Dettagli
- Clavicola
- Scapola
- Omero prossimale
- Diafisi omerale
- Gomito
- Avambraccio
- Polso
- Ossa del carpo
- Mano (ossa metacarpali e falangi)
Fratture dell’arto superiore
Clavicola
- Le fratture della clavicola sono tra le più frequenti in assoluto e si osservano in tutte le età, con un’incidenza particolarmente elevata nei bambini e nei giovani adulti. Inoltre, sono una delle più comuni lesioni rilevate alla nascita, per traumatismi legati al parto.
- La clavicola, struttura scheletrica di collegamento tra il cingolo scapolare e lo scheletro assiale, mostra una spiccata tendenza alla guarigione spontanea: si ritiene che tali capacità riparative siano correlate sia alle caratteristiche ontogenetiche della clavicola (formazione attraverso un processo di ossificazione membranosa) sia alle condizioni anatomiche locali (numerose inserzioni muscolari con ricca vascolarizzazione).
- Il meccanismo di lesione può essere diretto, soprattutto per le fratture delle estremità, ma è più frequentemente indiretto. La caduta sulla spalla determina una trasmissione mediale di forze che, producendo sollecitazioni tangenziali e angolari sulla curvatura a S della clavicola, ne provoca la frattura.
Classificazione
- Il criterio classificativo si basa sulla sede del focolaio di frattura e distingue:
- fratture del terzo medio (circa l’80% dei casi);
- fratture del terzo laterale (circa il 15%);
- fratture del terzo mediale (meno del 5%).
- Le fratture del terzo laterale sono a loro volta differenziate in due tipi principali a seconda dell’entità della scomposizione, condizionata dall’inserzione (sul frammento mediale o laterale) e dall’integrità dei legamenti coraco-claveari.
Quadro clinico
- La diagnosi clinica delle fratture scomposte della clavicola non pone particolari problemi in virtù della posizione superficiale dell’osso. Nelle più comuni fratture al terzo medio, il frammento mediale appare dislocato superiormente ed è palpabile agevolmente al di sotto della cute tesa, mentre il frammento laterale tende a spostarsi verso il basso e medialmente (per effetto del peso del braccio e della trazione da parte del grande pettorale). L’atteggiamento di difesa del paziente è caratterizzato dal sostegno dell’arto leso con la mano controlaterale e dall’inclinazione del capo verso la lesione, al fine di detendere lo sternocleidomastoideo.
- Tali segni sono spesso assenti nel bambino, nel quale le fratture sottoperiostee “a legno verde” mantengono una normale configurazione dell’osso (si veda Immagine 40).
- L’indagine anamnestica e la palpazione locale possono indirizzare la diagnosi, che dovrà essere confermata dall’esame radiografico.
Diagnosi per immagini
- Una semplice proiezione antero-posteriore è di regola sufficiente per definire la rima di frattura (trasversa, pluriframmentaria ecc.) e la scomposizione dei frammenti sul piano frontale, ma molto spesso non permette di apprezzare lo spostamento dei frammenti sul piano orizzontale. Per questo motivo è consigliata l’esecuzione di radiogrammi con un’inclinazione del raggio di 45° in senso cranio-caudale e viceversa.
Complicanze
- Le complicanze immediate sono rare, ma potenzial-mente molto gravi:
- lesioni pleuro-polmonari, con pneumotorace o emotorace, in associazione a fratture costali;
- lesioni vascolari, in particolare a carico della vena succlavia;
- lesioni del plesso brachiale, quasi costantemente associate a lesione della vena succlavia.
- Le complicanze tardive possono essere causa di insoddisfazione dei pazienti, sebbene le conseguenze funzionali siano trascurabili:
- pseudoartrosi, più spesso osservate nei fumatori;
- viziosa consolidazione, con presenza di un callo osseo esuberante che è responsabile di un inestetismo (Immagine 01).
Terapia
- Nei neonati non è necessario alcun trattamento: la frattura guarisce in pochi giorni e si assiste al rimodella-mento dell’osso in pochi mesi. Anche nei bambini non vi sono particolari problematiche terapeutiche grazie alla spiccata tendenza alla guarigione spontanea della clavicola: un periodo di riposo funzionale per 2-3 settimane con tutela in tasca reggibraccio è di regola sufficiente a garantire la guarigione.
- Negli adulti il più comune trattamento resta quello conservativo, con l’impiego di tutori per l’arto superiore o l’applicazione di bendaggi a 8 in trazione, nel tentativo di ripristinare l’allineamento dei frammenti e la lunghezza dell’osso.
- Il ricorso alla terapia chirurgica si rende necessario quando la scomposizione dei frammenti è grave (con scarse possibilità di consolidazione), in caso di esposizione della frattura e in presenza di complicanze. Una volta eseguita la riduzione a cielo aperto, l’osteosintesi può essere praticata:
- con infibulo metallico endomidollare
- con placca e viti (Immagine 02).
Immagine 01
Immagine 01. Viziosa consolidazione di frattura della clavicola destra trattata in modo conservativo. Sono apprezzabili il callo osseo esuberante, la prominenza sottocutanea del frammento mediale e l’accorciamento dell’osso per accavallamento dei frammenti.
Immagine 02
Immagine 02. Frattura scomposta pluriframmentaria della clavicola sinistra (a) e quadro radiografico dopo intervento di riduzione e osteosintesi con placca e viti (b).
Scapola
- La particolare mobilità della scapola e la protezione offerta dalle masse muscolari che la circondano rendono ragione della bassa frequenza di fratture in questa sede scheletrica, fatta eccezione per quelle che interessano il margine glenoideo in occasione di lussazioni della spalla. L’elevata incidenza di lesioni associate (traumi vertebrali, fratture costali e contusioni polmonari, lesioni del plesso brachiale ecc.) è correlata alla violenza dei traumatismi necessari per produrre fratture scapolari.
Classificazione
- Le fratture della scapola sono suddivise in base a un criterio anatomico.
- Fratture della glena (articolari): porzioni più o meno ampie del margine glenoideo anteriore possono distaccarsi a seguito di lussazione traumatica della spalla, condizionando l’insorgenza di un quadro di sublussazione statica o di instabilità se non trattate chirurgicamente (Immagine 03). Si possono anche osservare fratture articolari della glena in assenza di lussazione, con interessamento di porzioni più centrali della superficie articolare: in questo caso il ricorso alla terapia chirurgica è raro.
- Fratture del collo: le fratture extrarticolari, seppure scomposte, sono di solito trattate in modo conservativo. In caso di concomitante frattura della clavicola si può osservare una particolare instabilità del collo scapolare (floating shoulder) che rende necessaria la terapia chirurgica.
- Fratture del corpo: sono quelle con la maggiore incidenza di lesioni associate. Possono presentare un alto grado di scomposizione e comminuzione, ma solo la presenza di frammenti che interferiscono con il normale movimento scapolo-toracico può rappresentare un’indicazione per il trattamento chirurgico.
- Fratture delle apofisi (acromion e coracoide): sono rare e possono verificarsi in particolari condizioni. Per l’acromion, con le caratteristiche di fratture da stress, in associazione a rotture massive della cuffia dei rotatori di vecchia data per persistente contatto e attrito con la testa omerale risalita. Per la coracoide, come lesioni da strappamento per contrazioni violente del bicipite brachiale o per lussazioni acromio-claveari senza rottura dei legamenti coraco-claveari.
Quadro clinico
- Il quadro clinico è aspecifico, con dolore e impotenza funzionale della spalla, che appare atteggiata in adduzione e rotazione interna per difesa antalgica. In caso di traumatismo violento, l’esame deve essere rivolto alla ricerca di eventuali lesioni associate.
Diagnostica per immagini
- L’esame radiografico include diverse proiezioni (antero-posteriore, antero-posteriore sul piano della scapola, ascellare, laterale della scapola) per valutare le differenti porzioni scapolari. Il ricorso alla TC è quasi sempre necessario per meglio definire le fratture di glena e collo.
Terapia
- Il trattamento è più spesso conservativo, con tutela dell’arto superiore in tasca reggibraccio. La riabilitazione deve essere intrapresa precocemente, a circa 2 settimane dal trauma e, una volta ottenuta l’attenuazione del dolore, con una graduale mobilizzazione della spalla al fine di prevenire l’insorgenza di rigidità articolare. Le fratture del margine glenoideo anteriore associate a lussazione della spalla richiedono invece l’osteosintesi del frammento distaccato con viti, per evitare la comparsa di gravi quadri di instabilità o sublussazione statica.
- Una complicanza tardiva delle fratture articolari della scapola è rappresentata dall’artrosi post-traumatica della spalla: questa tende a manifestarsi in tempi più lunghi rispetto a quanto avviene, per lesioni analoghe, nelle arti-colazioni sottoposte al carico (anca, ginocchio, caviglia).
Immagine 03
Immagine 03. Frattura della porzione anteriore della glena con sublussazione anteriore della testa omerale. Proiezione antero-posteriore sul piano della scapola (a). Proiezione ascellare (b).
Omero prossimale
- Le fratture dell’estremo prossimale dell’omero includono le lesioni scheletriche localizzate al di sopra della zona di inserzione del muscolo grande pettorale. Come nelle altre ossa lunghe, la metaepifisi omerale è quasi del tutto costituita da tessuto osseo spongioso, capace di garantire una rapida consolidazione dei frammenti in caso di reciproco contatto. Questo aspetto le distingue in modo netto dalle lesioni localizzate al di sotto del collo chirurgico, nelle quali viene interrotto l’osso corticale diafisario. La maggiore incidenza di queste fratture si osserva in età avanzata, a seguito di traumi a bassa energia (meccanismo indiretto per cadute accidentali), poiché l’osteoporosi ne rappresenta il principale fattore predi-sponente. Lesioni causate da traumatismi ad alta energia tendono ad assumere caratteristiche peculiari, quali una maggiore scomposizione, comminuzione e/o l’estensione in sede diafisaria.
Classificazione
- Tra le classificazioni proposte, lo schema a 4 frammenti, ideato da Codman negli anni Trenta e perfezionato da Neer negli anni Settanta, è ancora oggi quello più diffusamente utilizzato. Esso si basa su due concetti fondamentali:
- il limite di scomposizione della frattura, consistente in una diastasi tra i frammenti superiore a 1 cm o in una loro angolazione superiore a 45°;
- la presenza di 4 frammenti principali: la testa omerale, le due tuberosità (trochite e trochine) e la diafisi a livello del collo chirurgico.
- In base a tali criteri, la maggior parte delle fratture dell’omero prossimale sono classificate come composte, mentre le lesioni scomposte assumono configurazioni diverse a seconda del numero e della localizzazione delle rime di frattura. Ai possibili quadri di fratture a 2, 3 e 4 frammenti (Immagine 04), si aggiungono le fratture-lussazioni e le fratture articolari da compressione o da separazione (split) della testa omerale.
- La lesione di più frequente osservazione è la frattura del collo chirurgico, seguita da quella del trochite (spesso associata a lussazione della spalla).
- La scomposizione dei frammenti è influenzata, oltre che dalle forze agenti al momento del trauma, anche dall’azione delle strutture miotendinee che si inseriscono a livello dell’omero prossimale.
Quadro clinico
- Dolore, tumefazione (evidente nei soggetti magri) e crepitazione ossea alla cauta mobilizzazione della spalla sono i segni da rilevare nel sospetto di frattura dell’omero prossimale; l’esame clinico deve includere un’attenta valutazione dello stato neurologico e vascolare. Nelle 24-48 ore successive al trauma si rende evidente un vasto ematoma sottocutaneo lungo l’arto superiore e talvolta anche in regione pettorale.
Diagnostica per immagini
- Se il riconoscimento della lesione all’esame radiografico non pone particolari problemi, altrettanto non si può dire per il suo corretto inquadramento classificativo, aspetto fondamentale per un adeguato approccio terapeutico.
- È necessario sottolineare l’importanza di eseguire radiogrammi in proiezioni diverse, tenendo in considerazione che la spalla offre la possibilità di essere esaminata su tre piani ortogonali: antero-posteriore, ascellare e laterale (la cosiddetta trauma series). L’esecuzione di queste proiezioni richiede la mobilizzazione della spalla, che tuttavia non risulta problematica se eseguita con la dovuta cautela. Eventuali difficoltà nella conduzione dello studio radiografico possono essere ovviate con il ricorso alla TC, che consente una buona definizione dei rapporti tra i diversi frammenti omerali grazie alle ricostruzioni tridimensionali.
Complicanze
- Le lesioni vascolo-nervose rappresentano le rare com-plicanze immediate. Le strutture maggiormente a rischio sono:
- l’arteria ascellare, in genere lesionata nel punto di emergenza della circonflessa anteriore;
- il nervo ascellare, soprattutto nel caso di fratture-lussazioni.
- Le complicanze tardive, ben più frequenti, includono:
- rigidità articolare, spesso conseguente a immobilizzazioni prolungate e/o a programmi riabilitativi inadeguati;
- viziosa consolidazione, con sovvertimento della normale anatomia della spalla e compromissione funzionale più o meno dolorosa Immagine 05a);
- pseudoartrosi, infrequenti e localizzate al collo chirurgico; sono invalidanti per la perdita della mobilità attiva della spalla (Immagine 05b);
- necrosi asettica della testa omerale, pressoché inevitabile nelle fratture a 4 parti.
Terapia
- Il trattamento delle fratture composte, anche se pluriframmentarie, non pone particolari problemi in considerazione dei tempi rapidi di consolidazione. La terapia di queste lesioni consiste nell’immobilizzazione in tutore per 2-3 settimane, seguita da un precoce programma riabilitativo volto al recupero dell’articolarità della spalla. Nelle fratture scomposte, il ricorso al trattamento chirurgico si rende necessario quando la dislocazione dei frammenti è tale da fare presagire uno scarso risultato clinico-funzionale. Nelle fratture a 2 e 3 parti, la riduzione e l’osteosintesi possono essere praticate con tecniche diverse, talvolta di difficile esecuzione:
- riduzione a cielo chiuso e fissazione percutanea con fili di Kirschner o inchiodamento endomidollare con tecnica mininvasiva (Immagine 06a): queste metodiche non comportano l’esposizione del focolaio di frattura e pertanto non interferiscono sul processo di guarigione biologica, favorendo una rapida consolidazione dei frammenti;
- riduzione a cielo aperto e osteosintesi con placca e viti: con questa tecnica, pur allungando il tempo di consolidazione della frattura, si mira a una migliore riduzione dei frammenti. Viene adottata in prevalenza nei soggetti giovani, in cui la buona qualità dell’osso offre un solido ancoraggio ai mezzi di sintesi e una fissazione stabile.
- Le fratture a 4 parti, comportando un elevato rischio di necrosi della testa omerale, sono preferibilmente trattate con l’impianto di una protesi parziale di spalla (Immagine 06b) o con una protesi inversa nei pazienti sopra i 75 anni (Immagine 41). Un tentativo di riduzione e osteosintesi è giustificato nei pazienti al di sotto dei 50 anni.
Immagine 04
Immagine 04. Quadro radiografico di fratture scomposte dell’omero prossimale (i numeri identificano i frammenti): frattura del collo chirurgico (a); frattura del trochite (b); frattura a 3 parti impattata in valgo (c); frattura a 3 parti con diastasi dei frammenti (d); frattura a 4 parti (e).
Immagine 05
Immagine 05. Complicanze tardive delle fratture dell’omero prossimale. Viziosa consolidazione con varismo e rotazione posteriore della testa omerale (a). Pseudoartrosi del collo chirurgico (b).
Immagine 06
Immagine 06. Esempi di trattamento chirurgico di fratture dell’omero prossimale. Frattura a 2 parti (collo chirurgico) trattata con chiodo endomidollare bloccato (a) e frattura a 4 parti trattata con l’impianto di una protesi parziale di spalla (b).
Diafisi omerale
- Le fratture della diafisi omerale conseguono spesso a traumi ad alta energia (incidenti stradali, urti violenti ecc.) e la loro incidenza è più elevata negli individui adulti. Il meccanismo di lesione condiziona la configurazione della rima di frattura:
- trasversa, obliqua o comminuta nei traumi diretti;
- obliqua o spiroide nei traumi indiretti, rispettivamente per sollecitazioni in flessione e torsione.
Classificazione
- Queste lesioni sono classificate in base ai criteri comuni a tutte le fratture diafisarie:
- livello di lesione (terzo prossimale, medio o distale);
- entità del danno scheletrico (completa o incompleta) ed eventuale scomposizione;
- configurazione della rima di frattura (trasversa, obliqua, comminuta ecc.);
- numero dei focolai (unifocale, bifocale);
- integrità del rivestimento cutaneo (chiusa o esposta).
Quadro clinico e radiografico
- Se la frattura è scomposta, la diagnosi clinica è agevole: il braccio, tumefatto e dolente, è accorciato e/o deviato, con mobilità preternaturale e crepitazione alla mobilizzazione (da eseguire in maniera estremamente cauta!). L’esame radiografico, in due proiezioni ortogonali includendo anche la spalla e il gomito, consente di caratterizzare il tipo di frattura.
Complicanze
- La più temibile complicanza delle fratture diafisarie dell’omero è la lesione del nervo radiale, che decorre addossato alla superficie posteriore dell’osso a livello della doccia di torsione. Questa complicanza si osserva nel 5-10% dei casi ed è più frequentemente associata a fratture spiroidi del terzo distale. Nella maggior parte dei pazienti il nervo è solo stirato o contuso (neuroaprassia o assonotmesi) dai frammenti di frattura, ma può anche trovarsi interposto tra questi ultimi o essere lacerato (neurotmesi); in alcuni casi la lesione si verifica più tardivamente per inglobamento o distensione da parte del callo osseo. La paralisi del radiale si manifesta con un deficit nell’estensione delle articolazioni metacarpo-falangee e del polso (“mano cadente”), e ipoestesia o anestesia sul dorso del lato radiale della mano e del I e II dito. Il recupero funzionale può richiedere mesi e deve essere monitorato con studi della conduzione nervosa ed elettromiografici. L’esplorazione chirurgica è giustificata in caso di deficit persistente a 4-6 mesi dal trauma. Altre possibili complicanze sono rappresentate dalla lesione dell’arteria brachiale (immediata) e dalla pseudo-artrosi (tardiva).
Terapia
- Le fratture diafisarie dell’omero possono essere trat-tate sia con metodi conservativi sia chirurgici, con un ampio margine di discrezionalità individuale.
- La terapia ortopedica può essere praticata immobilizzando l’intero arto superiore con un semplice bendaggio alla Desault o con apparecchio gessato toraco-metacarpale (dopo eventuale riduzione mediante trazione transolecranica). Si può anche ricorrere all’impiego di un gesso funzionale pendente, senza immobilizzazione della spalla, in cui l’allineamento dei frammenti è ottenuto sfruttando il peso dell’arto e la contenzione è affidata alla compressione esercitata sui muscoli del braccio. Tale tecnica richiede tuttavia un elevato grado di collaborazione da parte del paziente.
- L’osteosintesi può essere praticata con chiodo endomidollare (Immagine 07), con placca e viti, o anche con l’impiego di un fissatore esterno.
Immagine 07
Immagine 07. Frattura trasversa scomposta del terzo medio diafisario dell’omero sinistro, trattata mediante osteosintesi endomidollare con chiodo bloccato. Scarsa evidenza della scomposizione in proiezione antero-posteriore obliqua (a). In proiezione laterale è evidente lo spostamento anteriore del frammento prossimale (b). Quadro radiografico dopo impianto del mezzo di osteosintesi (c).
Gomito
- Le fratture del gomito includono le fratture dell’estremità distale dell’omero e quelle dell’estremità prossimale di ulna e radio. Sebbene le caratteristiche epidemiologiche e le problematiche cliniche di queste lesioni siano diverse, esse sono accomunate dalle possibili ripercussioni sulla funzionalità del gomito. Questa articolazione è particolarmente soggetta a fenomeni di rigidità e la necessità di una tempestiva riabilitazione costituisce un denominatore terapeutico comune per le lesioni traumatiche che la interessano.
Omero Distale
- Le fratture dell’omero distale (Box 01) includono:
- fratture sovracondiloidee;
- fratture transcondiloidee e intercondiloidee;
- fratture isolate dei condili (laterale e mediale);
- fratture delle superfici articolari (capitulum humeri e troclea);
- fratture degli epicondili.
Fratture sovracondiloidee
- Sono per definizione fratture extrarticolari che si osservano in massima parte nei bambini tra i 5 e i 10 anni, per divenire rare dopo i 15. Si ritiene che fattori anatomici peculiari di questa fascia d’età, quali la lassità legamentosa (con possibilità di iperestensione del gomito) e la struttura ossea in rimodellamento, predispongano alla lesione.
- La classificazione segue un criterio patogenetico e distingue:
- fratture da estensione (> 95% dei casi): il meccanismo traumatico è indiretto, per caduta sulla mano a gomito esteso. Il frammento distale si disloca posteriormente e viene trazionato verso l’alto dalla contrazione del tricipite (Immagine 08a);
- fratture da flessione (rare): il meccanismo traumatico è diretto, per urto violento posteriore a gomito flesso, e produce una dislocazione anteriore del frammento distale (Immagine 08b).
- In base all’entità dello spostamento tra i frammenti, le fratture da estensione sono ulteriormente distinte in tre tipi:
- tipo I: composte;
- tipo II: scomposte con contatto corticale;
- tipo III: scomposte senza contatto; in queste fratture lo spostamento dei frammenti è variabile con possibili associazioni tra traslazioni (mediale o laterale), angolazioni (varo o valgo), rotazioni e accorciamenti (Immagine 09).
- Il quadro clinico varia a seconda della gravità della frattura e si caratterizza per l’atteggiamento antalgico del gomito in semiflessione, l’impotenza funzionale in flesso-estensione e la deformità in caso di scomposizione. La distinzione rispetto a una lussazione di gomito può essere possibile soltanto prima della comparsa della tumefazione locale, quando i reperi ossei sono ancora apprezzabili. L’esame radiografico dirime il dubbio diagnostico e permette di caratterizzare la lesione.
- Le complicanze vascolo-nervose non sono rare e la loro prevenzione è in larga parte influenzata dal trattamento tempestivo delle fratture scomposte. Le strutture più frequentemente interessate sono:
- il nervo radiale, con la dislocazione antero-laterale del frammento prossimale;
- l’arteria omerale e il nervo mediano, in caso di scomposizione antero-mediale;
- il nervo ulnare nelle rare fratture da flessione.
- La sindrome ischemica di Volkmann è da considerare la complicanza più temibile delle fratture sovracondiloidee dell’omero.
- Altre possibili complicanze sono correlate a residue alterazioni della normale configurazione dell’omero distale e includono la limitazione del movimento (talvolta per ossificazioni eterotopiche) e le deviazioni angolari, soprattutto il gomito varo, che tuttavia rappresentano più un problema estetico che funzionale. La terapia può essere sia conservativa (riduzione e contenzione in apparecchio gessato brachio-metacarpale a gomito flesso e pronato) sia chirurgica (per lo più fissazione percutanea con fili di Kirschner), quest’ultima necessaria nelle fratture scomposte e instabili.
Fratture transcondiloidee e intercondiloidee
- Sono fratture articolari che interessano in modo prevalente i soggetti anziani.
- Le rare fratture transcondiloidee tendono a essere accomunate a quelle sovracondiloidee, da cui si differenziano per la sede intracapsulare della rima di frattura: questa decorre lungo le superfici articolari dei condili, interessando anche le fossette coronoidea e olecranica. Nelle fratture intercondiloidee, più frequenti, si osserva la separazione dei condili l’uno dall’altro e dalla diafisi, con configurazioni a T o Y della rima di frattura (Immagine 10).
- Per un corretto inquadramento della lesione, allo studio radiografico standard va associata l’esecuzione di una TC del gomito.
- Il trattamento è per lo più chirurgico, con interventi di osteosintesi, di estrema difficoltà nelle lesioni più complesse, o con la sostituzione protesica del gomito.
Fratture dei condili
- Tra queste lesioni merita di essere ricordata la frattura del condilo laterale che si osserva nei bambini. Si tratta di un distacco epifisario in cui la rima di frattura, a decorso obliquo in senso latero-mediale, può interessare il nucleo di ossificazione del condilo laterale o estendersi più medialmente verso la troclea femorale. La classificazione in due tipi secondo Milch si basa appunto su questo criterio (Immagine 11). Il meccanismo di lesione più comune è rappresentato dalla sollecitazione forzata in varo del gomito.
- La diagnosi radiografica può non essere agevole, soprattutto nei bambini più piccoli dove il condilo è poco ossificato, e un trattamento inadeguato si traduce in un’importante compromissione funzionale del gomito.
Fratture delle superfici articolari
- Sono fratture rare, la più comune delle quali è quella del capitulum humeri. Il frammento osteo-cartilagineo è distaccato da una forza tangenziale trasmessa dal capitello radiale, per esempio a seguito di caduta sul gomito flesso (Immagine 12). Talvolta la grandezza del frammento è sottovalutata all’esame radiografico, perché costituito in larga parte da cartilagine. L’esecuzione di una TC o di una RM del gomito permette di chiarire l’effettiva entità del danno anatomico. Come tutte le fratture articolari, il rischio di esiti funzionali sfavorevoli è elevato.
Fratture degli epicondili
- La frattura dell’epitroclea (epicondilo mediale) è un evento relativamente frequente fino alla fusione del suo centro di ossificazione con la diafisi omerale, fenomeno che si verifica a 20 anni circa. Il picco di incidenza si osserva intorno ai 12 anni e, come tutte le lesioni traumatiche del gomito, il sesso maschile è quello più colpito.
- Il meccanismo traumatico è indiretto, per trazione esercitata dalle strutture muscolari (flessori e pronatore rotondo) e legamentose (legamento collaterale ulnare) che lì s’inseriscono: tale patogenesi è confermata dalla frequente associazione con la lussazione del gomito. Il frammento epitrocleare può dislocarsi all’interno dell’articolazione e causare un blocco articolare, comportando il ricorso al trattamento chirurgico. La frattura può anche essere complicata da una sofferenza del nervo ulnare, che decorre nella doccia epitrocleo-olecranica.
Box 01
Anatomia ossea dell’omero distale
- Nell’anatomia dell’omero distale si possono riconoscere due colonne – una laterale e una mediale – che supportano i rispettivi condili: ciascuna colonna consta di una porzione articolare e una extrarticolare (epicondilo).
- La superficie articolare del condilo laterale è emisferica (capitulum humeri) e si articola con il capitello radiale.
- La superficie articolare del condilo mediale è la troclea omerale, a forma di puleggia con un solco centrale delimitato da due creste, che entra in rapporto con la grande incisura sigmoidea dell’ulna.
- I condili presentano un’angolazione anteriore di 30° e una laterale, in valgismo, di 6-8° rispetto all’asse diafisario dell’omero.
- In sede prossimale rispetto alla troclea si trovano:
- la fossetta coronoidea, anteriormente, destinata ad accogliere la coronoide in flessione;
- la fossetta olecranica, posteriormente, che riceve l’apice dell’olecrano in estensione.
- L’osso interposto tra le due fossette è una lamina molto sottile e costituisce la parte centrale della cosiddetta “paletta omerale”.
Immagine 08
Immagine 08. I due tipi di frattura sovracondiloidea: da estensione, con spostamento posteriore del frammento distale (a); da flessione, più rara, con dislocazione dei frammenti in direzione opposta (b).
Immagine 09
Immagine 09. Frattura sovracondiloidea scomposta dell’omero destro, senza contatto corticale tra i frammenti (tipo III). Radiografie in proiezione antero-posteriore (a) e laterale (b).
Immagine 10
Immagine 10. Frattura intercondiloidea dell’omero sinistro con configura-zione a T delle rime di frattura: proiezione antero-posteriore (a); proiezione laterale (b).
Immagine 11
Immagine 11. Classificazione di Milch delle fratture del condilo omerale laterale e radiografia (gomito destro) di frattura di tipo II in un bambino di 5 anni. La presenza di ampie aree scheletriche non ancora ossificate può rendere difficile il riconoscimento e la definizione delle fratture nel bambino piccolo.
Immagine 12
Immagine 12. Frattura pluriframmentaria scomposta del capitulum humeri (gomito sinistro): è evidente la rotazione verso l’esterno e verso l’alto della superficie articolare.
Ulna prossimale
- A carico dell’estremità prossimale dell’ulna si possono osservare le fratture dell’olecrano e quelle della coronoide.
Fratture dell’olecrano
- Sono fratture articolari frequenti in età adulta e avanzata, nella cui patogenesi si riconoscono tre differenti meccanismi traumatici:
- diretto, per urto violento, con produzione di una frattura comminuta;
- indiretto, per caduta sulla mano a gomito flesso con contrazione simultanea del tricipite: in questo caso la rima di frattura è trasversa oppure obliqua;
- combinato, diretto-indiretto.
- Traumi di estrema violenza possono causare una disloca-zione anteriore del frammento ulnare distale (con o senza frattura della coronoide) e del capitello radiale, configurando il quadro di frattura-lussazione (Immagine 13). La frattura provoca il distacco di un frammento più o meno grande dell’olecrano (fratture dell’apice, della base) con gradi diversi di scomposizione per effetto della trazione esercitata dal tricipite.
- Clinicamente si può apprezzare la soluzione di continuità dell’olecrano, in caso di diastasi tra i frammenti, e la tumefazione causata dall’emorragia extra- e intraricolare (emartro).
- L’esame radiografico deve consentire, oltre a una chiara definizione della frattura olecranica in proiezione laterale vera, uno studio adeguato degli altri capi articolari. La terapia è sempre chirurgica, con riduzione a cielo aperto e fissazione con mezzi di sintesi diversi (fili di Kirschner e cerchiaggio metallico, viti, placca e viti). Possibili complicanze a distanza sono rappresentate dalla rigidità post-traumatica, dall’artrosi e dalla pseudoartrosi.
Fratture della coronoide
- Si osservano quasi esclusivamente in associazione alla lussazione posteriore del gomito. La frattura isolata, per trazione da parte del muscolo brachiale, è rara.
- Il frammento, se scomposto e relativamente grande, può interferire con la normale mobilità del gomito, ma soprattutto può essere responsabile dell’insorgenza di un quadro di instabilità posteriore. In questa eventualità è necessario ricorrere al trattamento chirurgico di riduzione e osteosintesi, un intervento non agevole in relazione alla sede della frattura.
Radio prossimale (capitello radiale)
- Le fratture del capitello radiale, di comune osservazione negli adulti di entrambi i sessi, sono causate da una forza in compressione, trasmessa longitudinalmente dalla mano al gomito in occasione di cadute o altri impatti violenti. Tale meccanismo indiretto produce anche una sollecitazione in valgo, che può lesionare le strutture legamentose mediali del gomito. La classificazione più utilizzata è quella di Mason, in cui si distinguono i seguenti tipi di lesioni (Immagine 14):
- tipo I: fissurazione o frattura marginale composta;
- tipo II: frattura marginale scomposta;
- tipo III: frattura comminuta dell’intera epifisi.
- A questi si aggiunge un tipo IV, in cui si associa la lussazione di gomito.
- Anche la membrana interossea dell’avambraccio e l’articolazione radio-ulnare distale possono essere lesionate in concomitanza di fratture del capitello radiale: questo quadro configura la lesione di Essex-Lopresti. All’esame clinico il dolore da frattura del capitello radiale è rilevato in sede laterale e la prono-supina-zione dell’avambraccio può risultare più compromessa rispetto alla flesso-estensione del gomito. Nella lesione di Essex-Lopresti la palpazione dell’articolazione radio-ulnare distale evoca vivo dolore.
- La terapia è influenzata dalla gravità del quadro anatomo-patologico: immobilizzazione in gesso per pochi giorni nelle fratture composte, riduzione e osteosintesi in quelle marginali scomposte, resezione o sostituzione protesica del capitello radiale nelle lesioni comminute. La resezione non deve essere praticata nella lesione di Essex-Lopresti al fine di evitare la migrazione prossimale del radio e la comparsa di dolore e impotenza funzionale del polso per effetto di un impingement ulno-carpale.
- Nel bambino le fratture dell’estremità prossimale del radio assumono caratteristiche diverse: si localizzano a livello del collo come distacchi epifisari, interessando solo raramente la superficie articolare.
Avambraccio
- Le fratture diafisarie di una o di entrambe le ossa dell’avambraccio colpiscono soprattutto due gruppi di individui: gli uomini di età compresa tra 15 e 45 anni e le donne di età superiore ai 60 anni, seppure con incidenza 5 volte inferiore nel secondo caso.
- Queste fratture possono compromettere la funzione dell’arto superiore con perdita della capacità di posizionare la mano nello spazio, a causa dell’alterazione dei movimenti di prono-supinazione. La rotazione dell’avambraccio richiede l’integrità di numerose strutture anatomiche, sia ossee sia articolari, legamentose e muscolari. Per tale motivo la prognosi finale delle fratture è condizionata dallo stato dei tessuti molli contigui più nell’avambraccio che in qualunque altro segmento scheletrico. A ciò va aggiunto che la complessità dell’anatomia dell’avambraccio determina specifiche problematiche terapeutiche, che non hanno riscontro in nessun’altra frattura diafisaria.
Anatomia dell’avambraccio
- Lo scheletro dell’avambraccio è costituito da due ossa lunghe, il radio in sede laterale e l’ulna in sede mediale; il rapporto tra le due ossa varia in funzione dello stato di rotazione. In posizione di supinazione, con il palmo della mano rivolto verso l’alto, le due ossa sono parallele e delimitano uno spazio interosseo (Immagine 15a). Nella pronazione il palmo della mano guarda verso il basso in quanto il radio incrocia sul davanti l’ulna fino a entrare in contatto con essa, obliterando lo spazio interosseo (Immagine 15b).
- Una condizione anatomica essenziale per consentire l’avvolgimento del radio attorno all’ulna nella pronazione è rappresentata dalla curvatura della diafisi radiale sia sul piano frontale, a concavità mediale, sia sul piano sagittale, a concavità anteriore.
- I movimenti di prono-supinazione (Box 02) sono resi possibili da due articolazioni:
- la radio-ulnare prossimale, che fa parte del gomito ed è formata dal capitello radiale e dall’incisura sigmoidea dell’ulna. È un’articolazione trocoide in quanto costituita da due superfici cilindriche incastrate tra loro. Possiede un unico grado di libertà, ovvero la rotazione attorno all’asse dei due cilindri, che si realizza con la rotazione del radio attorno all’asse del capitello;
- la radio-ulnare distale, che fa parte del polso ed è formata dalla testa dell’ulna e dall’incisura sigmoidea del radio. È anch’essa un’articolazione trocoide che permette la rotazione del radio attorno all’asse della testa ulnare.
- La stabilità di questo vero e proprio quadrato osteo- legamentoso, formato dal radio e dall’ulna, è assicurata, oltre che dai legamenti intrinseci delle due articolazioni radio-ulnari, dalla membrana interossea. Quest’ultima è formata da fibre disposte su due piani incrociati: un piano anteriore principale obliquo in basso e all’interno, e un piano posteriore accessorio, obliquo in alto e all’interno. La porzione intermedia del piano anteriore, della larghezza di circa 3,5 cm, è la più spessa e forma un vero e proprio legamento interosseo, fondamentale per la stabilità longitudinale delle due ossa dell’avambraccio. Ciò vale sia in condizioni fisiologiche sia, soprattutto, in condizioni patologiche, come dopo la resezione del capitello radiale, quando essa si oppone alla risalita della diafisi del radio.
Meccanismo di lesione e fisiopatologia
- Il meccanismo di lesione può essere diretto o indiretto. Un trauma diretto si realizza quando un corpo contundente colpisce l’avambraccio agendo perpendicolarmente al suo asse longitudinale e causando in genere una lesione limitata all’osso. Se invece il trauma è determinato da una violenta sollecitazione assiale come accade nel caso di caduta sul polso, si possono associare lesioni delle articolazioni radio-ulnari e della membrana interossea. La scomposizione rotatoria dei frammenti del radio varia in base alla sede della frattura e dipende dall’azione dei muscoli dell’avambraccio.
- Le fratture del radio al terzo superiore della diafisi determinano la massima scomposizione in quanto sul frammento prossimale vengono ad agire i due muscoli supinatori, e sul frammento distale i due muscoli pronatori. Pertanto il frammento prossimale sarà in massima supinazione e il frammento distale in massima pronazione (Immagine 16a).
- Nelle fratture che interessano la diafisi del radio al terzo medio, distalmente all’inserzione del pronatore rotondo, la supinazione del frammento prossimale sarà limitata dall’azione del pronatore rotondo, mentre la pronazione del frammento distale sarà parziale in quanto dovuta all’azione del solo pronatore quadrato (Immagine 16b). Nel complesso la deformità rotatoria del radio sarà all’incirca dimezzata in confronto al caso precedente.
Classificazione
- La classificazione più utilizzata per le fratture diafisarie dell’avambraccio è quella proposta dall’AO (Arbei-tsgemeinschaft für Osteosynthesefragen, Gruppo di lavoro per i problemi dell’osteosintesi), che individua tre grandi categorie (Immagine 17).
- Le fratture del tipo A presentano rime di frattura semplici e dal decorso variabile (trasversa, obliqua, spiroide) e comprendono i gruppi:
- A1: frattura semplice isolata dell’ulna;
- A2: frattura semplice isolata del radio;
- A3: frattura semplice biossea.
- Le fratture del tipo B sono pluriframmentarie per la presenza di un terzo frammento “a cuneo” e comprendono i gruppi:
- B1: frattura pluriframmentaria isolata dell’ulna;
- B2: frattura pluriframmentaria isolata del radio;
- B3: frattura biossea con terzo frammento sul radio e/o sull’ulna.
- Le fratture del tipo C sono considerate complesse in quanto bifocali o comminute e comprendono i gruppi:
- C1: fratture complesse dell’ulna (indipendentemente dall’integrità o meno del radio);
- C2: fratture complesse del radio (indipendentemente dall’integrità o meno dell’ulna);
- C3: fratture complesse del radio e dell’ulna.
- Vi sono inoltre due fratture dell’avambraccio di particolare importanza clinica in quanto coinvolgono rispettivamente le articolazioni del polso e del gomito:
- la lesione di Galeazzi è caratterizzata dall’associa-zione di una frattura isolata del radio al terzo distale con la lussazione della testa dell’ulna al polso;
- la lesione di Monteggia consiste nell’associazione di una frattura diafisaria dell’ulna con la lussazione del capitello radiale al gomito. La classificazione più utilizzata è quella di Bado che riconosce 4 tipi in base alla lesione del radio (Immagine 18):
- tipo 1: lussazione anteriore del capitello radiale;
- tipo 2: lussazione posteriore del capitello radiale;
- tipo 3: lussazione antero-laterale del capitello radiale;
- tipo 4: lussazione del capitello radiale associata a frattura della diafisi.
Quadro clinico e radiografico
- Dal punto di vista clinico le fratture biossee dell’avambraccio associano un’evidente deformità dell’arto al dolore e all’impotenza funzionale che si osservano anche nelle fratture isolate di un osso.
- Lo studio radiografico deve essere eseguito secondo le due proiezioni ortogonali e deve includere imperativamente sia il gomito sia il polso per escludere una lesione associata a carico delle articolazioni radio-ulnari. In particolare va ricordata la frequenza con cui sono misconosciute le lussazioni del capitello radiale nelle lesioni di Monteggia.
Complicanze
- Tra le complicanze immediate va ricordata l’esposizione che può fare seguito ai traumi ad alta energia, nei quali si possono associare lesioni nervose e vascolari. In questi casi esiste un aumento del rischio di infezione e i tempi di consolidazione sono aumentati per via dello scollamento dei tessuti molli con devascolarizzazione dei frammenti della frattura.
- Un’importante complicanza precoce è rappresentata dalla sindrome di Volkmann che consegue soprattutto a fratture biossee, a gravi schiacciamenti, a traumi da arma da fuoco o ad alta energia. Le paralisi secondarie interessano soprattutto il nervo interosseo posteriore e possono essere dovute alla compressione da edema o ematoma al passaggio attraverso il muscolo supinatore. Le lesioni iatrogene sono dovute più spesso a una divaricazione energica durante interventi di osteosintesi delle fratture del terzo prossimale del radio, ma sono riportati casi di sezione del nervo o di schiacciamento da parte di una placca posizionata sopra il suo decorso. In caso di neuroaprassia la funzione viene recuperata nell’arco di qualche settimana; l’assenza di recupero dopo 3 mesi impone l’esplorazione chirurgica. Tra le complicanze tardive sono da ricordare i ritardi di consolidazione e le pseudoartrosi. Tali evenienze sono più frequenti nelle fratture pluriframmentarie o complesse, soprattutto in caso di esposizione, e in caso di osteosintesi inadeguata. I disturbi di consolidazione interessano, inoltre, in modo particolare le fratture del terzo medio dell’ulna, scarsamente vascolarizzato. Le viziose consolidazioni si manifestano con una deformità angolare o rotatoria delle ossa dell’avambraccio. Le forme più gravi possono comportare una limitazione importante del movimento di prono-supinazione. Fra le complicanze più rare vanno citate le sinostosi radio-ulnari che consistono nella formazione di un ponte osseo a livello della membrana interossea che blocca ogni movimento di rotazione.
Terapia
- Il trattamento delle fratture diafisarie dell’avambraccio deve mirare alla riduzione anatomica, con particolare attenzione al ripristino della curvatura fisiologica del radio. Questa è la premessa per il recupero di un’ampiezza adeguata del movimento di prono-supinazione dell’avambraccio. In considerazione del fatto che tutte queste fratture sono instabili, a eccezione di alcune fratture semplici isolate dell’ulna, il trattamento ortopedico incruento trova rare indicazioni. Esso è causa di pseudoartrosi o viziosa consolidazione in una percentuale di casi vicina al 30%. Inoltre, l’immobilizzazione per almeno 3 mesi, necessaria alla consolidazione, comporta un rischio elevato di rigidità secondarie.
- Il trattamento d’elezione consiste nella riduzione cruenta e osteosintesi mediante placche a compressione dinamica con viti bicorticali (Immagine 19). Queste devono essere almeno 3 da una parte e 3 dall’altra del focolaio di frattura. Nelle fratture complesse con dubbia vitalità dei frammenti può essere indicata l’esecuzione immediata di un innesto osseo autologo. L’inchiodamento endomidollare può essere praticato in casi particolari, come alcune fratture bifocali, patologiche o le fratture associate a ustioni o lesioni massive dei tessuti molli dell’avambraccio.
Immagine 13
Immagine 13. Frattura-lussazione anteriore del gomito conseguente a trauma ad alta energia. La radiografia in proiezione laterale permette di apprezzare la comminuzione della frattura ulnare prossimale, interessante sia l’olecrano sia la coronoide, e la dislocazione anteriore del capitello radiale (>).
Immagine 14
Immagine 14. La classificazione di Mason per le fratture del capitello radiale: Tipo I: fissurazione (tratteggiata) (a). Tipo II: marginale scomposta (b). Tipo III: comminuta (c).
Immagine 15
Immagine 15. Avambraccio destro in supinazione (a) e in pronazione (b).
Immagine 16
Immagine 16. Meccanismi di scomposizione del radio nelle fratture di avambraccio. Frattura del terzo prossimale (a). Frattura del terzo medio (b). BB = bicipite brachiale; S = supinatore; PR = pronatore rotondo; PQ = pronatore quadrato.
Immagine 17
Immagine 17. La classificazione delle fratture dell’avambraccio redatta dall’AO.
Immagine 18
Immagine 18. La classificazione di Bado della lesione di Monteggia.
Immagine 19
Immagine 19. Frattura biossea scomposta dell’avambraccio destro. Radiografie preoperatorie (a). Controllo radiografico dopo riduzione e osteosintesi con placche e viti (b).
Box 02
Biomeccanica della prono-supinazione
- Per spiegare la biomeccanica della prono-supinazione bisogna considerare la forma del radio. Quest’osso presenta 3 segmenti, che nel loro insieme ricordano la forma di una manovella:
- superiore: è formato dal collo ed è obliquo in dire-zione distale e mediale;
- intermedio: corrisponde alla parte media della diafisi ed è obliquo in direzione distale e laterale;
- inferiore: è formato dalla parte distale della diafisi ed è obliquo in direzione distale e mediale.
- I segmenti superiore e intermedio formano un angolo ottuso aperto all’esterno il cui vertice è formato dalla tuberosità su cui si inserisce il tendine del bicipite brachiale: nel loro insieme formano la curva supinatoria del radio.
- I segmenti intermedio e distale formano un angolo ottuso aperto all’interno il cui vertice corrisponde all’inserzione del pronatore rotondo: nel loro insieme formano la curva pronatoria del radio.
- L’asse di rotazione dell’avambraccio passa per le articolazioni radio-ulnari prossimale e distale e ciò fa sì che gli apici delle due curve del radio si trovino in posizione eccentrica rispetto all’asse stesso. Ci sono due modi per muovere questa manovella: svolgere un tirante avvolto su uno dei segmenti o esercitare una trazione alla sommità di una delle due curve. Entrambe queste modalità entrano in gioco nella rotazione dell’avambraccio.
- La supinazione è prodotta da due muscoli:
- il supinatore, che è avvolto intorno al collo del radio e agisce per “svolgimento”;
- il bicipite brachiale, che è inserito sulla tuberosità alla sommità della curva supinatoria e agisce per “trazione”.
- La pronazione è anch’essa prodotta da due muscoli:
- il pronatore quadrato, che è avvolto intorno all’estremità distale dell’ulna e agisce per “svolgimento”;
- il pronatore rotondo, che è inserito sulla diafisi del radio alla sommità della curva pronatoria e agisce per “trazione”.
Polso
- Con il termine di fratture di polso si definiscono le fratture della porzione distale delle due ossa dell’avambraccio. Consistono essenzialmente nelle fratture dell’estremità distale del radio (EDR), essendo le fratture dell’ulna meno frequenti e di minor rilievo clinico.
- Le fratture dell’EDR sono molto frequenti e rappresentano fino a 1/6 circa del totale delle fratture. L’incidenza è maggiore nel sesso maschile fino a 30 anni, equivalente nei due sessi fra 30 e 50 anni, mentre dopo i 50 anni si osserva un netto incremento nel sesso femminile, affetto fino a 7 volte di più secondo alcune casistiche. Tali fratture derivano in prevalenza da traumi a bassa energia come le cadute al suolo sull’arto superiore, ma nei giovani sono spesso conseguenza di incidenti stradali o traumi da precipitazione.
Classificazione
- Le fratture dell’EDR sono state classificate con eponimi di ampia diffusione e longevità, come le fratture di Pouteau-Colles, per quanto riguarda quelle con scomposizione dorsale del frammento distale, e di Smith-Goyrand per le fratture con scomposizione volare. Questi eponimi hanno grande importanza perché attestano la rilevanza storica degli autori che le hanno descritte e ricordano che l’avanzamento della scienza è dovuto al contributo di molte culture. Esse non consentono tuttavia di interpretare compiutamente il meccanismo della lesione con tutte le sue possibili conseguenze, né forniscono elementi precisi per orientare il trattamento e formulare la prognosi.
- Tra le classificazioni moderne, la più completa è certamente quella dell’AO, che si basa sulle caratteristiche radiografiche della frattura e definisce tre grandi categorie: fratture extrarticolari (tipo A), fratture articolari parziali (tipo B) e fratture articolari complete (tipo C). Ciascun tipo si divide in tre gruppi (Immagine 20).
- Le fratture del tipo A non coinvolgono la superficie articolare della radio-carpica né della radio-ulnare distale, e comprendono i gruppi:
- A1: frattura extrarticolare dell’ulna con radio integro;
- A2: frattura extrarticolare semplice del radio;
- A3: frattura extrarticolare pluriframmentaria del radio.
- Le fratture del tipo B interessano una parte soltanto della superficie articolare, mentre la porzione restante rimane continua con la diafisi. Comprendono i gruppi:
- B1: frattura sagittale del radio (stiloide);
- B2: frattura del margine dorsale del radio (Barton);
- B3: frattura del margine volare del radio (Barton inversa).
- Nelle fratture del tipo C la superficie articolare è interrotta e completamente separata dalla diafisi. Comprendono i gruppi:
- C1: fratture del radio articolari semplici e metafisarie semplici;
- C2: fratture del radio articolari semplici e metafisarie complesse;
- C3: fratture del radio articolari pluriframmentarie.
- Fernandez ha elaborato una classificazione basata sul meccanismo di lesione più che sulle caratteristiche radiografiche della frattura, ritenendo che la forza e la direzione dell’agente traumatico siano in relazione con le lesioni associate come le lesioni dei legamenti del polso e le sublussazioni o lussazioni delle ossa carpali. La comprensione del meccanismo delle fratture dell’EDR riveste pertanto grande importanza per un corretto approccio terapeutico globale.
- La classificazione di Fernandez riconosce cinque gruppi principali (Immagine 21):
- tipo I: fratture da flessione;
- tipo II: fratture da taglio della superficie articolare;
- tipo III: fratture da compressione della superficie articolare;
- tipo IV: fratture da avulsione;
- tipo V: fratture combinate.
- Le fratture da flessione si verificano quando una caduta sul palmo della mano trasmette a livello di una delle corticali della metafisi del radio una violenta tensione che ne provoca il cedimento, mentre sul lato opposto si realizza una compressione in grado di produrre, oltre all’interruzione della corticale, una comminuzione di grado variabile. Se la caduta avviene ad avambraccio pronato, la compressione agisce sulla corticale dorsale e si realizza una frattura di Colles; se la caduta avviene all’indietro con avambraccio supinato e gomito esteso, la compressione interessa la corticale volare e si realizza una frattura di Goyrand.
- Le fratture da taglio si realizzano in genere in pazienti giovani quando un meccanismo simile a quello descritto per la frattura di Goyrand determina il distacco del margine anteriore della superficie articolare del radio provocando una frattura di Barton inversa.
- Le fratture da compressione conseguono in genere a traumi ad alta energia, che trasmettono violente sollecitazioni assiali sulla superficie articolare del radio, provocando fratture articolari complete con grado di comminuzione proporzionale alla forza applicata. Le fratture da avulsione derivano dalla trazione esercitata dai legamenti a livello delle inserzioni al radio e possono associarsi a lussazioni perilunari del carpo o radio-carpiche. Esse consistono in fratture articolari parziali (Barton, stiloide).
Quadro clinico
- Le fratture di Colles si manifestano con un’alterazione del profilo del polso che presenta sul piano sagittale una deformità “a dorso di forchetta” e sul piano frontale una deformità “a baionetta”, dovute allo spostamento in direzione rispettivamente dorsale e radiale del frammento dell’epifisi (Immagine 22).
- Le fratture di Goyrand presentano sul piano sagittale una deformità opposta, dovuta allo spostamento volare del frammento distale che appare anche pronato rispetto alla diafisi.
- L’esame della motricità e della sensibilità della mano è importante per escludere lesioni associate a carico dei tendini e del nervo mediano, che può risultare compresso dall’ematoma o dai frammenti della frattura.
Diagnostica per immagini
- Lo studio radiografico richiede l’esecuzione di proiezioni standard nelle pose dorso-volare e laterale. Nei casi con importante scomposizione solo la ripetizione dell’esame dopo la riduzione estemporanea della frattura può consentire una corretta interpretazione e classificazione della lesione.
- La semeiotica radiografica di queste lesioni prevede la misurazione di alcuni parametri essenziali per porre una diagnosi precisa e per orientare il trattamento (Immagine 23).
- L’angolo di inclinazione ulnare della superficie articolare del radio si misura sulla proiezione dorso-volare, è compreso fra la tangente alla glena del radio e la perpendicolare al suo asse longitudinale ed è in media di 22°.
- L’angolo di inclinazione volare della superficie articolare del radio (“tilt volare”) si misura sulla proiezione laterale con un criterio analogo ed è in media di 11°.
- L’indice radio-ulnare distale misura sulla proiezione dorso-volare la lunghezza relativa delle ossa dell’avambraccio ed è in media di –1 mm, essendo il valore negativo espressione della lunghezza minore dell’ulna rispetto al radio. Assume un valore positivo di entità variabile in caso di accorciamento del radio dopo la frattura.
- La TC è utilizzata nelle fratture articolari complesse per studiare il numero preciso e la scomposizione dei frammenti.
Terapia
- Le fratture composte possono essere trattate con apparecchio gessato antibrachiometacarpale per 30 giorni. Nelle fratture scomposte l’indicazione al trattamento dipende dalla riducibilità e dalla stabilità della frattura. Il trattamento conservativo è indicato nelle fratture riducibili con manovre esterne e stabili dopo la riduzione. L’apparecchio gessato deve essere brachio-metacarpale e può essere rimosso dopo 40 giorni.
- Il trattamento in gesso di una frattura instabile dell’EDR va evitato perché costringe a bloccare il polso in una posizione estrema di flessione e inclinazione ulnare per impedire la scomposizione secondaria della frattura. Ciò può determinare decubiti, compressioni nervose o favorire l’insorgenza di una sindrome algodistrofica. Esiste inoltre l’eventualità di una scomposi zione secondaria, per cui è necessario controllare ripetutamente con radiografie in gesso (dopo 2, 7, 15 giorni) il mantenimento della riduzione.
- Per tutti questi motivi è necessario individuare le fratture instabili, definite in base ai criteri della letteratura (Tabella 01), e procedere in questi casi all’osteosintesi per stabilizzare la frattura dopo la riduzione. L’osteosintesi si avvale di fili di Kirschner percutanei nelle fratture instabili che possono essere ridotte con manovre esterne; la contenzione può essere ottenuta con un apparecchio gessato. Nei casi con comminuzione della metafisi esiste il rischio di un accorciamento secondario in gesso che può essere prevenuto applicando un fissatore esterno di tipo monoassiale “a ponte” sull’articolazione (Immagine 24). In queste circostanze è sempre più frequente il ricorso alla riduzione cruenta della frattura seguita dall’osteosintesi mediante placca “a stabilità angolare”, in cui le viti sono avvitate alla placca stessa, conferendo al montaggio grande stabilità anche in casi con comminuzione e riducendo i tempi di immobilizzazione (Immagine 25). L’applicazione di un innesto osseo autologo nella sede della comminuzione consente in questi casi di accelerare il processo di consolidazione. Se la frattura presenta frammenti non riducibili in modo incruento, è necessario procedere alla riduzione chirurgica con accesso dorsale o volare in base alla scomposizione dei frammenti. Per la fissazione vengono utilizzate placche “a stabilità angolare” che riproducono l’anatomia del radio e vengono in genere posizionate in sede volare.
- Le fratture marginali volari (gruppo B3 dell’AO) sono altamente instabili e c’è sempre l’indicazione all’osteosintesi mediante placca volare.
Immagine 20
Immagine 20. Classificazione delle fratture del polso redatta dall’AO.
Immagine 21
Immagine 21. Classificazione di Fernandez. Frattura da flessione (a). Frattura da taglio (b). Frattura da compressione (c). Frattura da avulsione (d). Frattura combinata (e).
Immagine 22
Immagine 22. Presentazione clinica di frattura di Colles del polso sinistro: sono evidenti le deformità “a baionetta” sul piano frontale (a) e “a dorso di forchetta” sul piano sagittale (b).
Immagine 23
Immagine 23. Misurazioni radiografiche del polso. Angolo di inclinazione ulnare della superficie articolare del radio (proiezione dorso-volare) (a). Angolo di inclinazione volare della superficie articolare del radio (proiezione laterale) (b). Indice radio-ulnare distale (proiezione dorso-volare) (c).
Immagine 24
Immagine 24. Frattura dell’EDR (tipo A3 della classificazione dell’AO). Quadro radiografico preoperatorio (a). Controllo postoperatorio dopo riduzione e osteosintesi con fili di Kirschner e fissatore esterno (b).
Immagine 25
Immagine 25. Osteosintesi con placche “a stabilità angolare” di frattura pluriframmentaria dell’EDR.
Tabella 01
Criteri di instabilità delle fratture dell’EDR
● Angolazione dorsale > 20°
● Comminuzione della corticale metafisaria
● Presenza di una rima di frattura intrarticolare
● Accorciamento del radio > 4 mm
● Frattura della testa o del collo dell’ulna
Ossa del carpo
Generalità
- Le fratture del carpo interessano in prevalenza lo scafoide, che sarà oggetto di trattazione specifica, e in misura minore il piramidale, mentre le fratture delle altre ossa sono rare.
- La diagnosi è difficile, perché spesso queste fratture sono misconosciute e quindi vengono trattate con ritardo. Le cause sono diverse: si tratta di ossa di piccole dimensioni e le fratture sono per lo più composte o minimamente scomposte; la remissione dei sintomi è spesso spontanea e si verifica in un breve arco di tempo; infine, sono spesso associate ad altre fratture dell’arto superiore con manifestazioni più eclatanti.
- La mancata diagnosi può favorire l’insorgenza di complicanze a distanza, con conseguente danno funzionale della mano.
- Queste fratture impongono una riduzione perfetta perché, essendo le ossa del carpo ricoperte in massima parte di cartilagine, presentano un decorso intrarticolare che può determinare un’incongruenza della superficie articolare con evoluzione verso l’artrosi. Per lo stesso motivo il processo di riparazione è di tipo endostale e il contatto dei frammenti è essenziale per ottenere la consolidazione. La diagnosi richiede l’esecuzione di radiografie standard del polso in proiezione dorso-volare e laterale, ed eventualmente oblique a 45° in semipronazione per lo studio della colonna laterale (scafoide e trapezio) e in semisupinazione per lo studio della colonna mediale (piramidale e uncinato) (Immagine 26). La TC può fornire dati essenziali ed essere dirimente per la diagnosi nei casi dubbi. Il trattamento delle fratture composte consiste nell’immobilizzazione, mentre le fratture scomposte richiedono un trattamento chirurgico con osteosintesi mediante fili di Kirschner o viti; queste ultime sono di impiego più difficile, ma consentono sintesi stabili con mobilizzazione precoce.
Scafoide
- Le fratture dello scafoide rappresentano circa il 75% di tutte le fratture delle ossa carpali. Il motivo di tale vulnerabilità va ricercato nella posizione dell’osso “a cavallo” delle due filiere delle ossa carpali. Lo scafoide è infatti saldamente connesso al semilunare in sede prossimale e al trapezio in sede distale ed è pertanto il più importante stabilizzatore del polso. Un’iperestensione del polso, come avviene nelle cadute sul palmo della mano, produce una violenta sollecitazione sull’osso, perché il polo distale viene spinto in direzione dorsale mentre il polo prossimale rimane bloccato tra la superficie articolare del radio e i legamenti volari tesi tra il radio e le ossa della prima filiera. Perché si realizzi questo meccanismo si ritiene che il polso si debba trovare in inclinazione radiale o in posizione neutra sul piano frontale.
Classificazione
- La classificazione più utilizzata per le fratture dello scafoide è quella di Herbert, che le divide in stabili (tipo A) e instabili (tipo B) (Immagine 27).
- Le fratture di tipo A comprendono:
- fratture del tubercolo dello scafoide (A1);
- fratture incomplete (A2).
- Le fratture di tipo B includono:
- fratture orizzontali oblique (B1);
- fratture trasverse del terzo medio (B2);
- fratture del terzo prossimale (B3);
- fratture associate a lussazione perilunare del carpo (B4).
- L’instabilità può rendersi evidente al momento della frattura, con scomposizione dei frammenti, o manifestarsi durante un trattamento di tipo conservativo; per tale motivo appare più corretto definire le fratture complete non scomposte come potenzialmente instabili. La causa di quest’instabilità va ricercata nella biomeccanica del polso (Box 03).
Quadro clinico e radiografico
- La sintomatologia di una frattura dello scafoide è nella maggior parte dei casi molto discreta e consiste in dolore al polso, che talora regredisce del tutto con l’applicazione di ghiaccio, e un breve periodo di riposo. Molte fratture dello scafoide sono misconosciute in quanto il paziente non ricorre alla visita di un medico.
- Qualora il paziente giunga all’osservazione, l’esame clinico rivela una modesta tumefazione associata a dolorabilità alla palpazione a livello della tabacchiera anatomica. In queste circostanze il sospetto di una frattura dello scafoide deve essere sempre avanzato e vanno eseguite le radiografie del polso in 4 proiezioni (dorso-volare, laterale vera, obliqua a 45° e dorso-volare con inclinazione ulnare del polso, la quale consente al raggio di incidere quasi perpendicolarmente all’asse maggiore dell’osso) (Immagine 29).
- Nelle fratture composte le radiografie possono risultare negative. In caso di fondato sospetto clinico è necessario immobilizzare temporaneamente con una doccia gessata il polso e ripetere l’esame dopo 2-3 settimane, quando il riassorbimento intorno alla rima di frattura potrà renderla visibile consentendo la diagnosi. TC o RM possono dirimere il dubbio diagnostico.
Terapia
- Le fratture composte stabili possono essere trattate con un apparecchio gessato antibrachio-metacarpale con pollice incluso per un periodo minimo di 6 settimane.
- Le fratture scomposte devono essere ridotte con l’intervento chirurgico e fissate con una vite a compressione che garantisca una sintesi stabile dei frammenti, in modo da permettere l’inizio degli esercizi di recupero articolare dopo poche settimane dall’intervento, a guarigione dei tessuti molli avvenuta. In relazione al tipo di frattura, la vite può essere inserita per via dorsale o volare (Immagine 30).
- Negli ultimi anni si è andato affermando il ricorso al trattamento chirurgico delle fratture instabili con minima scomposizione o potenzialmente instabili, soprattutto in individui che richiedono un recupero funzionale rapido, come gli sportivi e gli artigiani. L’osteosintesi permette di evitare la prolungata immobilizzazione necessaria alla consolidazione di una frattura dello scafoide (6-8 settimane per una frattura del terzo medio, 8-10 settimane per una frattura del polo prossimale), prevenendo la rigidità del polso e accelerando la ripresa dell’attività lavorativa e sportiva.
- Non vanno ignorati i possibili rischi del trattamento chirurgico (instabilità da sezione dei legamenti volari, sofferenza ischemica dello scafoide da devascolarizzazione). Per ridurre questi rischi, nelle fratture composte o minimamente scomposte, è possibile eseguire la sintesi percutanea della frattura sotto controllo ampliscopico, con un’incisione di pochi millimetri della cute.
Complicanze
- Le complicanze delle fratture dello scafoide consistono nella necrosi ischemica e nei disturbi della consolidazione (pseudoartrosi). Sono favorite da due condizioni anatomiche: la peculiare vascolarizza-zione dell’osso (Box 04) e la tendenza all’instabilità di tali fratture. Esistono poi fattori legati al tratta-mento, ovvero la mancata diagnosi o un trattamento inadeguato, costituito spesso da un’immobilizzazione in apparecchio gessato protratta per un periodo insufficiente.
- La necrosi ischemica del frammento prossimale dello scafoide è variamente apprezzata nelle diverse casistiche e ciò dipende dai diversi criteri utilizzati per la diagnosi. Il metodo più accurato è oggi rappresentato dalla RM, che mostra una riduzione dell’intensità del segnale sia in T1 sia in T2 (Immagine 32). L’evoluzione dell’ischemia è variabile. È inizialmente reversibile e se la frattura è stabile può avvenire la consolidazione seguita dalla riabitazione del frammento prossimale; se, viceversa, la frattura non consolida, la necrosi del polo prossimale evolve in maniera irreversibile verso la progressiva sostituzione fibrosa del tessuto osseo e la sua frammentazione. Queste considerazioni sottolineano la necessità di un’osteo-sintesi stabile nel trattamento delle fratture del terzo prossimale.
- La pseudoartrosi (PSA) è una complicanza osservata nel 10-15% delle fratture dello scafoide trattate con apparecchio gessato; la netta maggioranza è peraltro conseguenza di fratture misconosciute.
- È stata classificata da Herbert in base alla deformità dell’osso e al trofismo del frammento prossimale in 4 tipi (Immagine 33):
- PSA lineare stabile “serrata” senza deformità (D1);
- PSA con iniziale deformità (D2);
- PSA con deformità marcata e sclerosi dei frammenti (D3);
- PSA con necrosi del polo prossimale (D4).
- La tipologia della deformità riproduce quella delle fratture instabili con angolazione dei frammenti ad apice dorsale. Il frammento prossimale è ruotato in estensione con il semilunare, visibile in proiezione laterale con l’aspetto della DISI, così definita per l’orientamento in dorsiflessione del semilunare (segmento intercalato) (si veda la Immagine 28a).
- La sintomatologia è variabile e va sottolineato come molti pazienti con PSA dello scafoide non presentino sintomi fino al verificarsi di un nuovo trauma, il che suggerisce che una PSA serrata possa essere del tutto asintomatica. L’evoluzione a lungo termine è comunque verso un’artrosi del polso.
- Il trattamento della PSA è indicato in tutti i casi nelle forme sintomatiche e nei pazienti asintomatici di età inferiore a 45 anni al fine di prevenire l’evoluzione artrosica. Nei casi senza deformità esso mira a ottenere la consolidazione mediante osteosintesi con vite o fili e innesto di osso spongioso. In presenza di deformità questa deve venire corretta mediante un innesto cortico-spongioso prelevato dall’ala iliaca o dal radio e inserito sul lato volare dell’osso a colmare la perdita di sostanza; la sintesi si può praticare con vite o fili (Immagine 34).
Mano (ossa metacarpali e falangi)
- Le fratture delle ossa metacarpali e delle falangi presentano un’estrema varietà dal punto di vista anatomico e anche le indicazioni al trattamento variano molto in considerazione del diverso ruolo di ciascun segmento scheletrico nell’ambito della funzione della mano. Ciascun raggio della mano è costituito da una catena poliarticolare formata da un osso metacarpale e dalle falangi che formano lo scheletro del dito: tre a livello delle dita lunghe (prossimale o F1, intermedia o F2, distale o F3) e due (prossimale e distale) a livello del pollice.
- In questa struttura si possono riconoscere elementi fissi e mobili. Mentre le falangi rappresentano tutte elementi mobili, il metacarpo presenta due strutture fisse che sono il II e III osso metacarpale, i quali si articolano con le ossa della filiera carpale distale formando un pilastro rigido. Al contrario le ossa metacarpali esterne (I, IV e V) sono, seppure in misura molto diversa tra loro, elementi mobili che consentono la funzione della presa.
- Le teste metacarpali descrivono pertanto un arco trasversale (Box 05) che contribuisce al fenomeno della convergenza delle dita lunghe verso la base dell’eminenza tenar nel movimento di flessione.
Classificazione e fisiopatologia
- Le fratture delle ossa lunghe della mano possono essere distinte secondo un classico criterio anatomico nei tipi seguenti (Immagine 35):
- diafisarie: trasverse, oblique corte e lunghe, spiroidi;
- metafisarie: prossimali e distali, o fratture del collo;
- epifisarie: da forze di taglio o da avulsione da parte di tendini o legamenti;
- comminute: da schiacciamento a livello diafisario o epifisario.
- La scomposizione avviene in maniera tipica per alcune di queste fratture, a opera delle forze muscolari che agiscono sui frammenti.
- Le fratture diafisarie e metafisarie delle ossa metacarpali sono sottoposte all’azione dei muscoli intrinseci e presentano sul piano sagittale una deformità angolare a vertice dorsale, più evidente nelle fratture trasverse e oblique corte (Immagine 36a). Lo stesso tipo di frattura a carico di una falange prossimale produce invece una deformità angolare con vertice volare, per l’azione degli stessi muscoli intrinseci i cui tendini decorrono in posizione dorsale rispetto al focolaio della frattura (Immagine 36b). Uno stesso tipo di frattura è in genere più instabile a livello di una falange che dell’osso metacarpale corrispondente; fanno eccezione le fratture trasverse delle ossa del pollice, più instabili a livello metacarpale che falangeo.
- Nelle fratture oblique lunghe e spiroidi la scomposi-zione è caratterizzata in prevalenza dall’accorciamento dell’osso.
- Le frattura articolare della base del I metacarpale (frattura o frattura-lussazione di Bennett) è molto instabile per l’azione del potente muscolo abduttore lungo del pollice che, inserendosi sulla base, tende a lussare il frammento diafisario in direzione radiale (Immagine 37). Lo stesso discorso vale per la frattura articolare della base del V metacarpale dove un’azione analoga è svolta dall’estensore ulnare del carpo che determina la scomposizione dorsale della diafisi del V metacarpale.
Quadro clinico e radiografico
- Il quadro clinico delle fratture della mano è caratterizzato dalla presenza di dolore e tumefazione locale, a cui si può associare una deformità più o meno evidente, in particolare a livello falangeo.
- Come in tutte le fratture, la diagnosi è essenzialmente radiografica e deve utilizzare proiezioni ortogonali rispetto al segmento esaminato; la mancata esecuzione di tali proiezioni può causare gravi errori diagnostici (Immagine 38). A livello del metacarpo le ossa sono sovrapposte nella proiezione laterale, che pertanto è di scarsa utilità e può essere sostituita dalle due proiezioni oblique.
- Nelle fratture esposte, che a livello della mano sono frequenti, è importante l’esplorazione della ferita per identificare e trattare ogni lesione associata di tendini, nervi o arterie.
Terapia
- Queste fratture possono avere conseguenze gravi dal punto di vista funzionale, sia in caso di viziosa consolidazione sia in caso di rigidità articolare, favorita dall’edema e dalle aderenze dei tendini al periostio a livello del focolaio di frattura. Pertanto il trattamento è mirato non solo alla consolidazione in posizione anatomica, ma anche al recupero articolare più precoce possibile.
- Per quanto riguarda la riduzione, essa deve essere anatomica nelle fratture articolari per ridurre il rischio di evoluzione artrosica.
- Nelle fratture extrarticolari una deformità residua sul piano sagittale può essere ben tollerata sul piano funzionale in alcune sedi; è necessario considerare la possibile scomposizione angolare, longitudinale (Immagine 39a) e rotatoria.
- Nel I osso metacarpale un’angolazione palmare fino a 20° è compensata dall’ampia mobilità a livello trapezio-metacarpale; anche nel IV e V metacarpale è tollerata un’angolazione rispettivamente di 20° e 30°. Al contrario, nei metacarpali fissi anche un’angolazione volare di pochi gradi può essere mal sopportata. Per quanto riguarda le falangi, il limite tollerato per l’angolazione sul piano sagittale è minimo in quanto può provocare uno squilibrio tendineo con ripercussioni sulla funzione della catena digitale.
- L’accorciamento a livello metacarpale è tollerabile dal punto di vista funzionale se contenuto entro 4-5 mm; ciò provoca peraltro un’alterazione dell’aspetto della mano per l’arretramento della testa metacarpale.
- La deformità rotatoria di queste fratture deve essere sempre corretta. Infatti, essa altera l’asse di rotazione delle articolazioni a valle, quindi una rotazione di soli 5° di una frattura metacarpale determina un accavallamento delle dita in flessione pari a 1,5 cm a livello dell’apice delle dita.
- Va precisato che le considerazioni sui limiti di tollerabilità della scomposizione di queste fratture devono essere adattate al singolo paziente. Le richieste funzionali della mano sono estremamente diverse da caso a caso e un accorciamento di pochi millimetri può essere per esempio invalidante per un musicista o per uno sportivo professionista. Inoltre, le richieste dei pazienti tengono sempre più spesso in attenta considerazione il risultato estetico e ciò può influenzare la scelta del trattamento.
- La maggior parte di tali fratture può essere trattata con la terapia conservativa.
- L’immobilizzazione deve avvenire con il polso esteso di 30°, le articolazioni metacarpo-falangee flesse di 70° e le interfalangee estese, immobilizzando anche il raggio adiacente alla frattura.
- La mobilizzazione deve essere iniziata precocemente senza attendere l’evidenza radiografica della consolidazione, ma confidando nella stabilità che il callo fornisce già nel corso della terza settimana di tratta-mento.
- Le indicazioni chirurgiche includono le fratture articolari, le fratture nelle quali è impossibile ottenere una riduzione accettabile, le fratture instabili dopo riduzione incruenta, le fratture esposte, con lesioni associate dei tessuti molli o perdita di sostanza ossea, le fratture multiple e quelle in pazienti politraumatizzati.
- Le metodiche chirurgiche sono molteplici e presentano indicazioni diverse in funzione dell’estrema varietà anatomica di queste fratture. Per l’osteosintesi possono essere utilizzati fili di Kirschner, viti libere (Immagine 39b), placche e fissatori esterni.
Immagine 26
Immagine 26. Proiezioni per un corretto studio radiografico del polso: dorsovolare (a); laterale vera (b); semipronazione a 45° (c); semisupinazione a 45° (d).
Immagine 27
Immagine 27. Classificazione di Herbert delle fratture dello scafoide.
Immagine 28
Immagine 28. Disegno che illustra il tipico spostamento dei frammenti di frattura dello scafoide e la conseguente deformità in DISI (Dorsal Intercalated Segment Instability) (a). Radiografia in proiezione laterale di pseudoartrosi di scafoide con deformità in DISI (b).
Immagine 29
Immagine 29. Radiografia della mano che mostra la frattura dello scafoide tipo B2.
Immagine 30
Immagine 30. Trattamento chirurgico di una frattura dello scafoide con vite a compressione. Osteosintesi eseguita per via dorsale (a). Impianto della vite per via volare (b).
Immagine 31
Immagine 31. Disegno che mostra la vascolarizzazione di tipo terminale del polo prossimale dello scafoide.
Immagine 32
Immagine 32. Necrosi del frammento prossimale dello scafoide evidente alla RM.
Immagine 33
Immagine 33. Classificazione di Herbert delle pseudoartrosi dello scafoide.
Immagine 34
Immagine 34. Correzione chirurgica della deformità dello scafoide mediante innesto corticospongioso. Allineamento normale del polso (a). Deformità humpback dello scafoide e DISI del polso (b). Ripristino dell’allineamento dei frammenti dello scafoide (c). Posizionamento dell’innesto (d).
Immagine 35
Immagine 35. Esempi di fratture della mano: frattura spiroide diafisaria del IV osso metacarpale (a); frattura metafisaria del collo del V osso metacarpale (b); frattura epifisaria distale comminuta della testa del V osso metacarpale (c).
Immagine 36
Immagine 36. Disegno che illustra il meccanismo di scomposizione delle fratture metafisarie e diafisarie a livello delle ossa metacarpali (a) e delle falangi prossimali (b).
Immagine 37
Immagine 37. Frattura di Bennett (a); schema che illustra la scomposizione dovuta alla trazione esercitata dall’abduttore lungo del pollice (ALP) sul frammento distale (b).
Immagine 38
Immagine 38. Frattura misconosciuta della base di F2 del IV dito. Radiografie eseguite al momento del trauma e refertate negative (a). Proiezioni mirate eseguite dopo 2 mesi per il persistere della sintomatologia: è evidente una frattura-lussazione con avanzati fenomeni riparativi (b).
Immagine 39
Immagine 39. Frattura diafisaria spiroide del IV osso metacarpale. Radiografia preoperatoria che mostra l’accorciamento del IV raggio (a); controllo dopo riduzione e osteosintesi con viti: la lunghezza del segmento appare ripristinata (b).
Immagine 40
Immagine 40. Frattura “a legno verde” della clavicola sinistra in un bambino di 3 anni: i frammenti di frattura appaiono angolati, ma ancora contenuti dal robusto periostio presente a questa età.
Immagine 41
Immagine 41. Radiografia del paziente con spalla pseudoparalitica. Si nota la presenza di una vite-ancora, impiantata in occasione di un tentativo infruttuoso di riparazione della cuffia. Il quadro radiografico e indicativo di una rottura massiva irreparabile (a). Quadro postoperatorio dopo impianto di artroprotesi inversa della spalla (b). Recupero dell’elevazione attiva con la protesi inversa. Il deltoide ha recuperato la sua azione motrice e il movimento non appare piu dipendente dalla sola articolazione scapolo-toracica).
Box 03
Biomeccanica applicata del polso
- Il polso è una catena biarticolare costituita da tre segmenti che a livello della colonna centrale sono rappresentati da radio (segmento prossimale), semilunare (segmento intercalato) e capitato (segmento distale). Essendo il segmento intercalato privo di inserzioni tendinee, la catena è intrinsecamente instabile in compressione in quanto tenderebbe a deformarsi a zig-zag se non esistesse un sistema di stabilizzazione, costituito dallo scafoide. Questo è infatti connesso dai legamenti intrinseci al semilunare in sede prossimale (legamento interosseo scafo-lunato) e al trapezio in sede distale (legamenti scafo-trapeziali volari). Questa architettura impedisce il collasso del carpo se è conservata l’integrità dello scafoide e dei legamenti.
- In presenza di una frattura completa dello scafoide (Immagine 28a):
- il frammento prossimale rimane solidale con il semi-lunare e tenderà a ruotare con esso in estensione, in quanto il semilunare possiede un momento estensorio dovuto sia alla propria morfologia (ridotto spessore dell’osso nella parte dorsale rispetto a quella volare) sia al fatto che il piramidale cui è tenacemente connesso tende anch’esso a ruotare in dorsiflessione impegnandosi nella superficie articolare elicoidale dell’uncinato;
- il frammento distale dello scafoide tende invece a ruotare in flessione per l’azione delle sollecitazioni assiali trasmesse dal trapezio che è posto in posizione volare rispetto all’asse del polso.
- Il risultato dell’interazione di queste forze consiste nella deformazione dello scafoide con angolazione dei frammenti a vertice dorsale (deformità che nella letteratura anglosassone viene chiamata humpback, cioè gobba), che nelle lesioni inveterate produce il progressivo riassorbimento della corticale volare dell’osso (Immagine 28b).
Box 04
Vascolarizzazione dello scafoide
- La vascolarizzazione dello scafoide presenta un sistema arterioso dominante formato dai rami dell’arteria radiale che penetrano nell’osso in corrispondenza delle aree di inserzione della capsula, a livello del tubercolo e soprattutto lungo la cresta dorsale. Quasi tutti i fori nutritizi si trovano nella metà distale dell’osso e pertanto il polo prossimale presenta un’irrorazione retrograda di tipo terminale (Immagine 31). Ciò è dovuto al fatto che il polo prossimale è intrarticolare, rivestito in massima parte da cartilagine ialina, e riceve solo un ridotto apporto ematico attraverso i vasi che lo raggiungono lungo il legamento radio-scafo-lunato profondo. Questa disposizione dei vasi fa sì che una frattura dello scafoide possa provocare l’ischemia del polo prossimale, tanto più probabile quanto più prossimale è la frattura. La conseguenza di ciò è un ridotto potenziale riparativo delle fratture del terzo prossimale, con maggiore rischio di evoluzione verso una pseudoartrosi e l’osteonecrosi.
Box 05
Archi della mano
- La mano rappresenta, dal punto di vista strutturale, un sistema interconnesso di segmenti ossei organizzati tra loro in una serie di archi integrati la cui concavità è rivolta verso il palmo.
- L’arco trasverso prossimale è costituito dalle ossa del carpo e presenta una forma fissa.
- L’arco trasverso distale è formato dalle teste metacarpali ed è mobile grazie al movimento del I metacarpale sul lato radiale e del IV e V metacarpale sul lato ulnare; tale movimento è controllato dalle connessioni dei metacarpali esterni al pilastro centrale rigido formato dai metacarpali fissi (II e III).
- Infine gli archi longitudinali sono costituiti dai singoli raggi digitali formati da ciascun osso metacarpale con le rispettive falangi.
- La mobilità dell’arco trasverso distale consente al palmo di adattare la propria forma a oggetti di diverse dimensioni, mentre la grande mobilità degli archi longitudinali consente a ciascun raggio digitale di adattare la propria forma alle necessità della funzione di presa.