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1 di 3 Domande

Ferdinando, uno studente universitario di circa 30 anni, si reca presso l’ambulatorio del proprio medico curante, il Dottor Bianchi, per mostrargli un’eruzione cutanea a rapida espansione sviluppatesi in corrispondenza del braccio destro. Anamnesi patologica prossima: La chiazza è rotondeggiante e mostra una ipocromia centrale. Ferdinando inoltre riferisce di sentirsi da un po’ di tempo sonnolento e con una sensazione di malessere generale, attribuendo tali fenomeni dopo un recente viaggio in un campeggio in Virginia, negli USA. Quale diagnosi comunicherà il Dottor Bianchi a Ferdinando?

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La risposta corretta è la D.

Il dottor Bianchi comunicherà a Ferdinando che è affetto dalla Malattia di Lyme, una zoonosi che si acquisisce a causa del morso di zecca (è trasmessa principalmente da 4 specie di zecche Ixodes sp) e l’agente eziologico alla base dell’infezione è la spirocheta Borrelia burgdorferi.

L’anamnesi positiva per un recente viaggio in campeggio è un ulteriore dato che avvalora tale ipotesi diagnostica. La malattia di Lyme è endemica nel nord-est degli USA e si manifesta con un eritema cronico migrante, come descritto in questo caso, ovvero una lesione cutanea a carattere papulomatoso, fortemente eritematosa, che poi gradualmente si estende a formare una lesione molto più estesa, con al centro una zona necrotica o maggiormente rossastra e con dei bordi finemente rilevati.

I sintomi iniziali comprendono: malessere generalizzato e rash cutaneo di carattere eritematoso migrante, che può essere seguito dopo alcune settimane o mesi da alterazioni articolari, neurologiche o cardiache.

La diagnosi è fondamentalmente clinica negli stadi precoci della malattia, ma i test sierologici possono essere di sostegno nella diagnosi delle eventuali complicanze reumatologiche, neurologiche e/o cardiache che si manifestano nelle fasi avanzate della malattia. La terapia generalmente prevede la somministrazione di antibiotici come doxiciclina o ceftriaxone, mentre nelle donne incinta si predilige l’amoxicillina, un antibiotico appartenente alla classe dei β-lattamici, che è il trattamento di scelta nelle donne in gravidanza e in allattamento, nonché i bambini di età inferiore a 8 anni.

 

La risposta A è errata

La miocardite è una flogosi miocardica accompagnata da necrosi dei miociti che solo raramente comporta un’eruzione cutanea localizzata. Spesso segue un’infezione virale (Il virus della Coxsackie B rappresenta la causa più comune di miocardite, che può anche portare a cardiomiopatia dilatativa) e si presenta con un quadro clinico caratterizzato da coinvolgimento delle vie aeree superiori, febbre, dispnea e dolore toracico. Il trattamento è volto a ridurre le richieste energetiche del miocardio. L’uso della terapia immunosopressiva e antinfiammatoria dipende dalla causa sottostante e rimane ancora controverso.

 

La risposta B è errata

La storia clinica di una recente escursione in una zona endemica per la patologia di Lyme è altamente suggestiva di una patologia causata da una puntura di zecca. La meningite rappresenta una condizione patologica caratterizzata da un’infiammazione delle delle meningi, in particolare dell’aracnoide e della pia madre, cioè le leptomeningi, provocate dalla localizzazione diretta di un agente infettivo. Raramente si riconosce un’eziologia non infettiva riconducibile ad una irritazione meningea da farmaci o agenti chimici. Molto spesso l’infezione non interessa solo le meningi ma anche il sottostante parenchima cerebrale: si parla in questo caso di meningoencefaliti. Le meningiti batteriche sono le più frequenti e le più gravi. Anche quelle virali sono molto frequenti, a differenza di quelle da micoplasma, rickettsie, clamidie, protozoi, elminti che sono meno frequenti. La diagnosi di meningite si fa con l’esame del liquor. Basta un sospetto di meningite a rendere indicata la puntura lombare che è l’unico accertamento che ci dice con esattezza se è una meningite e che eziologia ha.

Tuttavia è sempre un bene fare un’attenta diagnosi differenziale ed escludere una condizione di meningite, perché a volte se causata dalla Neisseria Meningitidis, può determinare un’eruzione cutanea, benchè di tipo petecchiale, associata a febbre alta, mal di testa, nausea e/o vomito, torcicollo e fotofobia, tutti sintomi che il nostro paziente nega.

 

La risposta C è errata

Gli stafilococchi sono microrganismi Gram-positivi aerobi. Lo Staphylococcus aureus è il germe più patogeno; causa tipicamente infezioni cutanee e talvolta polmoniti, endocarditi e osteomieliti. Porta spesso alla formazione di ascessi.

Lo Staphylococcus aureus è la causa predominante di impetigine non-bollosa e di ogni impetigine bollosa (la formazione delle bolle è dovuta all’azione della tossina esfoliativa prodotta dagli stafilococchi).

Lo S. aureo infine può sovrainfettare anche delle lesioni cutanee come le punture di zecche, provocando delle lesioni ulcerative su base eritematosa. Nulla a che vedere, insomma, con l’eritema cronico migrante presentato da Ferdinando. Sebbene si stiano rapidamente sviluppando dei ceppi resistenti a questi antibiotici, il trattamento prevede generalmente penicillina o vancomicina.

 

La risposta E è errata

La febbre maculosa delle Montagne Rocciose è un’infezione batterica, dovuta al batterio Rickettsia rickettsii, che si trasmette all’uomo con il morso della zecca del legno o del cane, correlata ad una mortalità stimata fino al 40%. La sintomatologia comprende l’improvvisa comparsa di iperpiressia seguita dalla comparsa si un esantema dell’area articolare di polsi e caviglie che si estende a volto, tronco, ascelle, glutei e alle aree palmari e plantari di mani e piedi: l’eruzione descritta dal nostro paziente è molto più indicativa di malattia di Lyme, in quanto il rash della febbre maculosa delle Montagne Rocciose è più diffusa e presenta localizzazione preferenziale differente.

Inoltre anche in questa patologia si presentano sintomi neurologici quali cefalea, insonnia fino al coma.

Il trattamento si basa su doxiciclina o tetraciclina.


2 di 3 Domande

La Sig.a Varesi, una donna di mezz’età di professione segretaria, si reca presso l’ambulatorio del proprio medico curante, la Dott.ssa Rosi, a causa di un fastidio al cavo orale. Anamnesi patologica prossima: presenta erosioni a livello della cavità orale, che sono persistenti e dolorose. Riferisce inoltre che negli ultimi giorni ha notato la comparsa di erosioni anche a livello cutaneo: tali lesioni cutanee si manifestano dapprima come bolle flaccide, per poi trasformarsi in vere e proprie erosioni nel giro di poco tempo. Quale è la diagnosi più probabile?

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La risposta corretta è la E.

Il pemfigo volgare è un disordine raro. Dal punto di vista eziologico, ritroviamo autoanticorpi IgG diretti contro le “Ca-dependent cadherins desmoglein 1” e “desmoglein 3”. Si ha dunque, una compromissione dell’adesione cellula-cellula e una compromissione della segnalazione tra le cellule epidermiche; questo esita in l’acantolisi (perdita di adesione intracellulare).

In particolare, questa malattia può colpire qualsiasi area di epitelio squamoso stratificato (compreso le superfici mucose).

Dal punto di vista clinico, possiamo ritrovare bolle flaccide, che causano anche dolore cutaneo e erosioni orali e di altre mucose. Queste bolle si rompono e lasciano un’area caratterizzata da disepitelizzazione e formazione di una crosta. È possibile, una infezione di queste lesioni.

Circa il 50% dei pazienti mostra solo lesioni orali (queste bolle tendono a rompersi, e rimangono sotto forma di lesioni croniche e dolorose) e questa è una caratteristica peculiare di tale quadro clinico.

Dal punto di vista di un rilievo semiologico caratteristico abbiamo il segno di Nikolsky positivo (separazione agevole degli strati superficiali cutanei dallo strato basale con successiva formazione di una bolla che si manifesta successivamente ad uno sfregamento cutaneo od ad un processo traumatico).

Gli anticorpi anti-desmogleine sono l’elemento diagnostico più rilevante del pemfigo volgare.

 

La risposta A non è corretta.

La sindrome della cute ustionata da stafilococco, è una patologia molto particolare caratterizzata da una epidermolisi acuta, indotta da una tossina stafilococcica.

Dal punto di vista epidemiologico, questa patologia colpisce i bambini con meno di 6 anni.

Dal punto di vista clinico, ritroviamo bolle diffuse con disepitelizzazione che interessano pressoché tutta la superficie cutanea, reperto non descritto nel nostro caso.

 

La risposta B non è corretta.

Il mollusco contagioso, infezione deteminata dal poxvirus, si caratterizza clinicamente per la comparsa di gruppi di papule ombelicate centralmente non pruriginose ad aspetto perlaceo, a superficie liscia, rosata e con un diametro solitamente compreso tra 2 e 5 mm (pertanto non si presenta con bolle o erosioni come nel caso presentato).

La trasmissione avviene: per contatto diretto, per auto-inoculazione, indumenti o biancheria contaminate.

I pazienti in stato di immunodepressione sono a rischio di sviluppare un’infezione disseminata.

 

La risposta C non è corretta.

La psoriasi è una patologia infiammatoria che nella maggior parte dei casi si manifesta con papule e placche di color salmone ben circoscritte, eritematose e ricoperte da squame argentee mm (le lesioni patognomoniche della psoriasi non includono nè bolle, nè erosioni, come nel caso presentato).

Colpisce circa l’1-5% della popolazione mondiale. Inoltre colpisce di più le persone con una carnagione chiara, le persone con una carnagione più scura o i neri sono meno a rischio.

L’eziologia è multifattoriale e include la predisposizione genetica.

Solitamente, per quanto riguarda i sintomi essi sono minimi. Tuttavia, in casi gravi vi può essere prurito.

Una manifestazione particolare della psoriasi è l’artrite psoriasica.

Il trattamento può comprendere l’utilizzo di emollienti, farmaci topici, fototerapia e, nelle forme gravi, di farmaci sistemici.

 

La risposta D non è corretta.

Il pemfigoide bolloso è una dermatosi bollosa cronica autoimmune, determinata dalla produzione di autoanticorpi in grado di attaccare alcune strutture degli emidesmosomi che consentono l’adesione dello strato basale alla membrana basale.

L’eziologia non è nota, è più frequente in soggetti di età<65 anni con familiarità per la stessa patologia, con anamnesi positiva per altre patologie autoimmuni o per altre patologie cutanee (come la psoriasi) o sistemiche (come il diabete mellito) e può scatenarsi in soggetti predisposti esposti a fattori esogeni come raggi UV e X, ustioni, alcuni farmaci. L’incidenza aumenta tra gli individui affetti da neoplasie maligne o disordini neurologici.

È prodromica la comparsa di chiazze pruriginose orticariodi o eczematose; successivamente si assiste alla formazione di lesioni bollose a livello cutaneo del diametro medio di 2-3 cm, dalla superficie tesa e di consistenza rigida che se perforate emanano fluido sieroso; raramente interessano la mucosa. Compaiono in seguito all’attivazione del complemento e il rilascio di mediatori della flogosi; il processo infiammatorio che ne deriva porta alla formazione delle bolle: tali bolle possono insorgere su cute normale o su zone cutanee eritematose soprattutto a livello delle zone flessorie e del tronco.  Il pemfigoide bolloso pertanto è caratterizzato da bolle tese che non si rompono velocemente come quelle del pemfigo volgare.

Da un punto di vista diagnostico la prima diagnosi è clinica con segno di Nikolsky negativo, supportata laboratoristicamente da lucocitosi ed eosinofilia. La diagnosi di certezza la si ottiene tramite biopsia cutanea e l’immunofluorescenza che evidenzia IgG e frazioni C3 del complemento disposte in modo lineare a livello della membrana basale.

Il trattamento di prima scelta, soprattutto nelle fasi iniziali, per il pemfigoide bolloso viene effettuato con glucocorticoidi ad altissima potenza per uso topico (es. clobetasolo), efficaci anche per una malattia molto estesa associati spesso a glucocorticoidi sistemici; nelle fasi successive, la maggioranza dei pazienti dovrà seguire a lungo termine una terapia di mantenimento, ove si potranno utilizzare immunosoppressori.

 


3 di 3 Domande

Il Sig. Versici, un uomo di circa 70 anni, si reca presso l’ambulatorio del proprio medico curante, Il Dott. Mancini, per un fastidio al polso destro. Anamnesi patologica prossima: lamenta dolore al polso destro da circa due giorni.
Anamnesi patologica prossima: positiva per due interventi di chirurgia sostitutiva dell'anca, due precedenti episodi di gotta in entrambe le prime articolazioni metatarso-falangee ed ipertensione. Esame obiettivo: il Dott. Mancini visitandolo riscontra la presenza di rossore e gonfiore sul versante dorsale del polso. La sintomatologia dolorosa viene esacerbata da movimenti di flesso-estensione completi. Gli vengono prescritti 80 mg di aspirina al giorno. Due giorni dopo il gonfiore però è aumentato sul versante dorsale del polso ed a livello della mano. La flessione del polso risulta limitata dell' 80% con dolore severo, pertanto il Sig. Versici si reca nuovamente presso l’ambulatorio del Dott. Mancini, che rivisitandolo nota che evoca un dolore sordo alla palpazione dello scafoide e pertanto nel sospetto di frattura gli prescrive un esame radiografico del polso/mano. Esami strumentali-laboratoristici: evidenza di alterazioni riconducibili ad un quadro di artrite gottosa. Quale tipo di citochine sono coinvolte in questo processo?

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La risposta corretta è la C.

La flogosi è un meccanismo di difesa di tipo aspecifico: infatti risponde all’agente lesivo sia di tipo fisico-meccanico, alle radiazioni, sia batterico, sia chimico. Quindi possiamo dire che il processo infiammatorio è un meccanismo di difesa che reagisce in maniera aspecifica a tutto ciò che provoca danno: è la risposta al danno tissutale. Quindi, il processo infiammatorio è un processo:

– Reattivo: quindi diverso dalla necrosi che è un processo regressivo,

– Aspecifico: ovvero avviene nei confronti di tutto ciò che produce danno,

– Stereotipato: cioè è sempre lo stesso qualsiasi sia la causa scatenante (naturalmente dicendo questo intendiamo che è uguale come meccanismi principali, con delle vie diverse a seconda del tipo di danno),

– Procede indipendentemente dalla causa: una volta innescato il danno, è il danno che innesca il processo infiammatorio il quale va avanti anche se la causa viene rimossa

Nella fase acuta è caratterizzata da un aumento del flusso ematico e della permeabilità vascolare insieme all’accumulo di fluidi, leucociti e mediatori della flogosi come le citochine. Durante questo processo, una serie di fattori solubili sono implicati nel reclutamento dei leucociti, mediante un aumento dell’espressione di molecole di adesione cellulare e fattori chemiotattici.

Diverse citochine giocano ruoli chiave nella mediazione delle reazioni infiammatorie acute, ovvero IL-1, TNF-α, IL-6, Il-8 e altre chemochine. Tra queste , IL-1 e TNF-α sono molecole estremamente potenti, sono le principali citochine che mediano l’infiammazione acuta. Sia IL-1 sia TNF- α sono in grado di innescare i meccanismi pirogeni, promuovendo la sintesi di PGE2 dall’endotelio vascolare dell’ipotalamo, causando la febbre.

L’IL-1 viene prodotta dai fagociti mononucleati attivati, macrofagi, neutrofili, cellule endoteliali e cellule epiteliali: la sua principale funzione è quella di regolare la risposta infiammatoria dell’ospite alle infezioni.; a basse concentrazioni induce le cellule endoteliali ad esprimere molecole di adesione leucocitaria, mentre ad elevate concentrazioni ha azione endocrina: induce febbre e sintesi delle proteine di fase acuta. Si differenzia dal TNF- α perché a livello sistemico non è in grado di indurre da sola uno shock settico.

Inoltre, IL-1 promuove il rilascio di istamina da parte dei mastociti. In seguito l’istamina determina una precoce vasodilatazione e un incremento della permeabilità vascolare.

Durante l’infiammazione, si verificano una serie di processi:

1) le modificazioni del flusso e del calibro vascolare, che portano all’aumento del flusso sanguigno,

2) Le modificazioni del microcircolo e la formazione dell’essudato infiammatorio

3) il richiamo (chemiotattico) del leucocita all’azione

4) la fagocitosi

Le modificazioni del flusso e del calibro vascolare iniziano subito dopo lo stimolo lesivo. Ad una  vasocostrizione arteriolare transitoria (dura pochi secondi) ed incostante (non sempre presente) segue una

vasodilatazione intensa dapprima arteriolare poi coinvolgente tutto il microcircolo. E’ la fase

dell’iperemia attiva, con aumento del numero dei capillari pervi ed aumento del flusso ematico, cui corrispondono il rubor ed il calor. L’evento successivo è il rallentamento della circolazione che introduce alla fase dell’iperemia passiva (o stasi), causato dall’aumento di permeabilità dei capillari con l’essudazione di liquido ricco di proteine (essudato) dai vasi nei tessuti extravascolari dell’interstizio. Aumenta la viscosità del sangue (rappresentato dalla presenza di globuli rossi fittamente stipati nei capillari dilatati). Pertanto il modello fondamentale della risposta infiammatoria acuta si caratterizza per la seguente serie di eventi  in corrispondenza del danno locale:

– modificazioni del flusso e del calibro vascolare,

– iperemia attiva e passiva,

– permeabilizzazione endoteliale e formazione dell’essudato,

– migrazione dei leucociti nell’interstizio e accumulo nel focolaio della lesione (chemiotassi).

– fagocitosi.

La chemiotassi dei leucociti è definibile semplicemente come un movimento orientato lungo un gradiente chimico. I chemoattraenti possono essere esogeni (prodotti batterici) o endogeni (frazioni del sistema complementare, leucotrieni, citochine). Mentre la stasi è in atto, si nota un orientamento periferico dei neutrofili, lungo l’endotelio dei vasi (marginazione): normalmente i leucociti stanno al centro del flusso ematico, in questo caso vanno invece alla periferia prendendo contatto con l’endotelio vascolare.

Alla marginazione segue l’adesione, i leucociti rotolano sull’endotelio perché iniziano a verificarsi fenomeni di adesione, inizialmente labili (con precise molecole di adesione implicate), poi più “avidamente” con un vero e proprio ancoraggio e arresto, in modo da formare una “pavimentazione”.

Infine avviene il passaggio attraverso l’endotelio (diapedesi) sino all’interstizio, in cui segue la migrazione verso lo stimolo chemiotattico.

L’endotelio normalmente è chiuso, continuo e liscio, ma nel processo infiammatorio c’è un allargamento delle maglie dell’endotelio con aumento della permeabilità, inoltre l’endotelio è attivato ed espone molecole di adesione: ci sono molecole di adesione contenute in corpiccioli intracellulari e pronte ad essere espresse sulla superficie cellulare (come la P-selectina) quando raggiungono siti infiammati e che consentono un legame labile.

Le molecole di adesione principali sono:

− selectine E, P, L = le loro porzioni N-terminali extramembrana legano zuccheri:

− P (GMP140) è presente sull’endotelio quando c’è infiammazione. La P-selectina è presente sui corpi di Weber-Palade all’interno delle cellule endoteliali e durante l’infiammazione viene esposta sulla membrana cellulare e  media legami labili (rotolamento);

− E (Elam1) è presente sull’endotelio,

− L (Lam1) è presente sui leucociti.

− Immunoglobuline: ICAM-1 (molecola di adesione intercellulare), VCAM-1 (molecola di adesione vascolare): interagiscono con le integrine situate sui leucociti. Le ICAM-1 si legano alle integrine della famigliaβ2.

− VCAM-2 sono molecole proprie dell’endotelio,

− integrine: poste sui leucociti sono già presenti, ma hanno una conformazione poco affine al legame, perciò modificano la loro conformazione quando si trovano a contatto con chemochine, nel momento in cui è aumentata la sintesi di ICAM e VCAM-1. Ciò aumenta l’avidità di legame e si ha una fase di ancoraggio stabile.

– le citochine (IL-1, TNF) invece possono indurre fortemente la sintesi di ICAM-1 e VCAM-2 nelle cellule endoteliali. La sintesi richiede più tempo e queste molecole sono utilizzate nel legame forte.

 

La risposta A non è corretta.

L’ Interferon-Ɣ (INF-Ɣ) viene prodotta dai linfociti Th1, CD8+ e NK. . La produzione di INF-Ɣ è una caratteristica dell’immunità innata e adattativa. L’effetto complessivo delle diverse attività biologiche di IFNγ è quello di promuovere le reazioni infiammatorie in cui l’attività dei macrofagi predominante, inibendo al contempo quelle in cui prevale l’attività degli eosinofili. Stimola le funzioni microbicide dei macrofagi attivando la trascrizione di geni che codificano per  l’ossidasi fagocitica e la sintetasi inducibile dell’NO inducendo quindi la sintesi di NO e di ROS. Promuove la differenziazione verso i linfociti Th1 e inibisce quella verso i linfociti Th2 stimolando la sintesi del fattore di trascrizione T-bet e attivando i fagociti mononucleati a produrre IL12. Agendo sui linfociti B promuove lo scambio isotipico verso le IgG inibendo al contempo quello verso isotipi IL4-dipendenti. Stimola l’espressione sulle APC di MHC di classe I e II, di molecole costimolatorie e di proteine coinvolte nel processa mento dell’antigene quali TAP, HLA-DM, LMP2 e 7. È stato associato alle patologie croniche su base autoimmune.

 

La risposta B non è corretta.

IL-5 viene prodotta dai linfociti Th2 e dai mastociti attivati. Stimola la proliferazione e la differenziazione degli eosinofili, la proliferazione e differenziamento dei linfociti B e promuove lo switch verso la produzione di IgA. IL-5 non svolge un ruolo diretto nell’infiammazione acuta.

 

La risposta D non è corretta.

IL-4 viene prodotta dai linfociti Th2, mastociti, basofili. Rappresenta il principale stimolo per la produzione di IgE e per il differenziamento dei linfociti CD4+ naive in linfociti Th2, stimola la proliferazione dei linfociti B e promuove lo switch da IgE a gG. È l’unica citochina che attiva STAT6 ed insieme ad IL13, contribuisce ad una forma di attivazione dei macrofagi alternativa a quella classicamente indotta da IFNγ. Queste citochine inducono la produzione di arginasi (che porta alla formazione di collagene) e di recettori per il mannosio. Non c’è evidenza di un ruolo diretto di IL-4 nell’infiammazione acuta.

 

La risposta E non è corretta.

IL-10 è una citochina con effetti multipli e pleiotropici nell’immunoregolazione e nell’infiammazione. La producono sia cellule linfoidi che non (es. cheratinociti). Agisce da inibitore dei macrofagi attivati e delle cellule dendritiche ed è quindi implicata nel controllo delle risposte innate e dell’immunità cellulo-mediata ( è infatti responsabile della down regolazione dell’espressione delle citochine Th1); inibisce inoltre la produzione di IL12 da parte dei macrofagi attivati e delle cellule dendritiche ed inibisce l’espressione di molecole costimolatorie e di MHC II da parte dei macrofagi e delle cellule dendritiche. Poiché IL10 inibisce efficacemente l’attività delle cellule che la producono, essa può essere considerata un classico esempio di regolazione a feedback negativo. Infine promuove la sopravvivenza e la proliferazione dei linfociti B e ne stimola la produzione di anticorpi.


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