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1 di 5 Domande

Sara, una ragazza di circa 30 anni, si reca dal proprio medico curante, il Dott. Mazzi, per una visita di controllo. Riferisce di aver avuto episodi ricorrenti di polmonite, bronchite ed e otite negli ultimi anni e, sebbene abbia effettuato tutte le vaccinazioni, ha sviluppato l’anno precedente il tetano dopo una ferita al piede. Il Dott. Mazzi procede all’esame obiettivo, riscontrando un ingrossamento sia dei linfonodi che delle tonsille. Le analisi di laboratorio rivelano bassi livelli di IgG, IgA, e di IgM. Pertanto, su consiglio del Dott. Mazzi, Mara si reca dal Dott. Verdi, specialista in ematologia, che esclude cause genetiche della sua ipogammaglobulinemia, ma le diagnostica immunodeficienza comune variabile. Quale delle seguenti condizioni sarà a maggior rischio di sviluppare Mara?














La risposta corretta è la E.

L’immunodeficienza comune variabile (CVID) è una condizione, in cui vi sono basse concentrazioni di immunoglobuline, associata alla presenza di linfociti B fenotipicamente regolari, che possono proliferare, ma non maturano in cellule in grado di produrre immunoglobuline; in alcuni pazienti anche l’immunità dei linfociti T può essere compromessa. La malattia si presenta improvvisamente, soprattutto intorno alla terza o quarta decade, dopo infezioni ricorrenti ed una mancata risposta ai vaccini.

I pazienti hanno ricorrenti infezioni delle vie respiratorie, soprattutto polmonari. Si ha un’aumentata insorgenza di neoplasie, tra cui carcinoma gastrico e linfomi, di patologie autoimmuni, così come altre alterazioni che vanno dal malassorbimento, a patologie respiratorie e di natura linfoide del tratto gastrointestinale.

La risposta A non è corretta. 

Non c’è associazione tra CVID e malattia renale.

La risposta B non è corretta. 

Circa il 25-30% dei pazienti con CVID presenta splenomegalia: tuttavia non ci sono prove che i pazienti con CVID presentino maggiori probabilità di infarto splenico (una rara causa di addome acuto, caratterizzato da un quadro clinico di dolore localizzato in ipocondrio sinistro, che si può associare o meno a febbre, anemia, aumento dei globuli bianchi e trombocitosi).

La risposta C non è corretta. 

Il rischio di aborto spontaneo non è aumentato nei pazienti con CVID.

La risposta D non è corretta.

I pazienti con CVID non presentano un aumentato rischio di malattie cardiovascolari, anche se sono a maggior rischio di sviluppare malattie polmonari croniche, più comunemente bronchiectasie, con cui si intende una dilatazione e distruzione dei bronchi maggiori, causata da uno stato infettivo e infiammatorio cronico. Cause frequenti di tale condizione sono: la fibrosi cistica, le infezioni ricorrenti e le condizioni di immunodeficienza, sebbene alcuni casi sembrino essere idiopatici. Il quadro clinico si caratterizza per la tosse cronica con emissione di espettorato purulento, talvolta febbre e dispnea. La diagnosi viene fatta generalmente con un esame TC del torace ad alta risoluzione, pur se l’RX torace standard in alcuni casi può essere diagnostico.


2 di 5 Domande

Si reca presso il PS del Policlinico Niguarda di Milano la Sig.a Curci, lamentando disturbi gastrointestinali. Riferisce un dolore epigastrico intermittente, intenso, che dura da alcune ore ed a volte accompagnato da nausea e vomito. La peristalsi intestinale è normale, la sua T.C. è di 38,2 ° C, la F.C. è di 95bpm/min, la P.A. è di 145/75 mm Hg e la F.R. è di 22 atti/min. Il medico di turno, Il Dott. Pini, effettua l’esame obiettivo, che mostra un quadro di moderata obesità e delle sclere lievemente itteriche, un addome con un normale timpanismo alla percussione, ma con una brusca interruzione in fase di ispirazione alla palpazione dell’ipocondrio di destra. Gli esami di laboratorio rivelano i seguenti parametri: G.B. di 13.000 / mm³, bilirubina totale di 3,3 mg / dl, transaminasi e fosfatasi alcalina normali. Quale di seguenti esami dovrebbe essere eseguito in prima istanza?














La risposta corretta è la D.

La paziente sta presentando i segni e sintomi tipici di una patologia del sistema epato-biliare e più specificamente della colecisti, in particolare ascrivibile ad una condizione di colelitiasi e quindi di colica biliare. Per colelitiasi si intende la presenza di uno o più calcoli nella colecisti. Il sintomo più frequente è la colica biliare. Nei paesi sviluppati, circa il 10% degli adulti e il 20% delle persone con età superiore ai 65 anni presentano calcoli biliari e molto spesso tali pazienti sono asintomatici.

La colelitiasi si verifica più frequentemente nel sesso femminile e in soggetti con familiarità per questo disturbo ed il rischio aumenta con l’età; tra i fattori favorenti vi sono obesità, dieta ipercalorica, uso di farmaci estrogenici e fibrosi cistica.

All’esame obiettivo i pazienti mostrano lieve ittero, febbre e segno di Murphy positivo, suggestivi per un quadro di colecistite acuta.

La metodica di imaging che dovrebbe essere utilizzata in prima istanza nella valutazione iniziale di un quadro suggestivo per colecistite acuta è un’ecografia dell’addome, che si è dimostrata essere sensibile per il 95% dei casi di litiasi biliare nella colecisti ed in grado di rilevare la presenza anche di piccole formazioni litiasiche (anche di 3 mm di diametro). Inoltre, essa è eccellente nel rilevare la dilatazione delle vie biliari intra ed extra-epatiche.

Fra le complicanze più gravi sono incluse la colecistite, l’ostruzione della via biliare a causa della migrazione di calcoli nelle vie biliari (coledocolitiasi) a volte con sovrainfezione batterica (colangite) e pancreatite acuta biliare. La colecistectomia rappresenta la terapia per una colelitiasi sintomatica o complicata.

La risposta A non è corretta. 

La scintigrafia epatobiliare sequenziale con acido imino-diacetico è sensibile e specifica nel rilevare un quadro di colecistite acuta e un’eventuale perdita di bile dopo un intervento chirurgico. Tuttavia, è un esame costoso, richiede molto tempo e viene quindi utilizzato in caso di ecografia inconcludente. I traccianti radioattivi, che si comportano analogamente alla bilirubina, vengono captati dagli epatociti e secreti nei canalicoli biliari; successivamente sono eliminati attraverso l’albero biliare e la colecisti, raggiungendo l’intestino. Attraverso l’analisi della distribuzione del tracciante nel tempo è possibile dare una stima della funzione epatocitica, della pervietà delle vie biliari maggiori e della contrattilità colecistica. Il tracciante adottato è l’acido iminodiacetico (HIDA), marcato con Tc-99m pertecnetato.

La risposta B non è corretta. 

La radiografia diretta dell’addome raramente è diagnostica per i calcoli, perché solo il 10% -15% di essi è radiopaco. Questa tecnica è utile nella valutazione di una colecistite acuta enfisematosa, pneumobilia secondaria a una fistola bilio-digestiva o nel sospetto di occlusione intestinale. Tuttavia, in questo caso, questi sospetti diagnostici non sono compatibili con il caso presentato.

La risposta C non è corretta. 

La scansione TC non è la metodica di imaging di prima scelta nel sospetto di colecistite, a causa del suo costo più alto e dell’esposizione ad alte dosi di radiazioni ionizzanti, mentre si mostra utile nella valutazione delle neoplasie nel pancreas e del sistema epatobiliare.

La risposta E non è corretta.

La colangio-RM è una metodica non invasiva per la valutazione della via biliare e del dotto pancreatico principale e può essere fatta sia con che senza iniezione di mdc, però, essa non è di norma utilizzata nella valutazione di colecistite acuta, a causa del suo alto costo e della presenza di altre metodiche di imaging più efficaci per questo quesito clinico.


3 di 5 Domande

Mario, 60 anni, senza tetto del quartiere Tiburtino, in una notte molto fredda e nevosa d’inverno, viene portato da alcuni passanti presso il pronto soccorso del Policlinico Umberto I di Roma, perché in stato confusionale ed in forte stato di debolezza e soporoso. Il Dott. Mieli, medico d’urgenza di guardia, lo visita e riscontra che la sua T.C. è di 33.0ºC, la PA è di 80/45 mmHg, la F.C. è di 49 bpm/min e la frequenza respiratoria è di 11 atti/min. Facendo un elettrocardiogramma quale delle seguenti alterazioni molto probabilmente verrebbe riscontrata?














La risposta corretta è la B.

Questo paziente si trova in uno stato di ipotermia. Si definisce ipotermia una temperatura corporea inferiore ai 35°C, i cui primi segni e sintomi comprendono: brividi, tachicardia, ipertensione, iperglicemia, sonnolenza, aumento della diuresi indotta dal freddo, coma. 

Inoltre, i segni e sintomi di uno stato di ipotermia più avanzata e grave comprendono: difficoltà a parlare, amnesia, diminuzione della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa e della frequenza respiratoria, decesso. 

L’ECG di un paziente in una situazione di ipotermia rileva la presenza di un’onda tipica, detta onda J (o onda delta inversa o onda J di Osborn): si tratta di una deflessione positiva, che avviene nel punto di giunzione tra la branca discendente del complesso QRS ed il segmento ST, dove il punto S (conosciuto anche come punto J), presenta un picco ascendente simile ad una condizione infartuale. il reperto ECG del caso clinico è patognomonico dell’ipotermia.

Le risposte A ed E non sono corrette.

L’allargamento diffuso delle onde T e la presenza di onde U prominenti sono entrambi reperti tipici dell’ipokaliemia.

L’ipokaliemia è un disordine elettrolitico, caratterizzato da una concentrazione sierica di potassio, che si pone al di sotto dei 3,5 mEq/L.

La clinica si caratterizza per debolezza e poliuria, mentre nelle forme severe può comparire ipereccitabilità cardiaca.

La risposta C non è corretta.

Le onde delta sono deflessioni positive che portano al complesso QRS, ovvero delle aree di pre-eccitazione del ventricolo, osservate nella sindrome di Wolff-Parkinson-White, in cui si verifica una conduzione anterograda attraverso la via accessoria.

La risposta D non è corretta.

Sottoslivellamenti del tratto ST sono osservati in pazienti con ischemia, mentre i sopralivellamenti di tale tratto sono osservati in pazienti con infarto e sono proprio questi ultimi che, a volte, possono essere confusi con le onde di Osborn.


4 di 5 Domande

Un uomo di 45 anni si reca presso l’ambulatorio del proprio medico curante, lamentando recenti episodi febbrili, che raggiungono i 38,5 ºC, una tosse produttiva con espettorato di colore giallastro-verdastro e dispnea crescente a riposo. L’esame obiettivo rivela l’egofonia sul lato destro all’auscultazione polmonare ed un’ottusità alle percussioni alla base destra. Una radiografia del torace mostra una polmonite lobare in campo polmonare medio di destra ed un importante versamento pleurico saccato. Viene eseguita una toracentesi diagnostica, che rivela la presenza di una cospicua falda di liquido pleurico di colore giallo paglierino non purulento. I risultati della coltura sono in attesa, ma alla colorazione di Gram si riscontra una positività ai gram-positivi. Il paziente viene ricoverato in ospedale e viene sottoposto ad una terapia antibiotica per via endovenosa. Qual è il passo successivo più appropriato nella gestione terapeutica per questo paziente?














La risposta corretta è la B.

Per il paziente del caso clinico, il passo successivo più appropriato per la gestione terapeutica è rappresentato dal drenaggio del versamento pleurico con terapia antibiotica: infatti, il paziente presenta verosimilmente una polmonite lobare pneumococcica comunitaria, ipotesi avvalorata sia dalla positività alla colorazione di Gram, sia dal reperto RX di consolidazione lobare. L’agente eziologico prevalente delle CAP è lo Streptococcus Pneumoniae, che determina solitamente polmoniti di tipo lobare. La diagnosi si basa sulla clinica e sulla RX del torace, che tipicamente mostra un’area di ipodiafania lobare da addensamento parenchimale, associata ad una quota di versamento pleurico (saccato, in questo caso clinico). Al contrario, una TC del torace può fornire un migliore quadro del processo patologico in atto, ma non è utile per il trattamento, soprattutto in presenza di una clinica così chiara, avvalorata da una colorazione di Gram positiva e da un RX del torace tipico di polmonite (risposta C errata). Ugualmente, un angio-TC del torace non trova un razionale nel caso clinico (risposta D errata). Invece, un lavaggio bronchiale delle vie aeree, è utile al fine di ottenere colture per la determinazione dell’agente patogeno, se l’espettorato o le colture di liquido pleurico sono negative o non possono essere ottenute (risposta E errata).


5 di 5 Domande

Una donna di circa 30 anni con un’anamnesi patologica remota positiva per ipertensione, emicrania ed una storia di uso di eroina per via endovenosa viene portata d’urgenza al PS, presentando dispnea, tosse ed astenia da circa 2 mesi. Assume abitualmente agonisti del recettore della serotonina (5-HT1) per l’emicrania ed atenololo. I segni vitali sono: T.C. di 37,9ºC, F.C. di 98 bpm/min, PA di 135/85 mmHg, F.R. di 14 atti/min, saturazione polmonare nella norma in aria ambiente. L’esame obiettivo rivela un soffio sistolico III/VI, precedentemente non documentato, in corrispondenza del bordo sternale sinistro e noduli periungueali ed emorragia subungueale “a scheggia”. L’esame obiettivo polmonare è negativo all’auscultazione. Gli esami di laboratorio sono in attesa di risultato. Un elettrocardiogramma, svolto qualche ora prima, mostra una tachicardia sinusale con una F.C. di 115 bpm/min. Quale delle seguenti è la diagnosi più probabile?














La risposta corretta è la C.

La paziente è affetta da endocardite, un processo infiammatorio che coinvolge l’endocardio parietale o, più frequentemente, l’endocardio valvolare. L’endocardite ad eziologia infettiva è causata nell’80-90% dei casi da streptococchi e stafilococchi (Streptococcus viridans, Streptococcus bovis, Staphylococcus Aureus) e nei restanti casi da enterococchi o microrganismi HACEK (Haemophilus sp, Actinobacillus actinomycetemcomitans, Cardiobacterium hominis, Eikenella corrodens, e Kingella kingae).

I fattori di rischio per lo sviluppo di questa patologia comprendono: patologie cardiache congenite, malattia valvolare reumatica, valvole aortiche bicuspidi o calcifiche, prolasso valvolare mitralico, cardiomiopatia ipertrofica, precedente endocardite. Altri fattori predisponenti sono le protesi valvolari cardiache, la tossicodipendenza, il diabete, l’uso di anticoagulanti e steroidi, l’età avanzata. Nell’endocardite acuta il paziente presenta febbre, brividi, sudorazione, dispnea, dolore alle articolazioni e ai muscoli, astenia, cefalea. All’esame obiettivo si possono osservare petecchie sulla cute, periorali o orbitali, macule cutanee emorragiche non dolenti, localizzate alle estremità, noduli di Osler (noduli sottocutanei periungueali, di piccole dimensioni, rilevati, molli, dolenti e localizzati alle estremità delle dita, dovuti a un processo vasculitico a carico dei piccoli vasi, una delle manifestazioni tipiche dell’endocardite infettiva acuta e subacuta).

Inoltre, si possono riscontrare: petecchie congiuntivali, “macchie di Roth” (emorragie retiniche con un centro più pallido, composto da coaguli di fibrina), “lesioni di Janeway” (piccole macule, dure, emorragiche o eritematose, sui palmi delle mani o sulla pianta dei piedi), emorragia subungueale “a scheggia”.

Alla palpazione potrà evidenziarsi splenomegalia, mentre all’auscultazione si potranno notare soffi cardiaci o disturbi del ritmo di nuova insorgenza: un soffio cardiaco di nuova insorgenza associato a febbre e noduli di Osler è fortemente suggestivo per endocardite infettiva. La diagnosi è data dalla clinica, supportata da esami ematochimici (per dimostrare la batteriemia devono essere ottenute più emocolture) e indagini strumentali, in primis l’ecocardiografia, che permette di visualizzare le strutture valvolari. Questa paziente ha probabilmente una vegetazione della valvola mitrale, che sta causando il soffio sistolico e la sintomatologia descritta.


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