La risposta D è corretta.
Il paziente circa 10 anni fa si era sottoposto ad un intervento di chirurgia sostitutiva protesica con impianto di protesi valvolare suina, a causa di un severo rigurgito valvolare mitralico.
Il trattamento di una valvulopatia, a meno che non sia di grado medio-elevato e clinicamente significativa, di norma richiede solo un controllo periodico, mentre l’intervento chirurgico è indicato in presenza di un’alterazione di grado moderato o grave responsabile di una sintomatologia e/o disfunzione cardiaca. L’intervento può essere di differente tipo, andando dalla valvuloplastica alla riparazione fino alla sostituzione valvolare. In caso di sostituzione valvolare vengono utilizzate due tipi di protesi:
– meccanica che vengono utilizzate per lo più in pazienti con una età inferiore ai 65 anni e nei pazienti anziani con una lunga aspettativa di vita (in tali pazienti si renderà necessaria una terapia anticoagulante con warfarin per tutta la vita per prevenire episodi di tromboembolismo),
– biologica (suina o bovina), sono maggiormente soggette a deterioramento andando incontro a processi degenerativi sclero-fibrotici che solitamente si manifesta nel giro temporale di 10-15 anni.
Una possibile complicanza rappresentata dall’impianto di una protesi valvolare biologica, è l’ostruzione/stenosi della stessa, come osservato in questo paziente, e anche il rigurgito valvolare: entrambi possono manifestarsi con segni di scompenso cardiaco.
La risposta A non è corretta.
L’endocardite infettiva può instaurarsi a causa di un’anormale predisposizione dell’endocardio come in caso di patologie cardiache congenite, malattia valvolare reumatica, valvole aortiche o bicuspidi calcifiche, prolasso valvolare mitralico, cardiomiopatia ipertrofica e precedente endocardite. Altri fattori predisponenti sono le protesi valvolari cardiache, la tossicodipendenza, il diabete, l’uso di anticoagulanti e steroidi, l’età avanzata. I microrganismi causali sono streptococchi e stafilococchi nell’80-90% dei casi (Streprococcus viridans, Streptococcus bovis, Staphylococcus aureus), nei restanti i responsabili sono Enterococchi o i microrganismi HACEK (Haemophilus sp, Actinobacillus actinomycetemcomitans, Cardiobacterium hominis, Eikenella corrodens, e Kingella kingae).
Dal punto di vista clinico, possiamo riscontrare: febbre, la comparsa di un nuovo soffio cardiaco o il modificarsi del soffio di uno preesistente modificato.
I pazienti con valvola protesica hanno un elevato rischio di sviluppare endocardite infettiva, soprattutto la forma subacuta, che si manifesta con la comparsa di febbre, rumori cardiaci e può portare all’insorgenza di scompenso cardiaco congestizio nell’arco di giorni o settimane. Eseguendo l’esame ecocardiografico, possiamo riscontrare anche la presenza di una vegetazione.
Altre caratteristiche di questa patologia sono: petecchie congiuntivali, macchie di Roth, lesioni di Janeway, nodi di Osler, emorragia subungueale “a scheggia”.
La diagnosi si basa sui criteri di DUKE: essi si suddividono in criteri minori e maggiori e che categorizzano i pazienti con endocardite infettiva in 3 diverse categorie diagnostiche (diagnosi rigettata, possibile e certa).
Quando non sono disponibili i risultati dell’emocoltura, come in questo caso (e non vi è rischio per MRSA) è necessario intervenire con un approccio farmacologico empirico con un β-lattamico in associazione con un amminoglicoside.
Sebbene questo paziente presenti un soffio cardiaco e segni di scompenso cardiaco, non ha nè febbre nè sintomi che corrispondano ai criteri di Duke, il che rende improbabile una diagnosi di endocardite infettiva.
La risposta B non è corretta.
La BPCO è una malattia polmonare non completamente reversibile, caratterizzata da ostruzione bronchiale persistente spesso associata a significativi effetti extrapolmonari. L’ostruzione bronchiale ha in genere un andamento progressivo ed è accompagnata da un’abnorme risposta infiammatoria broncopolmonare a inquinanti ambientali in particolare il fumo. L’ostruzione bronchiale viene definita in base al rapporto VEMS/CVF inferiore a 0,7. Questo sta a significare che, di tutta l’aria mobilizzabile in una manovra espiratoria completa, meno del 70% viene mobilizzata nel primo secondo.
La BPCO può andare incontro a riacutizzazione; questa riacutizzazione è caratterizzata da un peggioramento acuto dei sintomi ed è comunemente determinata da un’infezione delle vie respiratorie superiori.
La BPCO si manifesta con dispnea e tosse produttiva cronica (≥ 3 mesi in 2 anni consecutivi) e può anche causare tachipnea, cianosi, ed ipertensione polmonare nelle fasi più avanzate. Tipico di questi pazienti è anche la presenza di respiro sibilante e di una fase espiratoria prolungata. L’esame obiettivo è positivo per dispnea, tachipnea, distress respiratorio ed uso dei muscoli respiratori accessori per la respirazione.
Nonostante questo paziente abbia la tosse e sia stato un fumatore per molto tempo, gli episodi di tosse durano solo da tre settimane e all’auscultazione polmonare non vi sono segni di ostruzione. Per questo motivo una diagnosi di BPCO è inesatta.
La risposta C non è corretta.
La polmonite è un’infiammazione acuta dei polmoni. Di solito, la diagnosi iniziale si basa sulla RX torace e su reperti clinici.
L’infezione può essere batterica, virale, fungina o parassitaria.
Si può sviluppare in un paziente immunocompetente o in un paziente immunodepresso.
Ma dato che gli agenti patogeni e le prognosi tendono a essere simili in pazienti con condizioni e fattori di rischio simili, le polmoniti possono essere classificate come:
– Non nosocomiali (gli agenti eziologici più comunemente responsabili delle polmoniti acquisite in comunità sono lo Streptococcus Pneumoniae e il Mycoplasma Pneumoniae),
– Nosocomiali: la polmonite è l’infezione nosocomiale più letale, e complessivamente è la più frequente causa di morte nei paesi in via di sviluppo.
Queste categorizzazioni permettono di selezionare empiricamente il trattamento.
Dal punto di vista clinico, ritroviamo: febbre, dispnea e tosse secca, perdita di peso, astenia, ipossia. Un quadro di polmonite tipica si presenta con sintomatologia ad esordio improvviso che comprende febbre, malessere generale, tosse produttiva, e all’auscultazione si riscontra la presenza di crepitii e rumori respiratori bronchiali. Una polmonite atipica, invece, si manifesta con una sintomatologia ad esordio graduale che comprende, tosse non produttiva, dispnea, manifestazioni extrapolmonari, e spesso all’esame obiettivo non si riscontrano elementi significativi.
È opportuno eseguire degli esami colturali del sangue e dell’escreato, per isolare il germe responsabile dell’infezione ed individuare una terapia antibiotica mirata.
Sebbene questo paziente presenti tosse produttiva, non ha febbre e all’auscultazione polmonare si riscontrano rantoli alle basi bilateralmente, entrambi elementi maggiormente riconducibili ad uno scompenso cardiaco congestizio piuttosto che ad una polmonite.
La risposta E non è corretta.
Per embolia polmonare si intende una condizione patologica caratterizzata da un’occlusione di una o più arterie polmonari da parte di trombi che si dipartono da altri siti corporei, solitamente dai grandi tronchi venosi delle gambe o del distretto pelvico. La presentazione di questa malattia è di solito più acuta.
Dal punto di vista clinico, la sintomatologia dell’embolia polmonare è aspecifica e variabile; possiamo riscontrare: dolore toracico pleuritico, tosse sincope, dispnea o arresto cardiorespiratorio (nei casi più gravi).
Anche i segni non sono specifici comprendono: tachipnea, tachicardia, ipotensione (nei casi più gravi).
I fattori di rischio includono: immobilità (pazienti allettati), anomalie della coagulazione a carattere ereditario, gravidanza e recenti interventi di chirurgia.
Questo paziente presenta tosse e dispnea, che possono mimare un quadro di embolia polmonare, tuttavia, l’anamnesi del paziente non menziona una recente immobilizzazione. Inoltre presenta una stenosi mitralica ed edemi improntabili bilateralmente a livello dei piedi e delle caviglie, elementi che rendono lo scompenso cardiaco congestizio più probabile rispetto ad un’embolia polmonare.