticata con RX torace e reperti clinici. Può essere comunitaria (più spesso da Streptococcus pneumoniae, Mycoplasma pneumoniae) o nosocomiale. Clinicamente: febbre, tosse, dispnea, astenia, ipossia; nella forma tipica: esordio acuto con febbre, tosse produttiva, crepitii e rumori bronchiali; nella forma atipica: esordio graduale con tosse secca, dispnea e pochi segni obiettivi. È indicato esame colturale di sangue/escreato. Questo paziente presenta tosse produttiva ma non febbre, e all’auscultazione rantoli basali bilaterali: più compatibili con scompenso cardiaco che con polmonite (risposta C errata).

L’embolia polmonare è occlusione di arterie polmonari da trombi (arti inferiori/pelvi). Presentazione acuta con sintomi aspecifici: dolore toracico pleuritico, tosse, sincope, dispnea, arresto cardiorespiratorio nei casi gravi; segni: tachipnea, tachicardia, ipotensione. Fattori di rischio: immobilizzazione, trombofilie, gravidanza, chirurgia recente. In questo paziente tosse e dispnea possono mimarla, ma anamnesi negativa per immobilizzazione e presenza di stenosi mitralica con edemi declivi bilaterali fanno propendere per scompenso cardiaco congestizio piuttosto che embolia polmonare (risposta E errata).


7 di 15 Domande

Il Sig. Verci, un uomo di circa 60 anni si reca, presso l’ ambulatorio del proprio medico curante, il Dott. Briga, per dispnea. Anamnesi patologica prossima: lamenta una dispnea ingravescente da circa un mese. Inizialmente era in grado di salire 3 rampe di scale fino al suo appartamento, ma ora necessita di effettuare numerose pause per recuperare il fiato. Non lamenta dolore al petto. Anamnesi patologica remota: l'uomo è affetto da cardiopatia reumatica e diabete mellito di tipo 2. Anamnesi fisiologica: è emigrato dall'India circa 20 anni prima. Anamnesi farmacologica: assume carvedilolo, torasemide e insulina. Esame obiettivo: il Dott. Briga visita il Sig. Verci riscontrando una temperatura corporea di 37.2 °C, una frequenza cardiaca di 74 bpm, una frequenza respiratoria di 19 atti/min ed una pressione arteriosa di 135/80 mm Hg. La pulsossimetria mostra una saturazione d'ossigeno del 96% in aria ambiente. L'auscultazione del torace rivela la presenza di crepitii alle basi polmonari bilateralmente. All’ auscultazione cardiaca si riscontra la presenza di un soffio d'apertura seguito da un soffio diastolico di bassa tonalità , a livello del quanto spazio intercostale di sinistra in corrispondenza della linea medio-claveare. Esami strumentali-laboratoristici: il Dott. Briga decide di far eseguire una radiografia del torace al Sig. Verci, che mostra una dilatazione dell'atrio di sinistra, con stiramento del margine cardiaco di sinistra, ed un’ aumentata trama vascolare. Quale tra i seguenti rappresenta l'intervento di prima scelta per migliorare la sintomatologia del paziente?

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La risposta corretta è la D.

La malattia reumatica è la causa più frequente di stenosi mitralica non complicata. È caratterizzata da fibrosi, calcificazione dei lembi valvolari e parziale fusione delle commissure, con conseguente riduzione dell’ostio valvolare (normalmente 4-6 cm²) fino a valori <1 cm². A causa di questo restringimento, l’unico modo per garantire il passaggio di sangue dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro durante la diastole è aumentare le pressioni atriali. Questo incremento si trasmette a monte, con aumento della pressione nelle vene e nei capillari polmonari: ecco la causa della dispnea. Se le pressioni aumentano ulteriormente, soprattutto acutamente, può verificarsi la trasudazione di liquido negli alveoli con conseguente edema polmonare. Il nostro paziente all’auscultazione presenta anche crepitii basali bilaterali. Il gradiente diastolico transvalvolare è proporzionale al grado di stenosi ed è sensibile ad aumenti di portata e frequenza cardiaca: maggiore la portata/frequenza, maggiore il gradiente. Per questo un soggetto asintomatico a riposo può diventare sintomatico anche per sforzi lievi. L’evoluzione della stenosi mitralica è rappresentata dallo sviluppo di ipertensione polmonare arteriosa, secondaria a quella venosa, che provoca vasocostrizione arteriolare inizialmente funzionale e reversibile, successivamente irreversibile per ipertrofia della tonaca media e fibrosi dell’intima. Le elevate resistenze arteriolari del circolo polmonare causano sovraccarico pressorio del ventricolo destro con dilatazione, ipertrofia, disfunzione contrattile e segni di scompenso destro e bassa gittata. Nell’insufficienza mitralica, invece, la pressione atriale sinistra, molto più bassa di quella aortica, fa sì che il sangue refluisca in atrio già durante la contrazione isometrica ventricolare. Nell’insufficienza mitralica cronica l’atrio sinistro si adatta dilatandosi, per cui la pressione a monte non aumenta significativamente; nell’insufficienza acuta, invece, l’atrio non ha tempo di adattarsi e subisce un brusco aumento pressorio con ripercussioni sulla pressione venosa polmonare. Il ventricolo sinistro, sottoposto a sovraccarico di volume, si dilata: inizialmente la frazione di eiezione rimane conservata, poi si riduce progressivamente perché il rigurgito in atrio riduce il volume sistolico effettivo. Una frazione di eiezione <60% è indicativa di compromissione ventricolare sinistra. Nel nostro paziente, per segni, sintomi e reperti auscultatori, è probabile un coinvolgimento valvolare mitralico, in particolare stenosi o steno-insufficienza. L’intervento di scelta, nella stenosi mitralica clinicamente significativa (area ?1,5 cm²) o sintomatica, e nei pazienti con controindicazioni alla chirurgia, è la valvuloplastica percutanea con palloncino: una “dilatazione controllata” eseguita con un palloncino ad alta resistenza gonfiato in prossimità della valvola, introdotto tramite catetere da vena femorale destra. È una tecnica mini-invasiva che riduce morbilità e mortalità perioperatorie, con buona efficacia a lungo termine (sopravvivenza libera da eventi nel 30-70% dei casi), sebbene non siano rare le restenosi. Non può essere eseguita in presenza di calcificazioni valvolari, per cui è indicata la sostituzione valvolare.


8 di 15 Domande

Un ragazzo di 20 anni presenta il seguente ECG. Cosa si nota all'ECG?

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La risposta esatta è la A.

Le derivazioni da V1 a V6, chiamate derivazioni precordiali, esprimono l’attività elettrica del cuore sul piano orizzontale: V1-V2 esplorano il setto interventricolare, V3-V4 la parete anteriore del ventricolo sinistro, V5-V6 la parete laterale del ventricolo sinistro. L’onda P indica la depolarizzazione atriale, il complesso QRS e l’onda T indicano rispettivamente la depolarizzazione e la ripolarizzazione ventricolare, mentre la ripolarizzazione atriale non è visibile poiché avviene durante la depolarizzazione ventricolare. In età giovanile, dopo la pubertà, il vettore di ripolarizzazione ventricolare rende le T positive in tutte le derivazioni precordiali, tranne V1 e raramente V2; in casi eccezionali, la negatività può coinvolgere anche V3 e V4 (onda T giovanile). Dopo la pubertà, la presenza di onde T invertite ?2 mm in due o più derivazioni contigue del ventricolo destro può indicare cardiopatia congenita con sovraccarico di pressione o volume (cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro) oppure, più raramente, patologie ereditarie dei canali del sodio o potassio. L’ECG descritto mostra ritmo sinusale, alterazioni diffuse della ripolarizzazione con T negativa da V1 a V5, R alta in V1 e asse spostato a destra: reperti suggestivi di ipertrofia ventricolare destra a carattere aritmogeno. La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro è spesso familiare, più frequentemente a trasmissione autosomica dominante, e coinvolge prevalentemente ma non esclusivamente il ventricolo destro. Nel 10-20% dei casi è presente una mutazione nei geni che codificano proteine del desmosoma. Istologicamente si osserva progressiva sostituzione del miocardio con tessuto fibro-adiposo, che genera aree di discinesia e dilatazione soprattutto nel tratto di afflusso, efflusso e apice del ventricolo destro (triangolo della displasia), ma può estendersi all’intera parete ventricolare destra o anche al ventricolo sinistro. Questa condizione, per le alterazioni morfologiche e funzionali, è causa frequente di aritmie ventricolari e morte improvvisa, soprattutto in età giovanile durante o subito dopo l’attività fisica. In presenza di un ECG di questo tipo è quindi indicato eseguire un ecocardiogramma per rilevare eventuali alterazioni strutturali cardiache.


9 di 15 Domande

La signora Rettori, una donna di 45 anni, si reca dal proprio medico curante, il Dott. Pressi, per malessere. Anamnesi patologica prossima: comparsa di febbre, disuria e dolore alla schiena. Il Dott. Pressi consiglia alla paziente di recarsi in ospedale per ulteriori accertamenti; qui la donna verrà successivamente ricoverata con una sospetta diagnosi di pielonefrite. La paziente viene sottoposta a terapia con antibiotici ad ampio spettro, che determinano un significativo miglioramento della sintomatologia. Tuttavia, durante il quarto giorno di ricovero, la donna presenta nuovamente febbre, con leucocitosi e profusa diarrea acquosa. Esami strumentali: viene effettuata una colonscopia, visibile nell’ immagine sottostante.

Quale è la terapia per il trattamento di questo disturbo?

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La risposta corretta è la D.

La paziente presenta una colite pseudomembranosa causata da Clostridium difficile, un batterio appartenente alla famiglia Clostridiaceae, patogeno per l’uomo, Gram+ anaerobio. Il C. difficile è virulento in quanto possiede due tossine: la tossina A, un’enterotossina che si lega alle cellule della mucosa e causa un’ipersecrezione di liquido determinando diarrea acquosa; la tossina B, una citotossina che provoca gravi danni alla mucosa determinandone l’aspetto pseudomembranoso. Il Clostridium difficile causa colite associata ad antibiotici, tipicamente in ambiente ospedaliero. Fa parte normalmente del microbiota umano; tuttavia, quando si utilizzano antibiotici per lungo tempo, questi possono distruggere anche i batteri che tengono “sotto controllo” il Clostridium. Quando il C. difficile diviene dominante, si possono avere crampi addominali, colite pseudomembranosa, diarrea (talora ematica), raramente sepsi e addome acuto. I sintomi insorgono alcuni giorni dopo l’inizio della terapia antibiotica e includono diarrea acquosa o scariche di feci non formate, crampi addominali, raramente nausea e vomito. Per la diagnosi è importante l’identificazione della tossina nelle feci. Il trattamento consiste nell’interrompere la terapia antibiotica; se la sintomatologia è grave è possibile utilizzare vancomicina o metronidazolo (nel nostro caso, non essendo la vancomicina tra le opzioni, la risposta corretta è la D).


10 di 15 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

In seguito ai valori di glicemia a digiuno riscontrati, si richiede curva da carico orale di glucosio (OGTT). In base ai risultati sopra riportati, la paziente presenta:

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La risposta corretta è la B.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza.

L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: è necessario un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si associano inoltre a modifiche del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, arti inferiori, retina) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie degli arti inferiori).

Il diabete si classifica in due tipologie principali:

– diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), che può avere cause immuno-mediate o idiopatiche;

– diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e deficienza insulinica relativa, nella maggior parte dei casi senza necessità di insulina.

Esiste poi il diabete gestazionale, che compare in gravidanza e regredisce dopo il parto.

Tra le sindromi secondarie ricordiamo:

– pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori),

– patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite),

– patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante),

– tossicità da farmaci o sostanze chimiche (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.).

Il diabete può rimanere a lungo silente. Si stima che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% resti non diagnosticato.

Per la diagnosi, le misurazioni della glicemia prevedono:

– glicemia a digiuno (da almeno 12 ore): due rilevazioni ?126 mg/dl;

– glicemia random >200 mg/dl, ma solo in paziente sintomatico (polidipsia, poliuria, nicturia, ecc.);

– curva da carico con 75 g di glucosio in 200-250 ml d’acqua: il test si esegue solo se la glicemia basale è <126 mg/dl, e la diagnosi si pone se a 2 ore la glicemia è >200 mg/dl.


11 di 15 Domande

La signora Bellini è una giovane donna ricoverata nel reparto di ginecologia ed ostetricia dopo un parto complicato da una rottura prematura delle membrane amnio-coriali ed un prolungato travaglio. Anamnesi patologica prossima: In seconda giornata sviluppa febbre con brivido associata ad ipotensione e intenso dolore addominale che fanno sospettare un’ endometrite purperale. Il Dott. Lanfranchi decide di sottoporre la paziente ad una radiografia del torace e decide di avviare la terapia antibiotica e reidratante con 4.000 ml di soluzione salina nelle successive 24 ore ma l’ ipertermia persiste e si ottiene un lieve incremento della pressione arteriosa. Improvvisamente la sig.ra Bellini presenta dispnea. Esame obiettivo: viene rilevata una SpO2 dell’ 82% che non aumenta anche con ossigenoterapia con FiO2 del 100%. Il Dott. Lanfranchi decide quindi di intubare la paziente e si eroga una FiO2 del 100%. Non si rileva turgore giugulare, all’ auscultazione polmonare si apprezzano crepitii diffusi bilateralmente. Esami di laboratorio-strumentali: viene rapidamente inviato in laboratorio un campione di sangue arterioso che evidenzia PaO2 di 62 mmHg e PaCO2 di 33 mmHg. L’ ECG mostra tachicardia sinusale. Viene effettuato un nuovo RX del torace che mostra un quadro polmonare modificato rispetto a quanto si era visto nel precedente. Sulla base dei dati forniti quale tra le seguenti è la diagnosi più probabile?

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La risposta corretta è la B.

Questo paziente molto probabilmente ha una ARDS e il rapporto PaO2/FiO2 è <200: la paziente ha un rapporto di 60 (FiO2 = 1 ovvero 100% e PaO2 di 60 mmHg: necessita di ossigeno al 100% per mantenere una pressione di PaO2 accettabile). La RX torace mostra infiltrati polmonari diffusi non riconducibili a eziologia cardiogena. L’EO evidenzia dispnea ingravescente a insorgenza improvvisa, con crepitii diffusi bilateralmente. La paziente presentata nel caso è verosimilmente affetta da ARDS in seguito a sepsi da endometrite postpartum.

La sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) è una grave malattia acuta polmonare. I fattori scatenanti sono numerosi: polmonite, shock, gravi traumi, sepsi, aspirazione di alimenti (ab ingestis), pancreatite. È caratterizzata da danno diffuso della membrana alveolo-capillare, con edema polmonare non cardiogenico (ricco di proteine) e insufficienza respiratoria acuta (ARF). Si osserva reclutamento di neutrofili nei capillari alveolari e formazione di membrane ialine. I neutrofili rilasciano chemochine (che richiamano istiociti), producono ROS, proteasi, leucotrieni, fattore di attivazione piastrinica, prostaglandine e altre molecole che danneggiano le barriere tra capillari e spazi aerei. Gli alveoli e l’interstizio si riempiono di proteine, detriti cellulari e liquido, con distruzione del surfattante, collasso alveolare e mismatch ventilazione/perfusione.

L’ARDS determina grave ipossiemia refrattaria all’ossigenoterapia. I criteri diagnostici comprendono:

– Opacità bilaterali alla RX non spiegabili da versamento, atelettasia o noduli.

– PaO2/FiO2 ?200 mmHg.

– Assenza di evidenza clinica di aumentata pressione atriale sinistra o insufficienza cardiaca (PCWP <18 mmHg). Una pressione di incuneamento capillare polmonare >18 mmHg orienta invece verso edema polmonare cardiogeno.

Secondo la “Definizione di Berlino 2012” l’ARDS si classifica in:

– Lieve: PaO2/FiO2 ?200 mmHg.

– Moderata: PaO2/FiO2 ?100 mmHg.

– Grave: PaO2/FiO2 ?100 mmHg.


12 di 15 Domande

La signora Degiovi, una donna di 54 anni, viene ricoverata presso il reparto di medicina interna del policlinico Umberto I di Roma, in seguito ad un episodio di ematemesi non dolorosa. Anamnesi patologica prossima: la paziente riferisce al Dott. Termine, direttore del reparto, che nei giorni precedenti non ha sofferto di dispepsia e disfagia, nè lamenta perdita di peso. Esame obiettivo: l’ esame obiettivo dell’ addome non fornisce alcun dato clinico rilevante. La donna presenta una P.A. di 100/65 mmHg e F.C. di 100 bpm. Esami strumentali-laboratoristici: il valore di emoglobina è di 6.9 g/dl. La paziente viene sottoposta ad esofagogastroduodenoscopia, mediante la quale è stata identificata una lesione pedunculata a livello della piccola curvatura dello stomaco. Quale è la diagnosi?

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La risposta corretta è la B.

GIST è l’ acronimo di GastroIntestinal Stromal Tumors, tumori mesenchimali che originano dalla parete muscolare del tratto gastrointestinale.

Hanno una caratteristica molto specifica che li accomuna, rappresentata dalla presenza di un recettore tirosinchinasico denominato Kit, identificato mediante una tecnica di immunoistochimica che verifica l’ espressione del CD117. La positività per il CD117 si verifica anche in altre situazioni, essendo per esempio connessa ai processi di melanogenesi, all’ ematopoiesi (alcune forme di linfomi sono positive a questo marker), però , nell’ ambito di questo tipo di tumori che si sviluppa dalla parete del muscolo, identifica questo specifico gruppo di neoplasie. Caratteristica fondamentale è che queste si sviluppano dalla parte stromale della parete intestinale, in particolare dalle cellule di Cajal, che hanno funzione di pacemaker per la muscolatura intestinale.

Epidemiologicamente tali tumori hanno un’ incidenza più elevata dalla quinta alla sesta decade di vita. Il problema della prognosi è un po’ complesso, poiché nel passato a questo tipo di tumore veniva attribuita una sopravvivenza a 5 anni piuttosto modesta, nell’ ordine del 35%; attualmente, sia per la migliore caratterizzazione di questi tumori (che ha permesso di eliminare una parte dei tumori a prognosi peggiore, che in realtà non erano dei GIST), sia per l’ introduzione di un nuovo farmaco, l’ imatinib (Glivec), la prognosi è decisamente maggiore: per cui, anche in presenza di malattia metastatica, si riesce ad ottenere un 70% di sopravvivenza a 5 anni; è un dato importante, che sottolinea l’ importanza di fare una corretta diagnosi di GIST, che non è semplice.

Tali tumori si localizzano:

– nel 50-60% dei casi nello stomaco,

– nel 30% dei casi nel tenue,

– nel 10% dei casi nel colon e nel retto.

Le alterazioni anatomiche causate dai GIST sono peculiari: si apprezza solitamente una massa che protrude all’ interno del lume; questo tumore spinge verso l’ interno la mucosa, ed è chiaro questo avviene perché il punto di origine del tumore stesso è all’ interno della parete muscolare; a differenza di quei tumori, che abbiamo già visto, dell’ esofago e dello stomaco, che originavano per la maggior parte dall’ epitelio della mucosa e solo successivamente si sviluppavano verso l’ esterno e che avevano l’ aspetto di grosse ulcere, il GIST dà un bulging, determina una protrusione della mucosa verso l’ interno e poi si sviluppa verso l’ esterno. Può capitare inoltre, quando questa spinta è molto importante, che il tumore determini una condizione di ischemia in alcuni punti della mucosa.

Dal punto di vista clinico il GIST presenta le seguenti caratteristiche:

– è  “ paucisintomatico” , proprio perché ha una crescita prevalentemente esofitica,

– talvolta può essere causa di un’ emorragia gastrointestinale, perché , nel momento in cui fa salienza nella sottomucosa, anche se di base non dà grosse ulcerazioni, può , come abbiamo detto, comprimere la mucosa e far sanguinare,

– raramente, quando questa massa diventa importante, dà sintomi da “ massa” : se si localizza nell’ esofago o sulla giunzione gastroesofagea darà disfagia, se nel pancreas darà ittero, se nel piccolo intestino può dare quadri ostruttivi; peraltro, nei quadri ostruttivi descritti nell’ adulto, è una delle possibili cause di invaginazione intestinale, evento relativamente raro nell’ adulto, mentre questa è un frequente motivo di ostruzione in età pediatrica. Il GIST dà invaginazione intestinale perché , nel momento in cui protrude verso l’ interno, pur senza dare una rigidità da placca, l’ intestino, di riflesso, cerca di far progredire questa sorta di corpo estraneo che avverte nel proprio lume con la peristalsi, finché lo manda in avanti; quindi il GIST, avanzando in senso prossimale – distale, trascina con sé l’ intestino a monte.

La diagnosi, in linea generale, passa attraverso gli stessi sistemi che si utilizzano anche per le neoplasie di tipo epiteliale.

– Utilizzando una radiografia dell’ addome con contrasto baritato, la lesione si presenta come un difetto di riempimento con bordi ben demarcati, cioè con una superficie regolare, non a cratere, non irregolare come i tumori che originano dalla mucosa. Le ulcerazioni dei GIST sono in genere piuttosto piccole, per cui difficilmente sono apprezzabili. Talvolta determinano una stenosi significativa del lume;

– anche l’ endoscopia  può far sospettare il GIST: se il tumore è localizzato sullo stomaco, per esempio, troviamo una protrusione della parete del viscere, con mucosa per lo più sana;

– l’ eco-endoscopia (EUS) può essere utile per verificare che la lesione identificata non viene realmente dall’ esterno, bensì dalla parete muscolare. Inoltre l’ EUS dà informazioni interessanti relative al diametro del GIST: in particolare, il cut-off di riferimento ai fini prognostici è fissato a 2 cm; otre a questo, è utile nel definire la presenza di margini irregolari e la rapidità di crescita durante il follow up. Infine può anche consentire l’ esecuzione di una biopsia: su questa procedura, in realtà , sussistono molte perplessità , in quanto non sono assolutamente indicate né accettate biopsie che vengano eseguite dall’ esterno, sotto controllo radiologico, perché è dimostrato che, lungo il percorso seguito dall’ ago per andare a pungere la massa, dopo l’ estrazione dell’ ago si può verificare l’ insemenzamento di cellule neoplastiche, per cui si può formare una colonizzazione di questo tratto.

– per lo studio dell’ intestino tenue una delle possibilità è utilizzare la videocapsula: una piccola capsula, di un paio di centimetri di diametro, che viene fatta ingoiare al paziente e che registra, durante il suo percorso nel tenue, eventuali alterazioni della mucosa; una delle indicazioni più frequenti è la ricerca di cause di emorragie non altrimenti riconoscibili, e questa può consentire anche la diagnosi di GIST.

– chiaramente una massa all’ interno dell’ addome è studiabile agevolmente con la TC con mezzo di contrasto: questa tecnica ci informa sulla localizzazione, sulla grandezza, sull’ eventuale infiltrazione agli organi adiacenti e sulla presenza di metastasi. Consente di fare una sorta di stadiazione.

– la risonanza magnetica in generale non aggiunge molto rispetto alla TC: dà comunque qualche informazione in più nelle localizzazioni rettali e, in alcuni casi, per le lesioni ripetitive epatiche; questo perché del retto, anatomicamente corrispondente agli ultimi 17 – 18 centimetri dell’ intestino crasso, una parte, corrispondente al terzo prossimale, è all’ interno della cavità addominale, mentre tra il terzo superiore e il terzo medio il peritoneo si riflette sulla parete pelvica, cosicché i due terzi inferiori sono extraperitoneali. La porzione di retto extraperitoneale si riesce a studiare meglio, mediante l’ utilizzo di tecniche di contrasto, con la risonanza magnetica, grazie alla presenza di abbondante grasso e di parecchi linfonodi. In un GIST del retto, quindi, vale la pena, oltre la TC, di effettuare anche una risonanza.

– la PET non ha nessun significato ai fini diagnostici, mentre si sta affermando come mezzo utile per predire la risposta ai trattamenti chemio- e radioterapici. Infatti, una volta sottoposto il paziente ad un trattamento di radiochemioterapia, per poterne valutare gli effetti si deve attendere in prima battuta la conclusione del ciclo, ed in seconda battuta un tempo congruo, perché , alla fine del trattamento, il danno non si è ancora espresso morfologicamente: molte cellule, infatti, sono state fortemente danneggiate, ma ancora hanno mantenuto la loro morfologia, ed andranno incontro successivamente ad apoptosi, venendo lisate ed assorbite.

Il trattamento è in primo luogo, in termini di efficacia, chirurgico. Lo schema di trattamento prevede, a partire dalla diagnosi di GIST, di definire se la neoplasia sia resecabile o meno:

– se è resecabile, si esegue un intervento di chirurgia demolitiva, di asportazione;

– se invece la neoplasia risulta non resecabile, o se la chirurgia necessaria risulti troppo demolitiva (se, per esempio, c’ è un’ infiltrazione che coinvolge tutto il pancreas o tutto il tenue, organi che non possono essere rimossi o possono essere resecati a costi molto alti), o se il paziente non può essere sottoposto per un intervento (se, ad esempio, è troppo anziano o se ha importanti comorbidità ), si può fare una terapia neoadiuvante con il farmaco di cui ho già fatto cenno, l’ imatinib.

Se dopo la terapia con imatinib si ottiene una riduzione della massa e si pensa di poterla asportare, di nuovo resezione; se invece la massa ancora non è resecabile, si continua con l’ imatinib, ma chiaramente con prospettive prognostiche meno buone.

Quindi, il trattamento fondamentale nelle forme resecabili è la chirurgia, una chirurgia non molto demolitiva; nelle neoplasie di origine dalla mucosa dello stomaco, per esempio, se la lesione era localizzata nel corpo, bisognava portare via tutto l’ organo, per i rischi di multifocalità e di diffusione linfatica, che prevede la linfadenectomia; nel caso dei GIST invece si effettua una chirurgia di minima, in quanto è sufficiente portare via il pezzo di viscere in cui la neoplasia se è formata e che i monconi restanti siano, da entrambi i versanti, macroscopicamente negativi; non c’ è perciò necessità di effettuare grosse demolizioni. Oltre a questo, bisogna prestare attenzione nella manipolazione del tumore, in quanto questa, se eccessiva, può dare luogo, con un meccanismo diverso, al fenomeno analogo a quello che si verifica nelle biopsie: se si fanno cadere delle cellule, queste si inseminano. Non si esegue nessun tipo di linfadenectomia e possibilmente bisogna cercare di non lasciare residui macroscopici di neoplasia.

Se il tumore è così grande da non consentire questa chirurgia di minima, o se coinvolge molte strutture, o se, pur nella sua crescita a carattere locale, va a coinvolgere i vasi mesenterici superiori, la cui resezione non è proponibile, in quanto comporterebbe la necrosi di tutto il piccolo intestino e quindi un impedimento dell’ assorbimento, in questi casi si ricorre al trattamento neoadiuvante con l’ imatinib.

L’ imatinib (Glivec) si utilizza nei casi in cui è documentata mediante l’ immunoistochimica la mutazione di Kit, in quanto indirizzato direttamente ad inibire l’ attività della tirosinchinasi. Può essere somministrato con finalità neoadiuvante, nelle forme inoperabili o in quelle non operabili con la garanzia di un’ asportazione completa.

Quali sono i criteri che permettono di dire se il paziente ha buone possibilità di guarigione? I principali sono due:

– le dimensioni del tumore, per cui se il GIST ha una dimensione inferiore ai 2 cm la prognosi è migliore;

– l’ indice mitotico: contando il numero di mitosi per campo, se questo è inferiore a 5 x HPF (High Power Field) la prognosi è buona; se è compreso tra 5 e 50 x HPF è intermedia, se è maggiore di  50 x HPF la prognosi è decisamente peggiore.

Un’ altra informazione di tipo collaterale, i GIST con localizzazione gastrica hanno una prognosi leggermente migliore rispetto a quelli localizzati nel piccolo intestino, che comunque rimane la sede più frequente.

 


13 di 15 Domande

Una paziente di 58 anni si presenta presso il reparto di nutrizione clinica. La donna presenta BMI 20,9, circonferenza vita 88 cm, analisi ematochimiche (in allegato) in cui si presenta colesterolo LDL fuori range e glicemia a digiuno elevata.

Per il paziente diabetico è essenziale assumere cibi a basso indice glicemico. Qual è tra i seguenti alimenti quello che presenta il più basso indice glicemico?

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La risposta corretta è la A.

Il diabete è un gruppo di alterazioni caratterizzate da elevati livelli di glicemia, legati a un’alterata secrezione insulinica o a una ridotta sensibilità all’insulina. Questa alterata secrezione può variare da forme severe, in cui la produzione di insulina è nulla o quasi (diabete di tipo I, pancreasectomia), a forme intermedie modulate dall’insulino-resistenza. L’insulino-resistenza da sola non è in grado di slatentizzare un diabete mellito: serve un danno della secrezione. Le alterazioni del metabolismo del glucosio si accompagnano anche ad alterazioni del metabolismo lipidico e proteico, predisponendo a complicanze vascolari: microvascolari (rene, retina, arti inferiori) e macrovascolari (cuore, cervello, arterie periferiche). Il diabete si classifica in due tipologie principali: diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente), con cause immuno-mediate o idiopatiche; diabete mellito di tipo II (non insulino-dipendente), malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia in un contesto di insulino-resistenza e relativa deficienza insulinica, che nella maggior parte dei casi non richiede terapia insulinica. Esiste anche il diabete gestazionale, che si manifesta in gravidanza e regredisce dopo il parto. Tra le forme secondarie: pancreasectomia (oggi non più praticata nelle pancreatiti, ma solo nei tumori), patologie del pancreas esocrino (es. pancreatite), patologie endocrine (acromegalia, sindrome di Cushing, feocromocitoma, poiché l’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante), tossicità da farmaci o sostanze (glucocorticoidi, tiazidici, ecc.). Il diabete può progredire a lungo senza sintomi. Si calcola che, a fronte di una prevalenza diagnosticata del 4%, un ulteriore 4% rimane non diagnosticato. Per la diagnosi: glicemia a digiuno ?126 mg/dl in due misurazioni, glicemia random >200 mg/dl in presenza di sintomi (poliuria, polidipsia, nicturia), curva da carico con 75 g di glucosio (diagnosi se glicemia >200 mg/dl a 2 ore). Prima del test, la glicemia basale deve essere <126 mg/dl. Il test va eseguito in pazienti non ricoverati, in buone condizioni cliniche, dopo dieta abituale (non ridotta in carboidrati), a digiuno dalla mezzanotte, senza febbre, stress o fumo. Indicazioni alla curva da carico: glicemia alterata a digiuno (100–125 mg/dl), familiarità per diabete dai 30-40 anni, obesità, complicanze cardiovascolari (TIA, angina, claudicatio), soprattutto se obesi e fumatori, infezioni urinarie o cutanee ricorrenti con glicemia alterata. Il 90% dei casi è di tipo II, storicamente detto diabete dell’adulto (esordio >40 anni), ma oggi è sempre più precoce (anche a 18 anni), correlato all’obesità, in particolare infantile (Italia con alta prevalenza, soprattutto nel centro-sud). Nei gemelli monozigoti la concordanza è ~100% nel tipo II, mentre nel tipo I, pur avendo componente genetica, è solo del 50% per il ruolo di fattori ambientali. Anche nei monozigoti separati alla nascita la concordanza del tipo II rimane elevata, a dimostrazione della forte componente genetica, ancora non del tutto chiarita.


14 di 15 Domande

La tabella mostra il confronto tra i risultati di un test diagnostico e lo stato di malattia dei soggetti in studio. A cosa corrisponde il valore predittivo positivo di un test?

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La risposta corretta è la D.

Il valore predittivo positivo (VPP) di un test diagnostico, risponde alla seguente domanda: qual è la probabilità che un paziente con test positivo abbia la malattia?

Il VPP dipende dalla prevalenza della patologia nella popolazione e corrisponde alla proporzione di soggetti malati tra quelli risultati positivi al test. Se questa è alta (es. 20% di prevalenza HIV nella popolazione africana), un individuo proveniente da quella popolazione avrà una probabilità più alta di avere la patologia. Infatti, la probabilità di un paziente con test positivo di avere realmente la malattia è alta (vero positivo). Più elevata è la prevalenza, più alto è il VPP. Al contrario, se la prevalenza della malattia è bassa (es. 1% di positività per HIV nella popolazione asiatica), la probabilità che un paziente con test positivo abbia davvero la malattia è bassa (falso positivo).


15 di 15 Domande

Durante il regolare giro visite nel reparto di medicina interna del policlinico Umberto I di Roma, il Dott. Rove, medico strutturato, nota che il Sig. Chieri, un paziente di 45 anni affetto da RCU, ha un livello sierico di fosfatasi alcalina pari a 390 U/L e di bilirubina pari a 2.3 mg/dL. Viene effettuata una CPRE, e la seguente colangiografia viene ottenuta.
Oltre alla rettocolite ulcerosa, come riportato in anamnesi, quale altra patologia presenta il paziente?

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La risposta corretta è la D.

La colangite sclerosante primitiva è caratterizzata da sclerosi periduttulare che provoca una stenosi progressiva di dotti biliari secondari e quindi una colestasi.

La patogenesi è sconosciuta, la si osserva associata a malattie infiammatorie croniche intestinali (soprattutto rettocolite ulcerosa) e ad altre condizioni di sclerosi idiopatiche di organi e tessuti (sclerosi idiopatiche del mediastino o fibrosi del pancreas).

Poiché una buona percentuale di forme di fibrosi idiopatica del pancreas è stata recentemente rivista e ribattezzata come sindrome da iper IgG4, si ritiene che anche nella colangite sclerosante vi possa essere questa patogenesi. Nella sindrome da iper IgG4, una nuova entità patologica, si ha accumulo nei tessuti di plasmacellule che secernono la IgG4. Questa immunoglobulina non è frequente, le più frequenti sono le IgG3, le IgG1, ma sembra associata con la colangite e la fibrosi del pancreas. Questa Ig è in grado, attivando cascate del complemento, di determinare questi fenomeni sclerotici. Lo fa a livello del pancreas e si ritiene che agisca anche nelle colangiti sclerosanti.

Qualunque sia la genesi, in questa sclerosi i dotti sono circondati da tessuto fibroso sclerotico con chiusura e scomparsa progressiva di questi ultimi associate a un quadro di colestasi extraepatica che arriva a interessare anche i dotti di grosse dimensioni, con sclerosi concentrica molto evidente e progressivamente manda le cellule a morire e il dotto appare quasi disepitelizzato.

CPRE (colangiopancreatografia retrograda endoscopica) è un esame che consente tramite iniezione retrograda trans-papillare di mdc, l’ opacizzazione del coledoco e del dotto di Wirsung.

I principali vantaggi della CPRE, rispetto all’ ecografia, sono la possibilità di visualizzare durante l’ endoscopia direttamente la papilla, di studiare dopo incannulazione il coledoco distale e il dotto di Wirsung (tutta la via biliare e pancreatica, pancreatografia particolarmente importante per lo studio dei tumori pancreatici), e di poter effettuare biopsia e/o citologia per aspirazione o brushing della papilla.

La CPRE consente inoltre da un punto di vista terapeutico l’ estrazione della maggior parte dei calcoli bloccati nella VBP.

Questa metodica è tuttavia gravata da alcune complicanze: colangite per risalita e accumulo del m.d.c. nei dotti biliari a monte della stenosi con veicolo di infezioni, pancreatite chimica (in tal caso sarà necessario applicare un drenaggio per via endoscopica o percutanea).

Nei casi in cui la CPRE fallisce o è inattuabile per motivi tecnici (stenosi esofagee, gastroresecati) si può eseguire la PTC (colangiografia percutaneo transepatico) , che prevede la puntura ed opacizzazione delle vie biliari per via transcutanea. Una complicanze è la colangite.


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