Il termine sindrome coronarica acuta (SCA) viene applicato ai pazienti in cui vi è il sospetto o la conferma di ischemia miocardica acuta o infarto.
Infarto miocardico (MI) senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI), MI con elevazione del tratto ST (STEMI) e angina instabile sono i tre tipi tradizionali di SCA.
Ai nostri tempi l’uso diffuso del test ad alta sensibilità per la misurazione della troponina ha modificato la diagnosi di angina instabile in NSTEMI in quasi tutti i pazienti precedentemente diagnosticati con angina instabile. Col termine di angina instabile attualmente sono definiti particolari reperti clinici (es. dolore toracico acuto)) e/o elettrocardiografici (ECG) (es. anomalie del recupero, depressione del tratto ST, ecc..) in assenza di un livello elevato di biomarker di necrosi miocardica.
Nella SCA la differenza tra STEMI e NSTEMI è fondamentale per la differente gestione clinica
Presentazione clinica
La presentazione della sindrome coronarica acuta è alquanto varia, spaziando tra arresto cardiaco, instabilità emodinamica o elettrica a quelle che sono le complicanze meccaniche, tra cui l’insufficienza mitralica severa.
In genere il sintomo cardine è l’”angina” acuta che può essere descritta come un dolore gravativo, costrittivo, ma anche urente, alla quale si devono aggiungere però tutti i sintomi equivalenti ischemici, come la dispnea, l’epigastralgia e il dolore al braccio sx.
Definizione universale di infarto del miocardio
L’infarto del miocardio è definito dalla necrosi dei cardiomiociti in un particolare setting clinico, compatibile con l’ischemia acuta del miocardio. I criteri necessari per questo tipo di diagnosi sono il rilevamento di un aumento della troponina, preferibilmente ad alta sensibilità (Trp-Us) I o T, con almeno un valore oltre il 99esimo percentile del limite superiore, con almeno uno dei seguenti elementi:
sintomi di ischemia miocardica;
nuove modifiche del tracciato ECG;
sviluppo di onde Q all’ECG;
evidenza all’imaging di perdita di miocardio vitale e/o di comparsa di nuove anomalie della contrattilità miocardica in un ambito di sospetta eziologia ischemica;
evidenza di trombo intracoronarico alla coronarografia o all’autopsia.
Si possono distinguere vari tipi di infarto del miocardio, a seconda dell’eziologia e della differente fisiopatologia:
Infarto del miocardio di tipo 1–> caratterizzato dalla rottura, ulcerazione, erosione o fissurazione di una placca aterosclerotica con conseguente formazione di un trombo endocororonarico con conseguente riduzione del flusso sanguigno miocardico, embolizzazione distale e conseguente necrosi miocardica. Nel 5-10% dei casi ci può essere una malattia coronarica (CAD) assente o non ostruttiva, specialmente nelle donne.
Infarto del miocardio tipo 2–> caratterizzato da condizioni che causano uno sbilancio tra richiesta di ossigeno e la sua effettiva offerta (ipotensione, ipertensione, tachiaritmie, bradiaritmie, anemia, ipossemia, embolia polmonare).
Infarto del miocardio tipo 3–> quello che si riscontra alla morte in assenza di biomarker di necrosi disponibili.
Infarto del miocardio tipo 4–>correlato alla PCI.
Alcuni pazienti hanno aumento degli enzimi asintomatici indicativi di danno miocardico correlato alla procedura, ma si parla di IM di tipo 4 se il livello di troponina è superiore a cinque volte il limite di riferimento superiore e vi è evidenza clinica di ischemia all’elettrocardiogramma (prognosi peggiore) o di un evento durante o dopo PCI come trombosi dello stent. A volte, l’ischemia periprocedurale subito dopo PCI può verificarsi nel sito di lesioni stenotiche non affrontate al momento della procedura.
Un’importante considerazione diagnostica subito dopo la PCI è la distinzione tra dolore toracico ischemico e non ischemico. Il dolore toracico non ischemico si manifesta tipicamente a riposo, senza alterazioni dell’ECG o innalzamento degli enzimi cardiaci. La maggior parte dei pazienti descrive caratteristiche del dolore diverse dalla loro angina tipica (più localizzata e spesso pleuritica). Questo disagio dura meno di 72 ore in circa l’80% dei pazienti e meno di due settimane nel resto. Si ritiene che l’eccessiva espansione dello stent sia responsabile nella maggior parte dei casi.
Infarto del miocardio tipo 5–> correlato al bypass arterioso coronarico
ANGINA INSTABILE
Definizione
L’angina instabile è definita da ischemia miocardica acuta e sotto sforzo in assenza di segni di danno o ischemia acuti del miocardio. Questi individui pertanto non presentano aumento dei biomarker di necrosi, oltre che avere un rischio più basso di morte.
Modalità di presentazione
Il dolore toracico acuto (“angina”) può avere vari tipi di presentazioni:
Angina di nuova insorgenza– La storia naturale dell’angina di nuova insorgenza dipende in parte dal grado di sforzo richiesto per indurre dolore toracico. I pazienti con angina di nuova insorgenza che si verifica solo dopo uno sforzo fisico intenso, come spalare la neve o sollevare un peso di 50 libbre, hanno una prognosi simile a quella dei pazienti con sindrome coronarica cronica. Invece una nuova angina che si manifesta dopo uno sforzo minimo o a riposo, soprattutto se prolungata, porta una prognosi peggiore in assenza di intervento.
Angina a riposo – L’ angina a riposo, in particolare se prolungata e / o associata a cambiamenti transitori del tratto ST> 0,05 mV, identifica i pazienti a rischio aumentato.
Angina precoce post- infarto miocardica – L’ angina precoce postinfartuale (definita come dolore toracico che si manifesta entro 48 ore dopo un infarto miocardico acuto) è tipicamente associata a lesioni complesse e / o trombi intracoronarici persistenti e/o con malattia coronarica più grave. Il dolore toracico ricorrente può significare la permanenza di miocardio vitale nella zona dell’infarto o una diversa area del miocardio a rischio. L’angina che si manifesta subito dopo un IM acuto è associata ad alto rischio in assenza di intervento (studio GUSTO-IIb). Inoltre, l’insorgenza di ischemia refrattaria è stata associata a una mortalità più elevata rispetto all’ischemia responsiva o all’assenza di ischemia a 30 giorni e un anno.
Angina post-revascolarizzazione – L’ angina dopo intervento coronarico percutaneo (PCI) o intervento di bypass coronarico (CABG) può riflettere un evento procedurale o, a lungo termine, restenosi dopo PCI, stenosi in un innesto (di solito in innesti di vena safena), o progressione della malattia nativa.
Talora può essere presente angina ricorrente durante il periodo postoperatorio post-CABG, solitamente dovuto a un problema tecnico con un innesto o con la chiusura precoce dell’innesto.Questa è un’indicazione per un cateterismo tempestivo con rivascolarizzazione mediante PCI, se possibile. La diagnosi di ischemia ricorrente può essere difficile da fare dopo il CABG, poiché gli aumenti degli enzimi cardiaci si verificano come risultato della procedura chirurgica e perché i cambiamenti dell’ECG possono riflettere un’infiammazione pericardica postoperatoria.
Angina periprocedurale – Un evento ischemico periprocedurale può verificarsi con o senza sintomi, con o senza elevazione della troponina, e nel sito della PCI o a distanza. Il dolore toracico ischemico (con o senza innalzamento della troponina) entro 48 ore dall’inserimento di uno stent di solito deriva da eventi procedurali come la chiusura improvvisa del vaso (solitamente dovuta a trombosi dello stent o progressione di una dissezione non trattata), spasmo coronarico transitorio, occlusione del ramo laterale o embolizzazione distale di detriti aterosclerotici o trombotici.
Angina tardiva : l’insorgenza ritardata dell’angina (30 giorni o più dopo PCI) può significare restenosi post-PCI, stenosi del trapianto dopo CABG o progressione della malattia nativa. I pazienti affetti si presentano tipicamente con il ritorno graduale e progressivo dell’angina da sforzo. È necessario eseguire tempestivamente il test da sforzo, poiché questi pazienti sono a maggior rischio, o ancora meglio una scintigrafia con valutazione della perfusione miocardica perché in grado di documentare sia il sito che l’entità dell’ischemia.
NSTEMI
Definizione
L’infarto acuto del miocardio in assenza di sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) è uno dei quadri della sindrome coronarica acuta (SCA), caratterizzata dai sintomi ischemici, elevati valori di troponina ad alta sensibilità (segno di necrosi cellulare), in assenza del tipico pattern dello STEMI, cioè il sopraslivellamento del tratto ST, all’ECG.
L’NSTEMI si differenzia dallo STEMI perché non ha un sopraslivellamento del tratto ST persistente (> 20 minuti), piuttosto un ECG normale o altri tipi di anomalie (sopraslivellamento del tratto ST transitorio o di lieve entità, sottoslivellamento del tratto ST, inversione delle T, T piatte, o pseudonormalizzazione delle onde T).
Epidemiologia
Con l’Introduzione delle troponine ad alta sensibilità l’incidenza degli NSTEMI rilevati è aumentata marcatamente, ma allo stesso tempo l’Introduzione della coronarografia ad almeno 72 h dall’ingresso ha migliorato la sopravvivenza con una mortalità ridotta al 6,3% a 6 mesi. In genere quando c’è una sospetta SCA: il 5-1’% sono STEMI, 15-20% NSTEMI, 10% angina instabile, 15% altre cardiopatie e 50% patologie non cardiache.
Diagnosi
Presentazione clinica
La presentazione del dolore toracico acuto nel paziente con NSTEMI può presentare varie caratteristiche:
prolungato (>20 minuti);
di nuova insorgenza (< 3 mesi)- classe II o III della classificazione della Società Cardiovascolare Canadese;
recente destabilizzazione di una precedente angina stabile (crescendo angina)- classe III della classificazione della Società Cardiovascolare Canadese;
post-infarto del miocardio.
Il dolore toracico tipico è caratterizzato da un senso di dolore/pressione o pesantezza (angina) retrosternale, irradiato al brabbio sx/ambo le braccia/bracciodx/collo/mandibola, che può essere intermittente (durata di molti minuti) o persistente.
Sintomi aggiuntivi possono essere: sudorazione, nausea, dolore epigastrico, dispnea e sincope.
Presentazioni atipiche: epigastralgia isolata, dispnea isolata o semplice astenia (maggiormente tipiche nei pazienti anziani, nelle donne e nei pazienti con diabete).
L’esacerbazione dei sintomi con lo sforzo fisico ed il loro ridursi a riposo aumenta la probabilità che si tratti di un’ischemia miocardica.
Il ridursi dei sintomi dopo l’assunzione di nitrati rende molto probabile la diagnosi di NSTEMI, anche se non esclude altre cause.
La sintomatologia è più probabile essere causata da ischemia miocardica se sono copresenti altri fattori di rischio: storia di coronaropatia (CAD), diabete, dislipidemia, abitudine tabagica, ipertensione arteriosa sistemica, disfunzione renale, presenza di vasculopatia periferica.
Esame obiettivo
In genere non esistono segni fisici specifici di NSTEMI.
Talora possono essere presenti segni associati allo scompenso cardiaco associato ad esso, e raramente comparsa di nuovi soffi, come un soffio sistolico attribuibile alla comparsa di un’insufficienza mitralica severa, rottura di un muscolo papillare e difetto interventricolare.
L’esame obiettivo è importante soprattutto per escludere patologia non ischemiche o extracardiache che possono manifestarsi in maniera simile ad una SCA. Un esempio è l’accentuazione del dolore alla pressione sul torace che è maggiormente tipica di un dolore muscolare o osseo, oppure il dolore che si riduce alla flessione anteriore tipico di una pericardite.
La pressione arteriosa sistemica è di solito elevata in caso di SCA. In questi casi è però importante anche valutare se c’è un’importante differenza pressoria tra le due braccia e tra gli arti superiori e quelli inferiori in modo tale da escludere una dissezione aortica.
E’ importante inoltre individuare i segni dei fattori precitanti, come anemia e tireotossicosi, es. Pallore, cardiopalmo, tremore e sudorazione.
Esami
La diagnosi di NSTEMI necessita, oltre che della particolare presentazione clinica, di un rapido insieme di esami che ne permette l’immediato riconoscimento e conseguente trattamento.
ECG a riposo:
E’ l’esame di I livello in un paziente con SCA, quindi da eseguire immediatamente (entro 10 minuti dal contatto medico).
Nell’NSTEMI l’ECG può essere normale nel 30% dei casi, altrimenti avere anomalie meno specifiche. Nel caso di dubbi può essere anche utile la valutazione con derivazioni addizionali. Per es. V7 e V9 per valutare meglio l’occlusione della circonflessa, oppure V3R e V4R nei pazienti con sospetto infarto dx.
L’ECG deve essere sempre presentato con quelli precedenti, perché appunto alcune della anomalie potrebbero già essere pre-esistenti.
Nei pazienti con blocco di branca sx ci sono i criteri di Sgarbossa che possono aiutare nella diagnosi, ma quando la sintomatologia è altamente sospetta bisogna trattare indipendentemente come se fosse uno STEMI. Nel caso di paziente stabile invece è importante anche la valutazione del valore delle troponine.
Le stesse considerazioni devono essere seguite anche nei pazienti con ritmo da pacemaker.
Nei pazienti con blocco di branca dx il sopraslivellamento del tratto ST è indicativo di STEMI in generale, mentre la depressione del tratto ST in I, AVL, V5-6 è indice di NSTEMI.
Immagine 01. flow-chart per la diagnosi e caratterizzazione di paziente con SCA, con stratificazione prognostica.
Biomarkers:
Troponina cardiaca ad alta sensibilità.
Questa misurazione è essenziale per la diagnosi della SCA NSTEMI.
Le troponine ad alta sensibilità in particolare sono molto più specifiche e sensibili rispetto al CK, CK-MB e mioglobina.
Infatti un innalzamento della troponina al di sopra del 99esimo percentile + sintomi suggestivi fanno fare già diagnosi di infarto del miocardio acuto (IMA).
In genere l’innalzamento sierico delle troponine avviene già ad 1 h dai sintomi e resta elevato per un certo periodo di tempo.
I saggi per le troponine ad alta sensibilità hanno rispetto ai saggi tradizionali un più elevato valore predittivo negativo, ma allo stesso tempo un aumentato intervallo di detezione con un aumento anche del rilevamento dell’IMA tipo 1 del 4-20%.
Uno dei vantaggi maggiori delle troponine ad alta sensibilità è quello di abbreviare l’intervallo dal secondo campione con un approccio “tempo 0, 1 h” o “tempo 0, 2h”.
In genere il dato troponinico deve essere messo in relazione con la probabilità clinica di infarto. Infatti un’alta probabilità con un valore iniziale elevato o una variazione moderata della troponina, permettono la diagnosi e di iniziare il percorso per il trattamento. In particolare nel caso di una bassa-media probabilità clinica in presenza di angina instabile (quindi senza rilevazione di troponine sieriche elevate) è possibile anche l’utilizzo di coro-TC.
Alcuni pazienti però richiedono una terza misurazione di troponina e valutazione ecocardiografica. Questa valutazione è da effettuarsi soprattutto nei pazienti con dolore molto recente (<1 h), quindi che necessita di una possibile terza misurazione (3h), in quanto la troponina ad alta sensibilità ha una sensibilità minore in questo setting, visto che inizia ad aumentare dopo 1 h dall’insorgenza dei sintomi.
L’1% dei pazienti è descritto avere un innalzamento sierico della troponina tardivo.
Il livello sierico di troponine può però variare in base ad età (più avanzata, più è anche possibile la presenza di copatologie e di patologia cardiaca pre-esistente), insufficienza renale, tempo di insorgenza dei sintomi e sesso.
E’importante escludere però le altre cause di innalzamento troponinico (troponinosi), in quanto possono provocare un danno miocardico, senza che però ci sia un infarto del miocardio in corso:
altre patologie cardiache: tachiaritmie, scompenso cardico, emergenze ipertensive, miocardite, Tako-Tsubo e valvulopatie;
Immagine 02. Algoritmo per i tempi del dosaggio dei biomarker e decisioni cliniche associate.
Tecniche di IMAGING:
Ecocardiografia.
E’ l’esame di imaging più rapido e semplice da eseguire al letto del paziente (I livello).
E’ utile per escludere altre patologie associate al dolore toracico, oltre che valutare le possibili aree di ipo-acinesia, quindi quelle suggestive di ischemia o necrosi.
Altre tecnologie, come lo strain, possono venire in aiuto qualora non siano presenti importanti anomalie della cinesi.
Inoltre è importante per la valutazione prognostica del paziente, valutando la cinesi alla dimissione.
Qualora il paziente non abbia aumento troponinico, non abbia più sintomi e non presenti anomalie all’ECG, può essere utile una valutazione funzionale con stress test di imaging, es. ecostress fisico o farmacologico con dipiridamolo o dobutamina che ha un forte valore predittivo negativo per ischemia. Unica controindicazione a questo tipo di test è la presenza di una finestra acustica inadeguata che impedisce la visualizzazione nitida delle pareti miocardiche e della loro cinesi.
Risonanza magnetica.
Valuta ottimamente contrattilità del ventricolo e stato di perfusione.
L’ integrazione con lo stress test ottimizza anche la valutazione prognostica.
E’ in grado di determinare l’area di cicatrice dell’infarto, la quale si impregna tardivamente col gadolinio (Late Gadolinium Enhancement- LGE) e con le immagini T2 pesate riesce a distinguere un infarto recente, determinando l’area di edema tissutale.
La RMN è essenziale per la diagnosi differenziale con miocadite e Tako-Tsubo.
Putroppo a fronte di un’eccellente caratterizzazione tissutale, il fattore tempo è importante e impedisce di usare la risonanza magnetica in un setting acuto.
SPECT.
E’ una metodica dimostratasi utile nella stratificazione del rischio di pazienti con dolore toracico acuto, suggestivo di sindrome coronarica acuta.
A riposo riesce a valutare i difetti di perfusione fissi, segno di necrosi, utile per un eventuale iniziale triage del paziente.
La combinazione con lo stress/sforzo riesce a stratificare ancora di più il rischio ed a determinare la prognosi.
Purtroppo però la scintigrafia non sempre è disponibile ed espone ad un livello elevato di radiazioni.
Coro-TC.
Valuta l’albero coronarico ed ha un alto valore predittivo negativo, in quanto una coro-TC negativa esclude in maniera ottimale la CAD.
Alcuni trial randomizzati e controllati hanno evidenziato che si può usare usare in un setting acuto di paziente con dolore toracico, rischio basso-intermedio di IM ed in assenza di segni ECGgrafici e di innalzamento dei valori troponinici.
Ha un valore molto ridotto nei pazienti con CAD già conosciuta, oltre che in caso di calcificazioni severe e soprattutto non è praticabile se la frequenza è irregolare o elevata.
Diagnosi differenziale
Oltre il 50% delle sospette SCA sono patologie di pertinenza non propriamente ischemica, per cui è essenziale la diagnosi differenziale, specie condizioni come la dissezione aortica acuta, lo Pneumotorace iperteso e l’embolia polmonare devono essere sempre escluse.
L’ecocardiogramma in questo setting è importante, in quanto dà un’immediata visualizzazione delle strutture cardiache, vascolari e toraciche, permettendo un’agevole e rapida diagnosi differenziale.
Immagine 03. Diagnosi differenziale del dolore toracico.
Da ricordare che lo stroke cerebrale acuto può portare a variazioni ECGgrafiche, aumento delle troponine e danno miocardico con aumento delle troponine.
L’embolia polmonare è una causa che deve essere sempre esclusa, così come tutte quelle cause che possono portare a mismatch (crisi ipertensive, tachiaritmie, sepsi, anemia severa, condizioni con ridotta saturazione di ossigeno), quindi in assenza di coinvolgimento coronarico.
Gestione del paziente
Nel paziente con dolore toracico di probabile origine cardiologica ischemica il monitoraggio continuo del ritmo cardiaco è raccomandato fin quando l’NSTEMI non è escluso.
Quando la diagnosi è effettuata, il monitoraggio è indicato per più di 24 h, nonostante la rivascolarizzazione percutanea (PCI), quando c’è un rischio elevato per aritmie.
Mentre in assenza di segni e sintomi di ischemia, il monitoraggio del paziente è consigliato nell’angina instabile in casi selezionati, es. spasmo coronarico o sintomi suggestivi di eventi aritmici, es. palpitazioni o sincopi.
Stratificazione del rischio
Il paziente con NSTEMI necessita sempre di una stratificazione del rischio per la valutazione prognostica, ma anche per comprendere quale deve essere il miglior timing per il trattamento.
Vari elementi si possono usare per stratificare il rischio:
ECG.
La depressione del tratto ST, la sua quantificazione ed il numero di derivazione in cui essa è presente conferiscono una prognosi peggiore.
Infatti più l’ST è depresso e più derivazioni sono interessate, maggiore sarà l’ischemia e l’interessamento coronarico.
Un valore prognostico negativo è dato anche dall’inversione delle T in più di 5 derivazioni. Quindi un valore prognostico minore rispetto alla depressione del tratto ST.
Esistono inoltre pattern ECGgrafici ad elevato rischio che possono indicare la stenosi severa o anche occlusione della discendente anteriore prossimale, es. Wellens, onda di De Winter.
Immagine 04. Pattern ECG grafici nell’NSTEMI e loro relativo significato prognostico.
Biomarkers.
In genere sia la troponina I e la troponina T ad alta sensibilità hanno un’elevata accuratezza diagnostica, ma la troponina T è maggiore in quanto accuratezza prognostica. Non esiste un valore preciso al di sopra del quale il rischio aumenta di una percentuale significativa, ma in generale maggiore è il livello troponinico maggiore è il rischio di morte.
Un altro elemento importante è la velocità di filtrazione glomerulare (EGFR) che impatta di per sé sulla prognosi, oltre che far parte anche del GRACE risk score.
Il BNP e il pro-BNP-NT permettono di avere una stratificazione del rischio di morte, di scompenso cardiaco e di fibrillazione atriale, oltre che poter aiutare a scegliere nella strategia rivascolarizzativa (percutanea o chirurgica) nel caso di patologia del tronco-comune e/o interessamento di 3 vasi.
Modelli di calcolo per la stratificazione del rischio.
Ci sono vari modelli che mettendo insieme più elementi permettono una miglior stratificazione del rischio, di questi uno dei più usati è il GRACE score (il suo uso per la prognosi è di Classe IIaB). Questo score riesce a stimare il rischio di mortalità intra-ospedaliera.
VALUTAZIONE DEL RISCHIO DI SANGUINAMENTO
E’ importante la valutazione del rischio di sanguinamento nei pazienti che devono andare incontro a rivascolarizzazione poiché i farmaci antitrombotici che si usano prima, durante e dopo rivascolarizzazione aumentano di molto la probabilità di complicanze emorragiche.
Nel caso di una SCA e nella valutazione di quello che è il trattamento ottimale, bisogna sempre considerare un equilibrio tra il rischio ischemico e quello emorragico.
Uno degli score più validati per la valutazione del rischio di sanguinamento è il CRUSADE score. Seppur non è stato stabilizzato la sua validità nei pazienti che vanno incontro all’utilizzo di anticoagulanti orali, e l’uso di accesso radiale o l’approccio antitrombotico possono modificare il valore predittivo di questo score.
Immagine 05.Parametri valutati nel calcolo del CRUSADE score.
Un altro score che sta prendendo piede è l’ ARC-HBR che prende in considerazione pazienti ad alto rischio di sanguinamento, prima non valutati nei trial per la doppia terapia antiaggregante.
La valutazione del rischio di sanguinamento deve essere valutata insieme a quello ischemico in quanto impattano in uguale modo sulla prognosi.
Lo score PRECISE-DAPT è quello utilizzato per valutare il rischio di sanguinamento ed ischemia nei pazienti con doppia terapia antiaggreganti (DAPT) a breve e lungo tempo.
In particolare nei pazienti ad alto rischio (score>25) di sanguinamento il prolungamento della DAPT si è dimostrato non dare benefici sugli eventi ischemici, ma solo di aumentare la diatesi emorragica.
Invece nei pazienti a basso rischio di sanguinamento il prolungamento della DAPT non provocava aumento di sanguinamento ma riduceva di molto il rischio ischemico (studi eseguiti con Aspirina e Clopidogrel).
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO
Terapia antitrombotica
Il trattamento di base antiaggregante è obbligatorio nei pazienti con SCA-NSTEMI, indipendentemente dalla strategia rivascolarizzativa o meno, anche se bisogna sempre effettuare una valutazione del rischio emorragico e trombotico per la sua durata, in quanto può influenzare fortemente la prognosi.
Immagine 06. Caratteristiche del paziente, terapia antitrombotica e bilancio tra rischio ischemico e di sanguinamento.
Immagine 07. Meccanismi molecolari per la formazione del trombo e target molecolari per i farmaci utilizzati nella SCA.
Farmaci antiaggreganti:
Aspirina: dose di carico di 150-300 mg orale o 75-250 mg ev se l’ingestione orale non è possibile, seguito da dose di mantenimento di 75 mg. E’ il trattamento di base per l’inibizione del trombossano A2.
Inibitori del P2Y12 (orali o ev):
clopidogrel: dose di carico di 300-600 mg orali, seguiti da dose di mantenimento di 75 mg;
prasugrel: dose di carico di 60 mg orali, seguita da una dose di mantenimento di 10 mg al giorno. Nei pazienti con peso <60 Kg una dose di mantenimento di 5 mg è raccomandata. In pazienti con peso> 75 anni, il prasugrel dovrebbe essere usato con attenzione, ma una dose di 5 mg dovrebbe essere usata se il trattamento è ritenuto necessario. Uno stroke precedente è una controindicazione all’utilizzo del prasugrel;
ticagrelor: dose di carico 180 mg orale, seguito da una dose di mantenimento di 90 mg due volte al giorno;
cangrelor: bolo di 30 Ug/Kg ev seguiti da infusione 4 Ug/Kg/min per almeno 2 h o di durata della procedura (qualora più lunga). E’ l’unico parenterale.
Inibitori del recettore GP IIb/IIIa (ev):
abiciximab: bolo di 0,25 mg/kg ev e infusione 0,125 Ug/Kg/min (massimo 10 Ug/min) per 12 h;
eptifibatide: doppio bolo di 180 Ug/Kg ev (dato in 10 minuti di intervallo), seguito da un’infusione di 2 Ug/kg/minuto fino a 18 h;
tirofiban: bolo di 25 Ug/kg ev in 3 minuti, seguito da un’infusione di 0,15 Ug/Kg/min fino a 18 h.
Farmaci anticoagulanti (per uso prima e durante la PCI):
eparina non frazionata: 70-100 U/Kg di bolo ev quando non è stato pianificato, seguito da infusione endovena fino alla procedura invasiva 50-70 U/Kg di bolo ev se si pianifica il bolo con GPIIb/IIIa;
enoxaparina: 0,5 mg/kg ev in bolo;
bivalirudina: bolo ev di 0,75 mg/Kg seguito da infusione ev di 1,75 mg/Kg/h fino a 4 h dopo la procedura;
fondaparinux: 2,5 mg al giorno sottocutanei (solo prima della PCI).
Anticoagulanti orali:
rivaroxaban: dose di mantenimento di 2,5 mg due volte al giorno (in combinazione con aspirina) a lungo periodo per prevenzione secondaria nei pazienti con CAD.
In genere, secondo i vari trial (TRITON e PLATO), la doppia antiaggregazione con un inibitore forte del P2Y12 (ticagrelor o prasugrel) insieme alla cardioaspirina è indicato nel trattamento dell’NSTEMI. Il clopidogrel è limitato ai casi in cui il ticagrelor ed il prasugrel siano controindicati, o qualora il rischio di sanguinamento sia troppo alto. I nuovi studi dimostrano una maggior efficacia del prasugrel rispetto al ticagrelor nella prevenzione degli eventi ischemici in assenza di un aumento significativo dei sanguinamenti (forse perché migliora la funzione endoteliale).
Il pre-trattamento, inteso con assunzione del farmaco in previsione di coronarografia, quindi in assenza di albero coronarico conosciuto, con un inibitore del P2Y12 non è più indicato in quanto aumenta il sanguinamento senza migliorare gli outcome ischemici. Il pre-trattamento può essere considerato però nei pazienti con rivascolarizzazione programmata tardiva in casi selezionati. Il ticagrelor ed il prasugrel hanno un’insorgenza dell’effetto rapido (da mezz’ora a 2 ore) che permette il carico subito dopo la coronarografia diagnostica e poco prima della PCI. Il pre-trattamento, se usato di routine, potrebbe aumentare i rischi di sanguinamenti ed essere deleterio, oltre che essere una causa di ritardo del CABG.
Immagine 08. Flow-chart per l’uso della doppia antiaggregazione e dell’anticoagulazione.
In genere la combinazione di aspirina ed inibitore del P2Y12 deve essere mantenuta per almeno 12 mesi, finché non coesistono controindicazioni o un eccessivo rischio di sanguinamento, per poi continuare soltanto con l’aspirina.
Gli antagonisti del GpIIb/IIIa dovrebbero essere usati in caso di rivascolarizzazione fallimentare se non c’è completa riperfusione (ripristino del flusso all’interno del vaso) o se c’è complicanza trombotica, oltre che essere usata durante una PCI ad alto rischio senza pre-trattamento.
Il Cangrelor può essere usato durante la PCI nei pazienti che non facevano prima P2Y12; esso è un inibitore diretto reversibile a breve durata d’azione.
L’anticoagulazione parenterale è raccomandata in tutti i pazienti, insieme al trattamento antiaggregante, al tempo della diagnosi ed al tempo della rivascolarizzazione.
Dopo la procedura invasiva si può sospendere l’anticoagulazione nel caso sia in infusione.
Il suo razionale è nell’inibire la generazione di trombina e di attività della trombina.
L’eparina non frazionata è in genere lo standard per il suo rapporto rischi-benefici favorevole. In genere bisogna evitare di usare più anticoagulanti, specie il passaggio tra eparina non frazionata a quella a basso peso molecolare e viceversa, con l’eccezione di aggiungere eparina non frazionata al fondaparinux quando un paziente va incontro alla PCI dopo il trattamento con fondaparinux.
L’anticoagulazione non dev’essere ripresa, eccetto per la presenza di aneurisma del ventricolo sx con stratificazione trombotica o fibrillazione atriale richiedente anticoagulazione.
Per la breve emivita la bivalirudina può essere un’alternativa all’eparina non frazionata.
L’eparina a basso peso molecolare può essere considerata invece nel caso il paziente già esegua l’eparina a basso peso molecolare per via sottocutanea.
Antiaggregazione del paziente NSTEMI
I farmaci peri-interventistici includono sia il cangrelor che gli inibitori del GPIIb/IIIa. Per quanto riguarda questi ultimi il loro utilizzo si è ridotto con l’Introduzione i più recenti inibitori del P2Y12.
Dopo una PCI la DAPT è consigliata per 12 mesi, ma può essere ridotta o allargata in base ai vari scenari, oppure modificata nel tipo di farmaci utilizzati.
In caso di PRECISE-DAPT > 25 o criteri ARC-HBR l’antagonista del P2Y12 può essere interrotto dopo 3-6 mesi. Nei pazienti con altissimo rischio di sanguinamento, definito come recente epiSodio di sanguinamento nel mese precedente, o necessità di chirurgia non differibile di chirurgia, 1 mese di ASA e clopidogrel deve essere considerato.
Nel trial PEGASUS-TIMI nei pazienti con sindrome coronarica acuta che hanno tollerato la DAPT senza sanguinamenti si può scegliere di prolungare il periodo di doppia antiaggregazione per un tempo maggiore di 1 anno (36 mesi) nel caso abbiano un rischio trombotico alto (in tal caso si usa Ticagrelor 60 mg 2 volte/die e non quello da 90 mg).
Un’altra opzione importante per la prevenzione secondaria cardiovascolare post-PCI è quella rappresentata dal trial COMPASS con l’utilizzo oltre l’anno dalla PCI di cardioaspirina con rivaroxaban 2.5 mg due volte al giorno.
TERAPIA DI SUPPORTO ED ANTI-ISCHEMICA NELL’ACUTO
Nei pazienti con NSTEMI è essenziale la risoluzione del dolore toracico e la riduzione dell’attività simpatica.
Per ridurre il dolore la morfina ev è l’analgesico più usato in acuto, anche se bisogna considerare che ritarda l’insorgenza dell’effetto degli antiaggreganti.
E’ utile la somministrazione di ossigeno quando c’è ipossia severa, data da una saturazione inferiore a 90%, o in pazienti con distress respiratorio. Infatti l’iperossiemia non è raccomandata, risultando addirittura dannosa.
Nei pazienti con sintomi di ischemia è utile la terapia con nitrati sublinguali o ev (ancora di più se associati ad aumento dei valori pressori), e con beta-bloccanti.
I nitrati ev sono più efficaci di quelli sublinguali per la riduzione dei sintomi e la risoluzione della depressione del tratto ST. La loro dose deve essere regolata in base ai livelli pressori, facendo attenzione agli effetti collaterali: ipotensione, mal di testa, flushing.
I nitrati devono essere utilizzati con attenzione, in quanto deve essere esclusa la recente assunzione di inibitori della fosfodiesterasi 5 (aspettare 24 h dall’ultima assunzione di sildenafil o verdanafil, e 48 h da quella di tadalafil).
I beta-bloccanti riducono il consumo di ossigeno del miocardio, abbassando la frequenza, pressione arteriosa, e riducendo la contrattilità del miocardio.
I beta bloccanti è utile continuarli nei pazienti con segni di scompenso cardiaco (classe Killip a partire da 3).
La controindicazione assoluta dei beta-bloccanti è quando vi è un sospetto di vasospasmo ed abuso di cocaina (angina vasospastica), in quando possono peggiorare la vasocostrizione. Si possono usare Calcio antagonisti e/o nitrati.
TRATTAMENTI INVASIVI
La coronarografia è essenziale nel paziente con NSTEMI perché:
offre un importante contributo diagnostico per valutare se c’è ischemia miocardica derivante dalla stenosi/ostruzione delle coronarie epicardiche, ed in questo caso qual è la lesione culprit (colpevole), oppure se c’è una malattia ostruttiva multivasale (in genere presente nel 40-80% dei pazienti con NSTEMI);
valuta la gravità della lesione coronarica e se si può trattare per via percutanea oppure se c’è necessità di bypass aorto-coronarico (CABG), in base alla morfologia della lesione, al tipo di interessamento coronarico ed al profilo di rischio del paziente.
E’ importante per quanto riguarda il timing della coronarografia la stratificazione del rischio:
Coronarografia immediata (<2h), simile all’approccio per lo STEMI, nei pazienti ad altissimo rischio (almeno una caratteristica tra quelle ad alto rischio).
Strategia invasiva precoce (<24 h dall’ingresso in ospedale) nei pazienti ad alto rischio.
Strategia selettiva nei pazienti senza ricorrenza di sintomi e nessun criterio di altissimo/alto rischio poiché sono considerati a basso rischio nel breve termine. Questi pazienti dovrebbero essere trattati in linea con le linee guida della sindrome coronarica cronica (SCC) con valutazione con eco- o RMN-stress. Infatti con le troponine ad alta sensibilità è facile la diagnosi di NSTEMI anche con bassi livelli, facendo emergere questi casi che non hanno così tanta urgenza.
Categorie di rischio:
Altissimo rischio:
instabilità emodinamica;
shock cardiogeno;
dolore toracico refrattario/ricorrente nonostante trattamento medico;
aritmie pericolose per la vita;
complicazioni meccaniche dell’infarto del miocardio;
scompenso cardiaco acuto correlato all’NSTEMI;
depressione del tratto ST > 1 mm in derivazioni+ sopraslivellamento in AVR e/o V1.
Alto rischio:
diagnosi stabilita di NSTEMI;
variazioni nuove e dinamiche del tratto ST-T;
arresto cardiaco resuscitato senza sopraslivellamento del tratto ST o shock cardiogeno;
GRACE score> 140.
La lesione culprit è nel 40% dei casi data dall’interessamento della discendente anteriore, spesso nel segmento medio e/o prossimale.
La lesione culprit è identificata da almeno due delle seguenti caratteristiche:
difetti di riempimento intraluminali da trombo (es. occlusione acuta improvvisa con un flusso a monte terminante in maniera convessa o mozzata, oppure un difetto di riempimento intraluminale in un vaso pervio o adiacente ad una regione stenotica con omogene opacizzazione di contrasto circostante);
ulcerazione di placca (presenza di contrasto e contorno sfumato oltre il lume del vaso);
irregolarità della placca.
Alla coronarografia non sempre è facile la distinzione tra un’occlusione acuta, subacuta o cronica
Immagine 09. A sx coronaria dx occlusa, a dx coronaria dx riperfusa post-angioplastica.
Riserva frazionale di flusso ed altri parametri invasivi
La Riserva Frazione di Flusso (FFR) è la tecnica standard per individuare la reale severità della lesione in pazienti con stenosi di grado intermedio (40-60%) senza evidenza di ischemia ai test non invasivi, o in chi ha una patologia multivasale. Bisogna inoltre considerare che l’interessamento della microvascolatura può far sottostimare spesso l’importanza emodinamica di una possibile lesione culprit in un paziente con NSTEMI.
Nei pazienti con SCA la rivascolarizzazione programmata basata sull’FFR o iFR è associata con peggiori outcome rispetto a ciò che accade nei pazienti con sindrome coronarica cronica. Infatti la persistente instabilità di stenosi non emodinamicamente significative o la presenza di più di una lesione instabile può rappresentare un alto rischio. In alcuni trial la rivascolarizzazione immediata guidata da FFR ha dimostrato ottimizzare i risultati nei pazienti con NSTEMI.
L’”instantaneous wave-free ratio” (ìFR, cioè il rapporto tra pressione distale alla stenosi e pressione aortica), la riserva di flusso coronarico (CFR), o l’indice di resistenza del microcircolo (IMR) sono in corso di valutazione in vari studi per la valutazione delle stenosi.
Imaging intracoronarico
L’imaging intracoronarico consta di 2 metodiche, IVUS and OCT, le quali permettono una valutazione della dimensione del vaso coronarico, del suo lume, del suo decorso, della sua composizione (specie quella della placca e del suo volume), della composizione dello stent e della sua estensione.
Se la PCI è guidata da IVUS, si riduce l’area del vaso stenotica non coperta con riduzione delle trombosi dello stent. La sua applicabilità è però poco studiata nell’ambito acuto, quindi meno applicabile nella SCA.
Invece l’OCT è stata ampiamente studiata nel setting acuto con vantaggi di outcome anche nel paziente con NSTEMI. Oltre al fatto che l’OCT è una metodica importante nell’ambito dei MINOCA valutando la presenza di una dissezione coronarica spontanea, erosione e rottura di una placca.
TRATTAMENTO CONSERVATIVO
E’ quello riservato a:
Pazienti che non sono candidati all’esame coronarografico:
piccola popolazione con vari criteri, a seconda del paese o della regione del mondo, tra cui: età avanzata, diabete mellito, insufficienza renale cronica, sesso femminile, precedente scompenso/rivascolarizzazione, storia di cancro, e fragilità;
pazienti con sovrapposizione sia di predittori di ischemia che di sanguinamento, quindi con una prognosi pessima.
Questi pazienti devono essere scelti in maniera adeguata, come per il trattamento farmacologico, in quando la coronarografia con approccio radiale offre basso rischio di sanguinamento e non trattare una lesione coronarica potrebbe togliere una grossa possibilità di miglioramento per la perfusione del muscolo cardiaco e di miglioramento della funzione ventricolare del paziente
L’età avanzata ed il sesso femminile di per sé non rappresentano una ragione sufficiente a non eseguire una coronarografia
Pazienti con CAD estesa non suscettibile di rivascolarizzazione:
pazienti ad elevato rischio per eventi ischemici ricorrenti;
spesso sono pazienti donna, anziane, con patologia multivasale, insufficienza renale cronica e storia di precedente infarto e rivascolarizzazione.
Non effettuare una rivascolarizzazione dovrebbe essere motivato da rischi che superano benefici.
Utile la prevenzione con una forte terapia antiaggregante e farmaci antianginosi.
Pazienti senza CAD ostruttiva (MINOCA).
ASPETTI TECNICI DELLA PCI
Per quanto riguarda la PCI, essa è l’approccio preferenziale nella SCA (incluso l’NSTEMI), utilizzando nel caso di angioplastica come standard l’impianto di DES (drug-electing stent) di nuova generazione invece che i vecchi stent metallici.
L’accesso vascolare preferenziale è quello radiale, il quale mostra un tasso minore di sanguinamenti, tasso di trasfusioni e necessità di trattare lchirurgicamente la sede d’accesso (trial MATRIX).
Nel paziente con NSTEMI la rivascolarizzazione completa di tutti i vasi dovrebbe essere considerata nei pazienti senza shock cardiogeno e con patologia ostruttiva multivasale (Classe di evidenza IIaC).
L’imaging intracoronarico inoltre deve essere considerato se si sospetta una dissezione coronarica spontanea.
BYPASS AORTO-CORONARICO
Il 5-10% degli NSTEMI richiede un bypass aorto-coronarico (CABG), tipicamente nel caso di lesioni coronariche ad alto rischio e complesse, pazienti multi/tri-vasali ed in pazienti con interessamento esteso tronco comune-discendente anteriore a seconda del giudizio dell’operatore, le condizioni cliniche del paziente e l’expertise del centro.
In genere si cerca di effettuare la procedura in maniera elettiva e non in emergenza, infatti gli eventi ischemici nei pazienti con antiaggregazione non ottimale in attesa di chirurgia (es. singola per permettere espletamento di procedura) sono bassi (0,1%) rispetto alle complicazioni emorragiche dei pazienti con antiaggregazione piena (>10%).
Nei pazienti diabetici è riportato un beneficio maggiore della CABG rispetto all’angioplastica. Il motivo per cui c’è un outcome migliore del CABG nel diabetico sta nel fatto che questo tipo di pazienti soffre spesso di sintomi atipici e di una CAD asintomatica, la quale porta nel tempo ad una situazione più frequentemente multivasale. C’è da considerare però che l’iperglicemia riscontrata nell’acuto non dev’essere etichettata come diabete, poiché sarebbe un falso positivo. Quindi la diagnosi di diabete deve già esserci o deve essere confermata durante il ricovero quando questa non era già presente. In genere l’iperglicemia è meno pericolosa dell’ipoglicemia in un paziente acuto, quindi quando si imposta l’insulinoterapia un target sotto i 180 mg/dl sarebbe già di per sé ottimale.
Il SINTAX score può essere un mezzo utile per individuare e predire in pazienti con interessamento coronarico complesso il rischio di morte o fallimento della procedura percutanea.
Al contrario l’STS score è utile per valutare la mortalità a 30 giorni post CABG nei pazienti ad alto rischio.
NSTEMI si può verificare anche in pazienti con precedente CABG. In questi casi la mortalità è significativamente più alta a 30 giorni (5,2% contro 3,4% senza un precedente CABG) e sei mesi (8 % contro 6,6%, rapporto di rischio corretto 1,32). Questa differenza può riflettere un maggior grado di malattia cardiaca.
Più vecchio è l’innesto della vena safena, maggiore è la probabilità che ci sia l’occlusione di quell’innesto.
In generale gli innesti hanno maggiori probabilità rispetto ai vasi nativi di mostrare occlusione totale o trombi, complicazioni che sono più refrattarie alla terapia medica.
CABG VS PCI
Caratteristiche a favore della CABG–> diabete, frazione d’eiezione ridotta (<40%), controindicazioni alla doppia antiaggregazione, ricorrenti stenosi intrastent, aspetti tecnici ed anatomici che portano ad una rivascolarizzazione percutanea (PCI) incompleta, necessità di contemporanea cardiochirurgia (es. Intervenire su valvulopatia coesistente)
Caratteristiche a favore della PCI–> comorbidità severe, età avanzata, fragilità, ridotta aspettativa di vita, ridotta mobilità, condizioni che compromettono la riabilitazione, aorta a porcellana, deformazioni severe del torace, Scoliosi severa, sequele post-attiniche, aspetti anatomici e tecnici che porterebbero ad un’incompleta rivascolarizzazione chirurgica.
Immagine 10. Parametri del SINTAX score.
GESTIONE DEL SANGUINAMENTO ACUTO
In caso si sanguinamento acuto, il primo approccio è normalizzare la pressione arteriosa.
Per quanto riguarda il sanguinamento dato dagli antiaggreganti, non esistono antidoti. La trasfuzione di piastrine non è raccomandata in quanto le evidenze sono poche. L’effetto dell’aspirina può essere superato dopo la trasfusione di 2-5 unità di piastrine. Invece gli inibitori del P2Y12 sono più problematici, in particolare si può ripristinare la funzione piastrinica sotto prasugrel e clopidogrel con la trasfusione dopo 4-6 h. Invece per il ticagrelor sono necessarie almeno 24 per ripristinare la funzione piastrinica.
Per quanto riguarda gli anticoagulanti:
Gli antagonisti della vitamina K (VKA) hanno un effetto antitrombotico quando vi è una riduzione sufficiente del fattore II (protrombina), la cui emivita è di 60-72 h. Il warfarin necessita di 2.5 giorni per ridurre il suo effetto anticoagulante, testimonato dalla riduzione dell’INR, mentre l’acenocumarolo ha un’emivita molto più breve e basta 1 giorno solo. I target di INR dipendono dalla presenza di protesi meccaniche valvolari e dalla loro posizione, oppure se c’è solo presenza di fibrillazione atriale. I sanguinamenti aumentano esponenzialmente quando l’INR è sopra i 4.5. L’uso di vitamina K1 può essere considerato per contrastare l’effetto dell’antagonista in circolo, ed in caso di sanguinamenti maggiori in atto per avere un effetto rapido è utile usare nell’immediato: concentrato di complesso protrombinico o plasma fresco congelato o fattore VII ricombinato. Il complesso protrombinico è il più sicuro, dato che non da sovraccarico di liquidi, può essere infuso in 15-30 minuti ed ha un minor rischio trombotico.
I nuovi anticoagulanti orali (NOAC) necessitano di 12-24 h dall’ultima dose per essere eliminati dal circolo. Nel caso ci sia insufficienza renale il tempo di wash-out sarà maggiore., specie per il dabigatran. In caso di emorragia intracerebrale o sanguinamento maggiore è importante l’uso di agenti antagonisti specifici. Per quanto riguarda il dabigatran, esiste l’idaracizumab che si utilizza ad un dosaggio di 5 g ev. Come seconda linea di trattamento e per gli altri NOAC può essere utile il complesso protrombinico. Sono in corso di studi anche antidoti contro gli inibitori del fattore Xa (apixaban, edoxaban, rivaroxaban), come per es. l’andexanet alfa.
In genere i sanguinamenti, non in sede di accesso, in pazienti che vanno incontro alla PCI sono localizzati in: 1) tratto gastrointestinale, 2) naso, 3) tratto urinario, 4) sottocute e 5) intracranica.
Terapia transfusiva
La trasfusione di globuli rossi avviene fino al 10% dei pazienti con SCA. In genere fattori di rischio sono: anemia di base, diabete mellito, età avanzata, insufficienza renale avanzata, storia di infarto del miocardio, storia di scompenso cardiaco, e CAD multivasale.
La necessità di trasfusione aumenta di molto la mortalità in questo tipo di pazienti, probabilmente per una maggior reattività piastrinica post-trasfusione.
In genere un protocollo trasfusivo più restrittivo (trasfusione con Hb< 7g/dl e/o Hct<25%) si è dimostrato più sicuro di un approccio liberale (trasfusione> 9g/dl e/o Hct>30%), il quale invece aumenta solo la mortalità.
MINOCA
In diversi studi clinici e nel registro CRUSADE, il 9-14% dei pazienti con SCA senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) non presenta una malattia coronarica ostruttiva, ma presenta vasi normali o con stenosi non significative (40-60%) all’angiografia coronarica.
Possibili meccanismi per l’assenza di malattia coronarica significativa in questi pazienti includono trombosi coronarica con lisi rapida del coagulo, vasospasmo, macro e microemboli, coagulopatia, vasculite, malattia dei piccoli vasi, disfunzione microvascolare coronarica e miocardite.
L’assenza di malattia coronarica significativa è stata anche descritta in pazienti con angina stabile.
Le caratteristiche dei pazienti con SCA che hanno una malattia coronarica lieve o assente sono:
età più giovane;
sesso femminile; .
assenza di precedente IM o angina, diabete o depressione del segmento ST.
Questi pazienti hanno in genere una prognosi migliore, rispetto a quelli che presentano una lesione culprit con occlusione o stenosi significativa.
L’infarto del miocardio in assenza di malattia coronarica ostruttiva è definito col termine “MINOCA”, indica un insieme di cause intra- ed extra- coronariche, intra- ed extra-cardiache che danno origine ad un quadro di SCA in assenza di lesioni delle coronarie epicardiche angiograficamente significative.
I pazienti interessati da questa condizione sono in genere più frequentemente donne e più giovani con minor presenza di diabete, dislipidemia ed ipertensione arteriosa (quindi un coinvolgemento in larga parte non aterosclerotico).
MINOCA è definito da:
Criteri di IMA, inerenti alla 3° definizione di infarto del miocardio, tra cui naturalmente l’innalzamento della troponina oltre il 99esimo percentile del limite superiore.
Malattia coronarica non ostruttiva angiograficamente, in assenza di lesioni stenotiche >50% in coronarie epicardiche.
Nessun’altra causa per giustificare la presentazione acuta.
Tra i MINOCA è inclusa anche la Tako-Tsubo che può anche derivare da uno STEMI o NSTEMI.
Per la diagnosi naturalmente si rende necessaria una valutazione laboratoristica, ecocardiografica ed angiografica.
La RMN è una tappa fondamentale in quanto spesso riesce a trovare la causa di almeno l’87% dei MINOCA.
Talora può essere utile il test con acetilcolina o ergonovina intracoronarica per la valutazione (nel sospetto) di spasmo coronarico e/o microvascolare.
L’imaging intracoronarico con IVUS o OCT può essere utile per la valutazione della dissezione coronarica spontanea o l’erosione, rottura e trombosi di placche angiograficamente non significative.
Nonostante un ottimo e completo work-up diagnostico la causa del MINOCA resta indeterminata per l’8-25% dei pazienti. Infatti questa condizione è identificata come “ infarto del miocardio di causa sconosciuta/incerta”. In questi casi il trattamento non ha forti evidenze, spesso è utilizzata la combinazione di ACE inibitori, sartani, Calcio antagonisti, aspirina e statine come trattamento di routine, avendo essi un effetto benefico su un po’ tutte le cause di mortalità.
Immagine 11. MINOCA.
NSTEMI E SCOMPENSO CARDIACO ACUTO
Lo scompenso cardiaco acuto è in genere una complicanza frequente dell’NSTEMI, che ne peggiora di molto la prognosi.
Le cause precipitanti possono essere l’insufficienza mitralica acuta, lo scompenso correlato all’ischemia e le complicazioni meccaniche.
In genere in uno scompenso cardiaco acuto ci sono gli stessi sintomi di una SCA, variazioni dell’ECG non specifiche e rialzo troponinico. Quindi è fondamentale una coronarografia per far luce sulla diagnosi e successivamente permettere la terapia più adeguata.
Nella situazione di shock cardiogeno acuto il trattamento della sola lesione culprit/colpevole è in grado di ridurre la mortalità, a differenza di un approccio completo che può essere affrontato successivamente al trattamento della lesione principale (CULPRIT SHOCK TRIAL).
Nelle stesse situazioni, nel caso la PCI non sia fattibile, è importante programmare un CABG di emergenza. Per supportare il circolo in queste situazioni delicate sono utili i sistemi di assistenza meccanici al circolo (Impella, contropulsatore, Tandemheart ed ECMO).
Secondo vari studi il contropulsatore è inferiore agli altri sistemi di supporto ed inoltre dà un aumento della mortalità, per questo il suo uso non è considerato di routine.
Risolta la fase acuta il trattamento tipico antiscompenso può essere iniziato.
FATTORI PROGNOSTICI
Scompenso cardiaco: è una presentazione dell’NSTEMI che ne peggiora di molto la prognosi.
Diabete: più frequentemente associato a CAD asintomatica o con sintomi insidiosi (+ difficile il riconoscimento) con patologia multivasale.
Insufficienza renale cronica (IRC): rende difficoltosa la diagnosi iniziale in quanto i pazienti con IRC possono avere livelli troponinici aumentati di base o anomalie dell’ECG (es. per disturbi elettrolitici), per questo è importante valutare la curva della troponina e soprattutto le variazioni all’ECG. Una soglia troponinica al di sotto di 5 ng/l può escludere a prescindere un danno miocardico in questa popolazione.
I pazienti con IRC avanzata sono con più difficoltà rivascolarizzati ed il beneficio della rivascolarizzaizone si riduce se EGFR> 15 ml/min/1.73 m2 o se in dialisi.
Qualora si decida la PCI, è importante prevenire la nefropatia indotta da mezzo di contrasto (CIN) con un’adeguata idratazione (idratazione pre- e post- procedura con soluzione fisiologica se ci si aspetta più di 100 ml di contrasto; il regime poi deve essere adeguato al paziente e alla sua frazione d’eiezione). Vari studi riportano che l’uso di statine ad alto dosaggio può aiutare nella prevenzione secondaria della CIN. L’utilizzo di mezzi di contrasto ipo- o iso-osmolari è raccomandato per ridurre il rischio di CIN.
La scelta dell’antiaggregazione è difficoltosa in questi pazienti per l’aumentato rischio di sanguinamento. Nei pazienti con IRC in stadio 5 (EGFR < 15 ml/min/1.73 m2) ci sono dati insufficienti sulla sicurezza e l’efficacia degli inibitori del P2Y12. I nuovi anticoagulanti hanno fortissime restrizioni in base alla funzione renale.
Anemia: si associa ad un aumento di mortalità in questi pazienti ed ad infarti del miocardio ricorrenti. E’ bene nell’NSTEMI escludere emorragie in atto, sia perché ne potrebbero essere la causa per il mismatch, sia perché potrebbero aggravarsi dopo la terapia antitrombotica. Non a caso l’approccio scelto per l’accesso (radiale o femorale) e la valutazione della necessità di rivascolarizzare sono fondamentali, così come la scelta dei farmaci, dopo aver valutato il rischio ischemico e quello emorragico.
Trombocitopenia: che può essere già presente nel paziente, oppure provocata da eparina (trombocitopenia indotta da eparina) o dagli inibitori del Glp IIb/IIIa.
E’ definita clinicamente significativa quando la conta piastrinica è < 100000/ml o c’è una riduzione del 50% al di sotto del valore basale.
Durante l’uso di inibitori del GlpIIb/IIIa è riportato un grado di trombocitopenia moderata (50000-100000/ml) nel 4.2% dei casi di utilizzo di abciximab, mentre un grado di trombocitopenia severa (<50000/ml) nell’1 % dei casi di utilizzo di abciximab.
Durante l’uso di inibitori del GpIIb/IIIa la conta piastrinica dovrebbe essere monitorata entro le 8-12 h dalla prima somministrazione, e poi dopo 24 h, inoltre i pazienti trattati con abciximab richiedono una conta addizionale già nelle prime 4 h.
Quando si raggiunge un livello di piastrine al di sotto delle 100000/ml o c’è una riduzione del 50% rispetto al valore basale, questi farmaci devono essere interrotti.
Nel caso di sanguinamento attivo e trombocitopenia severa (< 20000) è utile la trasfusione di piastrine. Nel caso di eptifibatide o tirofiban la trasfusione piastrinica può essere inefficace, dato che questi due farmaci restano in circolazione per almeno 2 h. Pertanto una scelta alternativa è data dall’uso di fibrinogeno con plasma fresco congelato o crioprecipitato.
La trasfusione piastrinica è invece controindicata nei pazienti che hanno una HIT, definita da una conta piastrinica <100000/ml a 48-72 h dall’inizio di una terapia con eparina.
Età avanzata: negli anziani la presentazione dell’NSTEMI è spesso atipica, principalmente data da dispnea, e meno frequentemente sincope, malessere, e confusione. La valutazione dell’aumento della troponina è molto meno specifica ma più sensibile rispetto ai pazienti più giovani per via dell’aumento delle comorbidità. Le stesse comorbidità dell’anziano sono quelle che ne aumentano il rischio di mortalità. Da considerare per l’utilizzo dei farmaci la frequente presenza di insufficienza renale.
Fragilità: definita come sindrome caratterizzata dalla riduzione delle riserve biologiche che porta ad un ridotto funzionamento dei meccanismi omeostatici successivamente ad esposizione ad aventi stressanti. In genere questo tipo di pazienti ha lesioni coronariche più complesse, e meno spesso ricevono trattamenti farmacologici o rivascolarizzanti. E’ raccomandato in questi pazienti una valutazione individuale dei rischi e delle opportunità di trattamento.
Sesso: le donne hanno un maggior rischio di complicazioni emorragiche spesso per inappropriato dosaggio dei farmaci in considerazione del peso e della funzione renale.
TERAPIA CRONICA
Modifiche dello stile di vita: interruzione del fumo di sigaretta, dieta, riduzione dell’introito alcolico, controllo del peso, regolare attività fisica, riabilitazione cardiologica, vaccino anti-influenzale nei pazienti anziani.
Farmaci:
L’obiettivo della terapia farmacologica nella sindrome coronarica cronica è ridurre i sintomi anginosi, ischemia indotta da esercizio, eventi cardiovascolari, disfunzione del ventricolo sx, scompenso cardiaco e tutte la cause di mortalità.
Farmaci anti-ischemici:
Beta-bloccanti, raccomandati nei pazienti con disfunzione sistolica del ventricolo sx o frazione d’eiezione ridotta (<40%). L’utilizzo cronico nei pazienti con infarto del miocardio precedente è considerato per ridurre la morbidità e la mortalità cardiovascolare con classe IIa. La frequenza cardiaca su cui dev’essere regolato il beta-bloccante deve avere un limite di 55-60 bpm. La riduzione del beta-bloccante dev’essere graduale e non deve essere interrotto improvvisamente. Il beta-bloccante associato al nitrato permette di ridurre la tachicardia riflessa. Gli effetti collaterali principali sono: blocco AV, ipotensione, bradicardia, stanchezza. Difficilmente i beta-bloccanti possono dare broncospasmo, ma nel caso può essere utile l’uso di beta bloccanti beta 1 selettivi (es. Bisoprololo, metoprololo succinato, nebivololo).
Nitrati a breve durata d’azione possono dare sollievo dai sintomi nelle circostanze che possono provocare aumento di angina. Mentre per l’effetto cronico si usano nitrati a lunga durata d’azione.
Farmaci anti-trombotici.
Inibitori di pompa protonica: indicati nei pazienti che eseguono singola terapia antitrombotica con aspirina, doppia-triplice terapia antitrombotica, o sola terapia anticoagulante nei pazienti a rischio di sanguinamenti gastrointestinali, per ridurne la probabilità.
Il loro uso si associa spesso ad ipomagnesemia.
L’uso di inibitori di pompa che inibiscono il CYP2C19, particolarmente omeprazolo ed esomeprazolo, possono ridurre la risposta farmacodinamica al clopidogrel, in assenza però di dimostrato aumento di eventi ischemici o trombosi di stent. Quindi il loro uso concomitante al clopidogrel non è raccomandato.
Statine ed ipolipidemizzanti:
In genere i pazienti con CAD dovrebbero essere considerati ad altissimo rischio, ed il target di LDL deve essere molto basso, all’incirca <1.4 mmol/l (<55 mg/dl) o di ridurlo di almeno il 50% rispetto al valore di base. I farmaci di prima scelta sono le statine, ma quando l’obiettivo non può essere raggiunto solo con queste (dopo 4-6 settimane) l’ezetimibe in aggiunta si è dimostrata ridurre il colesterolo e gli eventi cardiovascolari nei pazienti post-sindrome coronarica acuta. Con indicazione di classe IIb nei pazienti che non riescono a ridurre in maniera adeguata le LDL, può essere indicato l’uso di fitosteroli con classe IIb, anche se non c’è un dimostrato miglioramento della sopravvivenza. Un’altra opzione terapeutica è data dall’uso degli inibitori del PCSK9 (proproteina della convertasi subtilisina/Kexin tipo 9), come l’evolocumab e l’alirocumab, che riescono in aggiunta alla terapia ipolipidemizzante (4-6 settimane) completa a ridurre di molto il livello di LDL sieriche. Bassi livelli di colesterolo sono in genere ben tollerati e gli inibitori del PSCK9 si sono dimostrati sicuri nel lungo periodo, anche se il loro grosso costo ne limita la diffusione mondiale.
Nei pazienti con SCA che si apprestano ad effettuare una coronarografia è utile dare una statina ad alte dosi, poiché si è visto ridurre gli eventi avversi periprocedurali per un probabile effetto di stabilizzazione sulla placca aterosclerotica.
Farmaci ipoglicemizzanti nei pazienti con diabete:
L’uso dei nuovi ipoglicemizzanti nei pazienti con diabete, come gli inibitori del SGLT2 (cotrasportatore-2 sodio-glucosio) e gli analoghi del GLP-1, si sono dimostrati ridurre di molto il rischio cardiovascolare
Inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone
Gli ACE inibitori o i sartani sono raccomandati in pazienti con scompenso cardiaco e ridotta frazione d’eiezione (<40%), diabete o IRC, se non sussistono controindicazioni (es. Severa disfunzione renale, iperkalemia, ecc..).
Essi riducono la mortalità, l’incidenza di MI, stroje e scompenso cardiaco.
Antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi: raccomandati in pazienti con scompenso cardiaco e ridotta frazione d’eiezione (<40%).
L’eplerenone si è dimostrato ridurre morbidità e mortalità nei pazienti con disfunzione ventricolare sx post-SCA.
Attenzione al loro utilizzo quando il filtrato glomerulare è < 45 ml/min/1.73m2 ed il Potassio sierico è maggiore di 5 mmol/l.
Terapia anti-ipertensiva: da attuare quando la pressione arteriosa è maggiore/uguale a 140/90 mmHg. In particolare nei pazienti al di sotto dei 65 anni il target di pressione sistolica deve essere mantenuto tra i 120-129 mmHg.
Terapia ormonale sostitutiva non è raccomandata, anzi si è dimostrata aumentare il rischio cardiovascolare in donne con età maggiore di 60 anni.